Cass. Sez. III n. 51489 del 14 novembre 2018 (UP 18 set 2018)
Pres. Lapalorcia Est. Ramacci Ric. Bellu
Urbanistica.Responsabilità di un coniuge per il fatto materialmente commesso dall’altro
In tema di reati edilizi la responsabilità di un coniuge per il fatto materialmente commesso dall’altro può essere rilevata sulla base di oggettivi elementi di valutazione quali il comune interesse all’edificazione, il regime di comunione dei beni, l’acquiescenza all’esecuzione dell’intervento, la presenza sul luogo di esecuzione dei lavori, l’espletamento di attività di controllo sull’esecuzione dei lavori, la presentazione di istanze o richieste concernenti l’immobile o l’esecuzione di attività indicative di una partecipazione all’attività illecita.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d'Appello di Cagliari, con sentenza del 13/11/2017 ha confermato la decisione con la quale, in data 29/2/2016, il Tribunale di quella città aveva affermato la penale responsabilità, tra gli altri, di Orietta BELLU in ordine ai reati di cui agli articoli 110 cod. pen., 44, lett. c) d.P.R. 380/2001 e 181 d.lgs. 42/2004, per aver posto in essere una lottizzazione abusiva a scopo edificatorio in zona sottoposta a vincolo paesaggistico ed avente destinazione agricola e per aver realizzato un manufatto, in assenza del necessario permesso di costruire, su un lotto di terreno di sua proprietà (fatti commessi in Domus de Maria, fino al 16/1/2012).
Avverso tale pronuncia la predetta propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione, osservando che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto la sua corresponsabilità nell'esecuzione dell'abuso edilizio sulla base del mero presupposto della comproprietà del terreno, essendo stato invece dimostrato che l'intervento edilizio era stato realizzato esclusivamente dal marito, dal quale, peraltro, si stava separando.
3. Con un secondo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto di cui all'articolo 131-bis cod. pen., osservando che la la Corte di appello avrebbe attribuito rilevanza ha fatti commessi dagli altri coimputati e non avrebbe comunque considerato l'avvenuta demolizione del manufatto.
Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. In tema di responsabilità per abuso edilizio del proprietario (o comproprietario) dell’area non formalmente committente la costante giurisprudenza di questa Corte richiede la disponibilità di indizi e presunzioni gravi, precise e concordanti che sono stati individuati, ad esempio, nella piena disponibilità, giuridica e di fatto, della superficie edificata e dell'interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione (principio del "cui prodest"); nei rapporti di parentela o di affinità tra l'esecutore dell'opera abusiva ed il proprietario, nell'eventuale presenza "in loco" del proprietario dell’area durante l'effettuazione dei lavori; nello svolgimento di attività di materiale vigilanza sull'esecuzione dei lavori; nella richiesta di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria; nel particolare regime patrimoniale fra coniugi o comproprietari; nella fruizione dell'opera secondo le norme civilistiche dell'accessione ed in tutte quelle situazioni e quei comportamenti, positivi o negativi, da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione, anche morale, all'esecuzione delle opere, tenendo presente pure la destinazione finale della stessa. Grava inoltre sull'interessato l'onere di allegare circostanze utili a convalidare la tesi che, nella specie, si tratti di opere realizzate da terzi a sua insaputa e senza la sua volontà (così Sez. 3 n. 35907 del 29/05/2008, Calicchia, non massimata, che riporta anche gran parte degli esempi sopra indicati e ampi richiami a precedenti pronunce. Conf. Sez. 3, n. 38492 del 19/5/2016, Avanzato, Rv. 268014; Sez. 3, n. 52040 del 11/11/2014, Langella e altro, Rv. 261522; Sez. 3, n. 44202 del 10/10/2013, Menditto, Rv. 257625; Sez. 3, n. 25669 del 30/5/2012, Zeno, Rv. 253065).
3. Con specifico riferimento al rapporto di coniugio, si è osservato che la compartecipazione di un coniuge nel reato materialmente commesso dall’altro non può essere desunta dalla mera qualità di comproprietario.
Sono stati pertanto successivamente individuati, quali elementi indizianti: il fatto che entrambi i coniugi siano proprietari del suolo su cui è stato realizzato l'edificio abusivo e che entrambi abbiano interesse alla violazione dei sigilli per completare l'opera al fine di trasferire la loro residenza (Sez. 3 n. 28526 del 30/5/2007, Mele, non massimata); l'abitare nel luogo ove si è svolta l'attività illecita di costruzione, l'assenza di manifestazioni di dissenso, il comune interesse alla realizzazione dell'opera (fattispecie relativa ad imputata la quale, benché formalmente residente in altro comune, conviveva con il marito, era con il predetto in regime di comunione di beni e ne condivideva anche le iniziative patrimoniali, tanto da rimanere coinvolta, in un precedente giudizio, unitamente al coniuge, in altri illeciti edilizi) (Sez. 3 n. 23074 del 16/4/2008, Di Meglio, non massimata); il regime patrimoniale dei coniugi (comunione dei beni), lo svolgimento di attività di vigilanza dell'esecuzione dei lavori, la richiesta di provvedimenti abilitativi in sanatoria, la presenza in loco all'atto dell'accertamento (Sez. 3 n. 40014 del 18/9/2008, Mangione, non massimata).
4. I principi sopra richiamati sono pienamente condivisi dal Collegio, sicché deve conseguentemente ribadirsi che, in tema di reati edilizi la responsabilità di un coniuge per il fatto materialmente commesso dall’altro può essere rilevata sulla base di oggettivi elementi di valutazione quali il comune interesse all’edificazione, il regime di comunione dei beni, l’acquiescenza all’esecuzione dell’intervento, la presenza sul luogo di esecuzione dei lavori, l’espletamento di attività di controllo sull’esecuzione dei lavori, la presentazione di istanze o richieste concernenti l’immobile o l’esecuzione di attività indicative di una partecipazione all’attività illecita.
5. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi, dando conto della comunanza di interesse economico conseguente al rapporto di coniugio, la frequentazione dei luoghi, la consapevolezza dell’esistenza di analoghi interventi posti in essere da partenti sulle aree confinanti, l’inverosimiglianza del fatto che la stessa non si fosse avveduta dell’impiego di risorse economiche rilevanti per la realizzazione delle opere e dell’impiego di tempo da parte del coniuge per la realizzazione dell’intervento abusivo.
I giudici del gravame, peraltro, evidenziano come all’epoca dei fatti l’imputata fosse coniugata e convivente con il marito, diversamente da quanto sostenuto in ricorso, peraltro sulla base di mere asserzioni, atteso che il ricorso per separazione personale allegato in copia all’atto di impugnazione reca la data di deposito del 2 febbraio 2015, ben distante da quella di commissione del reato indicata nell’imputazione.
Va altresì rilevato che nel ricorso ci si sofferma esclusivamente sulla realizzazione del manufatto abusivo, tralasciando del tutto la circostanza, ben evidenziata in sentenza, della ulteriore attribuzione all’imputata del reato di lottizzazione abusiva in concorso con il marito.
6. Anche il secondo motivo di ricorso si palesa infondato.
Si è già affermato (Sez. 3, n. 47039 del 8/10/2015, P.M. in proc. Derossi, Rv. 265450. Conf. Sez. 3, n. 19111 del 10/3/2016, Mancuso, Rv. 266586) che, ai fini della applicabilità dell'art. 131-bis cod. pen. nelle ipotesi di violazioni urbanistiche e paesaggistiche, la consistenza dell'intervento abusivo - data da tipologia, dimensioni e caratteristiche costruttive - costituisce solo uno dei parametri di valutazione, assumendo rilievo anche altri elementi quali, ad esempio, la destinazione dell'immobile, l'incidenza sul carico urbanistico, l'eventuale contrasto con gli strumenti urbanistici e l'impossibilità di sanatoria, il mancato rispetto di vincoli (idrogeologici, paesaggistici, ambientali, etc.), l'eventuale collegamento dell'opera abusiva con interventi preesistenti, il rispetto o meno di provvedimenti autoritativi emessi dall'amministrazione competente (ad es. l'ordinanza di demolizione), la totale assenza di titolo abilitativo o il grado di difformità dallo stesso, le modalità di esecuzione dell'intervento.
Nella citata decisione si è ulteriormente specificato che indice sintomatico della non particolare tenuità del fatto è, inoltre, come si è accennato in precedenza, la contestuale violazione di più disposizioni quale conseguenza dell'intervento abusivo, come nel caso in cui siano contestualmente violate, mediante la realizzazione dell'opera, anche altre disposizioni finalizzate alla tutela di interessi diversi (si pensi alle norme in materia di costruzioni in zone sismiche, di opere in cemento armato, di tutela del paesaggio e dell'ambiente, a quelle relative alla fruizione delle aree demaniali).
Ciò posto, va rilevato che, nel caso di specie, la Corte territoriale ha ritenuto l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento della causa di non punibilità invocata dalla ricorrente, in considerazione della grave compromissione dell’interesse protetto dalla normativa violata conseguente all’attività lottizzatoria eseguita in zona vincolata, tenendo conto anche del maggiore aggravio programmatico ed amministrativo richiesto all’ente territoriale per il ripristino delle originarie condizioni dei luoghi.
Si tratta, ad avviso del Collegio, di valutazioni che meritano di essere condivise.
Invero, già l’esecuzione dell’intervento in zona sottoposta a vincolo paesaggistico risulta, di per sé, indicativa di una maggiore gravità della condotta, come affermato nella decisione in precedenza richiamata.
L’illecita attività si è inoltre concretata in una lottizzazione abusiva.
Come è noto, l'attività lottizzatoria illegittima si configura, secondo l'ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte, non soltanto nel caso in cui l'intervento edilizio non potrebbe essere in nessuna circostanza realizzato per essere le sue connotazioni oggettive in contrasto con previsioni di zonizzazione e/o localizzazione dello strumento generale di pianificazione, non suscettibili di essere modificati da piani urbanistici attuativi, ma anche attraverso qualsiasi utilizzazione del suolo che, indipendentemente dalla entità del frazionamento fondiario e dal numero dei proprietari, preveda la realizzazione contemporanea o successiva di una pluralità di edifici a scopo residenziale, turistico o industriale, che postulino l'attuazione di opere di urbanizzazione primaria o secondaria, occorrenti per le necessità dell'insediamento, oppure in presenza di un intervento sul territorio tale da comportare una nuova definizione dell'assetto preesistente in zona non urbanizzata o non sufficientemente urbanizzata, per cui esiste la necessità di attuare le previsioni dello strumento urbanistico generale attraverso la redazione e la stipula di una convenzione lottizzatoria adeguata alle caratteristiche dell'intervento di nuova realizzazione.
Il bene giuridico protetto dall’articolo 30 del TU dell'edilizia è, dunque, non solo quello dell’ordinata pianificazione urbanistica e del corretto uso del territorio, ma anche (e soprattutto) quello relativo all’effettivo controllo del territorio da parte del soggetto titolare della stessa funzione di pianificazione - cioè dal comune - al quale spetta di vigilare sul rispetto delle vigenti prescrizioni urbanistiche, con conseguente legittima repressione di qualsiasi intervento di tipo lottizzatorio, non previamente assentito.
Si tratta, in definitiva, della più grave violazione urbanistica, che comporta conseguenze significative sul territorio e rende non sanabili gli interventi edilizi eventualmente eseguiti sull’area lottizzata in assenza di titolo abilitativo, stante l’evidente mancanza del necessario requisito della conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della sua realizzazione.
7. Quanto appena osservato rende evidente che, nelle ipotesi di lottizzazione abusiva, la valutazione della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non può prescindere dalla oggettiva, intrinseca gravità dell’attività lottizzatoria per le conseguenze che essa determina sull’assetto del territorio, elemento che deve essere considerato unitamente agli altri parametri di valutazione indicati dalla giurisprudenza di questa Corte con riferimento agli abusi edilizi e paesaggistici ed in precedenza ricordati.
Anche sul punto, pertanto, la sentenza impugnata risulta immune da censure.
8. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 2.000,00
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in data 18/9/2018