TAR Sardegna, Sez. II, n. 33, del 15 gennaio 2013
Beni Ambientali. Area dei colli di Tuvixeddu–Tuvumannu legittimità diniego paesaggistica per il completamento delle opere di urbanizzazione primarie

E’ legittimo il diniego del Direttore del Servizio per la Tutela paesaggistica per le Province di Cagliari e Carbonia-Iglesias al rinnovo dell’autorizzazione paesaggistica per il completamento delle opere di urbanizzazione primarie nell’ambito del progetto di riqualificazione urbana ed ambientale dei colli di Sant’Avendrace (area dei colli di Tuvixeddu – Tuvumannu) poiché lo stesso risulta non conforme con le norme paesaggistiche, in quanto comporta sostanziali e negative modifiche del paesaggio e risulta lesivo delle caratteristiche di interesse paesaggistico. Il decorso del termine quinquennale di efficacia del nulla osta paesaggistico ne determina la caducazione ex lege anche a lavori iniziati e impedisce la prosecuzione degli stessi, conclusione, questa, che si collega alla già evidenziata impostazione di fondo, secondo cui la cessazione totale ed automatica degli effetti del nulla osta è funzionale ad assicurare all’amministrazione la possibilità di esprimere una rinnovata ed autonoma valutazione sulla compatibilità dell'opera non ancora ultimata, in chiave di permanente e più efficace tutela degli interessi paesaggistici coinvolti, i quali possono mutare assetto e consistenza con il trascorrere del tempo. La scadenza del termine quinquennale di efficacia dell’autorizzazione paesaggistica consente alla Soprintendenza di valutare nuovamente, ed allo stato attuale, la compatibilità degli interventi proposti con le esigenze di tutela del paesaggio, tutto ciò nell’ambito della più generale prospettiva secondo cui il potere-dovere di controllo e autorizzazione paesaggistica (seppur nei limiti della logicità e dell’onere di adeguata motivazione) è sostanzialmente immanente e consente all’amministrazione, pur in presenza di atti che in precedenza hanno radicato interessi privati all’utilizzazione del territorio, l’adozione dei nuovi e diversi provvedimenti che risultino necessari alla piena tutela dei beni affidati alle sue cure. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 00033/2013 REG.PROV.COLL.

N. 00241/2012 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 241 del 2012, proposto da: 
Nuova Iniziative Coimpresa s.rl., rappresentata e difesa dagli avv.ti Antonello Rossi e Pietro Corda, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Cagliari, via Andrea Galassi n. 2;

contro

- Regione Sardegna, rappresentata e difesa dagli avv.ti Roberto Murroni, Mattia Pani e Giovanni Parisi, con domicilio eletto presso l’Ufficio Legale dell’Ente, in Cagliari, viale Trento n. 69; 
- Ministero per i Beni e le attività culturali e Soprintendenza per i Beni architettonici paesaggistici, storici artistici etnoantropologici per le Province di Cagliari e Oristano, entrambi rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale, domiciliataria in Cagliari, via Dante n. 23; 
- Comune di Cagliari, rappresentato e difeso dall'avv. Carla Curreli, con domicilio eletto presso l’Ufficio Legale dell’Ente, in Cagliari, via Roma n. 145;

e con l'intervento di

ad opponendum:
Italia Nostra Onlus, rappresentata e difesa dall'avv. Carlo Dore, con domicilio eletto presso il suo studio, in Cagliari, via Alghero n. 35;

per l'annullamento, previa sospensione dell’efficacia

a. della determinazione 1° febbraio 2012, n. 464, con cui il Direttore del Servizio per la Tutela paesaggistica per le Province di Cagliari e Carbonia - Iglesias (Assessorato Regionale degli Enti locali finanze e urbanistica - Direzione generale della Pianificazione urbanistica territoriale e della vigilanza edilizia) ha negato alla ricorrente il rinnovo dell’autorizzazione paesaggistica “alla realizzazione dell’intervento” (completamento delle opere di urbanizzazione primarie nell’ambito del “progetto di riqualificazione urbana ed ambientale dei colli di Sant’Avendrace”) “poiché lo stesso risulta non conforme con le norme paesaggistiche, in quanto comporta sostanziali e negative modifiche del paesaggio e risulta lesivo delle caratteristiche di interesse paesaggistico”;

b. del presupposto preavviso di parere negativo, ex art. 146 comma 8 d.lgs. 42/2004, espresso con atto del 10 giugno 2011, prot. 10511, dalla Soprintendenza per i Beni architettonici paesaggistici, storici artistici etnoantropologici per le Province di Cagliari e Oristano;

c. del presupposto atto 1 febbraio 2012, prot. 1919, con cui la Soprintendenza per i per i Beni architettonici paesaggistici, storici artistici etnoantropologici per le Province di Cagliari e Oristano ha espresso il definitivo parere negativo vincolante - in seguito alle osservazioni presentate da Nuova Iniziative Coimpresa con atto dell’8 luglio 2011, dopo aver ricevuto comunicazione del preavviso di provvedimento negativo - perché “le loro controdeduzioni (cioè quelle del Servizio per la tutela paesaggistica regionale) alla osservazione presentata dalla Nuova Iniziative Coimpresa - ndr) rimarcano e avvallano il parere negativo espresso da questo ufficio con nota n. 10511 del 10.6.2011, ritiene che le stesse osservazioni presentate dalla ditta interessata non siano accoglibili e conferma il parere espresso nella suddetta nota”;

d. di ogni altro atto comunque presupposto, connesso e conseguente e in particolare:

- dell’atto 1 settembre 2010, prot. 187591, dell’Ufficio Tutela del paesaggio del Comune di Cagliari, che ha implicitamente dichiarato non più valida l’originaria autorizzazione paesaggistica del 2002 per la realizzazione delle opere di urbanizzazione ed ha trasmesso gli atti al Servizio per la Tutela paesaggistica regionale affinchè provvedesse sulla subordinata richiesta di rinnovo dell’autorizzazione paesaggistica per il completamento delle opere di urbanizzazione;

- della nota 29 luglio 2011, n. 44941, del Servizio per la Tutela paesaggistica (nota cui fa espresso riferimento il definitivo parere paesaggistico vincolante dell’1 febbraio 2012 della Soprintendenza) “nella quale erano riportate le considerazioni (del Servizio per la tutela paesaggistica regionale - ndr) relative alle osservazioni al prediniego per l’autorizzazione paesaggistica presentate dalla ditta nuova iniziative coimpresa con nota n° 167/11 del 08/07/2011”;

- della “relazione tecnica illustrativa” predisposta dal Servizio per la Tutela paesaggistica regionale, ex art. 146 comma 7 d.lgs. 42/2004, e trasmessa alla soprintendenza unitamente alla documentazione presentata da Nuova Iniziative Coimpresa;

 

Visti il ricorso e i relativi allegati.

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Sardegna, del Ministero per i Beni e le attività culturali e della Soprintendenza per i Beni architettonici paesaggistici, storici artistici etnoantropologici per le Province di Cagliari e Oristano, nonché del Comune di Cagliari.

Visto l’atto di intervento ad opponendum di Italia Nostra onlus.

Viste le memorie difensive.

Visti tutti gli atti della causa.

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 ottobre 2012 il dott. Antonio Plaisant e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale.

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Gli atti impugnati con il presente ricorso si inseriscono in una lunga vicenda procedimentale, che è opportuno sinteticamente riassumere.

Sull’area dei colli di Tuvixeddu - Tuvumannu insistono importanti reperti archeologici di epoca fenicio-punica, nonché rilevanti emergenze di carattere minerario, che hanno reso necessari numerosi provvedimenti di tutela, con differente natura e funzione.

Sotto il profilo paesaggistico (ai sensi dell’art. 1, nn. 3 e 4, r.d. 1497/1939) intervenne un vincolo già nel 1997, avente ad oggetto un’area di circa 120 ettari, Coimpresa tra il viale Sant’Avendrace e la via Is Mirrionis.

Sotto il profilo archeologico, il decreto 2 dicembre 1996 del Ministero per i Beni culturali e ambientali sottopose a vincolo (parte di natura diretta e parte indiretta) una porzione dell’area oggetto del vincolo paesaggistico, per una superficie di oltre 20 ettari.

Più di recente vi sono stati altri tre interventi di tutela, due dei quali tuttora in vigore.

Un vincolo di inedificabilità assoluta era stato introdotto dai decreti 9 agosto 2006, n. 2323 e 12 ottobre 2006, n. 2836, dell’Assessore regionale alla Pubblica istruzione dalla Regione Sardegna, che avevano dichiarato di “notevole interesse pubblico”, sotto il profilo paesaggistico, la maggior parte dell’areale; a seguito di revoca in autotuela di quei decreti, quel vincolo era stato nuovamente introdotto, in via cautelare, con determinazione 11 gennaio 2007, n. 4, del Direttore del Servizio regionale tutela del paesaggio di Cagliari, ma anche questo provvedimento era stato poi revocato con determinazione dirigenziale 27 febbraio 2007, n. 215, e l’area era stata ancora dichiarata di notevole interesse pubblico con deliberazione del 21 febbraio 2007 della Commissione regionale per il paesaggio, poi definitivamente approvata con delibera della Giunta regionale del 22 agosto 2007, n. 31/12; infine anche questo provvedimento è stato annullato con sentenza T.A.R. Sardegna 8 febbraio 2008, n. 127, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza 4 agosto 2008, n. 3894; pertanto il vincolo “di notevole interesse pubblico” in esame non è ora più in vigore.

Vi è poi un vincolo/misura di salvaguardia previsto dal vigente Piano paesaggistico regionale (approvato con delibera della Giunta regionale del 5 settembre 2006, n. 36/7), che interessa una zona sostanzialmente coincidente con quella (di circa 120 ettari) già sottoposta a vincolo paesaggistico nel 1997 (vedi supra) e la inquadra fra le “aree caratterizzate da preesistenze con valenza storico culturale”; tale previsione pianificatoria fu inizialmente annullata con sentenza del T.A.R. Sardegna 13 dicembre 2007, n. 2241, ma tale pronuncia è stata poi riformata dal Consiglio di Stato con sentenza 25 gennaio 2011, n. 1366, per cui tale regime di tutela è tuttora valido ed efficace.

Infine una porzione di circa 12 ettari è assoggettata a vincolo “culturale storico - artistico” per effetto del decreto 8 luglio 2010, n. 81, del Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Sardegna; tale decreto era stato impugnato innanzi a questo Tribunale, ma il relativo ricorso è stato respinto con sentenza T.A.R. Sardegna, Sez. II, 2 maggio 2012, n. 421, per cui anche questa previsione vincolistica è tuttora valida ed efficace.

Pur a fronte di un così articolato sistema di protezione, l’area di Tuvixeddu è da diversi decenni oggetto di una complessa iniziativa edificatoria pubblico - privata, volta al suo recupero ed alla contestuale realizzazione di insediamenti abitativi.

Proprio su iniziativa di Nuova Iniziative Coimpresa (da qui in poi “Coimpresa”) - e su impulso di un Piano integrato d’Area denominato “PIA CA17 Sistema dei Colli”, volto alla creazione di un parco archeologico - già negli anni ’90 del secolo scorso fu predisposto un complessivo “Progetto di riqualificazione urbana ed ambientale dei Colli di S. Avendrace”, cui accedeva (oltre allo stesso P.I.A. sopra citato) un ulteriore atto di dettaglio, il cd. “Progetto Norma” (doc. 61 di parte ricorrente), che svolgeva la funzione di Piano attuativo, dettando le prescrizioni generali e particolari circa il trattamento del suolo, le volumetrie da realizzare, le altezze massime, le disposizioni planimetriche, la composizione architettonica, le tipologie edificatorie ammesse, l’organizzazione dei singoli edifici, le infrastrutture e servizi (cfr. sul punto il doc. 12, pag. 4, di parte ricorrente).

Poiché, come detto, fin dal 1997 la zona è vincolata per circa 120 ettari, il Progetto di riqualificazione (con gli annessi “P.I.A. CA17 Sistema dei Colli” e Progetto Norma) fu oggetto di autorizzazione paesaggistica con atto 27 maggio 1999, prot. 3015, dell’Assessorato Regionale alla Pubblica Istruzione della Regione Sardegna.

Successivamente vi sono stati altri fondamentali passaggi procedimentali, così sintetizzabili:

- in data 15 settembre 2000 è stato stipulato un Accordo di Programma (doc. 9 di parte ricorrente), con cui le parti (pubbliche e private) interessate hanno formalmente approvato il “Progetto di riqualificazione urbana ed ambientale dei Colli di S. Avendrace” e tutti i documenti allegati (tra i quali il Progetto Norma), concordato le cessioni di aree private necessarie a fini di standards, specificato la destinazione d’uso delle varie porzioni di volumetria da realizzare, nonché individuato i contenuti della variante al P.U.C. di Cagliari necessaria per renderlo coerente con i contenuti dell’intervento; con deliberazione del Consiglio comunale di Cagliari 10 ottobre 2000, n. 114, l’Accordo di programma è stato poi definitivamente ratificato e, con esso, anche tutti gli atti pianificatori che ne costituivano l’oggetto; il 3 ottobre 2000 è stato poi stipulato un secondo Accordo di programma, specificamente dedicato all’attuazione del sopra descritto “P.I.A. CA17 Sistema dei Colli”;

- successivamente Coimpresa ha predisposto il Progetto esecutivo delle opere di urbanizzazione primaria previste nel Progetto Norma (oggetto dell’Accordo di programma del 15 settembre 2000), sul quale ha poi ottenuto l’autorizzazione paesaggistica all’esito di due conferenze di servizi, svoltesi rispettivamente in data 17 e 27 maggio 2002 (cfr. docc. 17 e 18 di parte ricorrente); il suddetto Progetto esecutivo è stato, infine, approvato, per i profili di competenza, dalla Giunta comunale di Cagliari con deliberazione 20 febbraio 2003, n. 91 (doc. 19 di parte ricorrente) e con atto 20 gennaio 2006, prot. n. 6048/1180, il Dirigente del Settore edilizia privata del Comune di Cagliari ha rilasciato la concessione edilizia n. 56/2006, avente ad oggetto la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria previste in quel Progetto esecutivo.

Allo stato attuale il descritto intervento edilizio ha trovato solo parziale attuazione, avendo Coimpresa ceduto al Comune la proprietà delle aree destinate al Parco Archeologico, al Parco Urbano ed al Museo (nonché di altre aree per standard urbanistici aggiuntivi), curato la progettazione esecutiva delle stesse opere pubbliche (oltre che del restauro della Villa Mulas), bonificato parte del sito a suo tempo interessato da attività estrattive, avviato lavori di messa in sicurezza di alcuni tratti delle pareti rocciose e realizzato solo in parte le opere di urbanizzazione primaria, la cui ultimazione ha incontrato diversi ostacoli, atteso che - come già si è osservato nella parte iniziale della trattazione - dall’agosto del 2006 era intervenuta la dichiarazione di “notevole interesse pubblico”, che aveva impedito qualunque modifica dei luoghi, sino al suo definitivo annullamento con sentenza di questa Sezione 8 febbraio 2008, n. 127; mentre dall’8 luglio 2010 vige un vincolo storico - culturale su di una parte dell’areale, che ha inciso però solo marginalmente sulla realizzabilità delle opere di urbanizzazione oggetto del presente giudizio.

In questo articolato contesto procedimentale si inseriscono gli atti che costituiscono lo specifico oggetto del presente giudizio, nei termini di seguito esposti (anche nella parte in diritto, ove si esaminerà in dettaglio i contenuto dei provvedimenti impugnati) .

In data 28 luglio 2010 Coimpresa ha chiesto al Comune di Cagliari il rinnovo dell’autorizzazione paesaggistica inerente il Progetto esecutivo delle opere di urbanizzazione primaria, ottenuta all’esito delle conferenze di servizio del 17 e 27 maggio 2002 (vedi supra).

Con nota 1 settembre 2010, n. 187591, il Comune di Cagliari ha trasmesso tale istanza all’Ufficio tutela del paesaggio della Regione Sardegna.

In data 27 aprile 2011 Coimpresa ha formalmente diffidato il Dirigente del Servizio tutela del paesaggio della Regione Sardegna (da qui in poi “Dirigente del Servizio regionale”) a “provvedere senza indugio alla definizione della pratica in oggetto” e quest’ultimo, in data 28 aprile 2011, ha trasmesso la propria relazione tecnica illustrativa (doc. 6 di parte ricorrente) alla Soprintendenza per i Beni architettonici paesaggistici, storici artistici etnoantropologici per le Province di Cagliari e Oristano (da qui in poi “Soprintendenza”), la quale - con atto 10 giugno 2011, prot. 10511 - ha espresso parere contrario (doc. 54 di parte ricorrente), sul quale l’impresa interessata ha formulato osservazioni con nota dell’8 luglio 2011 (doc. 55 di parte ricorrente), oggetto di controdeduzioni del Direttore del Servizio regionale, anch’esse poi trasmesse alla Soprintendenza.

Successivamente Coimpresa ha proposto il ricorso R.G. n. 1159/2011, volto a far dichiarare l’obbligo della Regione di concludere formalmente il procedimento, ma con atto dell’1 febbraio 2012, n. 1919, la Soprintendenza ha confermato il proprio parere negativo e con determinazione 1 febbraio 2012, n. 464, il Direttore del Servizio regionale ha definitivamente respinto l’istanza di proroga dell’autorizzazione paesaggistica, per cui questa Sezione - con sentenza n. 229/2012 - ha dichiarato cessata la materia del contendere sul ricorso R.G. n. 1159/2011.

Con il ricorso ora in esame, notificato in data 4 e 5 aprile 2012, Coimpresa ha chiesto l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, dell’atto finale di diniego della richiesta di rinnovo dell’autorizzazione paesaggistica, nonché di tutti gli atti del relativo procedimento come in epigrafe descritti, sulla base delle seguenti censure:

1) Violazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione e di istruttoria.

2) Falsa applicazione dell’art. 146, comma 4, del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 e dell’art. 16 del regio decreto 3 giugno 1940, n. 1357, violazione dell’art. 46, comma 2, del d.p.r. 8 giugno 2001, n. 327.

3) Violazione dell’art. 3 della legge Regione Sardegna 12 agosto 1998, n. 28, eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione.

4) Illegittimità derivata.

5) Violazione dell’art. 3 della legge Regione Sardegna n. 28/1998, incompetenza.

6) Illegittimità derivata.

7) Violazione e falsa applicazione dell’art. 146, comma 4, del d.lgs. n. 42/2004, dell’art. 16 del r.d. n. 1357/1940, violazione dell’art. 46, comma 2, del d.p.r. n. 327/1940.

8) Eccesso di potere per difetto di istruttoria, contraddittorietà e difetto assoluto di motivazione.

9) Violazione del giudicato e conseguente nullità ex art. 21 septies della legge n. 241/1990 e s.m.i., violazione dell’art. 15 delle N.T.A. del P.P.R., violazione dell’art. 8 della legge Regione Sardegna 25 novembre 2004, n. 8, violazione dell’accordo di programma, eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà e difetto di motivazione.

10) Illegittimità derivata.

11) Violazione dell’art. 10 bis (anche in relazione all’art. 3) della legge n. 241/1990 e s.m.i., eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà.

12) Illegittimità derivata.

13) Violazione ed elusione del giudicato, nullità ex art. 21 septies della legge n. 241/1990 e s.m.i., eccesso di potere.

14) Violazione del giudicato, conseguente nullità ex art. 21 septies della legge n. 241/1990 e s.m.i., eccesso di potere per falsità dei presupposti, travisamento della situazione di fatto e di diritto, difetto assoluto di motivazione.

15) Eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà e difetto di motivazione.

16) Violazione del giudicato, conseguente nullità ex art. 21 septies della legge n. 241/1990 e s.m.i., eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità, difetto di motivazione e sviamento, violazione dell’art. 8 della Regione Sardegna n. 8/2004.

17) Eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà e difetto di motivazione.

18) Violazione e falsa applicazione dell’art. 146, comma 8, del d.lgs. n. 42/2004, eccesso di potere per illogicità e difetto di motivazione.

19) Eccesso di potere per sviamento.

Si è costituita in giudizio la Regione Sardegna, chiedendo la reiezione del gravame ed eccependone la parziale inammissibilità, improcedibilità e/o tardività, per le ragioni che saranno esaminate nella successiva esposizione in diritto.

Si sono costituiti in giudizio il Ministero per i Beni e le attività culturali e la Soprintendenza, eccependo anch’essi, sotto diversi profili, l’infondatezza del ricorso.

Si è costituito in giudizio il Comune di Cagliari, invocando la reiezione del gravame.

È intervenuta ad opponendum Italia Nostra Onlus, anch’essa opponendosi all’accoglimento delle domande di parte ricorrente.

Alla Camera di consiglio del 3 maggio 2012 l’esame dell’istanza cautelare è stato rinviato alla trattazione del merito.

È seguito lo scambio di memorie difensive con cui ciascuna delle parti ha ulteriormente argomentato le proprie tesi.

Alla pubblica udienza del 24 ottobre 2012 la causa è stata definitivamente trattenuta in decisione.

DIRITTO

Considerata la particolare complessità della vicenda è opportuno soffermarsi preliminarmente sul tenore degli atti impugnati.

1. Esame degli atti procedimentali.

Occorre partire dall’istanza di proroga dell’autorizzazione paesaggistica presentata da Coimpresa (doc. 43 di parte ricorrente), ove si precisava che “l’espressione proroga è stata da noi utilizzata in senso improprio e con valenza meramente dichiarativa, poiché, sotto un profilo strettamente giuridico, la “proroga” è avvenuta automaticamente, in misura corrispondente ai periodi di tempo in cui i lavori sono rimasti sospesi per effetto di provvedimenti illegittimi dell’Amministrazione regionale (v. nostra precedente istanza del 5 giugno 2009). La proroga richiesta costituisce pertanto una mera attestazione, per reciproca regolarità documentale, che, poiché i lavori sono rimasti di fatto sospesi per fatti a noi non imputabili, devono intendersi prorogati i termini previsti dalla concessione edilizia in misura uguale ai periodi di illegittima sospensione. Precisiamo che il lavori relativi alla concessione edilizia n. 56/2006 hanno avuto inizio entro il termine di cinque anni dal rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, la quale, pertanto, deve ritenersi valida ed efficace fino all’ultimazione dei lavori stessi, a norma dell’art. 46, comma 2, del d.p.r. 8 giugno 2001, n. 327 e s.m.i….l’inizio di tali opere….è comunque idoneo a “conservare” la validità dell’autorizzazione paesaggistica autorizzata….In estremo subordine e con tutte le riserve - nella contestata ipotesi che l’autorizzazione paesaggistica abbia comunque perso la sua validità dopo il decorso del termine di cinque anni dal suo rilascio - chiediamo che ci venga rilasciata una nuova autorizzazione paesaggistica per tutte le opere di urbanizzazione primaria autorizzate in sede di conferenza di servizi il 27 maggio 2002 ed a tal fine alleghiamo la documentazione all’uopo necessaria”.

Pertanto l’istanza di proroga è stata presentata da Coimpresa sostanzialmente “a titolo precauzionale”, intendendo la richiedente ottenere, in via principale, un’attestazione della perdurante vigenza dell’autorizzazione paesaggistica del 27 maggio 2002, come del resto ribadito dalla stessa Coimpresa in due successive note endoprocedimentali.

L’istanza ha trovato un primo riscontro nella nota dell’1 settembre 2010, n. 187591 (doc. 45 di parte ricorrente), con cui il Comune di Cagliari si è però limitato ad una mera trasmissione della pratica al Servizio tutela del paesaggio della Regione.

A sua volta il Direttore del Servizio regionale, con nota del 28 aprile 2011 (doc. 51 di parte ricorrente), ha trasmesso l’istanza alla Soprintendenza per il parere ci competenza, unitamente ad un relazione tecnica illustrativa (doc. 6 di parte ricorrente) in cui, previa ricognizione dello stato del procedimento, ha evidenziato, per un verso, che “la riqualificazione ordinaria del sistema viario esistente è compatibile con la tutela del bene. Le parti nuove sono funzionali alle previsioni dell’accordo di programma. L’esclusione dalla valutazione dell’asse viario previsto nel Canyon elimina il contrasto con la previsione del vincolo cd. minerario” e, per altro verso, che “Le previsioni progettuali presentano alcune criticità evidenziate nelle precedenti sezioni n. 4 e 5 della relazione. La fattibilità è connessa alla conformità con le prescrizioni del Piano paesaggistico regionale e con i provvedimenti di vincolo esistenti”.

Con atto del 10 giugno 2011, prot. 10511, la Soprintendenza ha espresso parere contrario all’accoglimento dell’istanza (doc. 54 di parte ricorrente) e tale atto contiene molte delle argomentazioni poste a base del definitivo diniego, per cui il suo contenuto va esaminato nel dettaglio.

Il Soprintendente ha premesso che la richiesta di Coimpresa riguarda parte delle opere di urbanizzazione primaria relative alle aree di Tuvixeddu e Tuvumannu, in particolare la “realizzazione della parte in superficie della viabilità di attraversamento che collega via Cadello con via Is Maglias (Strada A), la realizzazione della viabilità locale interna al parco di Tuvumannu e ai comparti edificatori A, C, G (strade A1…5), la sistemazione di via Is Maglias (Strada B e D) e la realizzazione della viabilità locale interna ai comparti edificatori E1 ed E2 (B1…3), la realizzazione delle aree di parcheggio (P1…3) ed il posizionamento delle opere tecnologiche”.

Ha poi osservato che alcune delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate nel 2008 a Coimpresa “per la realizzazione di ulteriori interventi edificatori nelle aree servite dalle opere di urbanizzazione in oggetto erano state annullate dalla Soprintendenza BAP della Sardegna con D.S. del 12.09 2008, prot. 3683/CA e prot. 3682/CA”, che la “piena legittimità di tali D.S. - già annullati…dalle sentenze del T.A.R. Sardegna - è stata confermata dalle decisioni del Consiglio di Stato” e che in seguito sui medesimi interventi “era stato espresso parere negativo ai sensi dell’art. 146 del d.lgs. n. 42/2004 dalla Soprintendenza BAPSAE…con atti del 15.10.2010, prot. 14783 e 14784”.

Quindi ha richiamato i provvedimenti di tutela che in diversa forma e misura interferiscono sulle aree in oggetto (cfr. parte in narrativa), osservando, in particolare, che

- la classificazione operata dal P.P.R. descrive la zona come “caratterizzata da preesistenze con valore storico culturale, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 58, comma 2, e 59 delle N.T.A. del Piano”, con la conseguenza che l’area è soggetta “alle prescrizioni di salvaguardia di cui agli artt. 48 e segg. delle N.T.A. del P.P.R. ed in particolare dell’art. 49, comma 1, con esclusione dell’applicabilità dell’art. 15 delle N.T.A. del P.P.R.”; sul punto il Soprintendente ha aggiunto che la classificazione operata dal P.P.R., in un primo momento annullata dalla sentenza di questa Sezione n. 2241/2007, è stata poi ripristinata dalla sentenza n. 1366/2011 del Consiglio di Stato, che ha sostanzialmente confermato il quadro giuridico e di tutela sopra descritto;

- un’ulteriore classificazione operata dal P.P.R. definisce poi la zona “bene paesaggistico di insieme” ai sensi dell’art. 143 del d.lgs. n. 42/2004 e la inserisce all’interno dell’Ambito 1 “Golfo di Cagliari”, così come definito dall’art. 14 delle N.T.A., nei confronti del quale l’apposita “Scheda” di cui all’art. 13, comma 2, del P.P.R. detta prescrizioni inerenti la “riconferma del giusto valore storico-culturale e strategico” e la necessità di “rendere efficiente e fruibile il complesso”, in quanto presidio “della memoria storica” della Città.

Ancora, dopo aver sottolineato l’accresciuta attenzione del legislatore in materia di tutela del paesaggio negli anni successivi all’autorizzazione paesaggistica n. 3015/1999, il Soprintendente ha sostenuto che quest’ultima avrebbe natura di semplice nulla osta ai sensi dell’art. 12 del r.d. n. 1497/1939 e non potrebbe, quindi, considerarsi “alla stregua di autorizzazione paesaggistica del piano attuativo ai sensi dell’art. 16 della legge n. 1150/1942”, per cui “anche a voler considerare per assurdo l’applicabilità dell’art. 15, comma 3, delle N.T.A. del P.P.R., anche ai sensi dello stesso articolo l’intervento non è ammissibile, in quanto non si può ritenere che lo stesso sia “approvato”; infatti si configura come intervento privato per il quale la RAS ha redatto la relazione tecnica istruttoria ai sensi dell’art. 146 del d.lgs. n. 42/2004, ritenendo evidentemente non applicabile la l.r. n. 28/1998 e per gli stessi motivi l’intervento in esame non rientra tra le opere autorizzabili dal Comune ai sensi di quanto disposto dalla l.r. n. 28/1998, art. 3, comma 1, punto c”.

Ha ancora rilevato che l’intervento si pone in contrasto con gli artt. 47, 48 e 49 delle N.T.A. del P.P.R., per la sua capacità di “trasformare radicalmente l’immagine dell’area, introducendo un elemento di irreversibile degrado, tale da compromettere la qualità dei luoghi e di impedirne la riqualificazione, peraltro prevista e disposta dal vigente PPR” e, inoltre, che “l’area è stata tipizzata quale autonomo bene paesistico, facente parte dell’assetto storico culturale regionale, con conseguente sottoposizione alle prescrizioni dell’art. 49 dettate per “le aree caratterizzate da edifici e manufatti di valenza storico - culturale” (prescrizioni consistenti in misure temporanee di salvaguardia, nelle more dell’adeguamento dei pini urbanistici comunali al PPR) ovvero di una regolamentazione definitiva dell’area, rinviata ad una intesa tra Comune e Regione”.

Infine ha osservato che le progettate opere di urbanizzazione risultano particolarmente visibili “da numerosi punti di belvedere accessibili al pubblico, a causa delle alterazioni della morfologia del terreno e per l’estensione dello stesso su un’amplissima superficie” e sono effettivamente connotate dalle criticità già rilevate dalla Regione nella propria relazione illustrativa, quali le modalità con cui si è previsto di inserire “i filari di alberi” (che faciliterebbero il diffondersi di fitopatologie) e le caratteristiche specifiche delle fioriere e di alcuni elementi di seduta.

Il Soprintendente ha concluso che “il Progetto delle opere di urbanizzazione, così come presentato e riferito agli accordi di programma, non può essere esaminato per stralci ma solo nel suo insieme ed è soggetto alle prescrizioni di cui all’art. 49 della NTA del PPR…l’intera deve essere sottoposta ad una intesa fra enti, così come indicato nella sentenza del Consiglio di Stato”, mentre “eventualmente potrà essere presa in considerazione una nuova istanza che preveda esclusivamente l’adeguamento, l’integrazione ed il rinnovo delle infrastrutture e dei sottoservizi esistenti nel tratto di via Is Maglias, strettamente funzionali agli edifici in fase di completamento e/o per la manutenzione ordinaria e straordinaria degli stessi sottoservizi e delle stesse sovrastrutture, e comunque stralciati e non finalizzati all’attuazione del programma relativo al “Progetto di riqualificazione urbana e ambientale dei colli di S. Avendrace” in quanto ritenuti ammissibili ai sensi dell’art. 49 delle NTA del PPR”.

Con nota dell’8 luglio 2011 Coimpresa ha formulato le proprie osservazioni, cui il Dirigente del Servizio regionale ha dato riscontro con nota 29 luglio 2011, n. 44941 (doc. 56 di parte ricorrente), nei termini di seguito descritti.

Ha osservato, in primo luogo, Coimpresa, che l’Accordo di programma del 15 settembre 2000 (vedi supra) ha avuto, nel frattempo, trovato attuazione anche sulle opere di urbanizzazione e sulle cessioni di aree, con rilevanti costi per la stessa interessata.

Sul punto la Regione non ha mosso particolari rilievi.

Coimpresa ha poi evidenziato che la sentenza di questa Sezione n. 2241/2007, quanto meno nella parte in cui ha sancito la perdurante vigenza dell’Accordo di Programma del 15 settembre 2000, non è stata oggetto di riforma in parte qua da parte della sentenza del Consiglio di Stato n. 1366/2011, che si è pronunciata soltanto sulla delimitazione e classificazione operata dal P.P.R. sull’intero areale (per una estensione di circa 120 ettari: vedi supra); di conseguenza l’istanza di rinnovo dell’autorizzazione paesaggistica, peraltro relativa alle sole opere di urbanizzazione, troverebbe tuttora fondamento nell’Accordo di programma, la cui perdurante vigenza sarebbe stata ribadita anche in altri pronunciati giurisprudenziali, tra cui le sentenze di questa Sezione n. 127/2008 (confermata da Consiglio di Stato n. 3894/2008) e n. 84/2009 (con cui sarebbe stato rilevato il difetto di interesse di Coimpresa ad impugnare il P.P.R. proprio in ragione della perdurante efficacia dell’Accordo di Programma, in virtù dell’art. 15 delle N.T.A. dello stesso Piano).

Secondo il Direttore del Servizio regionale, invece, dalla sopra citata sentenza n. 1366/2011 del Consiglio di Stato dovrebbe discendere che la concreta attuazione dell’Accordo di programma è da considerarsi rinviata ad una intesa fra enti (allo stato non ancora intervenuta), per effetto delle previsioni del P.P.R. che sottopongono l’intero areale ad una misura di salvaguardia di contenuto prescrittivo, sovraordinata rispetto agli strumenti urbanistici oggetto del medesimo Accordo.

Coimpresa ha poi osservato che il progetto esecutivo delle opere di urbanizzazione - già oggetto di autorizzazione paesaggistica rilasciata all’esito delle conferenze di servizi del 17 e 27 maggio 2002, della quale si chiede ora il rinnovo - si baserebbe sugli stessi elaborati tecnici posti a base del Piano attuativo (“Progetto Norma”), autorizzato paesaggisticamente con atto regionale n. 3015/1999, per cui l’attuale parere negativo della Soprintendenza sarebbe ingiustificato e contraddittorio, anche nella parte in cui richiama il vincolo paesaggistico del 1997 (vedi supra), proprio rispetto al quale fu concessa la stessa autorizzazione paesaggistica n. 3015/1999; inoltre ha evidenziato che le opere di urbanizzazione, la cui estensione è stata ridotta al minimo, ricadono in aree esterne rispetto al vincolo archeologico del 1996 e soprattutto (come rilevato dalla stessa Regione nella relazione istruttoria iniziale), non impattano sui tratti dove sono maggiormente presenti “gli elementi della storia dei luoghi”.

Su questi aspetti il Direttore del Servizio regionale ha obiettato che il parere negativo della Soprintendenza si fonda sulla compresenza di molteplici elementi ostativi, più che su di un vincolo specifico, e che inoltre (come già aveva osservato nella relazione istruttoria), se è vero, per un verso, che le opere di urbanizzazione non incidono materialmente sui tratti di Tuvixeddu e Tuvumannu più rilevanti dal punto di vista storico, è altrettanto vero che le stesse hanno un notevole impatto visivo, in quanto percepibili dai principali punti di belvedere.

Coimpresa ha poi contestato gli ulteriori rilievi sollevati dal Soprintendente circa le specie arboree previste in progetto (che potrebbero diffondere fitopatologie), le fioriere, il tipo di sedute e di pensiline previste, rimarcando l’assoluta marginalità di tali aspetti ed il fatto che gli stessi sarebbero sostanzialmente estranei alla tutela del paesaggio.

Sul punto il Direttore del Servizio regionale ha osservato che le rilevate criticità appaiono superabili mediante adeguate “condizioni prescrittive”.

Infine l’impresa ha osservato che la (peraltro marginale) incidenza delle opere di urbanizzazione sulla zona interessata dal vincolo storico - culturale del 2010, rilevata dalla Soprintendenza, non potrebbe essere considerata a priori ostativa, non essendosi in presenza di un vincolo di inedificabilità assoluta.

Sul punto il Direttore del Servizio regionale ha rilevato che nella relazione descrittiva del vincolo storico - culturale si afferma espressamente l’inopportunità di realizzare in concreto la “strada di scorrimento tra i rioni di Cagliari e le frazioni, prevista all’interno del canyon nel suddetto Accordo di programma…non solo per l’interesse culturale che con il procedimento in questione viene formalmente riconosciuto, ma anche per le mutate condizioni in contorno” e che, pertanto, appare opportuno “riconsiderare in un unicum progettuale le interconnessioni tra assi viari esistenti, invia di realizzazione e futuri”.

Una volta conclusa questa fase in contraddittorio, il procedimento ha trovato, infine, definizione.

Con atto 1 febbraio 2012, n. 1919, la Soprintendenza, ritenuto che le osservazioni di Coimpresa “rimarcano e avvallano il parere negativo espresso da questo ufficio con nota n. 10511 del 10.06.2011”, le ha ritenute “non accoglibili”, confermando il proprio parere negativo (doc. 3 di parte ricorrente).

Infine il Direttore del Servizio regionale, con determinazione 1 febbraio 2012, n. 464 (doc. 3 di parte ricorrente), ha conclusivamente respinto l’istanza di proroga/rinnovo dell’autorizzazione paesaggistica, osservando che il parere della Soprintendenza ha “natura vincolante in quanto non preceduto dall’approvazione delle prescrizioni d’uso dei beni paesaggistici tutelati, predisposte ai sensi degli articoli 140, comma 2, 141, comma 1 143, comma 1, lettere b), c) e d) del d.lgs. 42/2004 e neppure dalla positiva verifica da parte del Ministero dell’avvenuto adeguamento degli strumenti urbanistici”.

Esaurito l’excursus sul contenuto degli atti impugnati si passa ora all’esame delle censure dedotte dalla ricorrente, alcune delle quali presentano profili di connessione logica e giuridica che inducono il Collegio ad una loro valutazione congiunta; si procederà per “aree tematiche”, senza necessariamente rispettare l’ordine espositivo utilizzato in ricorso e cominciando dalle censure che riguardano profili procedimentali ovvero relativi alla competenza degli enti intervenuti nel procedimento, per poi passare alle doglianze che riguardano gli aspetti più sostanziali della controversia.

2. Le censure relative al mancato riconoscimento della perdurante vigenza dell’autorizzazione paesaggistica del 2002 (primo, secondo, settimo e nono motivo - terza parte).

I primi due motivi di ricorso riguardano la nota n. 187591/2010, con cui il Comune di Cagliari aveva trasmesso alla Regione l’istanza presentata da Coimpresa, che come si è visto aveva ad oggetto, in via principale, la perdurante vigenza dell’originaria autorizzazione, nonché, in via subordinata, la proroga della stessa.

Con la seconda censura si sostiene, in particolare, che in tal modo il Comune avrebbe concretamente dato avvio all’esame dell’istanza subordinata di proroga, sancendo implicitamente l’inefficacia dell’autorizzazione paesaggistica del 2002, che secondo la ricorrente sarebbe, invece, tuttora in vigore; il primo motivo si appunta sulla medesima decisione del Comune, ma sotto il profilo del difetto di motivazione; infine la settima censura estende il contenuto sostanziale di tali doglianze all’atto finale di diniego adottato dalla Regione, nonché al presupposto parere negativo della Soprintendenza ed al relativo preavviso.

La difesa regionale eccepisce la tardività di tali censure (cfr. pag. 5 della memoria difensiva in data 30 aprile 2012), osservando che il termine per dedurle avrebbe cominciato a decorrere quanto meno dal 28 aprile 2011, data di trasmissione degli atti alla Soprintendenza da parte del Direttore del Servizio regionale.

Tale eccezione non può essere condivisa, atteso che, come meglio si vedrà, nei procedimenti paesaggistici la competenza decisionale spetta, nella sostanza, alla Soprintendenza, chiamata ad esprimere un parere vincolante, e ciò impedisce di considerare immediatamente lesiva (a prescindere dal profilo che si intenda contestare) l’iniziale trasmissione degli atti da parte dell’ente locale (sia esso la Regione o il Comune) che ha curato l’istruttoria preliminare.

La Regione sostiene poi che Coimpresa avrebbe prestato acquiescenza al rigetto della propria istanza principale (di riconoscimento della perdurante vigenza dell’originaria autorizzazione del 2002), insistendo durante tutto il procedimento per l’esame di quella subordinata di proroga e persino modificando il relativo progetto (mediante stralcio di parte delle opere inizialmente autorizzate).

Neppure tale eccezione merita di essere condivisa, in quanto l’aver coltivato nel corso del procedimento una richiesta presentata fin dall’inizio come subordinata non può comportare la perdita della facoltà di tutelare in via giurisdizionale quella di carattere principale.

Nel merito il primo e secondo motivo di ricorso (e con essi il settimo, che ne estende in via meramente derivata il contenuto sostanziale) non meritano però accoglimento, per le ragioni che si passa ad esporre.

2.1. Cominciando dal secondo motivo, che si articola in tre distinti profili di doglianza, va in primo luogo smentita la tesi di parte ricorrente secondo cui l’autorizzazione paesaggistica del 2002 sarebbe tuttora efficace, potendo mutuare da quella del 1999 la sua durata decennale, in quanto tra le due autorizzazioni vi sarebbero solo differenze formali, essendo state entrambe rilasciate sulla base degli stessi elaborati progettuali.

A giudizio del Collegio questa impostazione deriva da una indebita sovrapposizione tra elementi di fatto e di diritto, giacché le due autorizzazioni, al di là degli elaborati progettuali che ne sono alla base, mantengono un oggetto giuridico ben distinto: la prima (quella del 1999) è stata rilasciata (nell’ambito del Programma di intervento nel suo complesso) sullo schema di Piano attuativo (strumento di pianificazione di terzo livello), poi approvato sotto il profilo urbanistico dal Comune di Cagliari, mentre la seconda (quella del 2002, oggetto specifico del presente giudizio) attiene al Progetto esecutivo di una parte specifica di quel Piano, cioè le opere di urbanizzazione; difatti nel testo dell’autorizzazione n. 3015/1999 si fa riferimento all’intero Progetto di riqualificazione ed in particolare al cd. “Progetto Norma” (che ha funzionato, per l’appunto, da Piano attuativo, come del resto sostiene la stessa ricorrente in diverse parti del ricorso: vedi anche parte in narrativa), mentre nei verbali delle Conferenze di servizi del 2002 l’oggetto dell’autorizzazione che si va a rilasciare viene individuato nel “progetto esecutivo delle opere di urbanizzazione”.

Da tale fondamentale distinguo discendono rilevanti conseguenze giuridiche, in quanto la normativa paesaggistica - non significativamente mutata, nel suo contenuto sostanziale, dall’epoca in cui furono rilasciate le due autorizzazioni ad oggi - riconduce a presupposti e regime giuridico differenti le autorizzazioni paesaggistiche relative ai piani attuativi rispetto a quelle inerenti i singoli interventi.

I riferimenti normativi sono i seguenti:

- per i piani attuativi opera l’art. 9, comma 5, della legge Regione Sardegna n. 28/1998, secondo cui “L'approvazione da parte dell'Assessore regionale della pubblica istruzione, prevista dall'articolo 12 della Legge n. 1497 del 1939, è necessaria anche per gli strumenti urbanistici previsti dall'articolo 21 della legge regionale n. 45 del 1989”;

- per i singoli interventi compresi nel Piano, invece, i primi due commi dell’art. 146 del d.lgs. n. 42/2004 (ed in precedenza i primi tre commi dell’art. 16 del r.d. n. 1357/1940, di contenuto nella sostanza analogo), secondo cui “I proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico….hanno l'obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi che intendano intraprendere, corredato della prescritta documentazione, ed astenersi dall'avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta l'autorizzazione”, con la precisazione, operata dalla prima parte del comma 4 della medesima norma, che “L'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico - edilizio”.

In tal modo il legislatore ha delineato un “sistema binario” di verifiche paesaggistiche, che contempla una prima fase riguardante l’intervento nel suo complesso (cioè il piano attuativo) ed una seconda fase che investe i progetti esecutivi finalizzati alla concreta realizzazione delle singole opere pianificate (si legga, sul punto, Consiglio di Stato, Sez. VI, 8 luglio 1998, n. 1033, ove si evidenzia con chiarezza la diversità di oggetto e funzione tra i due momenti di verifica paesaggistica).

A questa diversità materiale e funzionale si collega poi, in modo chiaro e ineludibile, una diversa efficacia temporale delle due tipologie, perché per la prima tipologia (“autorizzazioni dei piani attuativi”) la normativa paesaggistica non prevede una durata temporale specifica (per cui opera il termine decennale stabilito in generale per gli strumenti urbanistici di terzo livello), mentre la seconda tipologia (“autorizzazioni dei singoli interventi”) è soggetta all’art. 146, comma 2, ultima parte, del d.lgs. n. 42/2004 (e prima dal quarto comma dell’art. 16 del r.d. n. 1357/1940), secondo cui “L'autorizzazione e' efficace per un periodo di cinque anni, scaduto il quale l'esecuzione dei progettati lavori deve essere sottoposta a nuova autorizzazione”.

Ciò consente di “tirare le fila” in ordine all’assunto di parte ricorrente, che coglie nel segno laddove dipinge l’oggetto delle due autorizzazioni nei termini fin qui descritti, ma poi cade in errore quando ne fa discendere la conseguenza che l’autorizzazione del 2002 - essendo stata concessa sulla base di elaborati tecnici identici (quanto meno per le opere di urbanizzazione) a quelli che già furono positivamente valutati dall’autorizzazione del 1999 - beneficerebbe della medesima durata decennale di quest’ultima: tale conclusione, infatti, prova troppo, perché vorrebbe ricollegare ad una circostanza di mero fatto (la sostanziale identità di contenuti tecnici) un indebito (perché non consentito dalla legge) prolungamento della durata prevista per le autorizzazioni relative ai singoli interventi.

Già si è osservato, infatti, che in base all’art. 146, comma 4, ultima parte, del d.lgs. n. 42/2004, l’autorizzazione di un singolo intervento “è efficace per un periodo di cinque anni, scaduto il quale l'esecuzione dei progettati lavori deve essere sottoposta a nuova autorizzazione” e tale disposto normativo, per la sua assolutezza ed inequivocità, non lascia spazio a diverse interpretazioni.

Del resto la scelta del legislatore di attribuire all’autorizzazione paesaggistica “a valle” una durata inderogabilmente minore si spiega perfettamente, essendo proprio quest’ultima (e non l’autorizzazione “a monte”, relativa al Piano) a consentire la materiale trasformazione del paesaggio, per cui appare logico sottoporre l’autorizzazione “ a valle” ad un termine più breve, tale da consentire all’Autorità preposta una nuova verifica paesaggistica, laddove l’interessato non abbia ancora realizzato le relative opere in quel più limitato arco temporale, durante il quale ben possono verificarsi sopravvenienze tali da giustificare una diversa (e magari negativa) valutazione sulla compatibilità paesaggistica dell’intervento originariamente autorizzato; il che, per inciso, è proprio quanto accaduto nel caso di specie, ove la Soprintendenza ha esaminato la richiesta di proroga dell’autorizzazione in un quadro giuridico e fattuale profondamente mutato rispetto a quello del 2002, prima di tutto a causa della “reviviscenza” della perimetrazione dell’areale operata dal P.P.R. (e dei suoi effettivi vincolistici), per effetto della pronuncia del Consiglio di Stato n. 1366/2011 (su questo aspetto si tornerà diffusamente più avanti).

2.2. Tali considerazioni conducono al secondo profilo oggetto del secondo motivo di ricorso (ribadito con il nono motivo - terza parte), laddove Coimpresa sostiene che il termine quinquennale di efficacia dell’autorizzazione paesaggistica dovrebbe considerasi, comunque, rispettato, essendo iniziati prima della sua scadenza i lavori finalizzati alla realizzazione delle opere di urbanizzazione, costituenti “opera pubblica” (o quanto meno di interesse pubblico) unitaria e conforme alle previsioni di un piano attuativo già a suo tempo autorizzato.

Sul punto il Collegio condivide il prevalente orientamento giurisprudenziale secondo cui il decorso del termine quinquennale di efficacia del nulla osta paesaggistico ne determina la caducazione ex lege anche a lavori iniziati e impedisce la prosecuzione degli stessi (cfr. Cassazione penale, Sez. III, 28 giugno 2007, n. 32200 e Consiglio di Stato n. 1033/1998 sopra cit.); conclusione, questa, che si collega alla già evidenziata impostazione di fondo, secondo cui la cessazione totale ed automatica degli effetti del nulla osta è funzionale ad assicurare all’amministrazione la possibilità di esprimere una rinnovata ed autonoma valutazione sulla compatibilità dell'opera non ancora ultimata, in chiave di permanente e più efficace tutela degli interessi paesaggistici coinvolti, i quali possono mutare assetto e consistenza con il trascorrere del tempo (cfr., al riguardo, T.A.R. Umbria, 1 agosto 2006, n. 403, Cons. Stato Sez. V, 12 novembre 2002, n. 6251; VI 8 luglio 1998 n. 1033); in alcuni pronunciati si afferma addirittura che scaduto il quinquennio dal rilascio, l'autorizzazione paesaggistica perde automaticamente efficacia, per cui la stessa non potrà essere oggetto di proroga o rinnovo, salvo adozione di un nulla osta del tutto nuovo e distinto da quello originario (cfr. T.A.R. Sardegna, Sez. II, 27 febbraio 2008, n. 277).

2.3. Per ragioni non dissimili deve essere disatteso anche il terzo profilo dedotto con il secondo motivo di ricorso, secondo cui il termine quinquennale di efficacia non potrebbe considerarsi scaduto, in quanto più volte “sospeso” da atti regionali asseritamente illegittimi, che avrebbero impedito a Coimpresa di portare a termine i lavori.

Difatti, anche in questo caso, non vi sono ragioni per discostarsi dal consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui - sempre per motivi legati alle già descritte esigenze di “tenuta del sistema di tutela paesaggistica” - la cessazione di validità del nulla osta ambientale si verifica (oltre che automaticamente) per il solo fatto oggettivo del decorso del termine quinquennale, senza trovare alcun ostacolo in fatti impeditivi anche di carattere assoluto, quali il factum principis o la causa di forza maggiore, compreso addirittura il sequestro del cantiere (cfr. T.A.R. Salerno, Sez. II, 25 marzo 2010, n. 2351, T.A.R. Veneto, Sez. II, 16 novembre 1998, n. 2072; Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 708/1997).

Pertanto il secondo motivo di ricorso deve essere respinto.

2.4. Allo stesso modo non merita accoglimento la censura di difetto di motivazione, oggetto del primo motivo.

Innanzitutto perché la richiesta (principale) di “perdurante vigenza della precedente autorizzazione paesaggistica” è stata oggetto dello stesso procedimento volto all’esame della richiesta (subordinata) di proroga dell’autorizzazione (come è ovvio, vista la stretta connessione sostanziale fra le due richieste) e, all’esito, le amministrazioni interessate hanno espresso valutazioni negative di tenore così radicale e onnicomprensivo (si è ritenuto, in sostanza, che l’intera area vincolata sia allo stato quasi immodificabile: vedi infra) da giustificare ampiamente (non solo la mancata proroga ma anche) l’attuale inefficacia dell’originaria autorizzazione.

Inoltre perché, come già si è osservato, l’efficacia quinquennale dell’autorizzazione paesaggistica del 2002 è fissata da una norma di legge (ora l’art. 146, comma 4, del d.lgs. n. 42/2004, in precedenza l’art. 16 del r.d. n. 1357/1940) che non lascia alcuna discrezionalità all’amministrazione, la quale, nel considerare non più in vigore la “vecchia” autorizzazione”, ha esercitato un potere rigidamente vincolato, per cui l’eventuale difetto di motivazione sarebbe, comunque, sanato ai sensi dell’art. 21 octies, comma 2, della legge n. 241/1990 (sull’applicabilità di tale meccanismo sanante al difetto di motivazione, laddove quest’ultimo riguardi atti vincolati, si veda, ex multis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 aprile 2012, n. 2008; T.A.R. Roma, Sez. III, 20 settembre 2012, n. 7959; T.A.R. Milano, Sez. III, 12 settembre 2012, n. 2299; T.A.R. Catanzaro, Sez. I, 17 aprile 2012, n. 392); del resto non va trascurata la circostanza che la ricorrente, nel corso del procedimento, non ha insistito per una dichiarazione di perdurante efficacia della originaria autorizzazione del 2002, concentrando la propria attenzione sull’istanza (inizialmente subordinata) di proroga e questo aspetto - anche se non configura un’acquiescenza in senso tecnico, come vorrebbe la difesa regionale (vedi supra) - indubbiamente avvalla la già evidenziata “irrilevanza sostanziale” del vizio dedotto e la conseguente applicabilità dell’art. 21 octies, comma 2, della legge n. 241/1990.

2.5. Per ragioni di connessione logico - giuridica si esamina ora anche il terzo profilo di doglianza contenuto nel nono motivo di ricorso, con il quale Coimpresa deduce il vizio di eccesso di potere nei confronti dell’atto finale della Regione, il quale si porrebbe in contrasto con precedenti decisioni con cui non sarebbe stata ravvisata la violazione del termine quinquennale di validità delle autorizzazioni paesaggistiche laddove prima della sua scadenza fossero già iniziati i lavori, come avvenuto nel caso di specie.

Anche questa doglianza è priva di pregio giacché, oltre a indicare in modo del tutto generico le precedenti occasioni in cui la Regione avrebbe assunto tale differente indirizzo, ancora una volta non tiene conto del fatto che quest’ultima, nel ritenere scaduto il termine quinquennale, ha espresso una valutazione duplicemente vincolata: in primo luogo per effetto della normativa di settore, che come detto prevede la scadenza quinquennale quale effetto automatico e che non soffre alcuna eccezione (vedi supra); in secondo luogo perché la Regione si è pronunciata quando la Soprintendenza aveva ormai espresso il proprio parere vincolante di segno negativo, privando vieppiù l’amministrazione di qualunque (peraltro già prima inesistente) discrezionalità.

La natura strettamente vincolata del potere esercitato dalla Regione esclude la sussistenza di qualsiasi profilo di eccesso di potere e smentisce, quindi, l’esaminata doglianza.

3. Le censure di incompetenza dell’amministrazione regionale (terzo e quinto motivo di ricorso).

La terza censura riguarda nuovamente la nota con cui il Comune di Cagliari aveva fin dall’1 settembre 2010 trasmesso alla Regione l’istanza di proroga dell’autorizzazione, che secondo la ricorrente - avendo ad oggetto opere di urbanizzazione comprese in un piano attuativo già a suo tempo autorizzato sotto il profilo paesaggistico - avrebbe dovuto essere decisa dallo stesso Comune, anziché dalla Regione, ai sensi dell’art. 3 della legge regionale n. 28/1998; con la quinta censura la medesima doglianza sostanziale viene estesa all’atto regionale di definitivo diniego, che per le stesse ragioni sarebbe viziato da incompetenza.

La difesa regionale solleva eccezione di tardività della terza censura (cfr. pag. 3 e segg. della memoria difensiva in data 30 aprile 2012), osservando che la trasmissione degli atti da parte del Comune avrebbe comportato un “arresto procedimentale” immediatamente lesivo, per cui il termine per contestarla avrebbe cominciato a decorrere dalla conoscenza della stessa.

L’eccezione non merita accoglimento, posto che quello denunciato - benché formalmente dedotto anche nei confronti dell’atto comunale di trasmissione - è in realtà un vizio di competenza riferibile ai soli atti dell’amministrazione regionale, che si sarebbe concretamente radicato nel momento in cui la stessa ha adottato il provvedimento conclusivo (o quanto meno da quando la Soprintendenza ha espresso il proprio definitivo parere vincolante negativo), mentre sino a quel momento sono esistiti solo atti endoprocedimentali che l’interessato non aveva l’onere di impugnare immediatamente.

La difesa regionale sostiene, inoltre, che Coimpresa - avendo costantemente interloquito con la Regione nel corso del procedimento, sollecitandola all’accoglimento dell’istanza e alla definizione del procedimento e persino presentando un separato ricorso volto a far dichiarare l’obbligo della stessa Regione di provvedere - avrebbe prestato acquiescenza ad ogni suo possibile difetto di competenza.

Neppure questa argomentazione coglie nel segno in quanto non è possibile configurare una “acquiescenza preventiva”, realizzata mediante comportamenti precedenti all’adozione dell’atto finale (si veda in tal senso, ex multis, Consiglio di Stato, Sez. IV, 27 giugno 2008, n. 3255 e Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 ottobre 2006, n. 5743).

Nel merito il terzo e quinto motivo di ricorso non meritano però accoglimento.

È pur vero che l’istanza di proroga dell’autorizzazione paesaggistica del 2002 riguarda, come già si è chiarito, opere comprese in un Piano attuativo già a sua volta autorizzato nel 1999 (vedi supra), per cui la relativa competenza dovrebbe teoricamente spettare al Comune, anziché alla Regione, in base alla “delega ex lege” operata dall’art. 3, comma 1, lett. c), della legge Regione Sardegna n. 28/1998.

Ma ciò non conduce a ravvisare l’illegittimità degli atti adottati dalla Regione.

Si osserva, in primo luogo, che quella in esame è per l’appunto una delega, sia pure ex lege, la quale - conformemente al regime che connota in via generale tale istituto - trasferisce al delegato il mero esercizio del potere, mantenendone in capo al delegante la titolarità: depongono univocamente in tal senso le espressioni utilizzate dal legislatore regionale, che all’art. 4 della legge n. 28/1998 parla di “poteri delegati” ai comuni ed al successivo art. 7 riserva alla Regione, seppure in casi limitati, la possibilità di annullare gli atti adottati dagli stessi comuni delegati.

Nulla dice la citata legge regionale in ordine alla possibilità - anch’essa generalmente riconosciuta nei casi di delega - che il titolare del potere (cioè la Regione) lo eserciti direttamente con atti propri, per cui tale questione va risolta in via interpretativa ed in relazione alle singole fattispecie concrete, tenendo conto della ratio della disciplina, che va certamente individuata nell’obiettivo di operare una significativa semplificazione amministrativa, mediante delega ai comuni delle autorizzazioni paesaggistiche ritenuti dal legislatore “di minore complessità”.

Orbene la fattispecie sottoposta all’attenzione del Collegio - benché formalmente rientrante in una delle categorie indicate dall’art. 3 della l.r. n. 28/1998 - certamente non soddisfa tale requisito, essendo connotata da particolare complessità sotto diversi profili, primo fra tutti la già evidenziata incertezza sul contenuto delle due autorizzazioni paesaggistiche (quella del 1999 e quella del 2002), aspetto, questo, che riveste ora particolare importanza, giacché proprio dal contenuto delle due autorizzazioni (e dai loro conseguenti rapporti) dipendeva la stessa praticabilità della delega, che poteva legittimamente operare solo a condizione che l’autorizzazione del 2002 avesse effettivamente ad oggetto opere già comprese nel piano attuativo già autorizzato nel 1999.

Tale dubbio, che il Collegio ha già risolto nella precedente parte della trattazione (vedi supra), non era però di poco momento ed in quest’ottica ben si comprende la scelta del Direttore del Servizio regionale, il quale - ricevuti gli atti dal Comune (il quale, evidentemente, non aveva ritenuto sussistenti i presupposti della delega) - ha deciso di istruire egli stesso la pratica, evitando così ogni possibile incertezza in ordine alla competenza dell’ente delegato. E sempre in tale ottica lo stesso Direttore del Servizio regionale, nella relazione istruttoria poi inviata alla Soprintendenza (doc. 6 di parte ricorrente), ha ritenuto necessario precisare (a pag. 3, penultimo capoverso) l’oggetto dell’autorizzazione n. 3015/1999 (il “Progetto norma, con valenza di Piano attuativo”), esprimendo, in tal modo, una valutazione conforme a quella della ricorrente (ed a quella dianzi espressa da questo Collegio: vedi supra), viceversa non condivisa dalla Soprintendenza (erroneamente, come meglio si vedrà), a conferma della particolare complessità della vicenda.

Pertanto l’intervento diretto della Regione si giustifica pienamente, in ragione della presenza di elementi di obiettiva incertezza circa la sussistenza dei presupposti normativi della delega, che solo l’organo titolare del potere (cioè la Regione) aveva la possibilità di dirimere, il che smentisce in radice il denunciato difetto di competenza.

Ma in ogni caso quest’ultimo risulterebbe sanato dall’art. 21 octies della legge n. 241/1990, a mente del quale “Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

Al riguardo è utile ricordare che il procedimento di autorizzazione paesaggistica, come delineato dall’art. 146 del d.lgs. n. 42/2004 (quanto meno a partire dalla versione introdotta dall’art. 2, comma 1, lettera s), del d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63) e dall’art. 3 della legge regionale n. 28/1998, contempla un parere vincolante della Soprintendenza ed il formale recepimento dello stesso in un atto finale dell’ente, per cui il potere decisionale è nella sostanza attribuito alla Soprintendenza (sul carattere vincolante del relativo parere la giurisprudenza è unanime, tanto da ritenerlo addirittura immediatamente impugnabile: cfr., ex multis, TAR, Lecce, Sez. I, 3 dicembre 2010, n. 2784; T.A.R. Brescia, Sez. I, 10 Aprile 2012, 598; T.A.R. Napoli, Sez. VIII, 8 maggio 2012. n. 2087).

E allora, a prescindere dalla tesi in via generale prescelta circa la sua compatibilità con il vizio di incompetenza (sul punto la giurisprudenza è, invece, oscillante: in senso favorevole si vedano T.A.R., Firenze, Sez. III, 30 gennaio 2012, Consiglio di Stato, VI, 6 novembre 2006, n. 6521; 15 novembre 2005, n. 6350; TAR Latina, 17 gennaio 2007, n. 39; contra, fra gli altri, T.A.R. Veneto Sez. II, 9 febbraio 2010 n. 340), il Collegio ritiene che l’art. 21 octies, comma 2, della legge n. 241/1990 possa, comunque, trovare applicazione nel caso in esame, ove si discute della competenza (non già dell’organo titolare del potere decisionale bensì) di altro organo, con funzioni inizialmente istruttorie e poi di mera “manifestazione formale” di una decisione nella sostanza di altri e per questo totalmente vincolata, per cui la denunciata violazione, ove in effetti sussistente, da un lato, non potrebbe aver comunque influito sull’esito della procedura (tanto è vero che la ricorrente non ha mai sollevato la questione nel corso del procedimento, ma solo in occasione del presente giudizio) e, dall’altro lato, investirebbe norme inerenti il procedimento amministrativo, integrando così tutti i presupposti richiesti dall’art. 21 octies, comma 2, della legge n. 241/1990.

4. Le censure inerenti gli aspetti sostanziali della controversia (nono - prime due parti, undicesimo, tredicesimo, quattordicesimo, sedicesimo e diciottesimo motivo).

Sono soprattutto il nono (che viene ora in considerazione relativamente ai primi due profili di doglianza, mentre il terzo profilo è stato già in precedenza esaminato), il tredicesimo ed il sedicesimo motivo ad investire il nucleo sostanziale della motivazione posta a base dei provvedimenti contestati e al riguardo occorre premettere che l’accoglimento del ricorso presupporrebbe la fondatezza di tutte le censure, ben potendo l’impugnato diniego trovare valida giustificazione anche in uno solo dei suoi elementi motivazionali.

4.1. Innanzitutto viene in rilievo l’assunto delle amministrazioni resistenti (contenuto sia nella relazione istruttoria della Regione che nel parere vincolante della Soprintendenza) secondo cui “ai sensi degli artt. 47, 48 e 49 delle N.T.A. l’intervento non è ammissibile in quanto tende a trasformare radicalmente l’immagine dell’area, introducendo un elemento di irreversibile degrado, tale da compromettere gravemente la qualità dei luoghi e di impedirne la riqualificazione, peraltro prevista e disposta dal PPR e che l’area è stata tipizzata quale autonomo bene paesistico, facente parte dell’assetto storico culturale regionale, con conseguente sottoposizione alle prescrizioni di cui all’art. 49 dettate per le aree “caratterizzate da edifici manufatti di valenza storico culturale” (prescrizioni consistenti in misura temporanee di salvaguardia), nelle more dell’adeguamento dei piani urbanistici comunali al PPR ovvero di una regolamentazione definitiva dell’area, rinviata ad un intesa fra Comune e Regione…. il comma 1 dello stesso articolo impone che sino all’adeguamento dei piani urbanistici comunali al P.P.R. nelle aree è vietata qualunque edificazione o altra azione che possa comprometterne la tutela”.

Sul punto la ricorrente deduce quattro distinti profili di doglianza (con il nono motivo - prima parte ed il tredicesimo motivo - prime due parti).

4.1.1. In primo luogo Coimpresa giudica di per sé erroneo l’assunto delle amministrazioni resistenti, in quanto il P.P.R. avrebbe operato soltanto una “perimetrazione” dell’area - peraltro diversa e molto più estesa rispetto a quella oggetto dell’intervento proposto da Coimpresa - che non sarebbe perciò di ostacolo alla realizzazione delle opere pianificate.

La tesi non è condivisibile e per dimostrarlo occorre operare una sintetica ricognizione circa la natura del provvedimento di tutela in esame, nonché sul contenuto degli atti che lo hanno introdotto, utilizzando soprattutto la documentazione prodotta dalla difesa regionale in data 27 luglio 2012, con particolare riferimento al punto 5 dell’elenco, che riguarda le stesse produzioni effettuate nell’ambito del giudizio culminato nella sentenza del Consiglio di Stato n. 1366/2011.

Il primo dato da evidenziare è che la “perimetrazione” di cui si parla riguarda una estensione di circa 120 ettari, corrispondente all’estensione del vicolo paesaggistico del 1997, comprende l’intero areale di Tuvixeddu - Tuvumannu.

Tale elemento, peraltro pacifico in causa, trova conferma nella cartografia allegata al P.P.R., nella versione oggetto di approvazione nel settembre 2006 (cfr. “copia stralcio della Tavola 557/III allegata alla deliberazione della giunta Regionale n. 36/7 del 5 settembre 2006” e relativa legenda: doc. 5 prodotto in giudizio dalla difesa regionale), ove si precisa che l’area in questione è “caratterizzata da preesistenze con valenza storico culturale” (a conferma si legga anche la nota del Direttore generale della Pianificazione urbanistica territoriale e vigilanza edilizia in data 27 luglio 2012); così facendo la Regione ha scelto di far coincidere la nuova perimetrazione con l’estensione del vincolo paesaggistico del 1997 e ciò in considerazione dell’importanza paesaggistica, sotto il profilo storico culturale, delle emergenze ivi presenti.

Ciò posto, si tratta ora di individuare le conseguenze giuridiche di tale perimetrazione, che verranno esaminate partendo dalla disciplina dettata dal d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), nella versione vigente all’epoca di adozione e approvazione del P.P.R. (scaturente dai correttivi apportati al testo originario dal d.lgs. 24 marzo 2006, n. 157), sulla quale, peraltro, le modifiche intervenute negli anni seguenti non hanno apportato mutamenti di particolare rilievo ai fini che ora interessano.

L’art. 134, comma 1, del decreto legislativo n. 42/2004 già in quella versione contemplava tre distinte tipologie (e correlativi meccanismi di individuazione) dei beni sottoposti a tutela paesaggistica:

- lett. a): i beni individuati con provvedimento amministrativo puntuale nell’ambito delle categorie generali di cui all’art. 136 del Codice (cioè tra gli immobili caratterizzati da particolare bellezza naturale o singolarità geologica; le ville giardini e parchi “di non comune bellezza” ma non tutelati come beni culturali; i complessi di cose immobili caratterizzati da valore estetico e tradizionale, ivi comprese le zone di interesse archeologico; le “bellezze panoramiche considerate come quadri e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze”);

- lett. b): aree indicate all’art. 142 del Codice, tra cui “m) le zone di interesse archeologico individuate alla data di entrata in vigore del presente codice”;

- lett. c): immobili e aree tipizzati, individuati e sottoposti a tutela dai piani paesaggistici previsti dagli articoli 143 e 156.

Quest’ultima previsione, che più direttamente interessa in questa sede, si collega al disposto di cui all’art. 143 del Codice, in virtù del quale - nell’ambito delle più generali funzioni di programmazione e difesa del territorio - sono stati assegnati ai piani paesaggistici regionali compiti di “tipizzazione ed individuazione, ai sensi dell'articolo 134, comma 1, lettera c), di immobili o di aree, diversi da quelli indicati agli articoli 136 e 142, da sottoporre a specifica disciplina di salvaguardia e di utilizzazione” (art. 143, comma 1, lett. i).

In virtù del combinato disposto di tali due disposizioni (art. 134 e art. 143), il legislatore ha quindi attribuito al P.P.R. la possibilità di ampliare il novero dei beni paesaggisticamente tutelati, oltre i casi di vincolo puntuale (art. 136) e di area protetta ex lege (art. 142).

L’effetto della individuazione di “nuovi beni paesaggistici” da parte del P.P.R. è duplice.

In primo luogo comporta che qualsivoglia intervento di trasformazione degli stessi debba essere preceduto dall’autorizzazione paesaggistica, ai sensi dell’art. 146, comma 2, del Codice, che a tal fine fa riferimento al precedente comma 1, il quale a sua volta cita espressamente anche “i beni sottoposti a tutela dalle disposizioni del piano paesaggistico”.

In secondo luogo fa sì che il “nuovo bene paesaggistico” così individuato sia sottoposto alla disciplina “di salvaguardia e di utilizzazione” stabilita dallo stesso piano paesaggistico (così l’art. 143, comma 1, lett. i, del Codice: vedi supra), disciplina che - in base all’ulteriore previsione di cui all’art. 145, comma 3, del Codice - può assumere carattere di “norma di salvaguardia applicabile in attesa dell'adeguamento degli strumenti urbanistici”.

Nel caso ora sottoposto all’attenzione del Collegio, si è verificata proprio questa situazione, giacché, come già si è evidenziato, l’approvato P.P.R. ha individuato un’area di 120 ettari, corrispondente all’estensione del preesistente vincolo paesaggistico del 1997 (vedi supra), ritenendola “caratterizzata da preesistenze con valenza storico culturale”, definizione, questa, che - nel riecheggiare alcuni dei criteri utilizzati dal legislatore per individuare beni paesaggistici ex lege (si fa riferimento ai “complessi di cose immobili caratterizzati da valore estetico e tradizionale, ivi comprese le zone di interesse archeologico” di cui all’art. 136, comma 1, lett. c; nonché alle “zone di interesse archeologico individuate alla data di entrata in vigore del presente codice”, di cui all’art. 142, lett. m) - costituisce tipica espressione del sopra descritto potere regionale di estendere la tutela anche a beni (in tutto in parte) diversi da questi, in un’ottica “di maggior tutela del paesaggio”.

Quindi la perimetrazione di cui si discute non è (né, del resto, potrebbe essere, per ovvie ragioni) fine a se stessa, come vorrebbe la ricorrente, bensì produce gli effetti sopra descritti, cioè l’identificazione dell’area interessata come “nuovo bene paesaggistico”, nonché l’applicabilità di idonee prescrizioni e misure di salvaguardie.

Tali effetti - descritti in termini generali dagli artt. 134, comma 1, lett. c), 143, comma 1, lett. i) e 145, comma 3, del Codice - sono poi oggetto di previsioni specifiche nell’ambito dello stesso P.P.R., in virtù degli artt. 47, 48 e 49 delle N.T.A., cui direttamente va riferita la censura ora in esame.

L’art. 47 delle N.T.A. del P.P.R. prevede, ai primi due commi, che: “1. L’assetto storico culturale è costituito dalle aree, dagli immobili siano essi edifici o manufatti che caratterizzano l’antropizzazione del territorio a seguito di processi storici di lunga durata” e che in tale assetto rientrano, tra gli altri, “2…b) le zone di interesse archeologico tutelate ai sensi dell’art. 142, comma 1, lett. m, del d.lgs. n. 42/2004” e, soprattutto, “c) gli immobili e le aree tipizzati, individuati nella cartografia del P.P.R. di cui all’art. 5 e nell’Allegato 3, sottoposti a tutela dal Piano Paesaggistico, ai sensi dell’art. 143, comma 1, lett. i, del D.Lgs. 22.1.04, n. 42 e successive modificazioni e precisamente: 1. Aree caratterizzate da edifici e manufatti di valenza storico culturale”.

E quest’ultima nozione è poi ribadita all’art. 48 comma 1, lett. a), delle N.T.A. del Piano.

Quindi la perimetrazione dell’area di Tuvixeddu - Tuvumannu, descritta dagli allegati al Piano come “caratterizzata da preesistenze con valenza storico culturale” è perfettamente inquadrabile negli artt. 47 e 48, comma 1, delle N.T.A. e ciò ne determina la sottoposizione al regime di salvaguardia previsto dal successivo art. 49, a mente del quale “1. Per la categoria di beni paesaggistici di cui all’art. 48, comma 1, lett. a), sino all’adeguamento dei piani urbanistici comunali al P.P.R., si applicano le seguenti prescrizioni: a)…; b) nelle aree è vietata qualunque edificazione o altra azione che possa comprometterne la tutela; c) la delimitazione dell’area costituisce limite alle trasformazioni di qualunque natura, anche sugli edifici e sui manufatti, e le assoggetta all’autorizzazione paesaggistica; d) sui manufatti e sugli edifici esistenti all’interno dell’aree, sono ammessi, gli interventi di manutenzione straordinaria, di restauro e risanamento conservativo e le attività di studio, ricerca, scavo, restauro, inerenti i beni archeologici, nonché le trasformazioni connesse a tali attività, previa autorizzazione del competente organo del MIBAC; e) la manutenzione ordinaria è sempre ammessa. 2. Ove non già individuati dal P.P.R. i Comuni, tramite il piano urbanistico comunale d’intesa con la Regione e con il competente organo del MIBAC, provvedono alla analitica individuazione cartografica e concorrono, attraverso il S.I.T.R., alla formazione di registri dei beni paesaggistici, implementando ed aggiornando il mosaico. All’interno dell’area individuata è prevista una zona di tutela integrale, dove non è consentito alcun intervento di modificazione dello stato dei luoghi, e una fascia di tutela condizionata”.

In questa sede assume particolare rilievo il primo comma dell’art. 49, che detta le misure di salvaguardia da applicare (sino all’adeguamento del PUC al PPR) alle aree individuate come beni paesaggistici ai sensi degli artt. 47 e 48, sulla base di un sistema di “tutela graduata”, così sintetizzabile:

- all’interno delle aree in esame non sono ammesse “nuove edificazioni” (comma 1, lett. b);

- gli altri interventi di “trasformazione”, sia delle aree che degli edifici ivi esistenti (ad esempio le ristrutturazioni), sono soggetti ad autorizzazione paesaggistica (coma 1, lett. c);

- fanno eccezione solo gli interventi di manutenzione straordinaria, che sono sempre ammessi (comma 1, lett. e), nonché gli interventi di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo e le attività di studio, ricerca, scavo, restauro, inerenti i beni archeologici, che richiedono solo l’autorizzazione ministeriale, per ovvie ragioni legate alla natura ed alle caratteristiche di quei beni (comma 1, lett. d).

Nel caso di specie si verte nell’ipotesi prevista dal comma 1, lett. b), posto che le opere di urbanizzazione oggetto della richiesta di proroga di Coimpresa si traducono in interventi di notevole rilievo, volti a realizzare nuove infrastrutture (strade, parcheggi, reti tecnologiche: cfr. il precedente paragrafo 1), per cui l’effetto finale della perimetrazione non può che essere quello di una preclusione assoluta alla loro realizzazione e ciò conferma la piena correttezza della motivazione degli atti impugnati in parte qua.

Occorre poi osservare che, nel dichiararsi applicabile sino all’adeguamento del piano urbanistico comunale al PPR, l’art. 49 fa implicito riferimento all’art. 11 delle N.T.A. del Piano, a mente del quale “1. Le previsioni del P.P.R. si attuano attraverso: a) la pianificazione provinciale e comunale; b) i Piani delle aree protette di cui all’articolo 145, comma 4, del D. Lgs. 157/2006; c) le intese tra Regione, Province e Comuni interessati. 2. Le intese di cui al comma precedente sono orientate alla definizione di azioni strategiche preordinate a disciplinare le trasformazioni ed il recupero urbanistico del territorio in attuazione delle previsioni del P.P.R. 3. Tali intese orientano gli interventi ammissibili verso obiettivi di qualità paesaggistica basati sul riconoscimento delle valenze storico culturali, ambientali e percettive dei luoghi. 4. Per l’attivazione dell’intesa valgono, in quanto compatibili, le procedure previste dagli artt. 20, 21 e 22 della L.R. 40/90 per le Conferenze di Servizio e dalla Legge 241/1990. 5. Nel caso in cui si sia attivato il procedimento di cui alla lettera c) del comma 1, ad iniziativa della Regione o del Comune interessato, il raggiungimento dell’intesa è condizione per l’adeguamento degli strumenti urbanistici alle nuove prescrizioni”: tale disposizione, nel descrivere i meccanismi di adeguamento dei piani urbanistici comunali al nuovo Piano paesaggistico regionale, individua, tra gli altri, lo strumento dell’intesa tra “Regione, Province e Comuni interessati”, che considera, peraltro, con particolare favore, in chiave di leale collaborazione fra enti e nell’ottica di un’azione preordinata a “obiettivi di qualità paesaggistica basati sul riconoscimento delle valenze storico culturali, ambientali e percettive dei luoghi” (comma 3).

Pertanto il riferimento all’intesa, individuata dalle amministrazioni resistenti quale presupposto necessario ai fini dell’attuazione dell’intervento in esame, trova piena giustificazione nel descritto sistema normativo, in quanto ciò che in definitiva l’Amministrazione ha voluto dire è che l’art. 49 delle N.T.A. del PPR impedisce allo stato la realizzazione delle opere di urbanizzazione nell’area perimetrata e che tale misura di salvaguardia perderà effetto solo quando il PUC di Cagliari sarà adeguato al PPR, il che potrà avvenire (oltre che mediante il “sistema ordinario”: adozione e approvazione di un nuovo PUC, coordinato con il PPR, da sottoporre comunque all’esame della Regione) anche con lo strumento dell’intesa di cui all’art. 11 delle N.T.A. del Piano.

Infine si osserva che la diversità di estensione tra area perimetrata dal PPR (120 ettari) e area oggetto dell’intervento in cui si inseriscono le opere di urbanizzazione (50 ettari) - su cui fa leva la ricorrente per sostenere la tesi dell’irrilevanza della prima rispetto alla realizzabilità delle seconde – è priva, invece, di rilievo, in quanto quei “50 ettari” sono pur sempre compresi all’interno dei “120 ettari”, per cui la misura di salvaguardia non può che investire anche i primi, in quanto “porzione” dei secondi.

4.1.2. Coimpresa sostiene, inoltre, che la possibilità di realizzare le opere di urbanizzazione sarebbe in ogni caso garantita dall’art. 15, comma 3, delle N.T.A. dello stesso P.P.R., in quanto prevalente sugli artt. da 47 a 49 del Piano.

La doglianza non può essere condivisa.

L’art. 15, comma 3, delle N.T.A. del P.P.R. prevede che “Per i Comuni dotati di PUC approvato ai sensi dei commi 1 e 2 dell’art. 8 della L.R. n. 8/2004 nelle medesime zone C, D, F, e G possono essere realizzati gli interventi previsti negli strumenti urbanistici attuativi purché approvati e con convenzione efficace alla data di adozione del Piano Paesaggistico Regionale”.

Tale previsione va letta tenendo conto del contesto normativo in cui si inserisce - in primo luogo gli altri commi dello stesso art. 15 (alcuni dei quali, peraltro, ormai annullati: vedi infra) - che riguarda le interrelazioni tra la nuova disciplina prevista dal P.P.R. in relazione ad interi “ambiti di paesaggio” (è una sorta di “zonizzazione” operata dal PPR, dividendo il territorio in porzioni unificate da analoghe esigenze di tutela paesaggistica) e gli strumenti urbanistici già in precedenza approvati.

Già questo evidenzia la sostanziale diversità di materia regolata tra l’art. 15, comma 3, alla materia regolata dall’art. 49, perché mentre la prima disposizione detta, per l’appunto, il regime transitorio applicabile alle disposizioni in senso stretto “pianificatorie” del nuovo P.P.R. (cioè alle disposizioni che, in via generale - e non già con riferimento a beni specifici - sono dettate per interi ambiti territoriali), la seconda, invece, si occupa di un aspetto tutt’affatto diverso, quello, cioè, della disciplina di salvaguardia applicabile a singoli beni individuati “ex novo come paesaggistici” dal Piano, ai sensi e per gli effetti già ampiamente descritti al precedente capoverso 4.1.1.

Si tratta di due settori normativi (e anche di due prospettive di tutela) del tutto differenti, il che esclude la possibilità di configurare un’interazione tra l’art. 15, comma 3, e l’art. 49, in quanto le due norme operano (entrambe in via transitoria ma) ciascuna per il proprio profilo di competenza.

Ciò in concreto significa che l’intervento previsto da un piano attuativo “approvato e con convenzione efficace alla data di adozione del Piano Paesaggistico Regionale” (come si esprime l’art. 15, comma 3) non può certamente trovare ostacolo nelle prescrizioni che il P.P.R. ha dettato, in via generale, per l’ambito territoriale in cui l’intervento si inserisce, perché a ciò osta lo stesso art. 15, comma 3; tuttavia, se lo stesso intervento investe, come accade nel caso di specie, in particolare un bene che il P.P.R. ha fatto oggetto di nuovo vincolo paesaggistico, la sua realizzabilità deve essere, comunque, verificata tenendo conto di quanto previsto dall’art. 49 delle N.T.A. del Piano, senza che, a quel punto, l’art. 15, comma 3, possa impedire l’applicazione di tale misura di salvaguardia, dettata indifferentemente per tutti i beni individuati specificamente come “paesaggistici”, a prescindere dal loro inserimento in un “piano attuativo già approvato e con convenzione efficace alla data di adozione del P.P.R.”.

Questo modo di intendere i rapporti tra le due norme è imposto (oltre che dal loro tenore testuale e dalla rispettiva collocazione sistematica all’interno delle N.T.A.) anche dal ruolo assegnato dal legislatore ai “vincoli di piano su singoli beni”, i quali sono vincoli paesaggistici a tutti gli effetti, cui il legislatore (si veda, in particolare, l’art. 145, comma 3, del d.lgs. n. 42/2004) espressamente riconnette - con prevalenza assoluta su tutti gli strumenti di pianificazione urbanistica - un sistema di tutela (anche in termini di misure di salvaguardia: vedi supra) che non può essere vanificato utilizzando una norma (l’art. 15, comma 3) che si occupa di profili certamente meno rilevanti (in un’ipotetica “scala paesaggistica di valori”) rispetto al vincolo paesaggistico puntuale.

4.1.3. La ricorrente reputa poi inconferente il richiamo, operato dalle amministrazioni resistenti, alla sentenza della VI Sezione del Consiglio di Stato 3 marzo 2011, n. 1366, la quale si sarebbe occupata della sola “perimetrazione” di 120 ettari in quanto tale, senza descrivere in alcun modo gli effetti giuridici della stessa.

L’assunto è del tutto privo di fondamento.

Non appare al Collegio necessario richiamare l’intero impianto motivazionale di quella pronuncia - del resto ben nota alle parti, che erano tali anche in quel giudizio di appello - essendo sufficiente evidenziare i seguenti aspetti:

- il Consiglio di Stato si è pronunciato (per quanto ora di interesse) sull’appello proposto dalla Regione Sardegna al fine di ottenere la riforma della sentenza di questa Sezione n. 2241/2007, nella parte in cui aveva accolto le censure di difetto d’istruttoria, carenza di motivazione e illogicità dedotte dal Comune di Cagliari avverso la stessa perimetrazione di cui ora si discute in questa sede;

- di conseguenza la pronuncia del Giudice d’appello ha ad oggetto la questione giuridica che costituisce il principale presupposto in base al quale deve essere decisa la presente controversia, tanto è vero che la trattazione di cui al precedente capoverso 4.1.1. è ampiamente ispirata proprio alla sentenza n. 1366/2011, che costituisce il più recente (e autorevole) precedente in subiecta materia e alla quale si fa integrale riferimento;

- è pur vero che all’attenzione del Consiglio di Stato fu portata - quale oggetto diretto di giudizio - la sola questione della legittimità della perimetrazione e non anche quella, strettamente connessa, dei suoi effetti giuridici; tuttavia la sentenza n. 1366/2011, all’esito di un ampio excursus sui presupposti legislativi della perimetrazione e sul suo ruolo sistematico, ha operato una serie di obiter dicta, con cui ha esaminato anche buona parte delle ricadute effettuali dello stesso “vincolo di perimetrazione”, in relazione ai suoi rapporti con gli artt. 47, 48 e 39 delle N.T.A. del P.P.R.;

- sul punto è sufficiente riportare alcuni dei brani più significativi della medesima sentenza: “la Regione Sardegna ha esercitato il potere che le è stato attribuito dalla normativa nel momento in cui, individuato nel PPR, l’Ambito I - Golfo di Cagliari, vi ha perimetrato l’area di Tuvixeddu-Tuvumannu quale “Area caratterizzata da preesistenze con valenza storico culturale” (Tavola 557 III allegata alla deliberazione della Giunta regionale n. 367 del 2006), ai sensi delle caratterizzazioni di cui al comma 1 dell’art. 48 delle NTA con conseguente sottoposizione alle prescrizioni dell’art. 49 delle medesime per le aree caratterizzate da edifici e manufatti di valenza storico culturale, e tra queste per la categoria dei beni paesaggistici (prescrizioni consistenti essenzialmente in misure di salvaguardia in attesa dell’adeguamento dei piani urbanistici comunali al PPR)”; “La tipizzazione appare ricondotta, più in particolare, alla qualificazione dell’art. 47, comma 2, lett. c), n. 1 NTA, la quale comporta l’inclusione dell’area stessa tra i beni paesaggistici in forza dell’art. 143, comma 1, lett. i) del Codice: vale a dire, comporta l’imposizione del vincolo del terzo genere, cioè dell’art. 134, lett. c), del Codice stesso”; “L’art. 134, lett. c) del Codice è espressamente evocato dall’art. 47, comma 2, lett. c) delle NTA del PPR (in ragione del quale sono sottoposte a vincolo da piano le aree “caratterizzate da edifici e manufatti di valenza storico culturale”, da ripartire secondo la previsione dell’art. 48, comma 1, lett. a) e in concreto viene riferito all’area di cui qui si tratta. La ragionevolezza di questo nuovo vincolo, e del conseguente suo regime ex art. 48 delle NTA, è mostrata (diversamente da quanto assume la sentenza) dalle emergenze archeologiche dell’area - seppur più ristretta - vincolata come bene archeologico con il d.m. 2 dicembre 1996, e dall’attitudine che quella che ora viene paesisticamente vincolata è funzionale alla conservazione del contesto di giacenza del patrimonio archeologico nazionale già emerso, cioè rappresenta il più ampio territorio delle presenze di rilievo archeologico”; “Resta stabilito, quanto alla concreta ed autonoma disciplina di salvaguardia, che la regolamentazione definitiva dell’area è rinviata ad un’intesa tra Comune e Regione”.

Tutto ciò evidenzia come la sentenza n. 1366/2011 della VI Sezione del Consiglio di Stato, pur non costituendo “giudicato in senso tecnico” ai fini della presente controversia, abbia però esaminato le più importanti questioni sostanziali da essa implicate, per cui non può che condividersi il richiamo operato dalle amministrazioni resistenti a quell’autorevole (e più recente degli altri) pronunciato, il che smentisce la doglianza di parte ricorrente.

4.1.4. Ancora Coimpresa ritiene gli atti impugnati affetti da “nullità assoluta”, per violazione di molteplici sentenze ormai passate in giudicato.

Occorre premettere, al riguardo, che per potersi ravvisare un “giudicato” in senso tecnico - con il suo duplice effetto formale (art. 324 c.p.c.) e sostanziale (art. 2909 c.c.) - è necessario, come noto, che il decisum dalla precedente pronuncia coincida esattamente con quello del processo tuttora da decidere e ciò, a sua volta, presuppone identicità delle azioni che hanno dato inizio ai relativi giudizi, le quali devono coincidere in tutti i loro elementi oggettivi e soggettivi, dovendosi in sostanza trattare della stessa azione più volte riproposta.

Sul piano soggettivo è necessaria l’identità delle parti, mentre sul piano oggettivo i presupposti del giudicato sono notoriamente due, il petitum e la causa petendi.

La causa petendi indica le ragioni di diritto e di fatto su cui si fondano le pretese del ricorrente, che si identificano, rispettivamente, nella posizione giuridica fatta valere (nel processo amministrativo di legittimità, si tratterà di un determinato interesse legittimo) e nei fatti costituitivi e lesivi della stessa.

Il petitum è l’oggetto ed il fine dell’iniziativa processuale, per cui per essere veramente identici due petita devono avere in comune la puntuale statuizione ch si chiede al giudice di pronunciare.

Per cui la censura ora in esame potrà considerarsi fondata solo laddove risultino in concreto soddisfatti tutti questi requisiti, in ordine ai rapporti tra la presente controversia e quelle precedenti, con particolarmente riferimento all’identicità di contenuto tra gli atti impugnati nelle diverse sedi, i quali contribuiscono a definire tanto il petitum (nel senso che individuano l’oggetto della domanda processuale), sia la causa petendi (quali fatti lesivi della posizione soggettiva azionata); viceversa, in assenza di tali condizioni, eventuali rilievi contenuti in precedenti sentenze, ancorché relativi alla medesima vicenda sostanziale oggi in discussione, assumerebbero la veste di meri obiter dicta ed il valore concreto di “precedenti giurisprudenziali”, come tali non vincolanti.

Sotto un diverso profilo si dovrà poi verificare se le pregresse sentenze abbiano comportato l’annullamento di disposizioni pianificatorie che sono poste a base degli atti oggetto del presente giudizio, perché, ove così fosse, (non si avrebbe giudicato in senso stretto, bensì) una “interferenza giuridica” della precedente pronuncia sul regime pianificatorio attualmente vigente, che potrebbe incidere sull’esito della presente controversia in forza del diverso (ma pur sempre rilevante) principio “iura novit curia”.

La successiva analisi contenutistica delle pronunce giurisdizionali richiamate da parte ricorrente dimostrerà però che i sopra descritti presupposti in concreto non sussistono, non potendosi perciò ritenere che quelle sentenze “facciano stato” o comunque incidano in modo vincolante sull’odierna controversia.

4.1.4.1. È opportuno cominciare dalla sentenza del T.A.R. Sardegna, Sez. II, 13 dicembre 2007, n. 2241, con cui, secondo la ricorrente, sarebbe stato definitivamente statuito che le previsioni dell’accordo di programma debbano considerarsi compatibili o comunque “resistano” alle norme del P.P.R..

Conformemente a quanto premesso, per verificare se tale pronuncia faccia stato nella presente controversia è necessario esaminarne petitum e causa petendi, per poi confrontarli con quelli ora in discussione.

Orbene, con il relativo ricorso RG n. 902/2006 il Comune di Cagliari aveva impugnato innanzi a questa Sezione il nuovo Piano paesaggistico regionale, quindi un atto del tutto diverso da quelli oggetto del presente giudizio, il che già di per esclude l’esistenza di una giudicato in senso tecnico sull’attuale oggetto di causa.

Più nel dettaglio, il Comune di Cagliari aveva dedotto sia censure di carattere generale (come, ad es., il difetto di competenza della Giunta regionale e l’invasione, da parte del Piano, di profili riservati al legislatore regionale) sia doglianze specificamente concentrate su singole previsioni del P.P.R., tra cui, per quel che ora interessa in questa sede, le seguenti:

- l’art. 11, comma 1, lett. c (nella parte in cui prevede, fra gli strumenti di attuazione del piano, le intese tra regioni, province e comuni interessati);

- l’art. 15 delle N.T.A. (limitatamente ai commi 4, 6 e 7, nella parte in cui sottopongono a specifiche condizioni determinati tipi di interventi edilizi);

- le misure di salvaguardia dettate, nelle more dell’adeguamento del P.UC. al P.P.R., dagli artt. 47 - 49 delle N.T.A. del Piano P.P.R., anche con specifico riferimento alla misura dettata dall’art. 49, comma 1 lett. b);

- la specifica previsione vincolistica del PPR, che qualifica tutta l’estensione interessata dagli accordi di programma stipulati nel 2000 con Coimpresa come “Area caratterizzata da preesistenze con valenza storico culturale” (si tratta esattamente della perimetrazione su cui si fondano gli atti impugnati nel presente giudizio);

- la mancata previsione nel P.P.R. di una disciplina che garantisse la sopravvivenza degli Accordi di Programma già stipulati e convenzionati prima dell’entrata del P.P.R.

Il T.A.R. si è pronunciato nei seguenti termini:

- ha respinto le censure tendenti a contestare l’intero P.P.R., confermandone così la complessiva legittimità ed il fondamentale ruolo nel sistema generale di tutela paesaggistica.

- ha confermato la legittimità dell’intesa quale strumento di adeguamento del PUC al P.P.R., rigettando la censura relativa all’art. 11 delle N.T.A.

- ha annullato i commi 4, 6 e 7 dell’art. 15 (o meglio, sul comma 4, ha confermato la precedente pronuncia di annullamento contenuta nelle sentenze n. 2010 e n. 2011 del 2007 di questa Sezione);

- ha respinto le censure rivolte in generale nei confronti delle misure di salvaguardia di cui agli artt. 47 - 49 delle N.T.A. del Piano;

- ha, invece, accolto le censure di difetto di istruttoria, carenza di motivazione e illogicità relative alla perimetrazione dell’area di Tuvixeddu, ma questa parte della pronuncia è stata poi in toto riformata dalla sentenza n. 1366/2011 della VI del Consiglio di Stato, per cui di essa non si dovrà tener conto;

- ha ritenuto inammissibile la censura relativa alla mancata previsione di una disciplina transitoria relativa ai pregressi accordi di programma, osservando che in tal modo la ricorrente lamentava “la mancanza di una disciplina specifica per tali accordi, senza chiedere l’annullamento di alcuna disposizione specifica”; qui il T.A.R. ha aggiunto la frase cui fa ora riferimento Coimpresa, che è testualmente la seguente: “il piano non si occupa degli accordi di programma, stipulati fra le amministrazioni interessate per diversi interventi, ma questo può solo significare che gli stessi seguono la disciplina generale che è loro propria a livello statale o regionale e che, sul punto, niente viene modificato o regolato transitoriamente (fino all’adeguamento dei PUC al PPR). In effetti tali accordi, se sfociati in una disciplina urbanistica attuativa sono fonti di posizioni soggettive di vantaggio consolidate e saranno regolati dal regime relativo alla zona su cui i relativi interventi vanno ad incidere”.

Sulla base di questa sintetica ricognizione può ritenersi che la sentenza n. 2241/2007 di questa Sezione non abbia sancito con efficacia di giudicato la “resistenza” degli Accordi di Programma alle misure vincolistiche del P.P.R. come vorrebbe la ricorrente, né introdotto altri elementi a sostegno delle sue tesi, per le ragioni che si passa ad esporre.

Già è significativo il fatto che il T.A.R. abbia respinto le censure sollevate dal Comune in relazione allo strumento dell’intesa per l’adeguamento del PUC al P.P.R. (art. 11 delle N.T.A.) e, soprattutto, al valore immediatamente prescrittivo e prevalente degli artt. da 47 a 49 delle stesse N.T.A., fornendo, in tal modo, una conferma a quanto sostenuto in questa sede dal Collegio nei precedenti capoversi 4.1.2. e 4.1.3.

Ma ciò che ora principalmente rileva è che il T.A.R. ha dichiarato inammissibile la censura relativa alla mancata previsione di una norma di “sopravvivenza” dei pregressi accordi di programma, per cui la frase cui fa riferimento la ricorrente non appartiene alla res iudicata, bensì costituisce un semplice obiter dictum.

Questa chiave di lettura trova conferma nell’esame complessivo della sentenza e nell’esito del successivo giudizio di appello.

Già si è evidenziato, infatti, che il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1366/2011 (vedi supra) ha annullato altra (ma correlata) parte della sentenza n. 2241/2007, quella, cioè, con cui era stato giudicato illegittimo il vincolo paesaggistico puntuale introdotto dal PPR proprio con riferimento all’area di Tuvixeddu; in tal modo il Giudice di appello ha fatto rivivere quel vincolo, il quale, come già si è evidenziato, costituisce ostacolo, per il tramite dell’art. 49 delle N.T.A. del Piano, all’attuazione degli accordi di programma invocati dalla ricorrente (e su questa linea si è posto lo stesso Consiglio di Stato, il quale, pur non approfondendo oltre modo la questione, ha espressamente affermato che l’attuazione dell’intero intervento richiederà il raggiungimento dell’intesa, in tal modo accedendo alla tesi che sugli accordi di programma in esame le misure di salvaguardia di cui agli artt. 47 - 49 interagiscono concretamente: vedi supra paragrafo 4.1.3.).

E, allora, delle due l’una:

- o la pronuncia del T.A.R. nulla ha statuito, quanto meno con forza di giudicato, sulla sorte degli accordi di programma, per cui la frase che fa riferimento a questo aspetto costituisce un mero obiter dictum, come già si è opinato;

- ovvero, se invece si dovesse ritenere che il T.A.R. abbia sancito con efficacia di giudicato l’incondizionata sopravvivenza degli accordi di programma al P.P.R., la sorte di tale affermazione dovrebbe essere necessariamente collegata a quella dell’altra, con cui il giudice di primo grado ha dichiarato l’illegittimità del vincolo puntuale introdotto dal Piano, il quale rendeva (e tuttora rende) inattuabili proprio gli accordi di programma vantati da Coimpresa; difatti la prima statuizione non avrebbe senso senza la seconda, che costituisce presupposto di concreta operatività della prima (perché, si ripete, senza l’eliminazione di quel vincolo gli accordi di programma non possono trovare attuazione).

Ed allora, sempre muovendo da quest’ultima (e dal Collegio, come detto, non condivisa) prospettiva, poiché la seconda statuizione è stata annullata dal Consiglio di Stato (che ha ripristinato il vincolo su Tuivixeddu, riformando in parte qua la sentenza del T.A.R.), anche la prima statuizione (con la quale si sanciva la sopravvivenza di un accordo di programma che in quel vincolo trova diretto e insuperabile ostacolo) non potrebbe che considerarsi implicitamente travolta dalla pronuncia d’appello, al fine di evitare un inaccettabile contrasto tra giudicati di primo e secondo grado, che non avrebbe nessuna ragione di esistere.

Esaurito così l’esame della sentenza n. 2241/2007 si passa all’esame di altro pronunciato cui fa riferimento la censura dedotta da parte ricorrente, cioè la sentenza T.A.R. Sardegna, Sez. II, 26 gennaio 2009, n. 84, che presenta caratteristiche per certi versi analoghe, per quanto ora di interesse, alla pronuncia dianzi esaminata.

La sentenza n. 84/2009 ha deciso un ricorso proposto da Coimpresa, con il quale era stato chiesto l’annullamento (ove necessario) di tutto il P.P.R. ovvero del solo art. 15 delle N.T.A. del Piano, giacchè quest’ultimo, in asserita violazione dell'articolo 145, comma 2, del d.lgs. n. 42/2004, non avrebbe contemplato “misure di coordinamento con gli strumenti di pianificazione territoriale e di settore nonché con i piani, programmi e progetti nazionali e regionali di sviluppo economico” e neppure avrebbe tenuto conto degli accordi di programma già stipulati con l’impresa ricorrente in ordine all’intervento previsto a Tuvixeddu - Tuvumannu, i quali “avrebbero anche una spiccata valenza paesaggistica” e “nonostante le loro previsioni siano state oggetto anche di specifica autorizzazione paesaggistica da parte della Regione”.

In primo luogo si osserva che il Ministero per i Beni e le attività culturali non era stato chiamato a partecipare a quel giudizio, per cui non è dato riscontrare i presupposti soggettivi del giudicato.

Quanto all’aspetto oggettivo, la decisione del Collegio è stata quella di dichiarare inammissibile per carenza di interesse l’impugnazione dell’intero Piano paesaggistico regionale e invece di accogliere - a conferma delle precedenti sentenze della stessa Sezione n. 2010 e 2011 del 2007 e n. 2241 del 2007 (vedi supra) - la domanda di annullamento dell’art. 15 delle N.T.A. del Piano, ma limitatamente al comma 4 dello stesso.

Pertanto l’esaminata pronuncia ha deciso una controversia caratterizzata da un oggetto eterogeneo rispetto a quello ora in esame, che attiene a provvedimenti amministrativi di diniego basati sulla già accertata incidenza dell’art. 49 delle N.T.A. del Piano sulla realizzabilità del programmato intervento, questione, questa, che non ha avuto, invece, alcun ingresso nella causa decisa con la sentenza n. 84/2009.

Del resto la diversità di oggetto dei due giudizi emerge con chiarezza anche sotto il profilo delle norme di Piano esaminate dal Collegio nelle due occasioni: il solo art. 15, comma 4, nella pronuncia n. 84/2009, l’art. 49 nella presente controversia, ove è semmai la ricorrente ad invocare l’art. 15, comma 3, quale norma che sarebbe in grado di paralizzare l’operatività della misura di salvaguardia, sulla base di una ricostruzione che è stata però ampiamente smentita (cfr. precedente paragrafo 4.1.2.).

Pertanto la doglianza in esame deve essere disattesa.

4.1.4.2. Viene poi all’attenzione del Collegio la sentenza T.A.R. Sardegna 8 febbraio 2008, n. 127 (confermata da Consiglio di Stato 4 agosto 2008, n. 3894), che secondo la ricorrente avrebbe ugualmente sancito la “sopravvivenza” delle previsioni contenute negli accordi di programma al P.P.R., in virtù dell’art. 15 delle N.T.A. del Piano.

In questo caso l’assoluta estraneità della pronuncia in esame, quanto meno in relazione ai profili oggetto dei relativi giudicati, emerge con ancora maggiore chiarezza.

La sentenza n. 127/2008 ha deciso un ricorso che non aveva ad oggetto alcuna disposizione pianificatoria, ma soltanto gli atti relativi ad una precedente e del tutto distinta procedura vincolistica, tanto è vero che tale sentenza è stata poi confermata dal Consiglio di Stato (con sentenza n. 3894/2008), lo stesso Consiglio di Stato che ha (con la più volte citata sentenza n. 1366/2011) viceversa confermato la vigenza della perimetrazione di Piano posta a base dei provvedimenti impugnati in questa sede.

Quanto premesso conferma in primo luogo che il contenuto del ricorso RG. n. 168/2007 (deciso con la sentenza di questa Sezione n. 127/2008) e quello che ha dato avvio alla presente controversia sono del tutto differenti, prima di tutto sotto il profilo dei petita, il che esclude ogni possibile violazione del giudicato.

Inoltre esclude ogni possibile interferenza fra le due controversie anche sotto il diverso profilo del regime normativo applicabile, posto che il vincolo annullato dalla sentenza n. 127/2008 è cosa diversa (quanto a fonte e regime giuridico) rispetto alla “perimetrazione” di Piano sulla quale si fondano i provvedimenti impugnati in questa sede, per cui la sentenza n. 127/2008 non ha mutato il quadro giuridico e pianificatorio di riferimento in base al quale deve essere decisa la presente controversia.

Pertanto questo profilo di doglianza non può essere condiviso.

4.1.4.3. Restano da esaminare le sentenze T.A.R. Sardegna, Sez. II, 18 febbraio 2009, n. 541/2009 e n. 542/2009, che secondo la ricorrente avrebbero nuovamente ribadito l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 15 delle N.T.A. del P.P.R., in luogo degli artt. 47, 48 e 49 delle medesime N.T.A.

Tali pronunce riguardano i decreti di annullamento con cui nel 2008 la Soprintendenza (in base al regime procedurale all’epoca vigente) aveva annullato due corrispondenti autorizzazioni paesaggistiche che il Comune di Cagliari aveva rilasciato a Coimpresa su progetti esecutivi di opere edilizie comprese nel Piano attuativo oggetto dell’autorizzazione paesaggistica n. 3015/1999.

Il Collegio ha accolto il ricorso e, in particolare, la censura con cui Coimpresa aveva dedotto la violazione dell’art. 15 delle N.T.A. del P.P.R., ritenendo che quest’ultimo avesse efficacia prevalente rispetto alle “misure di salvaguardia” di cui agli artt. 47 - 49 delle stesse N.T.A.

Pertanto in questa occasione il Tribunale aveva in effetti dettato il principio di diritto che la ricorrente invoca nella presente sede.

Tuttavia questo non può condurre ad accogliere la relativa doglianza.

In primo luogo perché quelle pronunce avevano ad oggetto atti amministrativi del tutto differenti (si trattava di autorizzazioni paesaggistiche relative ad oggetti diversi dalle opere di urbanizzazione, rectius degli atti di annullamento di tali autorizzazioni), per cui non è dato riscontrare il principale presupposto del “giudicato amministrativo in senso tecnico”, posto che gli atti impugnati nelle due controversie sono differenti, sotto il profilo formale e sostanziale.

In secondo luogo perché le sopra citate pronunce di questa Sezione sono state poi annullate dal Consiglio di Stato con sentenze 5 febbraio 2010, n. 538 e 15 marzo 2010, n. 1491, per cui - come correttamente osserva la difesa regionale a pag. 16 della propria memoria difensiva in data 30 aprile 2012 - “non può ritenersi formato alcun giudicato sui rapporti fra la disciplina transitoria di cui all’art. 15 e quella di cui all’art. 49”, giacché a prescindere da quali censure siano state accolte in appello, quest’ultimo, in virtù del suo effetto devolutivo, ha comportato una radicale rivisitazione della decisione di primo grado e, a seguito della sua riforma piena, ne ha determinato la radicale perdita di efficacia.

Pertanto le affermazioni contenute nelle precedenti sentenze di questa Sezione n. 541 e 542 del 2009, in ordine ai rapporti tra l’art. 15 e l’art. 49 delle N.T.A. del Piano, hanno comunque perduto ogni eventuale efficacia di giudicato e mantengono (per gli aspetti non direttamente smentiti dal Consiglio di Stato) il ruolo di semplici “precedenti”, ovviamente non vincolanti.

Quest’ultimo rilievo consente al Collegio di osservare che la presente pronuncia costituisce indubbiamente un revirement (peraltro già inaugurato, seppure indirettamente, con la precedente sentenza di questa Sezione n. 412/2010) rispetto a orientamenti in parte di segno diverso espressi nelle pronunce richiamate dalla ricorrente (il che non significa “violazione di giudicati”, come già si è ampiamente esposto).

Ciò si deve essenzialmente al “cambio di linea” impresso dalla fondamentale sentenza n. 1366/2011 del Consiglio di Stato, la quale ha comportato la reviviscenza di un vincolo paesaggistico (quello derivante dalla cd. “perimetrazione di piano”) che, introdotto dal P.P.R. nel 2006, era stato poi annullato con la sentenza di questa Sezione n. 2241/2011, a sua volta riformata dal Consiglio di Stato.

Orbene è del tutto evidente come questa “autorevole svolta” abbia impresso una direzione diversa all’intera vicenda, anche dal punto di vista amministrativo, tanto è vero che gli atti impugnati nel presente giudizio fanno ampio riferimento proprio alla sentenza n. 1366/2011 del Consiglio di Stato e, soprattutto, si fondano sulla fondamentale “sopravvenienza” costituita proprio dalla reviviscenza del vincolo paesaggistico di piano che quella sentenza ha comportato, riformando la sentenza di primo grado che ne aveva decretato l’annullamento (su questo aspetto si tornerà diffusamente fra breve); il che è come dire, in termini più tecnici, che la sentenza n. 1366/2011, pur non facendo stato in senso stretto nella presente controversia, ha però innovativamente deciso su di una questione (la reviviscenza del vincolo di piano) che incide direttamente sul presupposto giuridico fatto valere da Coimpresa con il ricorso in esame, influendo in modo determinante sull’esito dello stesso.

In base a queste premesse la censura di nullità per violazione di precedenti giudicati deve essere respinta.

4.2. Il sedicesimo motivo di ricorso ha ad oggetto l’affermazione della Soprintendenza secondo cui “il progetto delle opere di urbanizzazione, così come presentato e riferito agli accordi di programma, non può essere esaminato per stralci, ma solo nel suo insieme” e che “eventualmente potrà essere presa in considerazione una nuova istanza che preveda esclusivamente l’adeguamento, l’integrazione ed il rinnovo delle infrastrutture e dei sottoservizi nel tratto di via Is Maglias, strettamente funzionali agli edifici in fase di completamento e/o per la manutenzione ordinaria e straordinaria degli stessi sottoservizi e delle stesse sovrastrutture, e comunque stralciati e non finalizzati all’attuazione del programma relativo “Progetto di riqualificazione urbana e ambientale dei colli di S. Avendrace”, in quanto ritenuti ammissibili ai sensi dell’art. 49 delle N.T.A. del P.P.R.”.

4.2.1. La ricorrente ritiene anche questa parte della motivazione in contrasto con le sentenze in precedenza richiamate, che avrebbero espressamente affermato la realizzabilità del piano attuativo ai sensi dell’art. 15 delle N.T.A. del P.P.R. e che, inoltre, sarebbe contraddittorio sostenere, come fa la Soprintendenza, per un verso che l’autorizzazione paesaggistica riguarda tutte le programmate opere di urbanizzazione e che però sarebbe possibile rinnovarla per le sole opere non direttamente finalizzate all’attuazione del “Programma di riqualificazione urbana e ambientale dei colli di S. Avendrace”.

La censura è infondata.

Circa l’asserita prevalenza dell’art. 15 sull’art. 49 delle N.T.A.del Piano, essa è stata già ampiamente smentita in precedenza, per cui è sufficiente fare riferimento a quanto già in precedenza esposto (vedi soprattutto il paragrafo 4.1.2) .

Quanto poi alla contraddittorietà rilevata dalla ricorrente, si osserva che la precisazione della Soprintendenza, in ordine alla possibile valutazione positiva di interventi limitati all’adeguamento ed alla manutenzione delle infrastrutture degli edifici già esistenti, è perfettamente coerente con quanto previsto all’art. 49, lett. d) ed e), delle N.T.A. del Piano, secondo cui “d) sui manufatti e sugli edifici esistenti all’interno dell’aree, sono ammessi, gli interventi di manutenzione straordinaria, di restauro e risanamento conservativo e le attività di studio, ricerca, scavo, restauro, inerenti i beni archeologici, nonché le trasformazioni connesse a tali attività, previa autorizzazione del competente organo del MIBAC; e) la manutenzione ordinaria è sempre ammessa”: in tal modo è la stessa disciplina “di salvaguardia” a consentire - in deroga al vincolo integrale che normalmente protegge i beni paesaggistici in attesa dell’adeguamento del PUC al PPR - l’effettuazione di limitati interventi manutentivi, di risanamento, etc., per evidenti esigenze di “corretta gestione” dei manufatti esistenti, il che esclude in radice il paventato vizio di contraddittorietà.

4.2.2. Sempre con il sedicesimo motivo Coimpresa sostiene (richiamando quanto dedotto con il nono motivo, seconda parte, in relazione all’atto finale della Regione) che il piano attuativo autorizzato paesaggisticamente nel 1999 troverebbe autonoma e sufficiente giustificazione anche nell’art. 8 della legge regionale n. 8/2004, in base al quale i piani urbanistici comunali approvati prima del 10 agosto 2004 (come nel caso di Cagliari) “conservano la loro validità ed efficacia in termini attuativi e di esecutività”, precisando che ogni possibile contrasto con l’art. 49 delle N.T.A. del P.P.R. sarebbe comunque scongiurato dal fatto il piano attuativo è stato già oggetto di due accordi di programma, avvallati anche dalla stessa Soprintendenza, per cui il meccanismo dell’intesa richiesto dall’art. 49 si sarebbe già di fatto realizzato e non avrebbe senso sottoporre l’intervento ad una nuova procedura di questo tipo.

La doglianza non può essere condivisa

Sull’art. 8 della l.r. n. 8/2004 è sufficiente osservare, analogamente a quanto già evidenziato in relazione all’art. 15 delle stesse N.T.A., che tale disciplina transitoria è costruita in modo tale da poter operare solo in relazione alle “zonizzazioni” operate dal PPR, mentre non incide sulla (distinta) disciplina transitoria applicabile nei casi in cui l’intervento incida su un bene oggetto di un vincolo paesaggistico puntuale introdotto dal P.P.R., perché in quest’ultimo caso scattano comunque le misure di salvaguardia di cui all’art. 49, che trovano diretto fondamento negli artt. 134, comma 1, lett. c) e 143, lett. i), del d.lgs. n. 42/2004 (vedi precedente paragrafo 4.1.1.).

Quanto poi alla pretesa “superfluità” dell’intesa ex art. 11 del P.P.R., che secondo Coimpresa sarebbe validamente sostituita dagli accordi di programma del 2000, la tesi è del tutto priva di fondamento, ove solo si consideri che tale specifica forma di intesa è prevista dal P.P.R. quale strumento di adeguamento del PUC al medesimo Piano paesaggistico, per cui essa non può ovviamente essere sostituita da accordi (quelli di programma) intervenuti prima che lo stesso PPR vedesse la luce.

4.3. Il quattordicesimo motivo investe l’ulteriore assunto della Soprintendenza secondo cui l’autorizzazione paesaggistica n. 3015/1999 costituirebbe un “nulla osta ai sensi del r.d. n. 1497/1939”, mentre “non risulta mai rilasciata l’autorizzazione paesaggistica prevista dall’art. 16 della legge n. 1150/1942 per i piani attuativi o piani particolareggiati”, per cui - “anche a voler ritenere per assurdo l’applicabilità dell’art. 15, comma 3, delle N.T.A. del P.P.R.” - “anche ai sensi dello stesso articolo l’intervento non è ammissibile in quanto non si può ritenere che lo stesso sia “approvato”, in quanto si configura come intervento privato”.

Secondo la ricorrente questa affermazione sarebbe in contrasto con il reale contenuto di quell’autorizzazione, nonché con le già richiamate sentenze T.A.R. Sardegna, Sez. II, 18 febbraio 2009, n.n 541/2009 e 542/2009 (riformate da Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 febbraio 2010, n. 538 e Sez. VI, 15 marzo 2010, n. 1491, il quale avrebbe però condiviso in parte qua i pronunciati di primo grado).

La censura coglie sostanzialmente nel segno, anche se poi si rivela irrilevante ai fini dell’esito del finale del ricorso.

Già si è ampiamente illustrato (vedi i precedenti paragrafi 2 e 3) che il Collegio condivide la prospettazione della ricorrente quanto all’oggetto delle due autorizzazioni paesaggistiche ed ai loro reciproci rapporti: l’autorizzazione n. 3015/1999 aveva ad oggetto il Piano attuativo, mentre quella del 2002, di cui ora si richiede il rinnovo, riguarda il progetto esecutivo delle opere di urbanizzazione, comprese all’interno di quel Piano; pertanto non può condividersi l’assunto della Soprintendenza secondo cui l’autorizzazione n. 3015/1999 sarebbe un semplice “nulla osta ai sensi del r.d. n. 1497/1939”, mentre non sarebbe mai stata “rilasciata l’autorizzazione paesaggistica prevista dall’art. 16 della legge n. 1150/1942 per i piani attuativi o piani particolareggiati”.

Tuttavia questa “parte erronea” della motivazione non inficia gli altri assunti di cui quest’ultima si giova, dei quali è stata accertata l’esattezza e legittimità e che, pertanto, validamente sorreggono e giustificano la contestata decisione di non prorogare l’autorizzazione paesaggistica del 2002 sulle opere di urbanizzazione.

Semmai può osservarsi che la nuova valutazione operata con gli atti impugnati pone effettivamente in discussione il complessivo intervento autorizzato nel 1999 (non potendo, infatti, concepirsi la realizzazione di uno strumento attuativo senza le opere di urbanizzazione ivi previste), ma tale circostanza apre un diverso fronte - che di fatto esula dall’oggetto specifico del presente giudizio - quello, cioè, di una possibile revoca implicita dell’originaria autorizzazione paesaggistica del 1999, o quanto meno di una sua “sospensione di fatto” fino al raggiungimento dell’intesa prevista dagli artt. 11 e 49 delle N.T.A. del P.P.R., la quale appare oramai una “direzione di marcia” sostanzialmente imprescindibile, come già si è osservato nella precedente sentenza n. 421/2012 di questa Sezione e soprattutto nella sentenza n. 1366/2011 della VI Sezione del Consiglio di Stato.

4.4. Vi è poi la diciottesima censura, con cui si contesta il parere della Soprintendenza nella parte in cui evidenzia alcune “criticità negative”, relative alle essenze arboree, alle finiture previste per le fioriere in c.a.v., ad alcuni “elementi di seduta” ed alla mancanza “di particolari pensiline e coperture delle uscite di sicurezza della strada interessata (tunnel) sul versante di Tuvumannu”; secondo Coimpesa tali rilievi esorbiterebbero dalle valutazioni affidate all’Amministrazione resistente, che ai sensi dell’art. 146, comma 8, del d.lgs. n. 42/2004, sarebbero limitate alla compatibilità paesaggistica dell’intervento ed alla sua conformità con il piano paesaggistico.

Tale doglianza, prima ancora che infondata, si rivela ictu oculi irrilevante ai fini della decisione, sia perché gli atti impugnati trovano adeguato fondamento in altri e più rilevanti aspetti motivazionali, sia perché lo stesso Direttore del Servizio regionale, con le controdeduzioni del 9 luglio 2011 (doc. 5 di parte ricorrente, pagg. 6 e 7) ha giudicato tali criticità superabili mediante adeguate prescrizioni, il che evidenzia la sostanziale ininfluenza di tali aspetti ai fini della contestata decisione.

4.5. Con l’undicesimo motivo ed il connesso ultimo profilo della tredicesima censura si deduce la violazione degli artt. 3 e 10 bis della legge n. 241/1990, per non avere la Soprintendenza motivato il mancato accoglimento delle osservazioni formulate dalla ricorrente nel corso del procedimento.

La doglianza è infondata, in quanto, le osservazioni della ricorrente sono state analiticamente riscontrate dal Dirigente del Servizio regionale con nota 29 luglio 2011, n. 44941 (doc. 56 di parte ricorrente: vedi supra), i cui rilievi sono stati poi fatti propri dalla Soprintendenza nel definitivo parere negativo (doc. 3 di parte ricorrente).

E tale riscontro procedimentale, del resto molto analitico come sopra evidenziato (vedi punto paragrafo 1 sul contenuto degli atti procedimentali), soddisfa pienamente il regime procedimentale operante nel caso in esame, regolato dall’art. 146, comma 8, del d.lgs. n. 42/2004 (nella versione all’epoca vigente), a mente del quale “Il soprintendente rende il parere di cui al comma 5, limitatamente alla compatibilità paesaggistica del progettato intervento nel suo complesso ed alla conformità dello stesso alle disposizioni contenute nel piano paesaggistico ovvero alla specifica disciplina di cui all'articolo 140, comma 2, entro il termine di quarantacinque giorni dalla ricezione degli atti. Il soprintendente, in caso di parere negativo, comunica agli interessati il preavviso di provvedimento negativo ai sensi dell'articolo 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241. Entro venti giorni dalla ricezione del parere, l'amministrazione provvede in conformità”.

Difatti tale previsione normativa neppure prevede una specifica risposta della Soprintendenza alle osservazioni endoprocedimentali della ricorrente, la quale può efficacemente interloquire con l’organo cui è affidata la funzione istruttoria, in specie la Regione, come in effetti accaduto nel caso in esame.

5. Le censure di contraddittorietà e sviamento di potere (ottavo, quindicesimo, diciassettesimo e diciannovesimo motivo).

Tali censure vanno esaminate unitariamente, giacchè tutte nella sostanza convergono verso un’asserita contraddittorietà degli atti impugnati rispetto a precedenti valutazioni di segno opposto dalle stesse amministrazioni resistenti.

In particolare:

- con l’ottava censura si deduce la contraddittorietà del provvedimento regionale di diniego e dei presupposti atti della Soprintendenza, che senza motivazione ed istruttoria adeguate si porrebbero in contrasto con l’originaria autorizzazione paesaggistica n. 3015/1999, avente ad oggetto (anche) le medesime opere di urbanizzazione primaria.

- con il quindicesimo motivo si contesta l’affermazione della Soprintendenza secondo cui “le opere in esame possono incidere negativamente nell’ambito tutelato e alterare la percezione del paesaggio e dei beni tutelati”, la quale costituirebbe un immotivato e tardivo mutamento di indirizzo rispetto alla positiva valutazione che la stessa Soprintendenza aveva espresso sul piano attuativo (e sul relativo “Progetto norma”) nel corso delle conferenze di servizio descritte in narrativa;

- con il diciassettesimo motivo si evidenzia che la Soprintendenza - nell’affermare che le “opere in esame possono incidere negativamente nell’ambito tutelato e alterare la percezione del paesaggio e dei beni culturali” e che “l’intervento risulta particolarmente visibile da numerosi punti di belvedere accessibili al pubblico, a causa delle alterazioni della morfologia del terreno e per l’estensione dello stesso su una amplissima superficie” - cadrebbe in immotivata contraddizione rispetto a proprie precedenti affermazioni di segno opposto, rilasciate anche ad organi di stampa, con cui aveva commentato positivamente l’intervento, ritenendolo compatibile con il rispetto del paesaggio (già ampiamente modificato dall’intervento dell’uomo) e capace di migliorare il traffico della città.

- con il diciannovesimo motivo si denuncia lo sviamento di potere, sul presupposto che le amministrazioni resistenti - con il “pretesto di negare il rinnovo dell’autorizzazione paesaggistica per il completamento delle opere di urbanizzazione” - “stiano in realtà perseguendo il trasparente scopo di impedire la realizzazione dell’accordo di programma e del relativo strumento urbanistico attuativo (anche in violazione dell’art. 8 della l.r. n. 8/2004)”, il che emergerebbe dal fatto che le stesse amministrazioni non si sono pronunciate sulla perdurante validità dell’originaria autorizzazione paesaggistica, non hanno preso in considerazione le sentenze di questa Sezione che si erano pronunciate positivamente sulla realizzabilità del progetto, hanno erroneamente attribuito alla sentenza n. 1366/2011 del Consiglio di Stato valenza preclusiva, hanno riproposto ricostruzioni giuridiche (in ordine soprattutto alla non applicabilità dell’art. 15 delle N.T:A. del P.P.R.) già smentite dalle sopra richiamate sentenze passate in giudicato e, infine, invocano la necessità di una nuova intesa pur sapendo che la stessa già esiste ed è costituita dall’accordo di programma.

Le doglianze sono prive di pregio.

Essendo già stata smentita nella sostanza la maggior parte dei richiamati assunti di parte ricorrente, è ora sufficiente osservare come l’errore di fondo sia, ancora una volta, quello di trascurare le importanti sopravvenienze giuridiche intervenute dopo gli accordi di programma - in primo luogo la “reviviscenza” del vincolo paesaggistico di perimetrazione - che giustificano pienamente la scelta di attendere l’intesa di cui all’art. 49 delle N.T.A. del P.P.R. e spiegano il lamentato “mutamento di indirizzo”.

Al riguardo deve ancora precisarsi che:

- quel vincolo fu per la prima volta impresso nel settembre 2006, con l’approvazione del PPR, per cui tutte le precedenti valutazioni positive sull’attuabilità dell’intervento (sia quelle relative all’autorizzazione paesaggistica del 1999 che quelle contenute negli accordi di programma) furono espresse prima della sua istituzione e non poterono, quindi, tenerne conto;

- successivamente il medesimo vincolo fu annullato dalle sentenza n. 2241/2007 di questa Sezione e ancora dopo “risuscitato” dalla sentenza n. 1366/2011 del Consiglio di Stato, per cui neppure nei quattro anni dal 2007 al 2011 la Soprintendenza avrebbe potuto tenerne conto;

- viceversa quest’ultima, non appena ha avuto occasione di pronunciarsi successivamente (proprio con gli atti impugnati in questa sede), l’ha fatto nei termini che ora la ricorrente contesta, forte della reviviscenza del vincolo determinata dalla suddetta sentenza del Consiglio di Stato, difatti ampiamente citata in motivazione, il che spiega perfettamente i lamentati “mutamenti di indirizzo” ed esclude ogni possibile contraddittorietà.

Del resto già si è osservato, soprattutto in relazione al secondo motivo, che la scadenza del termine quinquennale di efficacia dell’autorizzazione paesaggistica consente alla Soprintendenza di valutare nuovamente, ed allo stato attuale, la compatibilità degli interventi proposti con le esigenze di tutela del paesaggio, tutto ciò nell’ambito della più generale prospettiva secondo cui il potere-dovere di controllo e autorizzazione paesaggistica (seppur nei limiti della logicità e dell’onere di adeguata motivazione) è sostanzialmente immanente e consente all’amministrazione - pur in presenza di atti che in precedenza hanno radicato interessi privati all’utilizzazione del territorio - l’adozione dei nuovi e diversi provvedimenti che risultino necessari alla piena tutela dei beni affidati alle sue cure (in questi stessi termini cfr. T.A.R. Sardegna, Sez. II, 29 febbraio 2012, n. 256; Consiglio Stato, Sez. VI, 8 febbraio 2000, n. 677).

Ciò esattamente ha fatto la Soprintendenza, la quale - dimostrando così una particolare “diligenza motivazionale” - non si è limitata (come pure avrebbe potuto) a rilevare il sopravvenuto e ineludibile contrasto fra l’intervento programmato e le misure di salvaguardia del P.P.R., bensì ha fondato il proprio parere negativo anche su autonome considerazioni in ordine all’incompatibilità paesaggistica dell’intervento proposto (cfr. il paragrafo 1 sul contenuto degli atti procedimentali), ulteriormente illustrate dal Direttore del Servizio regionale in sede di esame delle osservazioni endoprocedimentali di Coimpresa.

Infine, come già si è osservato anche nella più volte richiamata sentenza di questa Sezione n. 421/2012, lo strumento più idoneo per risolvere l’obiettivo contrasto tra aspettative privatistiche e persistente interesse pubblico alla tutela dei beni paesaggistici coinvolti appare proprio quello dell’intesa ex art. 11 delle NTA del P.P.R. fra tutte le amministrazioni interessate alla tutela ed alla gestione dell’area di Tuvixeddu - Tuvumannu (cui ovviamente anche la ricorrente dovrà essere chiamata a contribuire), che assume pertanto una funzione (non già meramente formale, bensì) sostanziale, in quanto strumento idoneo all’individuazione di soluzioni in grado di conciliare le contrapposte esigenze.

Pertanto le censure in esame non meritano di essere condivise.

VI. Le censure di illegittimità derivata (quarta, sesta, decima e dodicesima censura).

Infine con la quarta, la sesta, la decima e la dodicesima censura si deduce l’illegittimità in via derivata del provvedimento regionale di diniego e del parere negativo della Soprintendenza, in ragione dei vizi che inficerebbero i presupposti atti endoprocedimentali.

Tali doglianze non meritano accoglimento per le ragioni già esposte in relazione agli altri motivi di ricorso, cui si fa integrale riferimento.

Per quanto premesso il ricorso è infondato e deve essere, quindi, respinto.

Sussistono comunque giusti motivi per una integrale compensazione delle spese di giudizio, considerata la particolare complessità della vicenda, sotto il profilo giuridico e fattuale.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in epigrafe proposto.

Spese compensate..

Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 24 ottobre 2012 con l'intervento dei magistrati:

Tito Aru, Presidente

Antonio Plaisant, Consigliere, Estensore

Gianluca Rovelli, Primo Referendario

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 15/01/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)