Cass. Sez. III n. 10238 del 12 marzo 2024 (UP 15 feb 2024)
Pres. Ramacci Rel. Scarcella Ric. Hoxha
Urbanistica.Opere in difformità totale
Integra il reato di cui all'articolo 44, comma primo, lettera b) e, secondo i casi, lettera c), d.P.R., 6 giugno 2001, n. 380, anche la realizzazione di abusi edilizi non eseguiti in difformità "totale" o eseguiti in variazione essenziale rispetto al titolo abilitativo, giustificandosi una tale interpretazione onde evitare "zone franche" di impunità, dovendosi, pertanto, intendere il riferimento letterale della disposizione all'esecuzione di lavori in "difformità totale" come limitato alle sole ipotesi in cui la difformità non configuri anche una violazione delle norme urbanistiche. A norma del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31 (e già della L. n.47 del 1985, art. 7), devono ritenersi eseguite in totale difformità dal permesso di costruire quelle opere "che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, plano-volumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l'esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile".
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 27 aprile 2023, la Corte d’appello dell’Aquila confermava la sentenza del Tribunale di Pescara del 24 febbraio 2021, appellata da Azime Hoxha e Krasniqui Jusuf, ritenuti colpevoli del reato di cui all’art. 44, lett. b), Tu Edilizia per aver realizzato abusivamente una serie di interventi edilizi, meglio descritti nell’imputazione, condannandoli alla pena di 3 mesi di arresto ed euro 300 di ammenda, riconoscendo agli stessi i doppi benefici di legge, ed ordinando la demolizione delle opere abusive realizzate.
2. Avverso la sentenza impugnata nel presente procedimento, i predetti hanno proposto congiunto ricorso per cassazione tramite il comune difensore di fiducia, deducendo un unico, articolato, motivo, di seguito sommariamente indicato.
2.1. Deducono, con tale unico motivo, il vizio di violazione di legge e quello di motivazione.
In sintesi, si duole la difesa dei ricorrenti per aver la Corte d’appello affermato la loro responsabilità in maniera oggettiva. I giudici avrebbero omesso di significare, alla luce dell’asserito e non meglio precisato esubero della volumetria, se ed in quali termini le opere realizzate abbiano o meno comportato un intervento che abbia avuto una significativa rilevanza urbanistica consistente nell’aumento del c.d. carico urbanistico. Inoltre, aggiunge la difesa, la consistenza dell’intervento costituisce solo uno dei parametri di valutazione, assumendo rilievo anche altri elementi, tra cui la totale assenza di titolo abilitativo o il grado di difformità dallo stesso, le modalità di esecuzione dell’intervento. Diversamente, alla luce dei titoli autorizzativi di cui i ricorrenti disponevano (permesso di costruire n. 250/07; permesso di costruire n. 016/14; denuncia id inizio attività acquisita a protocollo n. 130345 del 16.10.2015; certificato di agibilità del 18.01.2017 acquisito a protocollo n. 13527), l’approccio valutativo dei giudici di merito avrebbe dovuto condurre ad una qualificazione della fattispecie conferente al disposto normativo di cui agli artt. 44, 31 e 32, d.P.R. n 380 del 2001, riguardo al concetto di parziale difformità. Quanto alla modifica funzionale dell’uso, relativa alla destinazione d’uso del garage, sottolinea la difesa come non qualsiasi modifica funzionale dell’uso può dirsi rilevante, ma quella prettamente collegata all’aumento del carico urbanistico proprio della singola zona, aumento che spesso non è rilevato unicamente da una considerazione strettamente tecnica e quantitativa nel mutamento dei rapporti fissati dalla legge, ma anche da valutazioni in ordine alla qualità dello squilibrio che potrebbe essere provocato da siffatto mutamento. Il concetto stesso di mutamento d’uso è strettamente connesso per la difesa a quello di carico urbanistico, non avendo rilievo a fini urbanistici il mero passaggio da una ad un’altra destinazione d’uso rientrante nelle varie destinazioni d’uso consentite dallo strumento urbanistico ma, piuttosto, andrebbe considerato unitariamente all’incidenza dell’attività d’uso sul c.d. carico urbanistico in quanto le diverse utilizzazioni degli immobili comportano differenti carichi urbanistici. La sentenza avrebbe quindi omesso la necessaria analisi del presunto grado di difformità delle opere realizzate in relazione alla loro presunta incidenza sul carico urbanistico, limitandosi piuttosto a stigmatizzarle alla stregua di un non meglio precisato “esubero volumetrico”. In sostanza, si sarebbero considerate le singole opere realizzate anziché l’intervento costruttivo da valutarsi non in maniera frammentaria bensì unitariamente e nel suo complesso, in base a quanto dispone l’art. 31, TU Edilizia. Il giudizio valutativo delle opere realizzate avrebbe dovuto involgere l’unicità dell’intervento edilizio al fine di verificarne eventualmente l’incidenza nel suo insieme sul carico urbanistico alla luce dei diversi elementi valutativi per poi valutarne il grado di offensività nel suo complesso, stante il riferimento normativo dell’art. 31 citato alla nozione di organismo edilizio. Non possono quindi considerarsi come comportanti variazioni essenziali ex art. 31, TU edilizia quegli interventi che incidono sull’entità delle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative, come di fatto sarebbe avvenuto nel caso di specie, in quanto le operazioni di ristrutturazione hanno riguardato opere (portico a piano terra; garage a piano terra; ripostiglio; una manufatto accessorio al primo piano), che avrebbero comportato mere integrazioni funzionali senza incidere sul carico urbanistico e sul piano volumetrico dell’immobile, trattandosi di mera redistribuzione spaziale delle opere assentite. Si svolgono, infine, in ricorso censure sia con riferimento al rigetto della richiesta di applicazione dell’art. 131-bis, c.p. che della richiesta di derubricazione della fattispecie, con conseguente riduzione della pena, non ravvisandosi secondo la difesa ragioni ostative.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta in data 23.12.2023, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Va premesso secondo il PG che la difesa ha proposto una diversa "disamina dei fatti", con valutazioni di merito, proposte a dispetto della denuncia di vizi motivazionali, che peraltro sono stati indicati cumulativamente ("mancanza, o manifesta illogicità della motivazione"), in contrasto con il principio più volte enunciato dal Giudice di legittimità per il quale i vizi della motivazione si pongono «in rapporto di alternatività, ovvero di reciproca esclusione, posto che - all'evidenza - la motivazione, se manca, non può essere, al tempo stesso, né contraddittoria, Oltremodo, le doglianze replicano i motivi le doglianze esaminati dalla sentenza di appello. Si tratta, pacificamente, di interventi che rientrano a pieno titolo nella nozione di totale difformità. I Giudici di merito conformemente asseriscono adeguatamente che le opere edilizie illecite contestate implicavano “sia un consistente esubero della volumetria abitativa, rispetto a quelle che erano state le previsioni del progetto, sia una modifica qualitativa dell'edificio realizzato (con la chiusura del portico, la realizzazione del ripostiglio ..), oltre che funzionale (modifica della destinazione d'uso del garage”. La motivazione è adeguata e conforme ai principi esegetici in materia. La definizione di totale difformità è contenuta nell'articolo 31 del TU edilizia, il quale precisa che sono interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l'esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile. La giurisprudenza (Sez. 3, n. 40541 del 18/6/2014, Cinelli e altri, Rv. 260652) ha già chiarito che l'espressione "organismo edilizio" indica sia una sola unità immobiliare, sia una pluralità di porzioni volumetriche e la difformità totale può riconnettersi tanto alla costruzione di un corpo autonomo, quanto all'effettuazione di modificazioni con opere, anche soltanto interne, tali da comportare un intervento che abbia rilevanza urbanistica in quanto incidente sull'assetto del territorio attraverso l'aumento del c.d. "carico urbanistico". Difformità totale può aversi, inoltre, anche nel caso di mutamento della destinazione d'uso di un immobile o di parte di esso, realizzato attraverso opere implicanti una totale modificazione rispetto al previsto. Attività tutte oggettivizzate nella specie. Il riferimento alla "autonoma utilizzabilità" non impone che il corpo difforme sia fisicamente separato dall'organismo edilizio complessivamente autorizzato, ma ben può riguardare anche opere realizzate con una difformità quantitativa tale da acquistare una sostanziale autonomia rispetto al progetto approvato. La difformità totale si verifica allorché si costruisca "aliud pro alio" e ciò è riscontrabile allorché i lavori eseguiti tendano a realizzare opere non rientranti tra quelle consentite, che abbiano una loro autonomia e novità, oltre che sul piano costruttivo, anche su quello della valutazione economico-sociale. Nel caso di specie, i giudici dell'appello hanno preso in considerazione l'effettiva consistenza delle opere, dando conto degli elementi di fatto sui quali hanno fondato le loro conclusioni, tenendo comunque conto dei rilievi difensivi concernenti il calcolo delle altezze, dei volumi e del numero dei piani. I motivi sono diretti ad ottenere una rivalutazione di elementi già presi adeguatamente in considerazione dai giudici di merito, riducendosi ad una mera contestazione delle risultanze emerse dalla motivazione, senza la prospettazione di elementi puntuali, precisi e di immediata valenza esplicativa tali da dimostrare un'effettiva carenza motivazionale su punti decisivi del gravame (ex plurimis, Sez. 5, n. 34149 del 11/06/2019, Rv. 276566; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970). Va ricordato, in punto di diritto, che la rilevabilità del vizio di motivazione soggiace alla verifica del rispetto delle seguenti regole: a) il vizio deve essere dedotto in modo specifico in riferimento alla sua natura (contraddittorietà o manifesta illogicità o carenza), non essendo possibile dedurre il vizio di motivazione in forma alternativa o cumulativa; infatti non può rientrare fra i compiti del giudice della legittimità la selezione del possibile vizio genericamente denunciato, pena la violazione dell'art. 581, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 39138 del 10/09/2019; Sez. 2, n. 37298 del 28/06/2019); b) per il disposto dell'art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., il vizio della motivazione deve essere desumibile dalla lettura del provvedimento impugnato, nel senso che esso deve essere "interno" all'atto-sentenza e non il frutto di una rivisitazione in termini critici della valutazione del materiale probatorio, perché in tale ultimo caso verrebbe introdotto un giudizio sul merito valutativo della prova che non è ammissibile nel giudizio di legittimità. Ne discende, che è onere della parte indicare il punto della decisione che è connotata dal vizio, mettendo in evidenza nel caso di contraddittorietà della motivazione i diversi punti della decisione dai quali emerga il vizio denunciato che presuppone la formulazione di proposizioni che si pongono in insanabile contrasto tra loro, posto che l'accoglimento dell'una esclude l'altra e viceversa (Sez. 2, n. 11992 del 10/04/2020; Sez. 1, n. 53600 del 24/11/2016 - dep. 2017, Rv. 271635). Sovviene ulteriormente che il vizio di motivazione deve presentare il carattere della essenzialità, nel senso che la parte deducente deve dare conto delle conseguenze del vizio denunciato rispetto alla complessiva tenuta logico- argomentativa della decisione. Infatti, sono inammissibili, come nella specie, tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965). La Corte territoriale motiva adeguatamente il profilo di responsabilità sui conferenti rilievi e sulle inferenze deducibili. Del tutto generica è la doglianza, nemmeno manifesta della mancata attribuzione dell’art. 131 bis c.p. e della mancata derubricazione del reato, aspecificamente e del tutto genericamente esposta. né manifestamente illogica e, per converso, la motivazione viziata non è motivazione mancante» (così Sez. U, n. 24591 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027; Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, Onofri, Rv. 277518).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi, trattati cartolarmente, in assenza di istanza di discussione orale, a norma dell’art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, e successive modifiche ed integrazioni, sono inammissibili per manifesta infondatezza e genericità.
2. Ed invero, pur nella sinteticità del suo apparato argomentativo, la sentenza impugnata ha risposto alle identiche doglianze dei ricorrenti (riproposte, si noti, in maniera pedissequa dinanzi a questa Corte senza alcun apprezzabile elemento di novità critica), sottolineando come le difformità riscontrate e riportate nel capo di imputazione, furono tali da implicare sia un consistente esubero della volumetria abitativa rispetto a quelle che erano state le previsioni progettuali, sia una modifica qualitativa dell’edificio realizzato (attraverso la chiusura del portico, la realizzazione del ripostiglio, etc.), oltre che funzionali (il riferimento è alla modifica della destinazione d’uso del garage).
I giudici di appello hanno ritenuto, pertanto, condivisibile la sentenza di primo grado laddove ha ritenuto che gli interventi edilizi in questione, valutati nel loro complesso, dovessero essere realizzati in totale difformità del titolo abilitativo.
2.1. Le censure della difesa, pertanto, si appalesano anzitutto generiche per aspecificità, non confrontandosi adeguatamente con le argomentazioni svolte nella sentenza d’appello, limitandosi a riproporre le doglianze difensive già svolte in appello, esponendosi il motivo a tale vizio. Si è infatti più volte affermato da parte di questa Corte che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev'essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell'art. 591 comma 1 lett. c), all'inammissibilità (tra le tante: Sez. 4, n. 5191 del 29/03/2000, Rv. 216473 – 01).
2.2. Il motivo è peraltro giuridicamente inconsistente.
La difesa articola sostanzialmente le sue doglianze sostenendo che non ricorressero le condizioni per considerare come eseguiti in totale difformità dai titoli abilitativi gli interventi edilizi in questione, alla luce della previsione normativa di cui all’art. 31, Tu edilizia.
Va premesso che è senz’altro condivisibile l’assunto difensivo secondo cui, ai fini della rilevanza dell’opera, la stessa debba essere valutata nella sua unitarietà. Si tratta di principio più volte ribadito da questa Corte, che ha infatti affermato che in tema di reati edilizi, la valutazione dell'opera, ai fini della individuazione del regime abilitativo applicabile, deve riguardare il risultato dell'attività edificatoria nella sua unitarietà, non potendosi considerare separatamente i singoli componenti (Sez. 3, n. 21192 del 04/04/2023, Rv. 284626 – 01). Proprio il principio di unitaria valutazione è stato ribadito anche con riferimento ad opere in grado di non assumere rilevanza penale se esaminate autonomamente, eppure suscettibili di integrare, proprio in ragione della necessaria valutazione complessiva, interventi richiedenti titoli abilitativi corrispondenti al permesso di costruire o ad atti ad esso equivalenti (Sez. 3, n. 30147 del 19/04/2017 Rv. 270256 - 01; Sez. 3, n. 16622 del 08/04/2015, Rv. 263473 - 01).
Orbene, quanto alla configurazione dell'elemento materiale del reato, la sentenza impugnata, richiamandosi nella sostanza alla condivisa motivazione della sentenza di primo grado (dovendosi ricordare che la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione: Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Rv. 257595 – 01), con adeguata motivazione priva di vizi di manifesta illogicità, ha chiarito che gli interventi edilizi realizzati (chiusura del portico e realizzazione di una cucina; modifica della destinazione d’uso del garage, uso divenuto residenziale; realizzazione di un ripostiglio con aumento volumetrico e modifica prospettica non prevista in progetto; realizzazione di un ulteriore manufatto al piano terra e sua copertura così da adibirla a terrazzo; realizzazione di una scala in legno di collegamento tra piano terra e primo piano; prolungamento del balcone al primo piano al piano retrostante del fabbricato; sostituzione della scala retraibile di collegamento tra il primo piano e quello sottotetto con una scala in cemento armato non prevista nel progetto; presenza al piano sottotetto di quattro finestre, di cui quella prevista risulta più grande diversamente da quanto previsto nel progetto; diversa realizzazione del muro di contenimento retrostante al fabbricato) integrano l'elemento materiale del reato contestato, trattandosi di interventi che, non ricompresi nel titolo abilitativo o indicati in misura notevolmente diversa, necessitavano ex se del permesso di costruire, nella specie mancante. Per gli interventi assistiti da titolo abilitativo ma non risultati difformi da quanto assentito, la Corte territoriale ed il primo giudice si sono in realtà attenuti al principio affermato da questa Sezione, dal quale non vi è motivo per discostarsi, secondo cui integra il reato di cui all'articolo 44, comma primo, lettera b) e, secondo i casi, lettera c), d.P.R., 6 giugno 2001, n. 380, anche la realizzazione di abusi edilizi non eseguiti in difformità "totale" o eseguiti in variazione essenziale rispetto al titolo abilitativo, giustificandosi una tale interpretazione onde evitare "zone franche" di impunità, dovendosi, pertanto, intendere il riferimento letterale della disposizione all'esecuzione di lavori in "difformità totale" come limitato alle sole ipotesi in cui la difformità non configuri anche una violazione delle norme urbanistiche (Sez. 3, n. 46475 del 13/07/2017, Rv. 271172 – 01; Sez. 3, n. 35728 del 18/05/2011, Filippini, Rv. 251233).
A norma del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31 (e già della L. n.47 del 1985, art. 7), devono ritenersi eseguite in totale difformità dal permesso di costruire quelle opere "che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, plano-volumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l'esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile".
3. La difformità totale si verifica, dunque, allorché si costruisca "aliud pro alio", e ciò è riscontrabile allorché i lavori eseguiti tendano a realizzare opere non rientranti tra quelle consentite, che abbiano una loro autonomia e novità, oltre che sul piano costruttivo, anche su quello della valutazione economico-sociale.
Il concetto di difformità parziale si riferisce, invece, ad ipotesi, tra le quali possono farsi rientrare gli aumenti di cubatura o di superficie di scarsa consistenza, nonché le variazioni relative a parti accessorie che non abbiano specifica rilevanza e non siano suscettibili di utilizzazione autonoma. Nella previsione legislativa in esame: a) l'espressione "organismo edilizio" indica sia una sola unità immobiliare sia una pluralità di porzioni volumetriche e la difformità totale può riconnettersi sia alla costruzione di un corpo autonomo sia all'effettuazione di modificazioni con opere anche soltanto interne tali da comportare un intervento che abbia rilevanza urbanistica in quanto incidente sull'assetto del territorio attraverso l'aumento del c.d. "carico urbanistico". Difformità totale può aversi, inoltre, anche nel caso di mutamento della destinazione d'uso di un immobile o di parte di esso, realizzato attraverso opere implicanti una totale modificazione rispetto al previsto; b) il riferimento alla "autonoma utilizzabilità" non impone che il corpo difforme sia fisicamente separato dall'organismo edilizio complessivamente autorizzato, ma soltanto che conduca alla creazione di una struttura precisamente individuabile e suscettibile di un uso indipendente, anche se l'accesso a detto corpo sia possibile esclusivamente attraverso lo stabile principale.
4. La fattispecie in oggetto è caratterizzata dalla trasformazione di un immobile attraverso interventi edilizi che hanno comportato, come ben chiarisce la Corte d’appello, un consistente esubero della volumetria abitativa rispetto a quelle che erano state le previsioni del progetto, sia una modifica qualitativa dell’edificio realizzato (il riferimento è, come visto, alla chiusura del portico, alla realizzazione del ripostiglio, etc.), oltre che funzionale (come nel caso della modifica della destinazione d’uso del garage): si profila all’evidenza, pertanto, l'intervenuta realizzazione di opere non rientranti tra quelle autorizzate, per le diverse caratteristiche tipologiche e di utilizzazione, che hanno "una loro autonomia e novità, oltre che sul piano costruttivo, anche su quello della valutazione economico-sociale" (si v., in senso conforme: Sez. 3, n. 11956 del 22/12/2010, dep. 2011, Rv. 249774 – 01).
5. Quanto, poi, al diniego dell’art. 131-bis, c.p. ed alla derubricazione della fattispecie in esame nell’ipotesi di cui alla lett. a) dell’art. 44, d.P.R. n. 380 del 2001, si tratta di censura del tutto generiche, in quanto di natura puramente contestativa.
Le stesse, comunque, sono da ritenersi anche manifestamente infondate, in quanto già la Corte d’appello ne ha escluso la configurabilità considerata l’entità delle opere realizzate. Quanto sopra, quindi, giustifica il giudizio di non particolare tenuità dell’offesa operato dalla Corte territoriale, essendosi già affermato che quando la consistenza dell'opera è tale da escludere in radice l'esiguità del danno o del pericolo, correttamente il giudice nega l'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen. (Sez. 3, n. 33414 del 04/03/2021, Rv. 282328 – 01) mentre, quanto alla richiesta derubricazione, è sufficiente in questa sede rilevare che la qualificazione degli abusi edilizi in termini di difformità totale rispetto all’assentito esclude in radice l’astratta configurabilità della meno grave ipotesi contravvenzionale di cui alla lett. a) dell’art. 44 citato, ammissibile solo per l'inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dalla legge, in quanto applicabili, nonché dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal permesso di costruire, che non rientrino nella previsione della lett. b) dell’art. 44, TU Edilizia, come invece avvenuto nel caso di specie.
6. Ciascun ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella proposizione del ricorso.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 15 febbraio 2024