Cass. Sez. III n. 17114 del 24 aprile 2015 (Ud 16 dic 2014)
Pres. Squassoni Est. Grillo Ric. Bettoni
Urbanistica.Opere di scavo, sbancamento e livellamento del terreno
Le opere di scavo, di sbancamento e di livellamento del terreno, finalizzate ad usi diversi da quelli agricoli, in quanto incidenti sul tessuto urbanistico del territorio, sono assoggettate a titolo abilitativo edilizio. Ciò che connota l'attività di spianamento libera da quella vincolata ad una preventiva autorizzazione è, dunque, la finalità dell'opera, nel senso che solo una migliore sistemazione di un terreno per uso agricolo al fine di una più adeguata coltivazione esula dalla norma urbanistica
RITENUTO IN FATTO
1.1 Con sentenza del 24 febbraio 2014 la Corte di Appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bergamo - Sezione Distaccata di elusone - del 12 novembre 2012 con la quale B. T., imputato dei reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 lett. c), D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 e del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, lett. a), era stato ritenuto colpevole dei detti reati (ad esclusione, limitatamente alla contravvenzione sub A), della realizzazione di due baracche in lamiera e della collocazione di un container), era stato condannato alla complessiva pena di mesi dieci di arresto ed Euro 30.000,00 di ammenda, concedeva al predetto imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena subordinato alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi, confermando nel resto.
1.2 Per l'annullamento della sentenza ricorre il B. a ministero del proprio difensore di fiducia deducendo specifici motivi a sostegno che qui si riassumono.
Con un primo motivo si deduce la nullità della sentenza con riferimento alle statuizioni relative al reato di cui al capo C) per erronea applicazione e/o inosservanza del D.Lgs. n. 152 del 2006 e del D.M. 9 maggio 2003, n. 203, nonchè per vizio di travisamento della prova e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla qualificazione, come rifiuto, del materiale estratto dall'impresa e posizionato in parte dell'area di proprietà della impresa medesima.
Con un secondo motivo la difesa lamenta la nullità della sentenza con riferimento alle statuizioni concernenti i reati sub A) e B) per erronea applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181.
Con un terzo, ed ultimo, motivo, la difesa lamenta carenza di motivazione in ordine al diniego della richiesta di parziale rinnovazione dell'istruzione dibattimentale e analogo vizio con riferimento al trattamento sanzionatorio ed al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non è fondato. Premessa indefettibile è l'indicazione più dettagliata delle singole imputazioni mosse all'odierno ricorrente, il quale è stato chiamato a rispondere di tre reati specifici. Nel reato sub A) si contesta al B., nella sua qualità di amministratore unico della impresa BETTONI s.p.a. "di avere.......con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, realizzato opere edilizie di seguito indicate in assenza del permesso di costruire e più precisamente per avere realizzato su area di proprietà della società citata (di cui ai mappali 10852, 2154, 3941) un piazzale dell'estensione di circa 3.000 mq. utilizzando per la realizzazione dello stesso materiale litoide proveniente dalla foce del fiume Oglio a Lago d'Iseo, nonchè due baracche in lamiera zincata ed un container su basamento di calcestruzzo". (Fatto accertato in (OMISSIS)).
Proseguendo nell'enunciazione delle contestazioni, al capo B) viene contestato il reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 (sanzionato dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) "per avere, nella rispettiva qualità di cui sopra, eseguito opere indicate al capo a) in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e ambientale in assenza della preventiva autorizzazione prevista dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 146". (Reato accertato in tempo e luogo di cui sopra). In ultimo, al capo C) viene contestato il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, lett. a) "perchè, nella qualità sopraindicata, utilizzando per la realizzazione del piazzale indicato al capo A) che precede ghiaia mista a materiale vario (lattine, bottiglie, sacchetti e legno) derivante dalla vagliatura della sabbia estratta dal lago d'Iseo, effettuava, in assenza delle necessarie autorizzazioni, sull'area di proprietà della società (terreno di cui ai mappali 10852, 2154, 3941) un'attività di stoccaggio di rifiuti speciali non pericolosi per un quantitativo accertato di circa 3.000 me". (Reato accertato in tempo e luogo di cui sopra).
1.1 Con il primo motivo vengono denunciati plurimi vizi non solo di inosservanza e/o erronea applicazione della norma penale, ma anche di manifesta illogicità e travisamento della prova nella qualificazione giuridica della condotta: si contesta, in particolare, che la Corte territoriale avrebbe qualificato come rifiuto il materiale litoide estratto dal lago d'Iseo. La Corte di appello investita della questione sollevata con l'impugnazione ha, anzitutto, riconosciuto che il materiale che l'impresa BETTONI s.p.a. aveva utilizzato per realizzare un piazzale di circa 3.000 mq. corrispondente a quasi 1/5 dell'area di pertinenza della società a ridosso della foce del fiume Oglio (estesa in totale 14.991 mq.) era lo stesso che l'impresa estraeva dal fondo del lago d'Iseo. Secondo la tesi difensiva tale materiale era costituito non solo da ghiaia ed altri componenti litoidi, ma anche da materiale di scarto (plastica, legno, bottiglie, lattine) che venivano separate con apposito processo di vagliatura e riposte in apposito cassone per poi essere smaltito da ditta specializzata. I residui contenuti nel materiale litoide che era stato impiegato per realizzare lo spianamento dell'area e ricavare il piazzale operativo di circa 3.000 mq. erano - sempre secondo la tesi difensiva (rigettata dalla Corte di merito) - di minima entità in quanto ridotti a mere tracce rilevate dai tecnici dell'ARPA nel corso del sopralluogo del 5 marzo 2010.
1.2 La Corte territoriale, pur dando atto dell'esistenza di materiale escavato di natura mista e pur riconoscendo la bontà della tesi difensiva circa la necessità di una operazione preliminare di selezione del materiale attraverso la vagliatura, è però giunta alla conclusione, avvalorata dalla constatazione diretta del teste C. del Corpo Forestale dello Stato e dalle fotografie in atti, che i residui (a detta del ricorrente di trascurabile portata) esistenti nel materiale adoperato per la sistemazione del piazzale erano, invece, in quantità nettamente superiore tanto da notarsi "ad occhio nudo": da qui la considerazione che tale materiale dovesse considerarsi rifiuto, non pericoloso, stoccato sull'area e quindi integrante la fattispecie criminosa indicata nell'art. 152 del 2006.
1.3 Secondo la tesi esposta nel ricorso, la Corte di merito sarebbe incorsa, anzitutto, in un travisamento del bando di gara emanato dalla Regione Lombardia avente ad oggetto l'aggiudicazione dell'appalto per la pulizia della foce del fiume Oglio: tale travisamento sarebbe consistito nella errata indicazione dell'oggetto dell'appalto. Si tratta di un rilievo del tutto infondato - oltre che sostanzialmente irrilevante - in quanto a pag. 5 della sentenza impugnata si riporta correttamente quale fosse l'oggetto del bando (estrazione dalla foce del fiume Oglio) e quale tipo di lavoro estrattivo dovesse effettuare l'impresa.
2. Escluso il travisamento dedotto dal ricorrente, deve anche darsi atto alla Corte di Brescia che il materiale estratto non era solo di origine litoide, ma conteneva residui di altra variegata natura. Vero è - come asserito dal ricorrente - che il D.M. Ambiente 12 agosto 2012, n. 161, art. 1 ultimo cpv., attuativo del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 186, precisa che i materiali da scavo possono contenere anche altri elementi quali calcestruzzo, bentonite, pvc, vetroresina, miscele cementizie e additivi per scavo meccanizzato. Ma La Corte distrettuale ha evidenziato che nel materiale estratto erano presenti componenti quali, legno, lattine e bottiglie che non rientravano di certo nel materiale "aggiuntivo" indicato dal detto art. 1. Non solo, ma quello che è venuto in rilievo e correttamente posto in evidenza dalla Corte di Appello, è la presenza in quantità non trascurabile e superiore alla soglia consentita, di materiale di risulta che ha fatto sì che questo dovesse definirsi rifiuto nel senso precisato dalla normativa di settore. Nessuna manifesta illogicità, pertanto, può rilevarsi nel ragionamento svolto dalla Corte di Appello che ha tratto le debite conseguenze da una serie di elementi oggettivi nemmeno smentiti dalla consulenza di parte fatta espletare dalla difesa.
2.1 Ed a tale proposito la Corte di merito ha anche contestato, con ragionamento che, ancora una volta, si sottrae a critiche di illogicità manifesta, le obiezioni sollevate dalla difesa in correlazione con i contenuti della consulenza tecnica di parte: si legge a pag. 6 della sentenza impugnata che l'allegato citato nella consulenza dell'Ing. F. afferiva alla bonifica dei siti inquinati e che le tabelle di cui all'allegato 5 (pur esse menzionate nella consulenza F.) riguardavano le c.d. "concentrazioni soglia". Correttamente la Corte ha sottolineato come altro è riportare a condizioni di sicurezza un sito contaminato ed altro è classificare i materiali che si trovano presenti nel sito.
2.2 Sul punto la difesa del ricorrente reitera censure cui la Corte di merito ha dato ampia e convincente risposta, proseguendo anzi nell'affermare - contrariamente a quanto osservato dalla Corte - che il materiale depositato dalla impresa BETTONI fosse solo materia prima, mentre è stato precisato in sentenza che, oltre alla materia prima, vi erano altri componenti non consentiti costituenti materiali di scarto da qualificare come rifiuti 2.3 Inoltre la Corte di Brescia, con riferimento al D.M. 8 maggio 2003, n. 203 (D.M. Ministero Ambiente) asseritamente violato secondo la tesi del ricorrente, ha opportunamente rimarcato che tale normativa mira a disciplinare l'uso dei materiali riciclati per la realizzazione di manufatti, traendone, quale conseguenza logica, la conclusione che i materiali riciclati - quali certamente i prodotti di scarto rispetto a quelli di natura litoide -classificabili come "rifiuti derivanti dal post-consumo" (art. 1 lett. a) del detto D.M.) costituiscono rifiuti che debbono essere assoggettati ad un trattamento specifico, con l'ulteriore conseguenza che, laddove impiegati per la realizzazione di manufatti (come, nel caso di specie, il piazzale) integrano il reato di cui all'art. 256 del D.Lgs. n. 152 del 2006 (v. pag. 7 della sentenza impugnata).
2.4 Quanto, poi, all'asserita esistenza dei requisiti richiesti dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184 ter, per far sì che un determinato prodotto venga escluso dalla qualifica di rifiuto, correttamente la Corte di merito ha escluso che tali requisiti, o almeno parte di essi (l'esistenza di un mercato commerciale e l'assenza di impatto per l'ambiente) fossero presenti, avendo sul punto il giudice distrettuale affermato che non può di regola ritenersi oggetto di commercializzazione materiale litoide non correttamente vagliato o separato e che tali rifiuti, per la loro quantità, avevano determinato un impatto negativo sull'ambiente tanto da indurre il Comune interessato ad emettere una serie di ordinanze di rimessione in pristino.
2.5 Il motivo in esame va, pertanto, ritenuto infondato con conseguente rigetto del ricorso sul punto, aggiungendosi, poi, che l'accertamento della natura dei materiali rientra nella cognizione del giudice di merito senza che in questa sede potessero essere sollevate censure volte a riclassificare il materiale medesimo, una volta verificata la correttezza della motivazione.
3. Di più agevole soluzione la questione posta dal ricorrente in merito alla asserita inosservanza della legge penale (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) e D.Lgs. n. 42 del 2004) oggetto del secondo motivo. Anzitutto va osservato che, una volta sgombrato il campo dalla possibilità di escludere dalla categoria di rifiuto il materiale non litoide contenuto nella parte dell'area adibita a piazzale, è logico concludere che si è trattato di materiale di vario genere adoperato (unitamente a quello consentito) per la realizzazione di un'opera nuova diversa, però, dalla situazione originaria del terreno e non limitata - come preteso dalla difesa del ricorrente - all'elisione di alcuni avvallamenti del terreno.
3.1 Come ha avuto modo di precisare la giurisprudenza di questa Corte Suprema, le opere di scavo, di sbancamento e di livellamento del terreno, finalizzate ad usi diversi da quelli agricoli, in quanto incidenti sul tessuto urbanistico del territorio, sono assoggettate a titolo abilitativo edilizio (Sez. 3^ 13.1.2011 n. 4916, Agostini, Rv. 262475; idem 22.2.2012 n. 29466, Batteta, Rv. 253154; idem 11.7.1991 n. 9978, Laviano e altro, Rv. 188229). Ciò che connota l'attività di spianamento libera da quella vincolata ad una preventiva autorizzazione è, dunque, la finalità dell'opera, nel senso che solo una migliore sistemazione di un terreno per uso agricolo al fine di una più adeguata coltivazione esula dalla norma urbanistica (in termini Sez. 3^ 9.3.1994 n. 4722, Gianni, Rv. 198730).
3.2 Nel caso in esame il piazzale è stato realizzato per scopi chiaramente industriali (stoccaggio dei rifiuti provenienti dall'attività estrattiva - pag. 9 della sentenza) come opportunamente posto in rilievo dalla Corte di merito che ha anche evidenziato come il livellamento fosse avvenuto su un'area già oggetto di discarica abusiva, aggiungendosi che "il Piano di caratterizzazione del sito non prevedeva la realizzazione di alcun piazzale ma solo interventi di indagini integrative concernenti il torrente Oglio al fine di dell'adozione del successivo piano di bonifica". Ciò è valso per disattendere la tesi difensiva, riproposta con il ricorso, secondo la quale tale piazzale costituiva una sorta di operazione propedeutica alla bonifica, in quanto, essendo ancora in corso l'iter amministrativo per la predisposizione di tale piano, qualsiasi intervento da effettuare in quel sito doveva essere preventivamente autorizzato (così pag. 8 della sentenza impugnata). La Corte distrettuale non ha poi mancato di rilevare che in prosieguo nessuna autorizzazione è stata poi rilasciata a posteriori ed anzi è stata ordinata la rimessione in pristino dell'area con relativo ordine di bonifica (pag. 9).
4. Sostanzialmente priva di motivi risulta la censura relativa alla imputazione di cui al capo B), avendo, anche su questo punto, la Corte fornito risposte convincenti rispetto alle doglianze difensive sollevate con l'atto di appello: una volta accertata, sulla base di quanto testè considerato, la modificazione dello stato dei luoghi che ha comportato la configurabilità del reato urbanistico, va da sè che quella stessa modificazione ha inciso anche sotto il profilo paesaggistico essendo l'area in esame soggetta a vincolo di tale natura e non avendo il B. richiesto alcuna preventiva autorizzazione alla competente Autorità preposta alla tutela dell'ambiente.
5. In ultimo, sempre con riferimento al terzo motivo, esso è del tutto privo di pregio. Relativamente alla mancata motivazione circa la richiesta di riapertura dell'istruzione dibattimentale, è appena il caso di ricordare che stante l'eccezionalità dell'istituto processuale contemplato nell'art. 603 c.p.p., il mancato accoglimento della richiesta volta ad ottenere detta rinnovazione può essere censurato in sede di legittimità solo quando risulti dimostrata, indipendentemente dall'esistenza o meno di una specifica motivazione sul punto della decisione impugnata, la oggettiva necessità dell'adempimento in questione e, quindi, l'erroneità di quanto esplicitamente o implicitamente ritenuto dal giudice di merito circa la possibilità di "decidere allo stato degli atti", come previsto dall'art. 603 c.p.p., comma 1. In altri termini va dimostrata l'esistenza, nel tessuto motivazionale che sorregge la decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità ricavabili dal testo del medesimo provvedimento (come previsto dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a) e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate qualora fosse stato provveduto, come richiesto, all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in sede di appello. (Cass. Sez., 1^ 28.6.1999 n. 9151, Capitani, Rv. 213923). Inoltre in più occasioni questa Corte ha affermato il principio che l'obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento ricorre solo nel caso di suo accoglimento, mentre quando il Giudice intende respingerla, può anche motivarne implicitamente il rigetto, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare o negare la responsabilità del reo (Sez. 6^ 13.12.2013 n. 11907, Coppola, Rv. 259893; v. anche Sez. 3^ 7.4.2010 n. 24294 D.S.B., Rv. 247872).
5.1 Con riferimento, invece, al diniego delle circostanze attenuanti generiche, la motivazione della Corte non si presta ad alcuna censura nè sul piano della logicità nè sul piano della completezza, in quanto non solo il giudice distrettuale ha sottolineato la gravita della condotta e le sue modalità, ma ha anche dato conto di alcuni precedenti specifici proprio in tema di inquinamento e gestione di rifiuti, così valorizzando dati negativi ritenuti, ben a ragione, ostativi e rispettando, dunque, i parametri richiesti dall'art. 133 c.p., che costituiscono gli elementi di riferimento ai fini del riconoscimento di tal genere di attenuanti.
6. In conclusione il ricorso va rigettato: segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente la pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 24 aprile 2015