Cass. Sez. III n. 15126 del 5 aprile 2018 (Cc 24 ott 2017)
Presidente: Fiale Estensore: Di Nicola Imputato: Settani
Urbanistica.Lottizzazione confisca e doveri del giudice del dibattimento
Un’interpretazione convenzionalmente conforme, cui il giudice nazionale è tenuto, dell'articolo 44, comma secondo, d.p.r. n. 380 del 2001 implica che, in presenza di un sequestro preventivo finalizzato alla confisca urbanistica, il giudice del dibattimento, qualora maturi una causa di estinzione del reato (nel caso di specie, prescrizione), non ha l'obbligo di immediata declaratoria della causa di non punibilità ex articolo 129 del codice di procedura penale. Ulteriore conseguenza è che il giudice del dibattimento può disporre la confisca urbanistica, anche in assenza di una sentenza di condanna ma in presenza del necessario accertamento del reato nelle sue componenti oggettive e soggettive, assicurando alla difesa il più ampio diritto alla prova e al contraddittorio e, a tal fine, deve, pur in presenza di una sopravvenuta causa di estinzione del reato (nel caso di specie, prescrizione), proseguire nell'istruttoria dibattimentale, differendo, se del caso, la declaratoria di estinzione del reato all'esito del giudizio e disponendo la confisca urbanistica a condizione che sia accertato il fatto reato, cioè la lottizzazione abusiva, in tutte le sue componenti oggettive e di imputazione soggettiva almeno colpevole.
RITENUTO IN FATTO
1. È impugnata l’ordinanza indicata in epigrafe con la quale il tribunale del riesame di Trani ha respinto l’appello cautelare proposto dai ricorrenti avverso il rigetto della richiesta di revoca del decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Trani in data 29 novembre 2011 in relazione al reato di cui all’articolo 44, comma 2, lettera c), d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 per avere, in concorso tra loro, eseguito e concorso a far realizzare nel territorio di Barletta, in località Montaltino (…), una trasformazione e alterazione di terreni agricoli sia in via cartolare che esecutiva mediante un piano di lottizzazione illegittimo approvato definitivamente dal consiglio comunale con delibera n. 32 del 4 agosto 2009, finalizzato ad avvantaggiare i proprietari dei suoni e l’impresa esecutrice dei lavori attraverso la realizzazione di villette unifamiliari residenziali su una superficie fondiaria di 417,414 m² con l’allocazione di 46 lotti quasi familiari per un totale di 184 residenze oltre un centro di ristoro e piazza costituente zona di espansione residenziale.
2. Per l’annullamento dell’impugnata sentenza i ricorrenti, tramite il comune difensore, articolano un unico complesso motivo di impugnazione, qui enunciato, ai sensi dell’articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale, nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
Con esso denunciano l’erronea applicazione della legge penale in relazione agli articoli 321 del codice di procedura penale e 44, secondo comma, lettera c), d.p.r. 380 del 2001 con riferimento al combinato disposto degli articoli 158 del codice penale e 129 del codice di procedura penale e, quindi, all’intervenuta prescrizione della contravvenzione di lottizzazione abusiva per cui è stata applicata la misura cautelare, con conseguente preclusione all’accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti e del periculum in mora (articolo 606, comma 1, lettera b) del codice di procedura penale).
Sostengono come il provvedimento impugnato sia gravemente illegittimo e contrario ai principi cardine del nostro ordinamento penale sul rilievo che, al cospetto di un reato pacificamente prescritto, il giudice avrebbe l’obbligo di immediata declaratoria della causa di non punibilità, con la conseguenza che sarebbe precluso l’accertamento dibattimentale dell’illecito, in presenza di una maturata causa di estinzione del reato, anche ai soli fini dell’eventuale disposizione della confisca.
Tale asserzione fonda sul presupposto che il maturare la prescrizione del reato preclude al giudice il compimento di ulteriori accertamenti, qualora l’imputato non rinunci alla causa estintiva, con la conseguenza che, incontestata la maturazione del termine di prescrizione del reato di lottizzazione abusiva in data 28 febbraio 2017, il bene in sequestro dovrebbe essere restituito agli aventi diritto, in assenza di un accertamento di responsabilità preclusivo della possibilità di disporre la confisca urbanistica dei terreni di proprietà dei ricorrenti, come puntualmente affermato dalla Corte Edu con la sentenza Varvara.
L’ordinanza impugnata non avrebbe inoltre considerato che, secondo la giurisprudenza di legittimità, il principio della immediatezza impone al giudice, quando il reato risulta estinto per prescrizione, di pronunciare sentenza di proscioglimento ai sensi dell’articolo 129 del codice di procedura penale, anche se il procedimento si trova nella fase delle indagini preliminari o dell’udienza preliminare, con la conseguenza che presenta una anomalia radicale e una contraddittorietà manifesta il decreto del giudice dell’udienza preliminare che disponga il rinvio a giudizio per un reato, dando contestualmente atto della estinzione dello stesso prescrizione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono infondati.
2. Con il motivo di impugnazione i ricorrenti pongono alla Corte le seguenti e connesse questioni di diritto: 1) se, in presenza di un sequestro preventivo finalizzato alla confisca cd. urbanistica, il giudice del dibattimento, qualora maturi una causa di estinzione del reato (nel caso di specie, prescrizione), abbia o meno l’obbligo di immediata declaratoria, con conseguente definizione del processo e revoca del sequestro dei beni; 2) se tale epilogo sia imposto anche in considerazione del fatto che, in ogni caso, al giudice del dibattimento sia preclusa la possibilità di disporre la confisca cd. urbanistica in assenza di una sentenza di condanna, esito interdetto per effetto di una sopravvenuta causa di estinzione del reato (nel caso di specie, prescrizione); 3) in caso contrario, se e a quali condizioni il giudice del dibattimento, in presenza di una sopravvenuta causa di estinzione del reato (nel caso di specie, prescrizione), possa proseguire nell’istruttoria dibattimentale, differendo la declaratoria di non punibilità all’esito del giudizio e, previo accertamento del reato, disponendo, in presenza delle necessarie condizioni, la confisca urbanistica.
3. Le prime due questioni, come sarà più chiaro in seguito, sono state più volte scrutinate dalla giurisprudenza di legittimità, avendo dato luogo a plurimi, anche recenti, interventi delle Sezioni unite.
3.1. Il primo arresto delle Sezioni unite, che qui rileva, fu preceduto da un indirizzo, non univoco, delle Sezioni semplici secondo il quale l’estinzione del reato (nel caso di specie, si trattava dell’amnistia) non preclude l’applicazione della confisca perché l’effetto normale dell’estinzione del reato circa le misure di sicurezza è espressamente derogato, per quanto concerne la confisca, dal disposto del secondo capoverso dell’articolo 236 del codice penale, con la conseguenza che, nel caso in cui sia dichiarata l’estinzione del reato a seguito di amnistia, la confisca è subordinata all’esistenza, da accertarsi dal giudice, del fatto costituente reato, e tale accertamento non trova ostacolo nell’articolo 592 del codice di procedura penale (abrogato) perché l’indagine da compiere non investe questioni relative all’azione penale bensì l’applicazione di una misura di sicurezza sottratta all’effetto preclusivo dell’amnistia (ex multis, Sez. 3, n. 4215 del 08/01/1980, Schiavo, Rv. 144836).
Invece, secondo l’opposto orientamento, in caso di estinzione del reato (nella specie, si trattava parimenti dell’amnistia), non poteva ritenersi consentita la misura di sicurezza della confisca in rapporto alle cose non suscettibili di confisca obbligatoria (ex multis, Sez. 6, n. 2551 del 24/01/1983, Moneta, Rv. 158032).
Le Sezioni unite Carlea, nel dirimere il contrasto, affermarono il principio, così come si legge nella massima ufficiale, secondo il quale anche nel caso di estinzione del reato, astrattamente non incompatibile con la confisca in forza del combinato disposto degli articoli 210 e 236, comma secondo, del codice penale, per stabilire se debba farsi luogo a confisca deve aversi riguardo alle previsioni di cui all’articolo 240 del codice penale e alle varie disposizioni speciali che prevedono i casi di confisca, potendo conseguentemente questa essere ordinata solo quando alla stregua di tali disposizioni la sua applicazione non presupponga la condanna e possa aver luogo anche in seguito al proscioglimento (Sez. U, n. 5 del 25/03/1993, Carlea, Rv. 193120).
Oggetto della decisione fu, in quell’occasione, la speciale ipotesi di confisca obbligatoria in materia di gioco d’azzardo prevista dall’articolo 722 del codice penale, cosicché la sovrapponibilità tra la formula contenuta nella fattispecie incriminatrice (“è sempre ordinata la confisca del denaro esposto e degli strumenti impiegati nel gioco”) e quella di cui all’articolo 240, comma 2, del codice penale permise alla Corte di sostenere e di precisare che, se si considera che l’articolo 240, comma 1, del codice penale, nel dare al giudice il potere di ordinare “la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto”, esordisce con le parole: “Nel caso di condanna”, e fa di questa una condizione per l'applicazione della misura patrimoniale, ci si convince che il combinato disposto degli articoli 236 e 210 del codice penale non può operare in modo da annullare la condizione, rendendo possibile la confisca anche nel caso di proscioglimento per estinzione del reato. In altre parole, se è vero che l'estinzione del reato non “impedisce l’applicazione” della misura di sicurezza, è pure vero che l'applicazione deve essere resa possibile dalle norme che regolano specificamente la misura, e che se invece questa applicazione non è possibile non lo può diventare solo perché essa in via generale non è esclusa.
Quindi nei casi dell’articolo 240, comma 1 e comma 2, n. 1, come in quello dell’articolo 722 del codice penale, essendo richiesta la condanna, la confisca se il reato è estinto non può essere disposta, mentre a una diversa conclusione deve pervenirsi nel caso dell’articolo 240, comma 2, n. 2, che impone la confisca anche nel caso di proscioglimento. D'altro canto, per disporre la confisca nel caso di estinzione del reato il giudice dovrebbe svolgere degli accertamenti che lo porterebbero a superare i limiti della cognizione connaturata alla particolare situazione processuale, e sotto questo aspetto è apparsa evidente la differenza tra i casi dell’articolo 240, comma 2, n. 2, e gli altri, perché l’articolo 240, comma 2, n. 2, è focalizzato soprattutto sulle caratteristiche delle cose da confiscare, le quali in genere non richiedono accertamenti anomali rispetto all’obbligo dell’immediata declaratoria di estinzione del reato.
3.2. Radicatisi, anche in epoca successiva, ulteriori contrasti in seno alla giurisprudenza di legittimità, le Sezioni unite intervennero nuovamente e, sulla scia (almeno apparentemente) del precedente arresto, affermarono, il principio di diritto così massimato: “L’estinzione del reato preclude la confisca delle cose che ne costituiscono il prezzo, prevista come obbligatoria dall'articolo 240, comma secondo, n. 1, del codice penale” (Sez. U, n. 38834 del 10/07/2008, De Maio, Rv. 240565).
Nel pervenire a tale conclusione in ordine alla soluzione del quesito specifico riguardante la confisca del prezzo del reato in una vicenda relativa a dissequestro, disposto in sede esecutiva, in favore di imputato di corruzione commessa prima dell’entrata in vigore della L. 29 settembre 2000 n. 300 e dichiarata prescritta, le Sezioni Unite De Maio, tuttavia, ripresero un passaggio motivazionale delle Sezioni unite Carlea ossia quello secondo il quale «per disporre la confisca nel caso di estinzione del reato il giudice dovrebbe svolgere degli accertamenti che lo porterebbero a superare i limiti della cognizione connaturata alla particolare situazione processuale» e considerarono come tale affermazione dovesse essere aggiornata, anche alla luce di un sistema processuale, che si era sviluppato attraverso molteplici modifiche legislative ed incisive evoluzioni giurisprudenziali.
Nel motivare il predetto convincimento, le Sezioni unite De Maio posero opportunamente in evidenza come al giudice fossero riconosciuti ampi poteri di accertamento del fatto nel caso in cui ciò dovesse rendersi necessario ai fini di una pronuncia sull’azione civile; nel caso dell’articolo 425, comma 4, del codice di procedura penale, che prevede uno specifico ampliamento dei poteri del giudice dell'udienza preliminare, il quale può pronunciare sentenza di non luogo a procedere anche se ritiene che dal proscioglimento dovrebbe conseguire l'applicazione della misura di sicurezza della confisca; in relazione poi a diversi casi disciplinati dalla legislazione speciale e così proprio in tema di lottizzazione abusiva, dove l’articolo 44, comma 2, d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, stabilisce che il giudice penale dispone la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite, con la «sentenza definitiva», che «accerta che vi è stata lottizzazione abusiva›› e, allo stesso modo, come nel caso del reato di contrabbando ex articolo 301, d.p.r. 23 gennaio 1973, n. 43 che, al comma 1, dispone «nei casi di contrabbando è sempre ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono l'oggetto ovvero il prodotto o il profitto››, concludendo come questi brevi richiami consentissero «di affermare che, rispetto all'obbligo dell'immediata declaratoria di estinzione del reato, la circostanza che il giudice possa procedere ad accertamenti non può affatto considerarsi in linea di principio “anomala”».
3.3. L’istituto della confisca, incrementandosi progressivamente con applicazioni niente affatto limitate alle fattispecie codicistiche e assumendo, secondo i casi, aspetti poliedrici, ha posto sul tappeto ulteriori questioni che hanno radicato successivi contrasti giurisprudenziali e hanno visto recenti interventi da parte della giurisprudenza europea, della giurisprudenza costituzionale e nuovamente delle Sezioni unite penali con la sentenza Lucci.
Prendendo le mosse da tale ultimo arresto giurisprudenziale (più volte richiamata anche dal difensore dei ricorrenti nel corso della discussione della causa), in quanto si è occupato funditus degli approdi cui sono giunti la Corte Edu e la Corte Costituzionale proprio con riferimento alla confisca urbanistica, occorre subito chiarire come questa specifica tipologia di confisca abbia costituito occasione per consentire alle Sezioni unite di mettere a punto il concetto di “condanna”, quello di “pena” ed il correlativo problema connesso alla individuazione della natura del provvedimento ablativo, nella funzionale prospettiva della confisca del prezzo del reato, oltre che della confisca di valore (costituenti l’oggetto della pronuncia), e solo incidenter tantum (e come tramite interpretativo) con riferimento alla peculiare figura della confisca dei terreni oggetto di lottizzazione abusiva, con la conseguenza che gli esiti cui sono giunte le Sezioni unite Lucci non possono essere, ad avviso del Collegio, esportabili in toto nella materia disciplinata dalla confisca urbanistica, laddove hanno ritenuto necessaria la statuizione di una precedente pronuncia di condanna nel caso di declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, quale condizione affinché il giudice possa disporre, a norma dell’articolo 240, comma secondo, n. 1 del codice penale, la confisca del prezzo e, ai sensi dell’articolo 322-ter del codice penale, la confisca diretta del prezzo o del profitto del reato e sempre che l’accertamento relativo alla sussistenza del reato, alla penale responsabilità dell'imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come prezzo o profitto sia rimasto inalterato nel merito nei successivi gradi di giudizio (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264434).
In sintesi, le Sezioni unite della Corte di cassazione (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, cit., in motiv., 16 ss.) hanno premesso che i diversi connotati che possono caratterizzare l’istituto della confisca, che può essere disposta per differenti motivi ed essere rivolta a soddisfare varie finalità, fino ad assumere di volta in volta natura e funzione di pena, o di misura di sicurezza, ovvero anche di misura amministrativa, impongono di condurre l’analisi non avendo come riferimento un archetipo valido in assoluto, dovendo invece concentrarsi sulla particolare ipotesi di confisca, così come positivamente disciplinata dalla legge.
Ciò premesso, le Sezioni unite hanno affermato come una tale metodologia imponga, da una parte, di uscire da tentativi definitori onnicomprensivi, e, dall’altra, di evitare di ritenere che la stessa semantica delle norme – magari ambigua e lacunosa – possa ritenersi l’unico parametro di apprezzamento di un “sistema” aggrovigliato, nel quale i profili di diritto sostanziale non di rado si confondono e stratificano con la dinamica del processo: “e ciò, in particolare, quando venga in discorso la declaratoria di prescrizione, anodìna quanto ad accertamento del fatto e della responsabilità, ed anch’essa riferita ad un istituto che risente non poco di una sua antica storia che lo ha visto spesso in bilico tra il diritto penale e quello processuale”.
Tant’è che, in una serie di ipotesi previste dalla legge processuale, alla sentenza di proscioglimento non soltanto non corrisponde un accertamento di innocenza ma, al contrario, si presuppone un previo accertamento di responsabilità (Corte costituzionale, sentenza n. 85 del 2008; es. prescrizione nel regime anteriore alla legge 5 dicembre 2005, n. 251), conseguente al riconoscimento di circostanze; al proscioglimento per cause di non punibilità legate a condotte o accadimenti post factum; al proscioglimento per concessione del perdono giudiziale, che si traduce – per communis opinio – in una vera e propria affermazione di responsabilità; al proscioglimento per difetto di imputabilità; alla sentenza di non luogo a procedere ex articolo 26 del d.P.R. n. 448 del 1988 nei confronti dei minorenni; nonché, da ultimo, alla sentenza con la quale l’imputato venga prosciolto in quanto non punibile ai sensi dell’articolo 131-bis del codice penale, introdotto dall’articolo 1 d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28.
Ne consegue che se la prescrizione non è concettualmente incompatibile con un accertamento di responsabilità idoneo a legittimare l’applicazione di una misura ablatoria e se, ancora, la inapplicabilità della misura renderebbe il sistema “scoperto” sul versante della tutela di diritti anch’essi di rango costituzionale, così come evidenziato dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 49 del 2015, l’opzione interpretativa del giudice comune deve orientarsi per quella soluzione che, nel rispettare i principi convenzionali – per come “interpretati” dalla Corte di Strasburgo – si collochi in una linea che risulti integralmente satisfattiva anche e soprattutto dei valori costituzionali che, altrimenti, risulterebbero compromessi.
Difatti, con la sentenza n. 49 del 2015, il Giudice delle leggi, chiamato a pronunciarsi su una questione di legittimità costituzionale dell’articolo 44, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, denunciato, in riferimento agli artt. 2, 9, 32, 41, 42 e 117 Cost., nella parte in cui in forza proprio della interpretazione della Corte europea dei diritti dell'uomo, tale disposizione «non può applicarsi nel caso di dichiarazione di prescrizione del reato anche qualora la responsabilità penale sia stata accertata in tutti i suoi elementi», pur pervenendo, per ragioni varie, ad una declaratoria di inammissibilità della questione, ha offerto una serie di affermazioni di indubbio rilievo, evidenziando come il dovere del giudice comune di interpretare il diritto interno in senso conforme alla CEDU «è, ovviamente, subordinato al prioritario compito di adottare una lettura costituzionalmente conforme, poiché tale modo di procedere riflette il predominio assiologico della Costituzione alla CEDU», e confermando – sulla scia di precedenti pronunce relative proprio al tema della confisca urbanistica – il principio secondo il quale «nel nostro ordinamento, l'accertamento ben può essere contenuto in una sentenza penale di proscioglimento dovuto a prescrizione del reato, la quale, pur non avendo condannato l'imputato, abbia comunque adeguatamente motivato in ordine alla responsabilità personale di chi è soggetto alla misura ablativa, sia esso l'autore del fatto, ovvero il terzo in mala fede acquirente del bene».
Su questa scia, non sarebbe di per sé «escluso che il proscioglimento per prescrizione possa accompagnarsi alla più ampia motivazione sulla responsabilità, ai soli fini della confisca del bene lottizzato». Motivazione che non costituirebbe una facoltà del giudice, «ma un obbligo dal cui assolvimento dipende la legalità della confisca». Più in generale, è stato rilevato che la questione da risolvere, alla luce di una interpretazione «costituzionalmente e convenzionalmente conforme», consiste nello stabilire se il giudice europeo allorché si esprime «in termini di “condanna”, abbia a mente la forma del pronunciamento del giudice, ovvero la sostanza che necessariamente si accompagna a tale pronuncia, laddove essa infligga una sanzione criminale ai sensi dell'art. 7 della CEDU, vale a dire l'accertamento della responsabilità».
Come è noto, la Corte europea dei diritti dell’uomo 29 settembre 2013, Varvara c. Gov. Italia ha deciso la questione diretta a stabilire se le garanzie convenzionali risultino o meno violate dall’applicazione della confisca urbanistica non più mediante una sentenza di assoluzione (come nel caso Sud Fondi c. Italia), bensì mediante una sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione.
Ribadita la qualificazione della misura come sanzione “penale” ai fini della Convenzione e dei suoi protocolli (in precedenza, Corte E.D.U., 9 febbraio 1995, Welch c. Regno Unito e Corte E.D.U., 8 giugno 1995, Jamil c. Francia), la Corte europea ha ritenuto, anche nel caso in questione, violato il principio di legalità in materia penale di cui all’articolo 7 CEDU, in ciò risultando assorbito il profilo di violazione – pure dedotto dai ricorrenti – dei principi del fair trial di cui all’articolo 6 CEDU: conseguentemente ha ritenuto violato pure il diritto di proprietà di cui all’articolo 1 Prot. 1 CEDU, in conseguenza dell’avvenuta compressione del diritto medesimo ad opera di una sanzione penale illegittimamente applicata.
Secondo i giudici europei sarebbe inconcepibile un sistema in cui una persona dichiarata innocente o, comunque, senza alcun grado di responsabilità penale constatata in una sentenza di colpevolezza subisca una pena, in quanto “[...] la logica della “pena” e della “punizione”, e la nozione di “guilty” (nella versione inglese) e la corrispondente nozione di “personne coupable” (nella versione francese) depongono a favore di un’interpretazione dell’articolo 7 che esige, per punire, una dichiarazione di responsabilità da parte dei giudici nazionali, che possa permettere di addebitare il reato e di comminare la pena al suo autore”.
I giudici di Strasburgo hanno quindi operato un collegamento fra il concetto di “colpevolezza”, intesa come rimproverabilità di un soggetto per un comportamento, e la necessità che tale comportamento sia accertato in una sentenza di condanna, cui devono essere collegate le garanzie previste dall’articolo 7 della Convenzione.
In considerazione di ciò, la Corte costituzionale ha allora osservato come «sia proprio l'accertamento della responsabilità a premere al giudice europeo» laddove nella stessa sentenza Varvara la pena è evocata proprio come conseguenza dell’accertamento della responsabilità, concludendo dunque nel senso che «simili espressioni linguisticamente aperte ad un'interpretazione che non costringa l'accertamento di responsabilità nelle sole forme della condanna penale, ben si accordano sul piano logico con la funzione, propria della Corte EDU, di percepire la lesione del diritto umano nella sua dimensione concreta, quale che sia stata la formula astratta con cui il legislatore nazionale ha qualificato i fatti». E, come già puntualizzato, «nell’ordinamento giuridico italiano la sentenza che accerta la prescrizione del reato non denuncia alcuna incompatibilità logica o giuridica con un pieno accertamento di responsabilità».
4. Dopo aver preso atto degli orientamenti espressi dalla giurisprudenza di legittimità nella sua più autorevole espressione e riprendendo il filo del discorso con specifico riferimento alle questioni poste con il gravame, occorre dunque interrogarsi, in tema di confisca urbanistica, se ed eventualmente a quali condizioni la misura ablativa possa essere disposta in via generale e più in particolare, essendo questo il thema decidendum, possa essere disposta unitamente ad una sentenza di non doversi procedere per prescrizione emessa, ai sensi dell’articolo 129 del codice di procedura penale, nel corso o, se la prescrizione sia maturata, come si assume nel caso in esame, durante il processo, all’esito dell’istruttoria dibattimentale, questione che, in tale ultimo caso, richiede la soluzione del problema se il giudice, in presenza di un reato prescritto, sia titolare di un generale potere di accertamento della responsabilità per disporre la confisca e quindi se possa o meno continuare a celebrare il processo, acquisendo prove in funzione di quell’accertamento strumentale all’emanazione del provvedimento ablativo.
Sul punto è d’obbligo richiamare la premessa metodologica svolta dalle Sezioni unite Lucci secondo la quale i diversificati aspetti che possono caratterizzare l’istituto della confisca impongono di condurre l’analisi non avendo come riferimento un archetipo valido in assoluto, dovendo invece l’interprete concentrarsi sulla particolare ipotesi di confisca, così come positivamente disciplinata dalla legge.
Come si è visto, sia la sentenza De Maio che la sentenza Lucci hanno ricordato che, in tema di confisca urbanistica, l’articolo 44, comma secondo, d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380 stabilisce che: “La sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva, dispone la confisca dei terreni, abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite …”.
Da ciò consegue che la disposizione normativa, in tema di confisca urbanistica, non opera alcun riferimento alla sentenza penale di condanna per il reato di lottizzazione abusiva.
Si è anche visto che tale mancato riferimento non è del tutto dirimente perché, in considerazione dei principi espressi dalla Corte Edu, ai quali il giudice comune deve prestare piena osservanza, anche la confisca cosiddetta urbanistica, risolvendosi nell’applicazione di una “pena” in colui che la subisce, presuppone un pieno accertamento della responsabilità sia dal punto di vista oggettivo che dal punto di vista soggettivo (Corte E.D.U., 30 agosto 2007, Sud Fondi c. Italia), in maniera che, attraverso l’equo processo, possa risultare vinta la presunzione d’innocenza (Corte E.D.U., 25 settembre 2008, Paraponiaris c. Grecia).
Ciò tuttavia non vuol dire, almeno allo stato, che l’accertamento della responsabilità debba essere necessariamente contenuto in una statuizione di condanna per il reato in ordine al quale si procede, epilogo che appare escluso (non certo in assoluto, ma ope legis ipotizzabile) proprio dal tenore dell’articolo 44, comma secondo, d.p.r. 380 del 2001 nonché dalla ratio legis e dalla natura dell’istituto il quale, come è noto, è sussunto nella categoria riservata alla sanzione amministrativa, sul presupposto che la confisca urbanistica sia istituto ontologicamente diverso dalla confisca disciplinata nell’articolo 240 del codice penale essendo finalizzata ad una espropriazione a favore dell’autorità comunale, a differenza della confisca codicistica che realizza una espropriazione a favore dello Stato, con la conseguenza che la confisca urbanistica rientra, al pari dell’ordine di demolizione delle opere edilizie abusive di cui all’articolo 31, comma 9, D.P.R. 380/2001, nella categoria riservata alla sanzione amministrativa, applicata dal giudice penale in via di supplenza rispetto al meccanismo amministrativo di acquisizione dei terreni lottizzati al patrimonio disponibile del comune (ai sensi dei commi 7 e 8 dell’articolo 30 D.P.R. 380/2001).
E’ evidente come siffatta ricostruzione debba tenere conto delle pronunce della Corte EDU che, vagliando analiticamente la forma della confisca urbanistica alla luce dei principi elaborati dalla stessa Corte, in particolare nella sentenza Welch c. Regno Unito del 9 febbraio 1995, ha ritenuto come la stessa, in ragione degli scopi prevalentemente repressivi che la connotano, abbia natura penale, risultando pertanto attratta nella sfera di applicabilità dell’articolo 7 della Convenzione. Da ciò il corollario che la legge dalla quale scaturisce la possibilità di infliggere una sanzione di tipo penale deve presentare i caratteri della accessibilità e della prevedibilità: vale a dire, da un lato, essa deve essere conoscibile e intelligibile da parte del soggetto al quale si rimprovera la violazione del precetto contenuto nella norma giuridica e, dall’altro, occorre la previsione delle conseguenze sanzionatorie cui si espone il contravventore, sicché, a tal fine, non rileva il nomen iuris o l’inquadramento che un istituto riceve da parte della legislazione nazionale in quanto – ad evitare da parte di queste una “truffa delle etichette” in relazione alla qualificazione giuridica del proprio apparato sanzionatorio mediante il declassamento a livello amministrativo di sanzioni che invece presentano indicatori tali da farle refluire nel terreno delle pene – è necessario procedere ad una disamina concreta delle singole misure, secondo una linea che superi il mero dato formale costituito dalla qualificazione attribuita ad un istituto dalle singole legislazioni nazionali.
Fermi tali principi, che si risolvono nel ritenere che la confisca urbanistica è formalmente una sanzione amministrativa, diversa dalla confisca “tipica”, ma che, sostanzialmente e al tempo stesso, ha natura penale, essendo soggetta dunque all’apparato di garanzie predisposto specificamente per la materia penale, resta fermo anche il dato normativo, contenuto espressis verbis nella legislazione nazionale, secondo il quale, nel processo penale, la confisca urbanistica può essere disposta a seguito di un’azione (penale) di accertamento (dichiarativa) e non necessariamente (anche o solo) di condanna, il che non vuol dire che la declaratoria possa prescindere da un completo e pieno accertamento della responsabilità dell’imputato, come richiesto dalla giurisprudenza di Strasburgo, ma vuol dire che il richiesto accertamento deve essere espletato, per espressa volontà della legge nazionale, anche nell’ipotesi in cui il processo non possa concludersi con una sentenza di condanna in ordine al reato oggetto dell’imputazione penale, cosicché la confisca urbanistica può essere disposta anche in assenza di una statuizione del genere ma all’inderogabile condizione che sia accertato il fatto reato, cioè la lottizzazione abusiva, in tutte le sue componenti oggettive e di imputazione soggettiva colpevole.
Ciò non abilita certo ad un esercizio dell’azione penale di mero accertamento, disgiunta dall’esercizio dell’azione penale di condanna in relazione ad un determinato reato, ma impone di considerare, secondo i principi che informano la teoria generale dell’azione, che la domanda di punizione (l’esercizio cioè della pretesa punitiva statuale in senso stretto e quindi diretta all'applicazione delle cd. “pene principali”) ossia l’azione (penale) di condanna ad una pena detentiva e/o pecuniaria, come azione (penale) di cognizione, presuppone l’accertamento del fatto oggetto dell’imputazione penale e la sua piena riconducibilità, anche soggettiva, alla persona accusata di averlo commesso.
Questo completo accertamento della responsabilità personale - che, di regola, è contenuto nella statuizione di condanna allorquando, esercitata l’azione penale per l’applicazione delle sanzioni espressamente previste dalla norma penale violata, il processo penale procede ordinariamente verso la sua naturale definizione potendo essere applicate, nei casi espressamente previsti dalla legge, anche altre sanzioni di “natura penale”, tipologicamente diverse perché penali-amministrative, accessorie o complementari rispetto all’azione penale in senso stretto - non è precluso (per le misure di sicurezza patrimoniali il principio è positivizzato nell’articolo 236, comma secondo, del codice penale che estende il medesimo principio stabilito dall'articolo 205 del codice penale per le misure di sicurezza personali) dalla presenza di condizioni che impediscono al processo penale di sfociare in una sentenza di condanna a pene principali (come nel caso della sopravvenienza di cause di estinzione del reato), sempre che l’applicazione di una misura afflittiva personale o reale sia prevista obbligatoriamente dalla legge (come nel caso, ad esempio, della confisca urbanistica che, tra l’altro, esplicitamente ammette la sentenza di accertamento nella previsione che la sentenza penale possa accertare la lottizzazione e disporre la confisca a prescindere dalla formale pronuncia di condanna), l’azione penale “principale” sia stata esercitata e la legge non richieda espressamente la pronuncia di una sentenza di condanna o ad essa equiparabile (sentenza di applicazione della pena).
5. Quanto al requisito del previo esercizio dell’azione penale, la Corte regolatrice ha già affermato che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei terreni oggetto di ipotizzata lottizzazione abusiva non può essere legittimamente adottato quando l'esercizio dell’azione penale risulti precluso, essendo già maturata la prescrizione del reato, poiché in tal caso è impedito al giudice di compiere, nell'ambito di un giudizio che assicuri il contraddittorio e la piena partecipazione degli interessati, l’accertamento del reato (nei suoi estremi oggettivi e soggettivi) e della sussistenza di profili quanto meno di colpa nei soggetti incisi dalla misura, presupposto necessario per disporre la confisca anche in presenza di una causa estintiva del reato (Sez. 3, n. 35313 del 19/05/2016, Imolese, Rv. 267534).
6. La questione - circa la compatibilità di un completo accertamento oggettivo e soggettivo della responsabilità da espletare nel contraddittorio delle parti secondo le regole del processo equo (articolo 6 CEDU e articolo 111 della Costituzione) con l'obbligo imposto al giudice, in via generale, dall'articolo 129 del codice di procedura penale di immediata declaratoria di una causa di non punibilità - impone poi di considerare che il riconoscimento, in capo al giudice, di poteri di accertamento - finalizzati all’adozione di una misura che incide negativamente sulla posizione dell’imputato (seppur nella sola sfera patrimoniale dell'interessato) e che presuppone l’accertamento della penale responsabilità del soggetto - rende recessivo il principio generale dell’obbligo di immediata declaratoria di una causa estintiva del reato rispetto al correlativo e coesistente obbligo di accertamento.
Ciò in quanto - essendo proprio detto accertamento richiesto dalla legge (articolo 44, comma 2, d.p.r. n. 380 del 2001) e dovendo la disposizione essere interpretata da parte del giudice nazionale in senso convenzionalmente conforme nel senso che, anche in presenza di una causa estintiva del reato, è necessario, per disporre la confisca urbanistica, procedere all'accertamento del reato (nei suoi estremi oggettivi e soggettivi) e verificare la sussistenza di profili quanto meno di colpa nei soggetti incisi dalla misura - il principio generale risulta implicitamente derogato dalle disposizioni speciali che prevedono l'applicazione di misure le quali, per essere disposte, richiedono inevitabilmente la prosecuzione del processo e la conseguente acquisizione delle prove in funzione di quell’accertamento strumentale all'emanazione del provvedimento finale.
Il che impedisce al giudice (dibattimentale) di ritenersi esonerato dal compiere l'attività istruttoria sulla base delle prove richieste dalle parti o, in quanto assolutamente necessarie, disposte d’ufficio e, al tempo stesso, gli impedisce anche di disporre, previa declaratoria di estinzione del reato, la confisca sulla base degli atti sino a quel punto acquisiti e, dunque, sulla base di un accertamento della responsabilità penale dell'imputato che - parametrato esclusivamente alla confisca - sarebbe compiuto su basi probatorie parziali ed incomplete, così da vulnerare la presunzione d'innocenza nel suo significato più sostanziale.
La conseguenza è che, preclusa la condanna a “pene principali”, residua l'azione di accertamento del reato e della responsabilità dell'imputato finalizzata alla confisca (urbanistica) che impedisce la immediata declaratoria di estinzione del reato di lottizzazione abusiva e, in ogni caso, impedisce l'applicazione della confisca, fermo restando che o il giudice accerta, con la sentenza, che vi è stata lottizzazione abusiva in tutti i suoi estremi oggettivi e soggettivi ed è allora legittimato a disporre la confisca urbanistica oppure l'imputato può maturare, all'esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, con formula assolutoria prevalente rispetto alla causa di estinzione del reato, con conseguente diritto allo svincolo dei beni sequestrati ed il tutto con efficacia di giudicato in altri giudizi.
Sulla base di tale quadro di riferimento, un’interpretazione convenzionalmente conforme, cui il giudice nazionale è tenuto, dell'articolo 44, comma secondo, d.p.r. n. 380 del 2001 implica, ad avviso del Collegio, che, in presenza di un sequestro preventivo finalizzato alla confisca urbanistica, il giudice del dibattimento, qualora maturi una causa di estinzione del reato (nel caso di specie, prescrizione), non ha l'obbligo di immediata declaratoria della causa di non punibilità ex articolo 129 del codice di procedura penale.
Ulteriore conseguenza è che il giudice del dibattimento può disporre la confisca urbanistica, anche in assenza di una sentenza di condanna ma in presenza del necessario accertamento del reato nelle sue componenti oggettive e soggettive, assicurando alla difesa il più ampio diritto alla prova e al contraddittorio e, a tal fine, deve, pur in presenza di una sopravvenuta causa di estinzione del reato (nel caso di specie, prescrizione), proseguire nell'istruttoria dibattimentale, differendo, se del caso, la declaratoria di estinzione del reato all'esito del giudizio e disponendo la confisca urbanistica a condizione che sia accertato il fatto reato, cioè la lottizzazione abusiva, in tutte le sue componenti oggettive e di imputazione soggettiva almeno colpevole.
Tale esegesi deve inoltre ritenersi anche costituzionalmente conforme perché in linea con le pronunce della Corte costituzionale (sentenza n. 49 del 2015 ed ordinanza n. 187 del 2015), la quale ha affermato che la sentenza della Corte EDU nel caso Varvara può essere letta nel senso che la confisca urbanistica non esige una sentenza di condanna da parte del giudice penale, posto che il rispetto delle garanzie previste dalla CEDU richiede solo un pieno accertamento della responsabilità personale di chi è soggetto alla misura ablativa, con la conseguenza che i canoni dell’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente conforme devono orientare il giudice comune ad escludere che la condanna penale costituisca presupposto esclusivo per disporre la confisca urbanistica, non potendosi esigere la condanna penale per l’applicazione di una sanzione di carattere amministrativo (quale è, secondo la giurisprudenza costante, la confisca di una lottizzazione abusiva), per quanto assistita dalle garanzie della “pena” ai sensi dell'art. 7 della CEDU, determinandosi altrimenti l’integrale assorbimento della misura nell’ambito del diritto penale e rappresentando una soluzione di dubbia compatibilità con il <<principio di sussidiarietà, per il quale la criminalizzazione, costituendo l’ultima ratio, deve intervenire soltanto allorché, da parte degli altri rami dell'ordinamento, non venga offerta adeguata tutela ai beni da garantire>> (sentenza n. 487 del 1989; in seguito, sentenza n. 49 del 2015). Il Giudice delle leggi ha poi considerato che, ai fini dell’osservanza della CEDU, rileva non la forma della pronuncia con cui è applicata una misura sanzionatoria ma la pienezza dell’accertamento di responsabilità, tale da vincere la presunzione di non colpevolezza, con la conseguenza che il pieno accertamento della responsabilità personale di chi è soggetto alla misura ablativa è compatibile con una pronuncia di proscioglimento per estinzione del reato conseguente alla prescrizione (sentenze n. 49 del 2015, n. 239 del 2009 e n. 85 del 2008).
Epiloghi, quelli sin qui richiamati, cui era già pervenuta la giurisprudenza di legittimità quando ha affermato che la confisca dei terreni può essere disposta anche in presenza di una causa estintiva del reato (nella specie, della prescrizione), purché sia accertata la sussistenza della lottizzazione abusiva sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell'ambito di un giudizio che assicuri il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati, e che verifichi l'esistenza di profili quantomeno di colpa sotto l’aspetto dell’imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza dei soggetti nei confronti dei quali la misura viene ad incidere (Sez. 3, n. 17066 del 04/02/2013, Volpe, Rv. 255112; Sez. 3, n. 39078 del 13/07/2009, Apponi. Rv. 245347; Sez. 3, n. 30933 del 19/05/2009, Costanza, Rv. 244247; Sez. 3, n. 21188 del 30/04/2009, Casasanta, Rv. 243630).
Da tutto ciò discende come sia del tutto inconferente il richiamo al principio recentemente affermato, ad altri fini, dalle Sezioni Unite secondo il quale l’articolo 129 del codice di procedura penale si muove nella prospettiva di interrompere, allorché emerga una causa di non punibilità, qualsiasi ulteriore attività processuale e di addivenire immediatamente al giudizio, cristallizzando l'accertamento a quanto già acquisito agli atti (Sez. U, n. 28954 del 27/04/2017, Iannelli, in motiv.), in quanto, come si è visto, tale principio trova, nel caso della confisca urbanistica, smentita proprio nella disciplina positiva, come in precedenza ricostruita, e nella necessità di assicurare una interpretazione convenzionalmente e costituzionalmente conforme dell’articolo 44, comma secondo, d.P.R. n. 380 del 2001 in una cornice di tutela dei diritti della persona, non privata di un accertamento in contraddittorio quanto al fatto che vi sia stata o meno lottizzazione e senza che possa risultare pregiudicata l’applicazione della causa estintiva suscettibile di essere superata esclusivamente da una formula di proscioglimento nel merito, qualora si accerti l’insussistenza della lottizzazione.
7. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che i ricorsi debbano essere rigettati, con conseguente onere per i ricorrenti, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 24/10/2017