Cass. Sez. III n. 546 del 11 gennaio 2023 (UP 1 dic 2022)
Pres. Ramacci Est. Reynaud Ric. Terrano ed altri
Urbanistica.Lottizzazione abusiva e modalità di frazionamento di un terreno
Ai fini della integrazione del reato di lottizzazione abusiva il frazionamento di un terreno non deve necessariamente avvenire mediante apposita operazione catastale che preceda le vendite o gli atti di disposizione, ma può realizzarsi con ogni altra forma di suddivisione fattuale dello stesso, essendo sufficiente un insieme di opere che comportano una trasformazione urbanistico-edilizia a scopo edificatorio in grado di conferire all'area un diverso assetto del territorio. Si tratta, per altro verso, di reato a consumazione alternativa, potendo realizzarsi sia quando manchi un provvedimento di lottizzazione, sia quando quest'ultimo sussista ma contrasti con le prescrizioni degli strumenti urbanistici, in quanto grava sui soggetti che predispongono un piano di lottizzazione, sui titolari di concessione, sui committenti e costruttori l'obbligo di controllare la conformità dell'intera lottizzazione e delle singole opere alla normativa urbanistica e alle previsioni di pianificazione
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 18 febbraio 2002, la Corte d’appello di Roma, disattendendo i gravami proposti dagli imputati odierni ricorrenti, ha confermato la condanna alle pene di legge loro inflitta per i reati, riuniti nel vincolo della continuazione, di lottizzazione abusiva e realizzazione di opere in zona sismica in assenza dell’autorizzazione del Genio Civile, con confisca dell’area lottizzata e delle costruzioni sulla stessa realizzate. Le contestazioni si riferiscono all’abusiva installazione su un terreno agricolo acquistato dagli imputati in regime di comunione pro indiviso di quattro moduli prefabbricati aventi destinazione abitativa – ciascuno composto da tre vani, due wc e un porticato – e per aver realizzato sul medesimo terreno opere accessorie, tra cui la suddivisione del lotto, con paletti in ferro e rete metallica, in quattro aree, di cui la prima di comune accesso e le altre tre quali aree giardinate a servizio delle strutture abitative.
2. Avverso detta sentenza, a mezzo del comune difensore fiduciario, i tre imputati hanno proposto unitario ricorso per cassazione, deducendo, con un unico motivo, l’erronea applicazione della legge penale e la carenza di motivazione per essere stata ritenuta la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva benché si trattasse di case mobili solo posizionate sul terreno, destinate a soddisfare esigenze meramente temporanee e contingenti e ad essere rimosse col finire della stagione estiva. Quanto alle altre opere realizzate, i ricorrenti deducono trattarsi di opere parimenti precarie soggette al regime dell’edilizia libera, comprese le recinzioni, destinate non già a frazionare il lotto, bensì al contenimento di animali domestici. Contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, non vi era dunque stata alcuna permanente trasformazione urbanistica o edilizia del fondo, che non era stato frazionato e che, peraltro, ricade in un villaggio residenziale urbanizzato. La motivazione sulla sussistenza del reato di lottizzazione abusiva, inoltre, era del tutto carente, potendo al più essere sufficiente per ritenere le case mobili come opere in senso proprio.
Da ultimo, si contesta la sentenza impugnata per aver ritenuto applicabile la sospensione dei termini di prescrizione connessa alla pandemia da Covid-19, dovendo ritenersi il reato prescritto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Nella parte in cui contesta la ritenuta sussistenza del reato di lottizzazione abusiva, il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza, genericità e perché proposto per motivi non consentiti.
2. A quest’ultimo proposito rileva il Collegio che i ricorrenti si sono sostanzialmente limitati a riproporre i motivi sollevati con l’appello – pressoché testualmente riprodotti nel ricorso per cassazione e, peraltro, già in origine alquanto generici – benché gli stessi fossero stati adeguatamente e correttamente vagliati dalla Corte territoriale, senza confrontarsi realmente con le argomentazioni spese nella doppia decisione conforme e sollecitando anche una diversa valutazione delle prove e ricostruzione del fatto.
2.1. In diritto va osservato che la genericità del ricorso sussiste non solo quando i motivi risultano intrinsecamente indeterminati – ciò che nella specie pure si verifica – ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568) e nella conforme decisione di primo grado, le cui strutture giustificative si saldano per formare un unico complessivo corpo argomentativo (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615). In particolare, i motivi del ricorso per cassazione – che non possono risolversi nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito – si devono considerare non specifici, ma soltanto apparenti, quando omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e aa., Rv. 243838), sicché è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l'indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata, e dalla conforme sentenza di primo grado, e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425).
Alla Corte di cassazione, poi, sono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507), così come non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D’Ippedico e a., Rv. 271623; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362).
2.2. Ciò premesso, osserva il Collegio che l’impugnazione si limita a muovere generiche contestazioni in fatto circa la pretesa temporaneità delle opere realizzate, che la Corte territoriale – con valutazione di merito qui non altrimenti sindacabile – ha non illogicamente escluso tenendo conto della (non contestata) natura degli insediamenti abitativi quale più sopra descritta, del fatto che le case erano posizionate su blocchi di cemento e allacciate alla rete idrica ed elettrica (alla luce della più accurata ricostruzione del fatto operata nella sentenza di primo grado, va ritenuto un mero “refuso”, del quale i ricorrenti neppure si dolgono, il riferimento all’allacciamento fognario anziché elettrico contenuto nella sentenza impugnata), del loro inserimento in un contesto ambientale di tipo palesemente residenziale. Nella conforme sentenza di primo grado si sottolineano anche le modalità di raccolta dei reflui in appositi serbatoi, la delimitazione con recinzioni dell’unico lotto in quattro distinte aree, la realizzazione di camminamenti esterni.
Dopo aver attestato la natura non temporanea delle suddette opere – che gli imputati, anche in questa sede, hanno contestato senza tuttavia addurre alcun elemento oggettivo a sostegno dell’opposta tesi, se non un’indimostrata volontà di rimuovere le case al termine della stagione estiva per ricoverarle in un non meglio individuano “capannone” – la sentenza impugnata ha confermato l’incompatibilità dell’insediamento abitativo realizzato con la destinazione agricola del fondo, che i ricorrenti avevano acquistato soltanto un anno prima. Anche questa circostanza viene inammissibilmente e del tutto genericamente negata in questa sede come già lo fu nel giudizio di appello.
3. Premesso che la sussistenza della contravvenzione contestata al capo B non viene fatta oggetto di specifica doglianza, osserva inoltre il Collegio come sia certamente corretta la conclusione circa sussumibilità della descritta situazione di fatto nel ritenuto reato di lottizzazione abusiva, senza che le generiche contestazioni mosse dagli imputati - sia nell’appello, sia nel presente giudizio di legittimità – inficino tale valutazione. Anzi, proprio la genericità della contestazione mossa sul punto dagli appellanti a fronte dei corretti rilievi al proposito contenuti nella sentenza di primo grado giustifica il sintetico giudizio di conferma sul punto contenuto nella sentenza qui impugnata.
3.1. Ed invero, va rammentato, sul piano del diritto sostanziale, che la lottizzazione abusiva, configurabile con riferimento a zone di nuova espansione o scarsamente urbanizzate relativamente alle quali sussiste un'esigenza di raccordo con il preesistente aggregato abitativo e di potenziamento delle opere di urbanizzazione (Sez. 3, n. 6629 del 07/01/2014, Giannattasio e aa., Rv. 258932), è contravvenzione a consumazione anticipata. In particolare, il reato è integrato non solo dalla trasformazione effettiva del territorio, ma da qualsiasi attività che oggettivamente comporti anche solo il pericolo di una urbanizzazione non prevista o diversa da quella programmata (Sez. 2, n. 22961 del 29/03/2017, De Vigili e a., Rv. 270177, relativa ad ipotesi di lottizzazione negoziale; Sez. 3, n. 37383 del 16/07/2013, Desimine e aa, Rv. 256519, relativa ad ipotesi di lottizzazione materiale concretizzatasi in lavori interni di redistribuzione degli spazi, finalizzati alla trasformazione in appartamenti di un complesso immobiliare con precedente destinazione d'uso alberghiera), sempreché si tratti d’interventi mirati alla realizzazione di opere che, per caratteristiche o dimensioni, siano idonee a pregiudicare la riserva pubblica di programmazione territoriale (Sez. 3, n. 15404 del 21/01/2016, Bagliani e a., Rv. 266811). Ai fini della integrazione del reato di lottizzazione abusiva, poi, il frazionamento di un terreno non deve necessariamente avvenire mediante apposita operazione catastale che preceda le vendite o gli atti di disposizione, ma può realizzarsi con ogni altra forma di suddivisione fattuale dello stesso, essendo sufficiente un insieme di opere che comportano una trasformazione urbanistico-edilizia a scopo edificatorio in grado di conferire all'area un diverso assetto del territorio (Sez. 3, n. 36397 del 17/04/2019, Taranto, Rv. 277169-02; Sez. 3, n. 6180 del 04/11/2014, dep. 2015, Di Stefano, Rv. 262387). Si tratta, per altro verso, di reato a consumazione alternativa, potendo realizzarsi sia quando manchi un provvedimento di lottizzazione, sia quando quest'ultimo sussista ma contrasti con le prescrizioni degli strumenti urbanistici, in quanto grava sui soggetti che predispongono un piano di lottizzazione, sui titolari di concessione, sui committenti e costruttori l'obbligo di controllare la conformità dell'intera lottizzazione e delle singole opere alla normativa urbanistica e alle previsioni di pianificazione (Sez. U, n. 5115 del 28/11/2001, dep. 2002, Salvini, Rv. 220708; Sez. 3, n. 33051 del 10/05/2017, Puglisi e aa., Rv. 270645).
3.2. Le sentenze di merito hanno fatto buongoverno degli evidenziati principi, e i ricorrenti, eccependo del tutto genericamente l’erronea applicazione della legge penale con gli argomenti più sopra riassunti, non si confrontano in alcun modo con i consolidati orientamenti interpretativi appena richiamati e non precisano le ragioni per cui, nel caso di specie, gli stessi non dovrebbero trovare applicazione.
4. Venendo all’unica doglianza proposta ex novo in questa sede rispetto all’appello – vale a dire all’errore in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale nel non dichiarare la prescrizione dei reati – deve parimenti rilevarsene l’inammissibilità per genericità e manifesta infondatezza.
4.1. I ricorrenti si limitano a contestare «l’applicabilità, al presente procedimento, della sospensione della decorrenza di termini prescrizionali generalizzata dalla pandemia».
Tenendo conto dell’affermazione al proposito contenuta a pag. 2 della sentenza impugnata, che reputa sussistente un periodo di sospensione del corso della prescrizione pari a 121 giorni, determinato da 58 giorni di sospensione per il rinvio per legittimo impedimento del difensore dall’udienza del 5 febbraio a quella del 1° aprile 2020, sommati a “63 giorni dovuti alla sospensione generalizzata causa COVID”, la doglianza può bensì essere riferita a quest’ultima affermazione, che certamente non è corretta, ma si tratta di doglianza comunque non dirimente e per questo generica.
Ed invero, nel caso di specie le circostanze richiamate nella sentenza impugnata attestano un complessivo periodo di sospensione del corso della prescrizione pari a 96 giorni, vale a dire i 56 (e non 58) conseguenti all’indicato rinvio dell’udienza e l’ulteriore periodo di sospensione ex lege di 40 giorni, connesso alla pandemia da Covid-19, sino all’11 maggio 2020. Anche tenendo conto di tale più ridotto periodo di sospensione, rispetto al termine quinquennale ordinario spirato il 16 dicembre 2021, i reati non sarebbero dunque stati prescritti alla data di pronuncia della sentenza d’appello (18 febbraio 2022).
4.2. La doglianza, inoltre, è comunque manifestamente infondata poiché dagli atti risultano due ulteriori cause di sospensione del corso della prescrizione – conseguenti ai rinvii dal 17 aprile al 16 ottobre 2019 e dal 5 luglio al 4 novembre 2020 – che addirittura escludono ad oggi l’estinzione dei reati contestati.
5. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., oltre all'onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle ammende della somma equitativamente fissata in Euro 3.000,00 per ciascun ricorrente.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 1° dicembre 2022.