Cass. Sez. III n. 41169 del 7 novembre 2024 (CC 3 ott 2024)
Pres. Ramacci Rel. Aceto Ric. Pizzo
Urbanistica.Inammissibilità del condono edilizio richiesto per immobile fittiziamente frazionato

Non è ammissibile il condono edilizio di una costruzione quando la richiesta di sanatoria sia presentata frazionando l'unità immobiliare in plurimi interventi edilizi, in quanto è illecito l'espediente di denunciare fittiziamente la realizzazione di plurime opere non collegate tra loro, quando invece le stesse risultano finalizzate alla realizzazione di un unico manufatto e sono a esso funzionali, sì da costituire una costruzione unica

RITENUTO IN FATTO

            1. Pizzo Maria, Pizzo Anna e Pizzo Gerardo, eredi di La Pietra Teresa, ricorrono congiuntamente, con atto a firma del comune difensore, per l’annullamento dell’ordinanza del 23 aprile 2024 della Corte di appello di Napoli che, pronunciando in sede esecutiva, ha rigettato la richiesta di sospensione/revoca dell’ingiunzione a demolire emessa dal Pubblico ministero in esecuzione della sentenza n. 3087/1998 della medesima Corte di appello che aveva irrevocabilmente condannato La Pietra Teresa alla pena ritenuta di giustizia per il reato di cui all’art. 20, lett. c, legge n. 47 del 1985, e aveva contestualmente ordinato la demolizione del manufatto abusivamente realizzato.
                1.1. Con il primo motivo deducono la violazione e l’erronea applicazione dell’art. 32 d.l. n. 269 del 2003, convertito con modificazioni dalla legge n. 362 del 2003, nonché il vizio di motivazione e la violazione dell’art. 666, comma 5, cod. proc. pen., sotto il profilo dell’omesso esercizio dei poteri istruttori, attivabili d’ufficio dal giudice dell’esecuzione per verificare l’esatto volume dell’opera oggetto di richiesta di condono edilizio (essendo errati i calcoli del CT del PM) e le ragioni per le quali il Comune da quasi venti anni non ancora si pronuncia sull’istanza. 
                1.2. Con il secondo motivo deducono la violazione e l’erronea applicazione dell’art. 31, comma 5, d.P.R. n. 380 del 2001, nonché il vizio di motivazione e la violazione dell’art. 666, comma 5, cod. proc. pen., sotto il profilo dell’omesso esercizio dei poteri istruttori, attivabili d’ufficio dal giudice dell’esecuzione per verificare la persistente sussistenza degli interessi pubblici ostativi alla demolizione dell’immobile.


CONSIDERATO IN DIRITTO

            2. I ricorsi sono inammissibili.

            3. La Corte di appello, premesso che l’istanza di condono era stata presentata il 7 ottobre 2004, ha escluso la possibilità di sanare l’opera ostandovi la volumetria complessivamente sviluppata che supera i 3.000 mc, giusta relazione tecnica prodotta dal PM, laddove le relazioni tecniche della difesa fanno riferimento esclusivamente alla superficie complessiva dell’immobile. Sotto altro profilo, la Corte di appello sottolinea il lungo lasso di tempo intercorso dalla domanda di condono senza alcun esito attuale.
                3.1. I ricorrenti se ne dolgono deducendo, con il primo motivo, l’errore di calcolo effettuato dal consulente del Pubblico ministero, il travisamento delle proprie relazioni tecniche e comunque l’omessa attivazione di poteri istruttori del giudice dell’esecuzione finalizzati a superare le incertezze sul punto.
                3.2. I rilievi sono generici, manifestamente infondati e inammissibilmente volti ad un riesame dei fatti indicati dal giudice di merito a sostegno della propria decisione.
                3.3. In primo luogo deve essere precisato che, ai sensi dell’art. 32, comma 25, d.l. n. 269 del 2003, convertito con modificazioni dalla legge n. 326 del 2003, il volume di 3000 mc costituisce il limite alla condonabilità dell’unico immobile per il quale siano state presentate più richieste, fermo restando che la singola domanda di condono non può mai avere ad oggetto costruzioni residenziali superiori a 750 mc. (Cons. St., Sez. VII, n. 8594 del 29/09/2023; Cons. St., Sez. VI, n. 1090 del 10/03/2014; Cons. St., Sez. IV, n. 211 del 15/01/2013).
                3.4. Ne deriva che la domanda di condono avanzata da La Pietra Teresa e, successivamente, dall’erede Pizzo Giuseppe non avrebbe mai potuto riguardare un immobile superiore, per volumetria, a 750 mc, con la conseguenza della assoluta irrilevanza della questione posta.
                3.5. Ma anche a ritenere, in via ipotetica, che le domande fossero più d’una (è ipotesi che, però, non trova riscontro nemmeno nelle deduzioni difensive), la presentazione di plurime istanze di sanatoria relative a distinte unità immobiliari, ciascuna non eccedente i 750 mc., costituisce artificioso frazionamento della domanda, in caso di nuova costruzione di volumetria inferiore a 3.000 mc., la cui realizzazione sia ascrivibile, come nel caso di specie, ad un unico soggetto (Sez. 3, n. 2840 del 18/11/2021, dep. 2022, Vicale, Rv. 282887 - 01; Sez. 3, n. 27977 del 04/04/2019, Caputo, Rv. 276084 - 01, secondo cui nel caso di bene immobile in comproprietà, per il quale non sia stata operata alcuna divisione né costituito un distinto diritto di proprietà su una porzione dello stesso, la presentazione di distinte istanze di sanatoria da parte di diversi soggetti legittimati in forza degli artt. 6 e 38, comma 5, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, richiamati dall'art. 39, comma 6, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, costituisce un frazionamento artificioso della domanda, da imputare ad un unico centro sostanziale di interesse onde non consentire l'elusione del limite legale di volumetria dell'opera per la concedibilità della sanatoria; nello stesso senso, Sez. 3, n. 44596 del 20/05/2016, Boccia, Rv. 269280 - 01; Sez. 3, n. 12353 del 02/10/2013, Cantiello, Rv. 259292 - 01; Sez. 3, n. 20161 del 19/04/2005, Merra, Rv. 231643 - 01).
                3.6. Più in generale costituisce insegnamento consolidato della Corte di cassazione quello secondo il quale non è ammissibile il condono edilizio di una costruzione quando la richiesta di sanatoria sia presentata frazionando l'unità immobiliare in plurimi interventi edilizi, in quanto è illecito l'espediente di denunciare fittiziamente la realizzazione di plurime opere non collegate tra loro, quando invece le stesse risultano finalizzate alla realizzazione di un unico manufatto e sono a esso funzionali, sì da costituire una costruzione unica (Sez. 3, n. 20420 del 08/04/2015, Esposito, Rv. 263639 - 01; Sez. 3, n. 33796 del 23/06/2005, Brigante, Rv. 232481 - 01; Sez. 3, n. 10500 del 02/07/1998, San Martino, Rv. 211856 - 01; Sez. 3, n. 8548 del 26/04/1999, La Mantia, Rv. 214280 - 01, secondo cui, in materia di condono edilizio, ogni edificio deve intendersi come un complesso unitario che fa capo ad un unico soggetto legittimato e le istanze di oblazione eventualmente presentate in relazione alle singole unità che compongono tale edificio devono esser riferite ad una unica concessione in sanatoria, che riguarda quest'ultimo nella sua totalità. Ciò in quanto la ratio della norma è di non consentire l'elusione del limite legale di consistenza dell'opera per la concedibilità della sanatoria, attraverso la considerazione delle singole parti in luogo dell'intero complesso edificatorio).  
                3.7. Di qui, come detto, l’irrilevanza della questione relativa alle effettive dimensioni volumetriche nel manufatto perché, anche a ritenere che sviluppasse 2961,97 mc., resta il fatto che la iniziale domanda di condono riguardava il fabbricato nella sua interezza di dimensioni, dunque, di gran lunga superiori a 750 mc.

            4. Esclusa la condonabilità dell’opera, i ricorrenti non hanno interesse e coltivare il secondo motivo (ritenuto, invece, fondato dal Procuratore generale).
                4.1. La deliberazione consiliare con cui il Comune, nei termini e con i limiti indicati dall’art. 31, comma 5, d.P.R. n. 380 del 2001, dichiara l’esistenza di prevalenti interessi pubblici presuppone, logicamente e giuridicamente, l’acquisizione del bene e dell’area di sedime al patrimonio dell’ente (art. 31, comma 3, d.P.R. n. 380, cit.).
                4.2. I ricorrenti, dunque, di certo non sono attualmente proprietari dell’immobile sul quale non possono vantare alcun diritto.
                4.3. Secondo l’ormai consolidato e prevalente orientamento della Corte di cassazione, l'ingiustificata inottemperanza all'ordine di demolizione dell'opera abusiva ed alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi entro novanta giorni dalla notifica dell'ingiunzione a demolire emessa dall'Autorità amministrativa determina l'automatica acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell'opera e dell'area pertinente, indipendentemente dalla notifica all'interessato dell'accertamento formale dell’inottemperanza (Sez. 3, n. 17418 del 04/04/2023, Vicinanza, Rv. 284661 - 01; Sez. 3, n. 1163 del 15/11/2016, dep. 2017, Notarstefano, Rv. 268737 - 01; Sez. 3, n. 23718 del 08/04/2016, Pacera, Rv. 267676 - 01; Sez. 3, n. 22237 del 22/04/2010, Gotti, Rv. 247653 - 01; Sez. 3, n. 39075 del 21/05/2009, Bifulco, Rv. 244891 - 01; Sez. 3, n. 1819 del 21/10/2008, Ercoli, Rv. 242254 - 01).
                4.4. Ne consegue che l'acquisizione al patrimonio del Comune dell'immobile abusivo fa venir meno l'interesse alla revoca o alla sospensione dell'ordine di demolizione in capo al responsabile dell’illecito (Sez. 3, n. 35203 del 18/06/2019, Centioni, Rv. 277500 - 01; Sez. 3, n. 45432 del 25/05/2016, Ligorio, Rv. 268133 - 01).
                4.5. La sorte dell’immobile (ormai non più condonabile) non è più nelle mani dei ricorrenti (che non hanno, né mai hanno avuto, alcuna relazione qualificata con il bene) bensì del Comune di Ottaviano, l’unico eventualmente titolato a interloquire con l’Autorità Giudiziaria sulla demolizione del manufatto ormai di sua proprietà e sulla effettiva e persistente sussistenza dell’interesse a mantenerlo per prevalenti interessi pubblici, ove mai fosse stata adottata, come nel caso di specie, una delibera in tal senso (adottata dal Comune il 31 luglio 2017).
                4.6. Restano in ogni caso valide e non sindacabili in questa sede le considerazioni della Corte di appello sulla attuale insussistenza di tale interesse, fondandosi tale valutazione sul fatto che nel mese di novembre dell’anno 2023, il Comune di Ottaviano aveva avviato le procedure per il reperimento dei fondi necessari alla demolizione del manufatto. 
                4.7. Le conclusioni del Giudice dell’esecuzione non sono manifestamente infondate e non sono sindacabili in questa sede deducendo l’omesso esercizio di poteri istruttori sul punto, non costituendo tale omissione violazione di legge deducibile come tale in sede di legittimità.
                4.8. Peraltro, sul punto, la difesa è contraddittoria.
                4.9. Il tema di prova non approfondito riguarderebbe l’intenzione effettiva del Comune di Ottaviano di dar corso o meno alla delibera consiliare del luglio 2017, delibera contraddetta dalla più recente manifestazione della volontà dell’Ente di procedere alla demolizione del manufatto avviando - come detto - procedure per il reperimento di fondi.
                4.10. Orbene, l’approfondimento si renderebbe necessario, a dire dei ricorrenti, perché il 22 aprile 2024 (il giorno prima dell’udienza, stigmatizza la Corte di appello) una cooperativa aveva manifestato l’interesse ad avere in assegnazione l’immobile per utilizzo sociale. Come correttamente osservato dal Giudice dell’esecuzione, la provenienza della richiesta contrasta con la tesi della indiscussa titolarità del manufatto in capo alI ricorrenti ma sopratutto, aggiunge la Corte di cassazione, prova la natura inammissibilmente esplorativa del richiesto approfondimento istruttorio sia perché l’atto utilizzato dalla difesa non proviene dall’Ente e non è suscettibile di manifestarne la volontà, sia perché tende a sollecitare l’esame di un argomento di prova futuro ed eventuale (la decisione dell’ente sulla richiesta).

                5. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., essendo essa ascrivibile a colpa dei ricorrenti (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente nella misura di € 3.000,00. Il Collegio intende in tal modo esercitare la facoltà, introdotta dall’art. 1, comma 64, legge n. 103 del 2017, di aumentare, oltre il massimo edittale, la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso considerate le ragioni della inammissibilità stessa come sopra indicate.


P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 03/10/2024.