Cass. Sez. III n. 41814 del 7 novembre 2022 (UP 19 ott 2022)
Pres. Ramacci Est. Corbetta Ric. Ciuti
Urbanistica.Falsa asseverazione di conformità delle opere agli strumenti urbanistici ed al regolamento edilizio comunale

Qualora all’imputato, nella veste di progettista, sia contestato di avere, nella relazione tecnica allegata ad una domanda di sanatoria ex art. 37 d.P.R. n. 380 del 2001, asseverato una conformità delle opere agli strumenti urbanistici ed al regolamento edilizio comunale non corrispondente al vero, a nulla rileva che le opere, dopo la presentazione della SCIA, non furono realizzate, stante la natura istantanea dell’atto in esame, il quale ha natura di “certificato” ex art. 481 cod. pen.  per quel che riguarda non solo la descrizione dello stato dei luoghi e la ricognizione di eventuali vincoli esistenti sull’area oggetto dell’intervento edilizio, ma anche, e soprattutto, la rappresentazione delle opere che si intendono realizzare e loro conformità agli strumenti urbanistici ed al regolamento edilizio.


RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello di L’Aquila confermava la decisione del Tribunale di Teramo, la quale aveva condannato Alessandro Ciutti alla pena ritenuta di giustizia per il reato di cui all’art. 481 cod. pen., in relazione all’art. 29, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001, perché, quale tecnico incaricato di avviare per conto e nell’interesse della M4 s.r.l. il procedimento amministrativo finalizzato alla sanatoria degli interventi edilizi analiticamente descritti negli elaborati grafici e tecnici allegati alla Segnalazione Certificata Inizio Attività, presentata ai sensi dell’art. 37 d.P.R. n. 380 del 2001 presso i competenti uffici del Comune di Sant’Egidio alla Vibrata (prot. N. 5711 del 23 aprile 2014), attestava falsamente nella relazione tecnica che si trattava di opere di natura e di consistenza tali da non incidere sui parametri urbanistici e sulle volumetrie e che, quindi, avrebbero potuto essere autorizzate ai sensi dell’art. 22, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, sebbene gli interventi realizzati e da sanare avessero comportato un aumento di superfici edificabili e volumetrie sia al piano terra, sia al piano sottotetto a seguito della modifica dei solai interni ai vari piani e della realizzazione di soppalchi che avrebbero potuto essere autorizzate unicamente con permesso di costruire (art. 60 del regolamento edilizio).

2. Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, tramite il difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett.  c), cod. proc. pen. in relazione all’art. 521 cod. proc. pen. per violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata e sentenza. Espone il difensore che la Corte di merito avrebbe erroneamente rigetto il motivo di appello incentrato sulla violazione dell’art. 521 cod. proc. pen., posto che  Tribunale aveva ravvisato la penale responsabilità per un fatto diverso da quello contestato nel capo di imputazione, che, riguardando la modifica dei solai interni e la realizzazione dei soppalchi, non fa alcun riferimento a variazioni prospettiche al fabbricato mediante la realizzazione di nuove aperture esterne al piano terra e al piano primo e ad opere per le quali era necessario il preventivo deposito presso gli uffici ex Genio civile.
2.2. Con il secondo motivo si eccepisce il vizio di motivazione per non avere la Corte di appello risposto ai motivi di appello, in cui si era evidenziato che, dalla deposizione del consulente tecnico e dai documenti allegati alla relazione, emerge che le opere previste nella SCIA potevano essere richieste in alternativa al permesso di costruire, in quanto ricadenti nella previsione dell’art. 22 d.P.R. n. 380 del 2001 all’epoca vigente.
2.2. Con il terzo motivo si censura la violazione dell’art. 606, comma 1, lett.  b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 481 cod. pen. e 29, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001. Ribadisce il difensore che le opere in esame ricadevano nella previsione di cui all’art. 22, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001, nel testo  vigente al momento del fatto, sicché era sufficiente la presentazione della SCIA, in alternativa al permesso di costruire. Aggiunge il difensore che, in ogni caso, non vi è stato alcun aumento di superficie edificabili, come si evince dagli elaborati tecnici prodotto al pubblico ministero unitamente alla nota del Comune di Sant’Egidio alla Vibrata dell’11 marzo 2015, trattandosi di superfici interne al fabbricato; l’unico variazione è costituita dall’abbassamento del piano fondale di alcuni locali del piano terra, intervento inserito nelle opere realizzate e, quindi, oggetto di sanatoria.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. Il primo motivo è inammissibile.

3. Si rammenta che, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto, con conseguente violazione dell’art. 521 cod. proc. pen., occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa. L’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va di conseguenza esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale tra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (S.U., 17 maggio 2010 n. 36551, Carelli, Rv.248051).
La nozione strutturale di "fatto" contenuta nelle disposizioni di cui agli artt.521 e 522 cod. proc. pen. va perciò coniugata con quella funzionale, fondata sull’esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice), risponde all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi (Sez. 1, 18 giugno 2013 n. 35574, Rv. 257015; Sez. 4, 15 gennaio 2007 n. 10103, Rv. 236099).
Orbene, nel caso di specie la Corte di appello, con congrua motivazione, ha respinto la censura difensiva, qui riproposta, rilevando come non sia configurabile alcuna divergenza processualmente rilevante, atteso che all’imputato, nella veste di progettista, è contestato di avere, nella relazione tecnica allegata alla domanda di sanatoria ex art. 37 d.P.R. n. 380 del 2001, “asseverato una conformità delle opere agli strumenti urbanistici ed al regolamento edilizio comunale non corrispondente al vero, in quanto a seguito della modifica dei solai interni ai vari piani e della realizzazione di soppalchi si determinava un aumento di superficie edificabile e di volumetria e, proprio su tale condotta, si è svolto l’accertamento di fatto e la conseguente condanna in primo grado” (p. 3 della sentenza impugnata).
Come già rilevato dal Tribunale, a nulla rileva che le opere, dopo la presentazione della SCIA, non furono realizzate, stante la natura istantanea dell’atto in esame, il quale ha natura di “certificato” ex art. 481 cod. pen.  per quel che riguarda non solo la descrizione dello stato dei luoghi e la ricognizione di eventuali vincoli esistenti sull’area oggetto dell’intervento edilizio, ma anche, e soprattutto, la rappresentazione delle opere che si intendono realizzare e loro conformità agli strumenti urbanistici ed al regolamento edilizio.
In ogni caso, non è dato ravvisare alcuna difformità o altra irregolarità che abbia impedito l’esercizio del diritto difesa, posto che la nuova ed eventuale definizione del reato appare come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile o, comunque, l'imputato ed il suo difensore abbiano avuto nella fase di merito la possibilità di interloquire in ordine alla stessa (Sez. 6, Sentenza n. 11956 del 15/02/2017, Rv. 269655).

5. I due restanti motivi, esaminabili congiuntamente essendo entrambi diretti ad attaccare l’affermazione della penale responsabilità, sono infondati.
Invero, la convergente valutazione delle fonti di prova operata dal Tribunale e dalla Corte di appello appare esaustiva ed idonea a rappresentare l’integrazione del reato per cui si procede (art. 481 cod. pen.) e la falsa asseverazione della conformità delle opere edilizie al regolamento edilizio e al codice civile, compiutamente emergente negli elaborati progettuali.
Se è vero che, quanto alla ricostruzione dei fatti e all’accertamento della penale responsabilità, la Corte di merito ha fatto leva alla deposizione del teste Mauro Bellucci,  dirigente dell’area tecnica del Comune di Sant’Egidio alla Vibrata, nella sentenza di primo grado, oltre alla puntuale descrizione delle difformità emergenti dagli elaborati tecnici, si individua un ulteriore elemento decisivo, costituito dall’avvio del “procedimento di annullamento degli effetti della SCIA poiché le opere non potevano essere realizzate se non previa richiesta di permesso di costruire” (p. 6 della sentenza di primo grado).
Non pare perciò ravvisabile il denunciato vizio, posto che nella motivazione il giudice del merito non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, sicché debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. pen., Sez. 6, Sentenza n. 34532 del 22/06/2021, Rv. 281935).
 
6. Per i motivi indicati, il ricorso deve essere perciò rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Si osserva, infine, che, alla data odierna, il reato, commesso il 23 aprile 2014, non risulta prescritto; tenendo conto di 398 giorni di sospensione (dal 30 gennaio 2017 al 26 settembre 2017 per il sisma, dal 2 maggio 2017 al 10 luglio 2017 e dal 20 novembre 2018 al 18 febbraio 2019 per astensione del difensore), che vanno a sommarsi al termine massimo, pari a sette anni e sei mesi, la prescrizione maturerà il 26 dicembre 2022.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 19/10/2022.