Cass. Sez. III n. 18494 del 4 maggio 2016 (Ud 8 mar 2016)
Presidente: Ramacci Estensore: Di Stasi Imputato: Pepe e altro
Urbanistica.Esecuzione di un'opera interessante cose di interesse storico o artistico senza autorizzazione della competente sovrintendenza
Tra le contravvenzioni previste dall'art. 44 d. P.R. n. 380 del 2001 e dall'art. 181, comma primo, del D.Lgs. n. 42 del 2004 è configurabile un'ipotesi di concorso formale di reati, con la conseguente inapplicabilità del divieto del "bis in idem" stabilito dall'art. 649 cod. proc. pen., attesa la diversa obiettività giuridica e la diversa condotta punita che va individuata, nel reato edilizio, nella esecuzione di un'opera senza permesso di costruire posta a prevalente tutela dell'assetto urbanistico e, nel secondo, senza la autorizzazione della competente sovrintendenza prevista a tutela, prevalentemente, del patrimonio artistico, storico e archeologico.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Caltanissetta, con sentenza del 2.4.2013 ha confermato la decisione con la quale, in data 26.10.2011, il Tribunale di Gela aveva riconosciuto P.R. e T. R.G. responsabili dei reati di cui all'art. 110 c.p., art. 349 c.p., commi 1 e 2 e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 per l'esecuzione di interventi di sopraelevazione ed ampliamento di un preesistente fabbricato abusivamente realizzato in zona vincolata, sottoposto a sequestro ed oggetto di ordine di demolizione (fatti commessi ìn date antecedenti e prossime al 12.6.2009 ed al 26.1.2010) ed assolvendoli dalle violazioni edilizie, pure contestate, rilevando che la prosecuzione dei lavori non avrebbe contemplato una nuova condotta rispetto a quella già posta in essere in precedenza.
Avverso tale pronuncia i predetti propongono congiuntamente ricorso per cassazione tramite il loro difensore di fiducia.
2. Con un primo motivo di ricorso deducono la violazione di legge, osservando che il Pubblico Ministero non avrebbe motivato il proprio dissenso alla richiesta di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen. avanzata alla prima udienza di trattazione del procedimento e, ciò nonostante, il giudice di prime cure non avrebbe ritenuto ingiustificato il dissenso.
3. Con un secondo motivo di ricorso rilevano che la Corte territoriale, nel ritenere congrua la pena irrogata dal primo giudice, avrebbe omesso di considerare alcune circostanze, quali la consistenza dell'intervento e le caratteristiche dell'area su cui insiste, che avrebbero dovuto far ritenere equa la pena proposta con la richiesta di patteggiamento.
4. Con un terzo motivo di ricorso lamentano il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ritenendo del tutto ingiustificato il diniego. Insistono, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
Con memoria depositata in data 3.3.2016 i ricorrenti chiedono l'applicazione dell'art. 649 cod. proc. pen. con riferimento al capo 2) dell'imputazione in relazione alla sentenza n. 315 del 4.7.2011 e dell'art. 131 bis cod. pen. in relazione all'imputazione di cui all'art. 349 c.p., comma 2.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono infondati.
2. Va ricordato, con riferimento al primo motivo di ricorso, come questa Corte abbia già avuto modo di precisare che al giudice del merito non è richiesto di indicare specificamente ìn sentenza le ragioni per le quali ritiene giustificato il dissenso del P.M. sulla richiesta predibattimentale di applicazione della pena, poichè l'obbligo di specifica motivazione è previsto solo nel caso in cui, ritenuto tale dissenso ingiustificato, si applichi la sanzione proposta con l'istanza (Sez. 3 n. 12002, 25 marzo 2011).
La richiamata pronuncia ammette, dunque, anche una motivazione implicita sulla fondatezza del dissenso espresso dalla pubblica accusa, che, nel caso in esame, si rinviene nel rilievo attribuito dal Tribunale alla gravità del fatto ed alla personalità degli imputati, nonchè alla circostanza che gli stessi erano stati, poco tempo prima, già condannati dallo stesso giudice.
Tali apprezzamenti costituiscono valutazioni di merito che, in quanto tali, sono sottratte al sindacato di legittimità, risultando così evidente la Infondatezza del motivo di ricorso appena esaminato.
3. A conclusioni analoghe deve pervenirsi per ciò che concerne il secondo motivo di ricorso.
La Corte territoriale ha puntualmente preso in esame la questione relativa alla congruità della pena, ponendo in evidenza, con argomentazione del tutto coerenti e logiche, le ragioni che l'hanno indotta a concordare pienamente con quanto rilevato dal giudice di prime cure, considerando peraltro i criteri direttivi fissati dall'art. 133 cod. pen..
Tali argomentazioni risultano del tutto sufficienti a giustificare il corretto esercizio del potere discrezionale di determinazione della pena e dei criteri di valutazione fissati dall'art. 133 cod. pen., non essendo richiesto al giudice dì procedere ad una analitica valutazione di ogni singolo elemento esaminato, ben potendo assolvere adeguatamente all'obbligo di motivazione limitandosi anche ad indicarne solo alcuni o quello ritenuto prevalente (v. Sez. 2 n. 12749, 26 marzo 2008).
E' dunque evidente che, nella fattispecie, a fronte di un contesto di dati decisamente negativi, riguardanti la gravità del fatto e la personalità degli imputati ed i loro precedenti penali, gli ulteriori elementi valorizzati in ricorso assumevano scarsa o nulla rilevanza.
4. La sentenza impugnata risulta, inoltre, del tutto immune anche dalle ulteriori censure formulate con il terzo motivo di ricorso.
La concessione delle attenuanti generiche presuppone, infatti, la sussistenza di positivi elementi di giudizio e non costituisce un diritto conseguente alla mancanza di elementi negativi connotanti la personalità del reo, cosicchè deve ritenersi legittimo il diniego operato dal giudice in assenza di dati positivi di valutazione (Sez. 3 n. 19639, 24 maggio 2012; Sez. 1 n. 3529, 2 novembre 1993; Sez. 6 n. 6724, 3 maggio 1989; Sez. 6 n. 10690, 15 novembre 1985; Sez. 1 n. 4200, 7 maggio 1985).
Inoltre, riguardo all'onere motivazionale, deve ritenersi che il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o risultanti dagli atti, ben potendo fare riferimento esclusivamente a quelli ritenuti decisivi o, comunque, rilevanti ai fini del diniego delle attenuanti generiche (v. Sez. 2 n. 3609, 1 febbraio 2011; Sez. 6 n. 34364, 23 settembre 2010), con la conseguenza che la motivazione che appaia congrua e non contraddittoria non è suscettibile dì sindacato in sede di legittimità, neppure quando difetti uno specifico apprezzamento per ciascuno dei reclamati elementi attenuanti invocati a favore dell'imputato (Sez. 6 n. 42688, 14 novembre 2008; Sez. 6 n. 7707, 4 dicembre 2003).
Nella fattispecie, i giudici del merito, oltre a non rinvenire alcun elemento meritevole di favorevole valutazione, hanno posto in evidenza la personalità degli imputati ed il disprezzo manifestato dagli stessi per il rispetto delle regole, ritenendo tali circostanze determinanti ai fini del diniego delle invocate attenuanti.
5. Sono infondati anche i motivi aggiunti proposti con la memoria depositata in data 3.3.2016.
5.1. La richiesta di applicazione dell'art. 649 cod. proc. pen. non può trovare accoglimento.
Va, innanzitutto ricordato come questa Corte abbia ripetutamente affermato che il divieto del "bis in idem" stabilito dall'art. 649 cod. proc. pen. postula una preclusione derivante dal giudicato formatosi per lo stesso fatto e per la stessa persona o anche dalla coesistenza di procedimenti iniziati per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona (anche se pendenti in fase o grado diversi) nella stessa sede giudiziaria e su iniziativa del medesimo ufficio del P.M. Il divieto presuppone la produzione innanzi al giudice di merito della sentenza definitiva o degli atti necessari per l'accertamento della identità del fatto.
Tanto non può essere effettuato dinanzi alla Corte di cassazione, perchè è precluso al giudice di legittimità l'accertamento del fatto e la parte non può produrre documenti concernenti elementi fattuali, la cui valutazione è rimessa esclusivamente al giudice di merito. L'imputato non rimane peraltro senza tutela, potendo fare valere la preclusione davanti al giudice dell'esecuzione (Sez. 3, n. 20887 del 15/04/2015, Rv 263407; Sez. 3, n. 20885 del 15/04/2015, Rv.
264096; Sez. 5, n. 9180 del 29/01/2007, Rv. 236259).
Si profila, inoltre, anche l'infondatezza della richiesta.
Essa si fonda sul rilievo che per il medesimo fatto di cui al capo 2) dell'imputazione sarebbe già intervenuta la decisione n. 315 del 4.7.2011 del Tribunale di Gela divenuta irrevocabile in data 23.3.2014.
La dedotta violazione non sussiste.
Va ricordato che questa Corte ha ripetutamente affermato che la preclusione del "ne bis in idem" non opera ove tra i fatti già irrevocabilmente giudicati e quelli ancora da giudicare sia configurabile un'ipotesi dì "concorso formale di reati", potendo in tal caso la stessa fattispecie essere riesaminata sotto il profilo di una diversa violazione di legge, e tuttavia facendo salva l'ipotesi -
non ravvisabile nella specie - in cui nel primo giudizio sia stata dichiarata l'insussistenza del fatto o la mancata commissione di esso da parte dell'imputato (Sez. 3, n. 50310 del 18/09/2014, Rv. 261516;
Sez. 3, n. 25141 del 15/04/2009, Ferrarelli, Rv. 243908; Sez. 4, n. 25305 del 02/04/2004, Rv. 228924; Sez. 6, n. 10790 del 24/05/2000, Rv. 218337; Sez. 1, n. 7262 del 08/04/1999, Rv. 213709).
Nella specie, tra il fatto contestato al capo 2) dell'imputazione oggetto del presente ricorso (D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1) ed il fatto giudicato con la sentenza n. 315/2011 (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44) è configurabile proprio un'ipotesi di concorso formale di reati che non rientra nell'ambito applicativo dell'art. 649 cod. proc. pen., attesa la diversa obiettività giuridica e la diversa condotta punita che va individuata, nel reato edilizio, nella esecuzione di un'opera senza permesso di costruire posto a prevalente tutela dell'assetto urbanistico e, nel secondo, senza la autorizzazione della pubblica amministrazione competente, posta essenzialmente a tutela del paesaggio.
Sul punto va ribadito, stante l'omogeneità dei beni giuridici tutelati, il principio affermato da Sez. 5, n. 10514 del 31/03/1999, Rv. 214382, con riferimento alle disposizioni di cui alla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 20, lett. c) e alla L. 1 giugno 1939, n. 1089, artt. 18 e 59 (disposizioni quest'ultime che a tutela del patrimonio artistico, storico e archeologico prevedevano l'autorizzazione della competente sovrintendenza per l'esecuzione di opere di qualunque genere sugli immobili protetti). Tale giurisprudenza deve ritenersi ancora "valida", essendovi continuità normativa tra la L. 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 20 e 18 e L. 1 giugno 1939, n. 1089, art. 59 e le attuali disposizioni di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 e del D.Lgs. n. 42 del 2004.
4.2 Infondata è anche l'istanza ex art. 131 bis cod. pen. avanzata in ordine al delitto di violazione dei sigilli.
Va premesso che la questione della particolare tenuità del fatto è proponibile anche nel giudizio di legittimità, tenendo conto di quanto disposto dall'art. 609 c.p.p., comma 2, trattandosi di questione che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello (Cfr Sez. 3, Sentenza n. 15449 del 08/04/2015, Rv. 263308).
Va, poi, rilevato che l'art. 131-bis c.p., comma 1, delinea, preliminarmente, il suo ambito di applicazione ai soli reati per i quali è prevista una pena detentiva non superiore, nel massimo, a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena. I criteri di determinazione della pena sono indicati dal comma 4, il quale precisa che non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In tale ultimo caso non si tiene conto del giudizio di bilanciamento di cui all'art. 69. Il comma 5, inoltre, chiarisce che la non punibilità si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante. La rispondenza ai limiti di pena rappresenta, tuttavia, soltanto la prima delle condizioni per l'esclusione della punibilità, che infatti richiede (congiuntamente e non alternativamente, come si desume dal tenore letterale della disposizione) la particolare tenuità dell'offesa e la non abitualità del comportamento. Il primo degli "indici-criteri" (così definiti dalla relazione allegata allo schema di decreto legislativo) appena indicati (particolare tenuità dell'offesa) si articola, a sua volta, in due "indici-requisiti" (sempre secondo la definizione della relazione), che sono la modalità della condotta e l'esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall'art. 133 c.p., comma 1, (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed ogni altra modalità dell'azione, gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato intensità del dolo o grado della colpa).
Si richiede pertanto al giudice di rilevare se, sulla base dei due "indici-requisiti" della modalità della condotta e dell'esiguità del danno e del pericolo, valutati secondo i criteri direttivi di cui all'art. 133 c.p., comma 1, sussista l'"indice-criterio" della particolare tenuità dell'offesa e, con questo, coesista quello della non abitualità del comportamento. Solo in questo caso si potrà considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne, conseguentemente, la punibilità.
Date tali premesse, va rilevato, procedendo alla preliminare verifica della possibile sussistenza delle condizioni di applicabilità dell'art. 131-bis cod. pen. al caso in esame, che il reato contestato ai ricorrente è quello di cui all'art. 110 c.p. e art. 349 c.p., commi 1 e 2, accertato in data 26.1.2010.
Avuto riguardo alla pena prevista dalle menzionate disposizioni i limiti di pena indicati dall'art. 131-bis c.p., comma 1 non risultano superati.
Va, quindi, quindi accertata la sussistenza delle ulteriori condizioni di legge per l'esclusione della punibilità.
Nell'effettuare tale apprezzamento, il giudice di legittimità non potrà che basarsi su quanto emerso nel corso del giudizio di merito tenendo conto, in modo particolare, della eventuale presenza, nella motivazione del provvedimento impugnato, di giudizi già espressi che abbiano pacificamente escluso la particolare tenuità del fatto, riguardando, la non punibilità, soltanto quei comportamenti (non abituali) che, sebbene non inoffensivi, in presenza dei presupposti normativamente indicati risultino di così modesto rilievo da non ritenersi meritevoli di ulteriore considerazione in sede penale.
Alla luce di tali considerazioni, rileva il Collegio che, nel caso in esame l'impossibilità di ritenere applicabile il nuovo istituto -
per essere esclusa la particolare tenuità del fatto - emerge già dal tenore della sentenza impugnata che ha posto in rilievo argomentazioni che possono condurre, già in questa sede, ad una astratta valutazione di non tenuità del fatto che non potrebbe in ogni caso condurre all'applicazione della normativa di favore di recente introdotta.
Questi elementi sono costituiti dalle stesse modalità della condotta-
apprezzata dai Giudici di merito in termini di gravità perchè dimostrativa di disprezzo per il rispetto delle regole ed in particolare per l'inottemperanza all'ordine dell'autorità tanto da non essere ritenuti meritevoli della concessione delle attenuati generiche.
5. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo, dandosi atto che la prescrizione non è maturata, in quanto i termini di prescrizione (che, ìn base al combinato disposto degli artt. 157 e 161 cod. pen., sarebbero maturati in data 26.1.2015 per il capo 2 ed il 26.7.2017 per i capi 4 e 5) sono stati sospesi all'udienza del 21.10.2014, quando è stato disposto il rinvio a nuovo ruolo del presente procedimento.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 8 marzo 2016.
Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2016