Cass. Sez. III n. 36902 del 14 settembre 2015 (Ud. 13 mag 2015)
Presidente: Franco Estensore: Di Nicola Imputato: Milito
Urbanistica.Diniego sanatoria e sindacato del giudice

In tema di reati edilizi, non è consentito al giudice penale sindacare la legittimità del provvedimento amministrativo di diniego del permesso di costruire in sanatoria. (In motivazione, la Corte ha osservato che la parte interessata può ricorrere al giudice amministrativo avverso il diniego, senza che ciò comporti la sospensione dell'azione penale, essendo questa limitata temporalmente solo sino alla decisione degli organi comunali sulla domanda di sanatoria, manifestata anche nella forma del silenzio-rifiuto).


 RITENUTO IN FATTO

1.Vita Maria Milito ricorre per cassazione impugnando la sentenza con la quale la Corte di appello di Palermo ha confermato quella resa dal tribunale di Trapani che aveva condannato la ricorrente alla pena di mesi quattro di arresto ed euro 11.000,00 di ammenda per il reato previsto dall'articolo 44 lettera b) d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 perché in assenza della prescritta autorizzazione eseguiva su un immobile di sua proprietà opere di elevazione fuori terra nonché per i connessi reati edilizi previsti dagli articoli 71,72, 95 d.p.r. n. 380 del 2001. In Alcamo fino al 5 dicembre 2010.

2. Per la cassazione dell'impugnata sentenza la ricorrente, tramite il difensore, solleva tre motivi di gravame, qui enunciati, ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

2.1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione la falsa applicazione della legge processuale (art. 601 c.p.p., comma 1, lett. c)), sul rilievo che la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto insussistente la sollevata eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio, avuto riguardo all'incertezza della data di udienza.

Invero la Corte d'appello ha rigettato l'eccezione di nullità ritenendo regolare la notificazione del decreto di citazione per l'udienza del 18 aprile 2012 sia all'imputato che al suo difensore.

Tuttavia il vizio denunciato era in realtà un altro: con esso si invocava la nullità della sentenza per essere stata emessa all'esito di un procedimento in cui decreto di citazione a giudizio riportava una data diversa da quella nella quale, in effetti, era stato celebrato il processo.

2.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione e la falsa applicazione della legge penale e vizio di motivazione (art. 601 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e)) per avere la corte territoriale apoditticamente respinto le doglianze prospettate dalla difesa rilevando che non poteva il primo giudice nè la Corte di appello ricusare di prendere in considerazione il merito del diniego da parte del Comune di Alcamo dell'istanza di concessione in sanatoria del manufatto.

2.3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della legge vizio di motivazione avuto riguardo al potere del giudice penale di sindacare l'atto amministrativo (art. 601 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.

2. Quanto al primo motivo di gravame, la natura processuale del vizio denunciato abilita la Corte di cassazione all'esame degli atti processuali dai quali risulta che la data della vocatio in ius innanzi al tribunale di Trapani, sezione distaccata di Alcamo, fosse quella del 18 aprile 2012, così come indicata nelle notifiche effettuate ai difensori ed alla ricorrente, sebbene apposta nell'atto notificato attraverso la scrittura manuale ma agevolmente riconoscibile e inidonea a ingenerare qualsiasi equivoco sull'identificazione della data effettivamente fissata per la comparizione.

Va ricordato che solo l'incertezza assoluta in ordine al momento fissato per la comparizione da luogo a nullità.

3. Manifestamente infondati sono anche il secondo ed il terzo motivo di gravame che possono essere congiuntamente esaminati in quanto tra loro strettamente connessi.

Questa Corte ha affermato che, in tema di reati edilizi, non è consentito al giudice penale sindacare la legittimità del provvedimento della competente autorità amministrativa di diniego di rilascio del permesso di costruire in sanatoria (Sez. 3, n. 48523 del 18/11/2009, Righetti, Rv. 245418), potendo la parte interessata presentare, così come ha in effetti presentato, ricorso al giudice amministrativo avverso il diniego di sanatoria per abuso edilizio, fermo restando che ciò non comporta la sospensione dell'azione penale promossa per la relativa violazione, essendo detta sospensione limitata temporalmente sino alla decisione degli organi comunali sulla relativa domanda di sanatoria, manifestata anche nella forma del silenzio-rifiuto (Sez. 3, n. 24245 del 24/03/2010, Chiarello, Rv. 247692).

Nè rileva che il giudice amministrativo abbia annullato il provvedimento di diniego del comune di Alcamo, essendo stato l'annullamento disposto solo per difetto di motivazione.

Erra infine la ricorrente quando si duole del fatto che i giudici del merito non avrebbero esercitato il controllo sulla configurazione del presupposto (permesso di costruire) idoneo ad integrare l'illecito penale contestato in quanto la necessità del titolo abilitativo è stata espressamente motivata (sentenza del tribunale pagina 1) sulla natura dei lavori eseguiti e consistiti nella costruzione di un manufatto ad un piano con struttura in cemento armato e copertura puntellata.

4. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.

Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 13 maggio 2015.