Cass. Sez. III n. 30679 del 20 giugno 2017 (Cc 20 dic 2016)
Presidente: Cavallo Estensore: Renoldi Imputato: Pintacorona
Urbanistica.Demolizione e obbligo del PM di seguire criteri di priorità cronologica
In materia di reati edilizi, ai fini della legittimità del procedimento di esecuzione della demolizione del manufatto abusivo disposta con la sentenza di condanna, il Pubblico Ministero non è tenuto ad osservare criteri organizzativi predeterminati e, in particolare, non è obbligato a dare corso alle demolizioni seguendo il criterio cronologico delle iscrizioni dei provvedimenti esecutivi nel registro dell'esecuzione delle sanzioni amministrative. (In motivazione, la Corte ha osservato che l'attività posta in essere dal P.M. in esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali presenta, in relazione alla tempistica e alla individuazione dei provvedimenti da eseguire, carattere ampiamente discrezionale, sicchè non è possibile, in assenza di norme che disciplinino tali profili, affermare la necessaria esistenza di criteri, fissi e non derogabili, come quello relativo alla cronologia dell'iscrizione nel predetto registro, dovendo al contrario essere assicurata la possibilità di modulare l'attività in questione, ferma restando l'obbligatorietà della stessa, in funzione delle esigenze della maggiore tutela dei beni giuridici, le quali implicano che si tenga conto della natura degli interessi protetti e dell'intensità dell'offesa, della possibilità tecnica dell'intervento esecutivo e di altri parametri non determinati).
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del Pretore di Agrigento, sezione distaccata di Licata, in data 3/06/1993, irrevocabile il 24/06/1993, P.C. era stata riconosciuta responsabile del reato di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 20 e condannata alla pena ritenuta di giustizia. Con lo stesso provvedimento era stato, altresì, emesso l'ordine di demolizione del manufatto abusivo, successivamente notificato ad opera della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Agrigento. A seguito di tale notifica e della successiva comunicazione della data di inizio delle operazioni di demolizione (avvenuta, ad opera del comune di Licata, in virtù del protocollo di intesa stipulato tra la stessa amministrazione e l'ufficio requirente agrigentino), P.C. aveva sollecitato, con istanza rivolta al giudice dell'esecuzione, la revoca o comunque la sospensione del provvedimento demolitorio, eccependone l'avvenuta prescrizione, per decorso del tempo, ai sensi dell'art. 173 c.p. (qualificando la demolizione come "pena" nell'accezione indicata dalla CEDU); e deducendo, sotto altro profilo, la violazione dell'art. 655 c.p.p., sul presupposto che l'ordine di demolizione fosse stato emesso non dalla Procura della Repubblica, quanto dall'amministrazione comunale di Licata, ovvero da un soggetto giuridico sprovvisto del relativo potere.
In ultimo, la P. lamentò che la scelta dell'edificio da demolire fosse avvenuta in assenza di criteri di tipo oggettivo e, in particolare, in violazione del criterio cronologico delle iscrizioni dei provvedimenti esecutivi nel Registro dell'esecuzione delle sanzioni amministrative (R.E.S.A.), con conseguente disparità di trattamento in relazione a situazioni identiche; e, dunque, in violazione dell'art. 97 Cost..
2. Con ordinanza in data 27/06/2016, il Tribunale di Agrigento rigettò la richiesta, ritenendo, sotto un primo profilo, che l'ordine di demolizione non configurasse una "pena" in senso tecnico, suscettibile di estinzione per prescrizione ai sensi dell'art. 173 c.p., quanto piuttosto una sanzione amministrativa.
Sotto un secondo aspetto, il giudice dell'esecuzione ritenne la manifesta infondatezza delle deduzioni difensive in relazione sia alla mancata preventiva iscrizione dell'ordine di demolizione nel R.E.S.A., sia alla mancata osservanza del criterio cronologico, asseritamente imposto dalle linee guida indicate nel Protocollo di intesa sottoscritto il 26/05/2008 dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Napoli e dai Procuratori della Repubblica del distretto partenopeo. Ciò in quanto, secondo il tribunale siciliano, da un lato l'individuazione di criteri di priorità nella trattazione delle procedure di demolizione da parte del Pubblico ministero avrebbe trovato il suo fondamento normativo nel D.Lgs. n. 106 del 2006, art. 1, commi 5 e 6; e, dall'altro lato, il protocollo stipulato tra gli uffici del distretto napoletano non avrebbe avuto alcuna rilevanza esterna, oltre i confini di quella Corte di appello. Viceversa, la concreta soluzione operativa adottata dalla Procura agrigentina sarebbe stata pienamente rispettosa dei criteri di priorità stabiliti, a seconda del livello di tutela riconosciuto dagli strumenti urbanistici, dal Protocollo di intesa in materia di demolizione di manufatti abusivi concluso tra la stessa procura siciliana ed il Comune di Licata, nel cui territorio era stato commesso l'abuso edilizio di cui si discute. Protocollo ispirato a soluzioni razionali di tutela dei beni giuridici e in ogni caso non suscettibile di una pronuncia di annullamento da parte del giudice dell'esecuzione, trattandosi di atto eventualmente impugnabile davanti al giudice amministrativo.
3. Avverso l'ordinanza di rigetto, P.C. propone ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, deducendo tre distinti motivi di impugnazione.
Con il primo di essi viene dedotta, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), l'erronea e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 106 del 2006, art. 1, commi 5 e 6. Ciò in quanto il giudice dell'esecuzione avrebbe erroneamente richiamato le menzionate disposizioni dettate in materia di organizzazione interna della Procura, non applicabili alla questione dedotta con l'incidente di esecuzione, avente ad oggetto la mancata osservanza, nella individuazione degli immobili da demolire, del criterio cronologico delle esecuzioni secondo le annotazioni del R.E.S.A., arbitrariamente disatteso, nella prospettazione del ricorrente, a favore dei criteri stabiliti nel Protocollo di intesa sottoscritto dal Procuratore della Repubblica di Agrigento e dal sindaco del comune di Licata.
Con il secondo motivo, la ricorrente censura la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione all'art. 665 c.p.p., atteso che il giudice dell'esecuzione, investito della legittimità degli atti relativi alla procedura esecutiva, avrebbe dovuto pronunciarsi sulla illegittimità del Protocollo di intesa tra la Procura agrigentina e il comune di Licata, senza declinare la richiesta per difetto di giurisdizione.
Infine, con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione agli artt. 97 e 111 Cost., nonchè dalle disposizioni della L. n. 241 del 1990 e della L.R. n. 10 del 1991, le quali imporrebbero l'applicazione del criterio cronologico a tutti i procedimenti amministrativi, tra i quali rientrerebbe anche quello relativo all'esecuzione degli ordini di demolizione disposti con sentenza di condanna.
3. Con requisitoria scritta il Procuratore generale presso questa Corte ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Con riferimento al primo e al terzo motivo, la cui evidente connessione, sul piano logico, consiglia una trattazione unitaria, giova rilevare che, del tutto correttamente, il giudice dell'esecuzione ha ribadito la legittimità delle scelte operate, nel dare esecuzione agli ordini di demolizione, dall'ufficio del Pubblico ministero agrigentino, cui ex art. 655 c.p.p. spettava stabilire le concrete modalità di attuazione dell'intervento demolitorio.
2.1. Sul punto, occorre premettere come la demolizione del manufatto abusivo abbia, secondo la giurisprudenza di questa Corte, natura di sanzione accessoria oggettivamente amministrativa, costituente esplicazione di un potere autonomo e non alternativo a quello dell'autorità amministrativa, con il quale può essere coordinato nella fase di esecuzione (ex multis, Sez. 3, n. 9949 del 20/01/2016, Di Scala; Sez. 3, n. 35052 del 10/03/2016, De Luca, non massimate; Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, P.M. in proc. Delorier, Rv. 265540; Sez. 3, n. 3685/2014 del 11/12/2013, Russo, Rv. 258518; Sez. 3, n.37906 del 22/5/2012, Mascia, non massimata; Sez. 6, n. 6337 del 10/3/1994, Sorrentino Rv. 198511; si vedano anche Sez. U, n. 15 del 19/6/1996, PM. in proc. Monter).
In tale quadro, coerentemente, è stata negata l'estinzione della sanzione per il decorso del tempo, ai sensi dell'art. 173 c.p., in quanto tale norma si riferisce alle sole pene principali e, comunque, non alle sanzioni amministrative (Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, P.M. in proc. Delorier, citata; Sez. 3, n. 36387 del 7/07/2015, Formisano, Rv. 264736; Sez. 3, n. 43006 del 10/11/2010, La Mela, Rv. 248670), dovendo escludersi l'estensione analogica della menzionata disposizione in ragione della diversità di ratio (Sez. 3, n. 3918 del 3/12/2009, dep. 28/01/2010, D'Apice, Rv. 246009; conf. Sez. 3, n. 3456 del 21/11/2012, dep. 23/01/2013, Oliva, in motivazione); ed altresì è stata negata l'estinzione per effetto della prescrizione quinquennale delle sanzioni amministrative, stabilita dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 28, in quanto riguardante le sanzioni pecuniarie con finalità punitive ("il diritto a riscuotere le somme... si prescrive"), mentre l'ordine di demolizione integra una sanzione "ripristinatoria", che configura un "obbligo di fare", imposto per ragioni di tutela del territorio (Sez. 3, n. 41475 del 3/05/2016, dep. 4/10/2016, Porcu, Rv. 267977; Sez. 3, n. 36387 del 7/07/2015, dep. 9/09/2015, Formisano, citata; Sez. 3, n. 19742 del 14/04/2011, dep. 19/05/2011, Mercurio e altro, Rv. 250336; Sez. 3, n. 16537 del 18/02/2003, Filippi, Rv. 227176). Inoltre, avendo l'ordine di demolizione natura di sanzione amministrativa accessoria di natura ripristinatoria, il medesimo non è estinto dalla morte del reo sopravvenuta alla irrevocabilità della sentenza (Sez. 3, n. 30406 in data 8/04/2016, dep. 18/07/2016, Federico, Rv. 267333), conservando la sua efficacia anche nei confronti dell'erede o dante causa del condannato o di chiunque vanti, su di esso, un diritto reale o personale di godimento (Sez. 3, n. 42699 del 7/07/2015, dep. 23/10/2015, Curcio, Rv. 265193).
Nè tale assetto interpretativo si pone in contrasto della normativa dettata dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali, atteso che proprio le ricordate caratteristiche dell'ordine di demolizione ne escludono la riconducibilità alla nozione convenzionale di "pena", elaborata dalla giurisprudenza della Corte EDU (così Sez. 3, n. 41475 del 3/05/2016, dep. 4/10/2016, Porcu, citata, nonchè Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, P.M. in proc. Delorier, citata).
2.2. Tanto premesso, osserva il Collegio che nonostante la natura di sanzione amministrativa accessoria riconosciuta alla demolizione, il relativo provvedimento ingiuntivo ha carattere pacificamente giurisdizionale e non amministrativo, sicchè esso, al pari delle altre statuizioni contenute nella sentenza definitiva, è soggetto all'esecuzione nelle forme previste dal codice di procedura penale (Sez. U, n. 15 del 19/06/1996, dep. 24/07/1996, P.M. in proc. Monterisi, Rv. 205336).
Già sotto tale profilo, dunque, il carattere giurisdizionale del procedimento esecutivo, avente ad oggetto l'ordine di demolizione, consente di escludere l'applicabilità delle norme citate nel terzo motivo di ricorso, in quanto riferibili al procedimento amministrativo e non, appunto, al procedimento giurisdizionale.
Sotto altro aspetto, occorre sottolineare che lo status di indipendenza esterna riconosciuto, per costante giurisprudenza costituzionale, al Pubblico ministero impone che la scelta sulle modalità della sua azione non possa che essere rimessa al singolo Procuratore della Repubblica, dovendo, quindi, escludersi sia la possibilità di adozione di criteri vincolanti ad opera del Consiglio superiore della Magistratura (come suggestivamente adombrato dalla difesa del ricorrente attraverso il riferimento al Protocollo d'intesa sottoscritto presso la Corte di appello di Napoli, la cui predisposizione, secondo tale prospettazione, sarebbe appunto avvenuta sotto l'egida dell'Organo di governo autonomo della Magistratura); sia, a fortiori, la possibilità di un vincolo esercitato, sempre dall'esterno, attraverso le direttive o i criteri organizzativi adottati nel contesto di differenti uffici requirenti (il riferimento è, ancora, al più volte richiamato Protocollo di intesa adottato negli uffici partenopei).
Del resto, non pare discutibile l'affermazione secondo cui lo stesso principio di obbligatorietà dell'azione penale, se per un verso non consente scelte di non liquet nell'esercizio dell'azione requirente ispirate ad esigenze di efficienza processuale, per altro verso non comporta, a condizione che permanga l'obbligo di persecuzione di tutti i reati, un divieto di stabilire delle priorità nell'azione inquirente dell'ufficio, coerentemente con la vocazione, propria del diritto penale, di assicurare prioritariamente la protezione degli interessi di maggiore rilevanza sul piano costituzionale. Una definizione delle priorità che, ovviamente, non può che essere condizionata dalla specificità dei contesti territoriali e che risponde all'esigenza di neutralizzare le situazioni di maggiore offensività per gli interessi tutelati in una data comunità. E analoga discrezionalità deve essere riconosciuta anche in fase esecutiva, senza che possa assumere rilevanza dirimente la data di iscrizione nel R.E.S.E, che ove non rispettata non inciderà sicuramente, in assenza di qualunque disposizione sul punto, sulla validità dell'atto.
Infatti, diversamente da quanto opinato dalla difesa in ordine alla prevalenza che, in ogni caso, dovrebbe essere assicurata al criterio cronologico, l'azione del Pubblico ministero, sia nella fase inquirente che in quella esecutiva, può essere - e, anzi, talora "deve" essere - modulata in funzione della esigenza di assicurare la massima tutela alle situazioni di vulnerabilità di interessi rilevanti che, in un dato contesto spazio-temporale, possano determinarsi. Così, se sul versante inquirente è del tutto ragionevole che possa essere attribuita priorità all'azione investigativa di fronte a situazioni determinanti un gravissimo allarme sociale rispetto a reati di minore gravità, ovviamente senza abdicare all'obbligo di perseguire anche questi ultimi fondato sull'art. 112 Cost., deve ritenersi che anche sul piano esecutivo risponda a criteri di ragionevolezza e di buon andamento dell'azione del Pubblico ministero, che l'attività operativa venga articolata secondo criteri di priorità, anche in tal caso senza abdicare all'obbligo di portare ad esecuzione tutti i provvedimenti giurisdizionali che rientrino nella competenza del singolo ufficio del Pubblico ministero.
In questa prospettiva, risponde ad una logica - e come tale in assoluto non censurabile - scelta organizzativa ed operativa, quella di attribuire la precedenza, come avvenuto nel caso di specie, alle iniziative esecutive che riguardino aree territoriali assistite da più elevati livelli di tutela (come, appunto, le zone di inedificabilità assoluta, nel cui ambito rientrava l'immobile abusivo della P.); e, all'interno di essa, agli interventi incidenti sulle situazioni di maggiore offensività o che, in ipotesi, si rivelino, secondo la valutazione dell'Ufficio di Procura e dei suoi ausiliari, più agevoli da porre in esecuzione dal punto di vista tecnico-operativo.
In ultimo, è appena il caso di rilevare come la doglianza difensiva incentrata sul necessario rispetto del criterio cronologico, non sia riconducibile ad un interesse giuridicamente meritevole di tutela. Infatti, il ricorrente sostanzialmente lamenta che a fronte di una conclamata attività illecita a suo carico, accertata in via definitiva e specificamente sanzionata attraverso l'esecuzione di un intervento di carattere ripristinatorio, egli possa vantare una posizione giuridica soggettiva a che l'intervento demolitorio sia eseguito successivamente ad altro. Una posizione soggettiva che, però, appare priva di qualunque fondamento normativo e che, ove coerentemente declinata in ogni ambito dell'esecuzione penale, sarebbe foriera di gravissime e non fronteggiabili distonie operative, oltre che incompatibile con la ricordata necessità di modulare, in concreto, l'azione giudiziaria avendo riguardo alla protezione degli interessi di maggiore valenza sul piano costituzionale ovvero alle situazioni di più intensa offesa che agli stessi dovesse essere recata.
3. Quanto al secondo motivo di ricorso, deve ribadirsi quanto osservato dal giudice dell'esecuzione nell'ordinanza impugnata, allorchè si è rilevata la manifesta infondatezza di una questione avente ad oggetto non già il titolo esecutivo (ovvero l'ordine di demolizione), quanto piuttosto la regolamentazione, avvenuta con il protocollo d'intesa citato, delle concrete modalità esecutive dell'attività demolitoria. Si è, infatti, in presenza di una mera attività esecutiva che si inserisce nel contesto di un'attività giurisdizionale, costituita dall'ordine di demolizione emanato dal Pubblico ministero, di cui, peraltro, si è riscontrata la piena legittimità.
L'attività esecutiva in questione, infatti, non è specificamente normata e, come tale, appare suscettibile di essere modulata dal competente ufficio di procura anche secondo forme di intesa con soggetti pubblici, quali le pubbliche amministrazioni nel cui territorio l'attività esecutiva debba essere compiuta, conformemente ad una prassi operativa, del tutto legittima, che, sempre più spesso, individua nei dirigenti degli uffici giudiziari, i quali ne hanno la rappresentanza esterna, gli attori di processi negoziali diretti a trovare forme di sinergia istituzionale per lo svolgimento di determinate attività esecutive o per la concreta regolamentazione operativa di servizi pubblici complementari all'attività giudiziaria.
4. Alla stregua delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata in 2.000,00 Euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 (duemila) in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2016.