Cass. Sez. III n. 43245 del 15 novembre 2022 (CC 14 giu 2022)
Pres. Aceto Est. Corbetta Ric. Greco
Urbanistica.Caratteristiche della sanatoria
La sanatoria degli abusi edilizi idonea ad estinguere il reato di cui all'art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, non ammettendo termini o condizioni, deve riguardare l'intervento edilizio nel suo complesso e può essere conseguita solo qualora ricorrano tutte le condizioni espressamente indicate dall'art. 36 d.P.R. cit. e, precisamente, la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione del manufatto, che al momento della presentazione della domanda di sanatoria, dovendo escludersi la possibilità di una legittimazione postuma di opere originariamente abusive che, solo successivamente, in applicazione della cosiddetta sanatoria "giurisprudenziale" o "impropria", siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’impugnata ordinanza, il Tribunale di Pozzo di Gotto, quale giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza avanzata nell’interesse di Antonio Greco ed Ingrid Eva Albert ad aggetto la revoca dell’ordine di demolizione, con autorizzazione ad eseguire lavori di tombatura dei cantinati e, in via gradata, che l’ordine di demolizione sia limitato ai capi B) e C), con esclusione, quindi, del corpo A), che non presenterebbe alcune difformità sostanziale rispetto a quanto assentito con i permessi di costruire.
2. Avverso l’indicata ordinanza, Antonio Greco ed Ingrid Eva Albert, per mezzo dei comuni difensori di fiducia, con un unico atto propongono congiuntamente ricorso per cassazione affidato a due motivi.
2.1. Dopo aver analiticamente ripercorso le vicende processuali – amministrative e penali – relative all’immobile in esame (p. 1-31), con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., laddove il Tribunale ha rigettato la richiesta, posta in via subordinata, di revoca dell’ordine di demolizione limitatamente al corpo A) per i soli piani fuori terra.
Ad avviso dei ricorrenti, la motivazione del Tribunale, richiamata dal provvedimento impugnato, laddove ha ravvisato la totale difformità dell’interventi rispetto ai corpi di fabbrica preesistenti, risulterebbe riformata e sostituita dalle successive pronunce dei giudici delle impugnazioni, che si sono limitate ad affermare la sussistenza delle singole difformità riscontrate dal consulente del pubblico ministero per ciascuno dei corpi A), B) e C) rispetto alle due concessioni edilizie rilasciate. L’autonomia delle contestazioni di difformità per ciascuno dei tre corpi di fabbrica comporterebbe che la demolizione dei corpi B) e C) e la tombatura del piano cantinato del corpo A) elimina, ad avviso dei ricorrenti, le rispettive difformità e mantiene in essere il solo corpo A) fuori terra. Il Giudice dell’esecuzione pertanto si sarebbe sottratto al compito di valutare se l’ordine di demolizione risulti incompatibile con la situazione giuridica o di fatto sopravvenuta, posto che la demolizione dei corpi B) e C) e la tombatura del piano cantinato del corpo A) trova fondamento nella decisioni dei giudici dell’impugnazione passate in giudicato.
2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 36 d.P.R. n. 380 de 2001 e 3, comma 1, lett. V, 12 l.r. n. 16 del 2016. I ricorrenti censurano la motivazione, laddove ha rigettato la richiesta principale di sospensione dell’ordine di demolizione, previa assegnazione di un brevissimo termini per l’esecuzione dei lavori di tombatura, al fine di procedere alla revoca dell’ordine di demolizione, in quanto si fonda sulla errata ritenuta necessità di un provvedimento amministrativo di sanatoria per poter disporre la revoca dell’ordine di demolizione, essendo sufficiente, come affermato da Sez. III, n. 21383 del 2019, il compimento di attività che modificano la situazione di fatto rendendola incompatibile con l’ordine di demolizione. Nel caso in esame, i ricorrenti, dopo il rigetto dell’istanza di revoca o di sospensione da parte del Giudice dell’esecuzione con il provvedimento del gennaio 2020, hanno manifestato al Comune la volontà di regolarizzazione postuma delle opere, mediante la tombatura dei due piani cantinati dei corpi A) e B), costituenti, per quanto deciso dai giudici dell’impugnazione, le variazioni essenziali in termini di aumento della cubatura. Il Giudice dell’esecuzione sarebbe incorso in un evidente errore, laddove ha equiparato la tombatura all’esecuzione delle lavorazioni di interramento dei cantinati ed ai lavori di ultimazione indicati nella richiesta di sanatoria ex art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001, giungendo alla conclusione che detti lavori di tombatura condurrebbero a una sanatoria condizionata, e quindi non ammissibile. L’errore, invero, è di tutta evidenza, tenuto conto della sostanziale differenza tra i lavori di ultimazione mediante rinterro dei piani cantinati, che costituiscono intervento edilizio di nuova costruzione con la necessità di un titolo abilitativo, rispetto a quelli di tombatura dei medesimi, che rientrano tra le attività edilizie libere. Aggiungono i ricorrenti che la tombatura costituisce esecuzione del giudicato penale e della relativa sanzione accessoria della demolizione, come affermato dalla giurisprudenza amministrativa. La sospensione dell’ordine di demolizione consentirebbe di esercitare l’attività di edilizia libera di tombatura, conseguendo, quale effetto automatico e senza necessità di alcun provvedimento di sanatoria, la regolarizzazione postuma delle opere.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili per la manifesta infondatezza dei motivi.
2. Invero, quanto al primo motivo, il presupposto argomentativo da cui si dipano le censure dei ricorrenti – secondo cui, in sostanza, come emergerebbe dalla motivazione delle sentenze emesse dalla Corte di appello e dalla Corte di cassazione, le difformità rilevanti riguarderebbero i corpi di fabbrica B) e C), che, quindi, sarebbero oggetto del provvedimento di demolizione, mentre, con riguardo al corpo di fabbrica A), l’eliminazione dell’abuso potrebbe realizzarsi mediante la tombatura del piano cantinato – è totalmente infondato.
3. Invero, diversamente da quanto ritenuto dai ricorrenti, il giudicato si forma sui capi e sui punti della decisione come espressa in dispositivo e non sugli elementi logico-argomentativi riferiti a circostanze di fatto o a valutazioni di diritto (Sez. 4, Sentenza n. 8825 del 24/05/1993, dep. 25/09/1993, p.m. in c. Rech, Rv. 196427), laddove per “capo” della sentenza deve intendersi quella parte della decisione riguardante ciascun fatto reato oggetto di un autonomo rapporto processuale, mentre per “punto” della sentenza deve assumersi ciascuna statuizione sia in fatto che in diritto di cui consta un capo, estraibile dalla lettura del dispositivo della sentenza e suscettibile di una sua propria valutazione in quanto oggetto di indagine e di statuizione avente consistenza autonoma (Sez. 4, n. 1765 del 18/12/1992, dep. 23/02/1993, Cornici, Rv. 193067).
Di conseguenza, ai fini che qui rilevano, l’estensione dell’ordine di demolizione deve essere rapportata al reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001 come contestato nel capo di imputazione, da cui emerge chiaramente l’illegittimità di tutta l’attività edificatoria, senza possibilità di distinguere in relazione ai singoli corpi fabbrica.
4. Si osserva, del resto, che le sentenze dei giudici dell’impugnazione sono totalmente adesive a quella del Tribunale sotto il profilo della inscindibilità dell’opera e della illiceità complessiva dell’intero complesso immobiliare, essendosi la Corte di merito limitata a ridurre la pena inflitta ai ricorrenti.
Per contro, i ricorrenti operano una vera e propria ‘fuga in avanti’ rispetto alla motivazione della Corte d’appello ritenendo, immotivatamente, che il giudice di secondo grado avrebbe ritenuto giudicabili atomisticamente i singoli abusi e, conseguentemente, avrebbe consentito al giudice dell’esecuzione di escludere dalla demolizione il corpo di fabbrica A), le cui difformità sarebbero lievi e rientranti nelle cd. ‘tolleranze costruttive’ di cui all’art. 34-bis d.P.R. n. 380 del 2001.
La prospettazione dei ricorrenti, finalizzata a rimettere in discussione il giudicato nella prospettiva dell’eliminazione della parte dell’opera realizzata in difformità rispetto a quanto assentito, condurrebbe, del resto, a un’inammissibile intepretatio abrogans del comma 9 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001, nella parte in cui prevede la sanzione amministrativa della demolizione nei casi di condanna per difformità totale dell’opera rispetto al titolo abilitativo, come è stato definitivamente accertato nel caso di specie.
Infatti, in tesi difensiva, l’adeguamento alle previsioni del titolo abilitativo della parte difforme dell’opera, dopo il giudicato di condanna, come fosse una sorta di ‘ravvedimento operoso’ postumo, sia pure attraverso una interlocuzione con le autorità amministrative preposte alla gestione del territorio, non solo non è prevista da alcuna norma, ma, apppunto, impedirebbe l’esito demolitorio previsto quale conseguenza indefettibile del definitivo accertamento del reato edilizio.
5. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso.
6. La prospettazione difensiva, secondo cui la tombatura dei due piani cantinati dei corpi di fabbrica A) e B), di cui si era chiesta l’autorizzazione al giudice dell’esecuzione, rappresenterebbe una sorta di ‘esecuzione in forma specifica’ del giudicato formatosi in ordine alla sussistenza dell’abuso edilizio ed alla conseguente sanzione demolitoria, appare del tutto eccentrica, perché priva di fondamento logico prima ancora che giuridico.
Infatti, premesso che, come correttamente ritenuto dal giudice dell’esecuzione, per le difformità totali la legge prevede solo due itinerari sananti - il condono e la sanatoria ex art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 - seguendo la tesi difensiva, come condivisibilmente osservato dal Procuratore Generale, il giudice dell’esecuzione avrebbe una sorta di delega in bianco, di cui non vi è traccia nel dato normativo vigente, finalizzata a trovare le modalità per sanare le difformità ed evitare la demolizione dell’opera abusiva.
D’altro canto, il giudice dell’esecuzione, per mantenere l’istanza nei binari degli istituti conosciuti, ha ritenuto che la difesa volesse avvalersi della c.d. sanatoria condizionata - e, nel caso di specie, la condizione sarebbe costituita dalla tombatura dei due piani cantinati - o della sanatoria c.d. giurisprudenziale, entrambe, pacificamente, inidonee a sanare l’abuso.
E difatti la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel senso che la sanatoria degli abusi edilizi idonea ad estinguere il reato di cui all'art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, non ammettendo termini o condizioni, deve riguardare l'intervento edilizio nel suo complesso e può essere conseguita solo qualora ricorrano tutte le condizioni espressamente indicate dall'art. 36 d.P.R. cit. e, precisamente, la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione del manufatto, che al momento della presentazione della domanda di sanatoria, dovendo escludersi la possibilità di una legittimazione postuma di opere originariamente abusive che, solo successivamente, in applicazione della cosiddetta sanatoria "giurisprudenziale" o "impropria", siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica (Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, dep. 18/11/2014, Chisci, Rv. 260973; in senso conforme, tra le più recenti, Sez. 3, n. 28666 del 07/07/2020, dep. 15/10/2020, Murra, Rv. 280281; Sez. 3, n. 45845 del 19/09/2019, dep. 12/11/2019, Caprio, Rv. 277265).
7. In ogni caso, la prospettazione difensiva è ulteriormente smentita dall’accertamento compiuto in sede di merito, secondo cui si è ritenuto di ricondurre la fattispecie nella ipotesi della ‘difformità totale’ proprio in considerazione del fatto che l’entità edilizia realizzata era da ritenersi nuova e diversa rispetto a quella assentita, e, conseguentemente, che non vi fossero le condizioni di una demolizione parziale.
8. Bene ha fatto, dunque, il Giudice dell’esecuzione ad uniformarsi al consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui, nel caso di presentazione dell’istanza di revoca o di sospensione dell'ordine di demolizione delle opere abusive, di cui all'art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001, in conseguenza della presentazione di una istanza di condono o sanatoria successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, il giudice dell'esecuzione è tenuto a esaminare i possibili esiti ed i tempi di conclusione del procedimento amministrativo e, in particolare: a) il prevedibile risultato dell'istanza e la sussistenza di eventuali cause ostative al suo accoglimento; b) la durata necessaria per la definizione della procedura, che può determinare la sospensione dell'esecuzione solo nel caso di un suo rapido esaurimento, non potendo la tutela del territorio essere rinviata indefinitamente (Sez. 3, n. 25212 del 18/01/2012, Maffia, Rv. 253050).
Nel caso in esame, il Giudice dell’esecuzione ha preso atto che: 1) l’istanza di sanatoria è stata rigettata dal Comune di Lipari con provvedimento del 10 febbraio 2020 in quanto non conforme alla normativa vigente per carenza del requisito della doppia conformità dell’intervento edilizio; 2) il T.a.r e il Consiglio di giustizia amministrativa hanno rigettato, sia pure in fase cautelare, il ricorso avverso l’indicato provvedimento del Comune; 3) il Comune di Lipari ha diffidato, con nota del 19 maggio 2020, i privati dall’esecuzione di qualsiasi lavoro presso il fabbricato.
Da tali elementi di fatto, il Giudice dell’esecuzione ha ritenuto, in maniera non certo implausibile, che il tempo dell’iter di sanatoria non potrà essere certamente breve, senza poi dire che l’esito favorevole appare un’eventualità del tutto remota, posto che il Comune di Lipari dapprima ha rigettato l’istanza di sanatoria, quindi ha espressamente vietato l’esecuzione di ulteriori lavori.
9. Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 14/06/2022.