Cass. Sez. III n. 22256 del 27 maggio 2016 (Ud 28 apr 2016)
Pres. Fiale Est. Ramacci Ric. Rongo
Urbanistica.Attenuante del danno di particolare tenuità

L'applicabilità della circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 4 cod. pen. è limitata ai soli delitti e non anche alle contravvenzioni, tanto è vero che tale esclusione è stata ripetutamente affermata proprio con riferimento alle violazioni urbanistiche, specificando anche che non potrebbe comunque considerarsi di speciale tenuità il danno o il fine di lucro in una disciplina tesa alla tutela di beni irriproducibili e di valore incommensurabile quali l'ambiente ed il territorio

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Torino, con sentenza del 12/12/2014 ha parzialmente riformato - dichiarando di non dovesi procedere in ordine ai fatti descritti ai punti 2), 4 e 5) dell'imputazione per essere i reati estinti per rilascio di permesso di costruire in sanatoria e rideterminando la pena per i fatti residui - la sentenza con la quale, in data 15/1/2013, il Tribunale di Verbania aveva affermato la responsabilità penale di R.P., perchè, quale titolare di permesso di costruire (n. 7945/2009) e successive varianti, comproprietario e committente delle opere, in violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. b) e art. 71, comma 1, eseguiva su preesistente immobile lavori edilizi in variazione essenziale rispetto al progetto approvato e senza osservate le NTA del Piano Regolatore Generale. In particolare eseguiva:

1) l'incremento volumetrico dell'edifico, conseguente alla sopraelevazione del tetto, sia al colmo che in gronda di circa m.0,60;

2) la chiusura della terrazza al primo piano con realizzazione di nuovo locale di mq 12,28 con tetto a vista e di altezza interna media di m. 3,36;

3) la formazione di un nuovo locale al piano secondo sottotetto, di superficie pari a mq 19,49 con altezza interna da m. 1,62 a m. 2,88;

4) la realizzazione di una nuova terrazza coperta al piano secondo, accessibile dal nuovo locale al piano sottotetto;

5) la realizzazione di opere in conglomerato cementizio armato meglio descritte nell'imputazione.

I fatti venivano commessi in (OMISSIS), sino al (OMISSIS).

Avverso tale pronuncia il predetto propone personalmente ricorso per cassazione, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p..

2. Con un primo motivo di ricorso denuncia il vizio di motivazione, deducendo che la Corte territoriale avrebbe erroneamente valutato "il contesto delle circostanze", che assume diversamente apprezzabile sulla base di specifici dati fattuali, che indica ed osserva che, sul punto, la sentenza impugnata si limiterebbe a riproporre le medesime argomentazioni già sviluppate dal giudice di primo grado, dunque con motivazione carente ed illogica.

3. Con un secondo motivo di ricorso rileva come, considerando che parte delle opere realizzate risultavano assentite o sanate, la condotta contestata avrebbe dovuto essere inquadrata nella meno grave fattispecie di cui al Testo Unico, art. 44, lettera a) dell'edilizia.

4. Con un terzo motivo di ricorso deduce il mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 4, lamentando che l'interpretazione secondo la quale sarebbe applicabile ai soli delitti e non alle contravvenzioni porrebbe la norma codicistica in contrasto con il dettato Costituzionale.

Parimenti, lamenta il diniego dell'ulteriore attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6, negata dai giudici del merito per il fatto che la demolizione delle opere abusive era intervenuta solo dopo la notifica della relativa ordinanza, assumendo che, a procedimento amministrativo non ancora concluso, egli non poteva procedere spontaneamente alla eliminazione dei manufatti.

Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

Va rilevato, con riferimento al primo motivo di ricorso, che lo stesso è unicamente incentrato sulla prospettazione di una lettura delle emergenze processuali alternativa a quella effettuata nei precedenti gradi di giudizio, fondata, peraltro, su richiami a documenti ed atti del processo la cui disamina è preclusa in questa sede, non essendo compito del giudice di legittimità quello di ripetere l'esperienza conoscitiva del giudice di merito.

Per contro, la sentenza impugnata illustra accuratamente sulla base di quali elementi il Tribunale è pervenuto all'affermazione di responsabilità dell'imputato, dando poi conto dei motivi di appello e delle ragioni per le quali gli stessi non sono stati ritenuti meritevoli di accoglimento.

La motivazione non risulta, pertanto, nè carente nè, tanto meno, contraddittoria perchè, richiamando puntualmente i singoli elementi di prova, chiarisce in maniera lineare e corretta quale fosse la consistenza degli interventi eseguiti, valuta le conseguenze dell'accertato incremento volumetrico e specifica sulla base di quali ulteriori elementi l'imputato doveva considerarsi pienamente informato e perfettamente consapevole delle opere effettivamente realizzate in luogo di quelle originariamente assentite.

Il motivo di ricorso risulta, pertanto, inammissibile.

2. A non diverse conclusioni deve pervenirsi per ciò che concerne il secondo motivo di ricorso.

Va a tale proposito rilevato che la prospettata collocazione degli interventi entro la meno grave fattispecie astratta contemplata al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a), è del tutto destituita di fondamento, avendo la Corte territoriale correttamente affermato che l'autonomia e novità delle opere e l'incremento volumetrico determinato dall'innalzamento del tetto evidenziano la totale difformità dell'intervento dal titolo abilitativo conseguito.

Occorre peraltro precisare che i riferimenti alla intervenuta sanatoria di parte delle opere effettuati dal ricorrente non sono pertinenti.

Questa Corte ha infatti ripetutamente affermato che il regime dei titoli abilitativi edilizi non può essere eluso attraverso la suddivisione dell'attività edificatoria finale nelle singole opere che concorrono a realizzarla, astrattamente suscettibili di forme di controllo preventivo più limitate per la loro più modesta incisività sull'assetto territoriale. L'opera deve essere infatti considerata unitariamente nel suo complesso, senza che sia consentito scindere e considerare separatamente i suoi singoli componenti e ciò ancor più nel caso di interventi su preesistente opera abusiva (Sez. 3, n. 16622 del 8/4/2015, Pmt in proc. Casciato, Rv. 263473; Sez. 3, n. 15442 del 26/11/2014 (dep. 2015), Prevosto e altri, Rv. 263339;

Sez. 3, n. 5618 del 17/11/2011 (dep.2012), Forte, Rv. 252125; Sez. 3 n. 34585 del 22/4/2010, Tulipani, non massimata; Sez. 3, n. 20363 del 16/3/2010, Marrella, Rv. 247175; Sez. 3, n. 4048 del 6/11/2002 (dep. 2003), Tucci, Rv. 223365).

Va altresì ricordato che questa Corte ha pure escluso l'ammissibilità di una "sanatoria parziale", dovendo l'atto abilitativo postumo contemplare gli interventi eseguiti nella loro integrità (cfr. Sez. 3 n. 19587, 18 maggio 2011; n. 45241, 5 dicembre 2007, non massimata; Sez. 3, n. 291 del 26/11/2003 (dep.2004), P.M. in proc. Fammiano, Rv. 226871) 3. Alla luce di tali principi, pienamente condivisi dal Collegio, appare dunque evidente che gli interventi, eseguiti su un unico fabbricato in un contesto unitario, come emerge dalla semplice lettura dell'imputazione, andavano considerati nella loro globalità e non potevano essere sanati o assentiti.

Dunque la sentenza è errata laddove valuta positivamente il titolo abilitativo sanante rilasciato per una parte degli interventi, rilevando l'estinzione del reato, come pure erra, in verità, nel rideterminare la pena individuando una pena base, per l'ammenda, inferiore al minimo edittale, dal momento che le sanzioni pecuniarie di cui all'art. 44 sono state incrementate del cento per cento dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla L. 24 novembre 2003, n. 326, sebbene tali evenienze non assumano rilievo in mancanza di impugnazione da parte del Pubblico Ministero e l'imputato possa comunque giovarsene. La sentenza riconosce però, correttamente, anche se solo limitatamente alle residue condotte, la necessità del permesso di costruire e, dunque, le qualifica correttamente.

4. Anche il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Esattamente i giudici del gravame hanno ricordato, con riferimento alla circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 4, che l'applicabilità della stessa è limitata ai soli delitti e non anche alle contravvenzioni, tanto è vero che tale esclusione è stata ripetutamente affermata proprio con riferimento alle violazioni urbanistiche (Sez. 3, n. 23872 del 8/4/2009, Santoro, Rv. 244081;

Sez. 3, n. 14290 del 28/2/2002, Di Franca S, Rv. 221571; Sez. 3, n. 6187 del 31/3/1994, Aquila, Rv. 197688), specificando anche che non potrebbe comunque considerarsi di speciale tenuità il danno o il fine di lucro in una disciplina tesa alla tutela di beni irriproducibili e di valore incommensurabile quali l'ambiente ed il territorio (Sez. 3, n. 3859 del 14/3/1997, Pozzi, Rv. 207604).

Nessuna censura può dunque muoversi ai giudici del gravame nè, tanto meno, può prendersi in considerazione la questione di legittimità costituzionale, peraltro genericamente prospettata, riferita all'art. 62 c.p., n. 4, poichè l'inammissibilità del ricorso non consente il formarsi di un valido rapporto d'impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare ammissibile una questione di legittimità costituzionale (Sez. 6, n. 22439 del 15/5/2008, P.M. in proc. Balbi De Caro e altri, Rv.

240513).

5. La sentenza impugnata risulta inoltre corretta laddove esclude l'applicabilità anche dell'attenuante di al dell'art. 62 c.p., n. 6, che la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto riferibile anche alle violazioni urbanistiche, individuando, quale riparazione del danno, la spontanea ed efficace esecuzione, ad opera del reo, a lavori ultimati, di un'ulteriore attività edilizia con finalità ripristinatorie o di adeguamento del manufatto abusivo alle prescrizioni urbanistico-edilizie violate (Sez. 3, n. 43844 del 24/9/2009, Di Natale, Rv. 245224; Sez. 3, n. 10169 del 4/10/1983, Palladino, Rv. 161444), poichè era stato accertato, in fatto, che la demolizione era intervenuta soltanto dopo l'emissione dell'ordinanza di demolizione ed a nulla rileva il fatto, valorizzato dal ricorrente, che il procedimento amministrativo relativo all'intervento edilizio era ancora in corso e nulla gli era stato imposto, poichè tale evenienza non era comunque impeditiva di una spontanea eliminazione delle opere abusive.

6. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità consegue l'onere delle spese del procedimento, nonchè quello del versamento, in favore della Cassa delle Ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 1.500,00.

Ulteriore conseguenza della rilevata inammissibilità del ricorso è la preclusione della possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all'art. 129 c.p.p., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento di legittimità (cfr., da ultimo, Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, Ciaffoni, Rv. 256463).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.500,00 (millecinquecento) in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2016