Cass. Sez. III n. 37926 del 7 ottobre 2022 (CC 1 lug 2022)
Pres. Andreazza Est. Noviello Ric. Ferri
Urbanistica.Alienazione manufatto abusivo e demolizione
In tema di reati edilizi, l'esecuzione dell'ordine di demolizione, impartito dal giudice a seguito dell'accertata edificazione in violazione di norme urbanistiche, non è escluso neppure dall'alienazione del manufatto abusivo a terzi, anche se intervenuta anteriormente all'ordine medesimo
RITENUTO IN FATTO
1. Il tribunale di Velletri, quale giudice dell’esecuzione, rigettava la istanza di Fondi Salvatore e Ferri Aurora volta ad otenere la revoca o sospensione dell’ingiunzione di demolizione adotatta dal Pubblico Ministero del medesimo tribunale in esecuzione di sentenza n. 107/2006 del tribunale di Velletri – sezione distaccata di fRascati, del 17 maggio 2006 e divenuta irrevocabile il’11 luglio 2006.
2. Avverso la predetta ordinanza Fondi Salvatore e Ferri Aurora tramite il proprio difensore hanno proposto ricorso per Cassazione, deducendo cinque motivi di impugnazione.
3. Con il primo motivo contestano la qualificazione dell’ordine di demolizione quale sanzione amministrativa, e non quale pena, osservando come in tal caso si avrebbe una inammissibile ingerenza nella sfera riservata alla giustizia amministrativa e agli organi amministrativi. Sarebbe altresì errata la ritenuta non applicabilità, al caso di specie, dell’art. 166 c.p., come anche l’affermazione del giudice dell’esecuzione per cui l’ordine di demolizione, impartito dalla Procura, sarebbe impugnabile davanti alla autorità amministrativa giudiziaria.
4. Con il secondo motivo deducono vizi di violazione di legge e di mancanza e manifesta illogicità della motivazione, contestando che con l’ordinanza il giudice si sarebbe limitato a ritenere che l’applicazione dell’art. 173 cod. pen. comporterebbe una applicazione contraria al dato letterale della norma. Senza argomentare sul ricorso, riguardo alla analogia legis o iuris. Che permetterebbe comunque l’applicazione della disciplina sulla prescrizione della pena pur in presenza di una sanzione amministrativa.
5. Con il terzo motivo rappresenta vizi di violazione di legge e di mancanza e manifesta illogicità della motivazione. Con riferimento alle previsioni dettate in ordine al diritto alla tutela della abitazione e all’interesse del minore. Il giudice avrebbe considerato lo stato di necessità distorcendo le argomentazioni del ricorrenti incentrate sul diritto all’abitazione dei minori. E il giudice non avrebbe spiegato le ragioni della mancata tutela dei diritti dei minori. In contrasto anche con indirizzi giurisprudenziali richiamati in ricorso.
6. Con il quarto motivo deducono vizi di violazione di legge. Si contesta l’estensione dell’obbligo di demolizione anche a carico della ricorrente Ferri. Posto che trattasi di obbligo riguardante solo l’autore dell’abuso.
7. Con il quinto motivo deducono vizi di violazione di legge e di mancanza e manifesta illogicità della motivazione, con riferimento al tema della intervenuta estinzione del reato dopo la condanna, oltre che della pena. e con riferimento alla intervenuta istanza di declaratoria di indulto, per il quale non sussisterebbero cause ostative.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo e secondo motivo sono tra loro omogenei, afferendo al tema della natura della sanzione dell’ordine di demolizione. Essi sono entrambi
inammissibili. E’ opportuna la seguente premessa. Questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015 Rv. 265540 Delorier) ha escluso la natura sanzionatoria dell’ordine di demolizione, sulla base di un’articolata disamina della relativa disciplina, di cui al D.P.R. 380/01. Da essa si è evinto che la demolizione dell'abuso edilizio è stata disegnata dal Legislatore come un'attività avente finalità ripristinatorie dell'originario assetto del territorio, imposta all'autorità amministrativa, la quale deve provvedervi direttamente nei casi previsti dall'art. 27, comma 2 del TUE o attraverso la procedura di ingiunzione. Si tratta, dunque, di sanzioni amministrative che prescindono dalla sussistenza di un danno e dall'elemento psicologico del responsabile, in quanto applicabili anche in caso di violazioni incolpevoli; come tali sono rivolte non solo alle persone fisiche, ma anche alle persone giuridiche ed agli enti di fatto e sono generalmente trasmissibili nei confronti degli eredi del responsabile e dei suoi aventi causa che a lui subentrino nella disponibilità del bene (cfr. anche. Consiglio di Stato, Sez. 4, n.2266 del 12\4\2011; Consiglio di Stato, Sez. 4, n. 6554 del 24\12\2008. V. anche Cass. Sez. 3, n. 48925 del 22/10/2009, Viesti, Rv. 245918). E’ stato in tal senso valorizzato anche il dato per cui, considerato il complesso delle disposizioni integranti la disciplina citata, i provvedimenti finalizzati alla demolizione dell'immobile abusivo, adottati dall'autorità amministrativa, risultano autonomi rispetto alle eventuali statuizioni del giudice penale e, più in generale, alle vicende del processo penale. Sempre questa Corte, nella sentenza in principio citata e con specifico riferimento alla demolizione ordinata dal giudice penale ai sensi dell'art. 31, comma 9 d.P.R., 380\01, ha osservato, in primo luogo, che la disposizione si pone in continuità normativa con il previgente art. 7 della legge 47/1985 (cfr. Sez. 3, n. 32211 del 29/5/2003, Di Bartolo, Rv. 225548) e costituisce atto dovuto del giudice penale, esplicazione di un potere autonomo e non alternativo a quello dell'autorità amministrativa, con il quale può essere coordinato nella fase di esecuzione (cfr. da ultimo Sez. 3, n. 55295 del 22/09/2016 Rv. 268844 Fontana).
Sulla base di queste premesse, si è concluso nel senso che l’ordine in parola integra una sanzione amministrativa che assolve ad un'autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, impone un obbligo di fare imposto per ragioni di tutela del territorio ed ha carattere reale. E’ per tali ragioni che l'ordine di demolizione impartito dal giudice può essere revocato dallo stesso giudice che lo ha emesso quando risulti incompatibile con un provvedimento adottato dall'autorità amministrativa, indipendentemente dal passaggio in giudicato della sentenza (Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci, Rv. 260972; Sez. 3, n. 3456 del 21/11/2012 (dep.2013), Oliva, Rv. 254426; Sez. 3, n.
25212 del 18/1/2012, Maffia, Rv. 253050 Sez. 3, n. 73 del 30/4/1992, Rizzo,
Rv. 190604; Sez. 3, n. 3895 del 12/2/1990, Migno, Rv. 183768). E’ per tali ragioni, peraltro, che potrebbe, in via astratta, farsi ricorso alla autorità giurisdizionale penale che abbia emesso l’ordine, e tale deve ritenersi il rilievo, in tal modo corretto, del tribunale, circa della possibilità di ricorrere alla stessa, siccome anche confortato, al di là della utilizzata definizione di “autorità amministrativa giudiziaria”, dalla evidenziazione, nel caso concreto, della intervenuta istanza promossa in sede penale.
E’ stato alfine osservato che «l'intervento del giudice penale si colloca a chiusura di una complessa procedura amministrativa finalizzata al ripristino dell’ originario assetto del territorio alterato dall'intervento edilizio abusivo, nell'ambito del quale viene considerato il solo oggetto del provvedimento (l'immobile da abbattere), prescindendo del tutto dall'individuazione di responsabilità soggettive, tanto che la demolizione si effettua anche in caso di alienazione del manufatto abusivo a terzi estranei al reato, i quali potranno poi far valere in altra sede le proprie ragioni. L'intervento del giudice penale, inoltre, non è neppure scontato, dato che egli provvede ad impartire l'ordine di demolizione se la stessa ancora non sia stata altrimenti eseguita».
Tali considerazioni dunque, incidono senza alcun dubbio, secondo questa Corte, sulla natura – di sanzione amministrativa - dell'ordine di demolizione impartito dal giudice, con ulteriori riflessi anche in tema di estinzione dell’ordine medesimo per il decorso del tempo. Sempre con la sentenza sopra richiamata (Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015 Rv. 265540 Delorier) si è evidenziato, infatti, che l'ordine impartito dal giudice non è soggetto alla prescrizione quinquennale stabilita per le sanzioni amministrative dall'art. 28 della I. 689\81, che riguarda le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva (cfr. anche Sez. 3, n. 36387 del 07/07/2015 Cc. (dep. 09/09/2015 ) Rv. 264736 Formisano; Sez. 3, n. 16537 del 18/2/2003, Filippi, Rv. 227176) e, stante la sua natura di sanzione amministrativa, non si estingue neppure per il decorso del tempo ai sensi dell'art. 173 cod. pen. (cfr. anche Sez. 3, n. 36387 del 7/7/2015, Formisano cit.; Sez. 3, n. 19742 del 14/4/2011, Mercurio e altro, Rv. 250336; Sez. 3, n. 43006 del 10/11/2010, La Mela, Rv. 248670), atteso che quest'ultima disposizione si riferisce alle sole pene principali (Sez. 3, n. 39705 del 30/4/2003, Pasquale, Rv. 226573).
Da queste complessive considerazioni discende il principio di diritto stabilito con la sentenza citata per cui “la demolizione del manufatto abusivo, anche se disposta dal giudice penale ai sensi dell'art. 31, comma 9, qualora non sia stata altrimenti eseguita, ha natura di sanzione amministrativa che assolve ad un'autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, configura un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, producendo effetti sul soggetto che è in rapporto
con il bene, indipendentemente dall'essere stato o meno quest'ultimo l'autore dell'abuso.
La suesposta ricostruzione interpretativa è stata anche valutata in rapporto alle decisioni della Corte EDU in tema di definizione del concetto di “pena”, osservandosi che «..Per tali sue caratteristiche la demolizione non può ritenersi una «pena» nel senso individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU e non è soggetta alla prescrizione stabilita dall'art. 173 cod. pen.” (cfr. (Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015 Rv. 265540 Delorier cit; e ancora Sez. 3, n. 41475 del 03/05/2016 Rv. 267977 Porcu). Si configura, in altri termini, una sanzione che tende alla riparazione effettiva di un danno e non è rivolta nella sua essenza a punire per impedire la reiterazione di trasgressioni a prescrizioni stabilite dalla legge.
Si tratta di principi pienamente condivisi dal Collegio, che ad essi intende dare continuità.
Alla luce delle considerazioni sopra svolte, deve dunque pervenirsi alla conclusione che l'ordine di demolizione dell'immobile abusivo impartito dal giudice penale ai sensi dell'art. 31, comma 9 D.P.R. 380/01 integra una sanzione amministrativa di carattere ripristinatorio, come tale non rientrante nell’ambito di operatività dell’art. 173 c.p. né soggetta alla prescrizione stabilita dall’art. 28 della legge n. 689 del 1981 che attiene alle sole sanzioni pecuniarie con finalità punitiva.
Le censure formulate dalla difesa al riguardo, non hanno quindi pregio alcuno e le considerazioni suesposte in tema di inapplicabilità dell’art. 173 c.p., ben illustrano, altresì, anche il senso di quanto già in proposito espresso nella ordinanza impugnata
2. Il terzo motivo, è inammissibile. Va premesso che, come anche di recente rilevato da questa Suprema Corte, in tema di reati edilizi il giudice, nel dare attuazione all'ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona, è tenuto a rispettare il principio di proporzionalità enunciato dalla giurisprudenza convenzionale nelle sentenze della Corte EDU Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria del 21/04/2016 e Kaminskas
c. Lituania del 04/08/2020, valutando la disponibilità, da parte dell'interessato, di un tempo sufficiente per conseguire, se possibile, la sanatoria dell'immobile o per risolvere, con diligenza, le proprie esigenze abitative, la possibilità di far valere le proprie ragioni dinanzi a un tribunale indipendente, l'esigenza di evitare l'esecuzione in momenti in cui sarebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola, nonché l'eventuale consapevolezza della natura abusiva dell'attività edificatoria. In tale quadro è stato anche rilevato che risulta corretta la decisione di rigetto
dell'istanza di revoca dell'ingiunzione a demolire un immobile abusivo, argomentata sul rilievo per cui i ricorrenti avrebbero commesso numerose contravvenzioni urbanistiche e paesaggistiche e più delitti di violazione dei sigilli, avrebbero potuto avvalersi di plurimi rimedi per la tutela in giudizio delle proprie ragioni, avrebbero beneficiato di un congruo tempo per individuare altre situazioni abitative e non avrebbero indicato specifiche esigenze che giustificassero il rinvio dell'esecuzione dell'ordine di demolizione onde evitare la compromissione di altri diritti fondamentali (Sez. 3, n. 5822 del 18/01/2022 Rv. 282950 – 01). Il diritto all’abitazione in altri termini, non può essere genericamente invocato per contrapporlo all’ordine di demolizione di un immobile edilizio, bensì occorre illustrarlo con argomenti concreti e ragionevoli che possano supportare la valutazione di proporzionalità dell’ordine di demolizione. Pertanto, il motivo in esame appare estremamente generico, essendo ridotto alla mera evocazione di un pregiudizio a carico di minori, formulata mediante la mera asserzione secondo cui, a fronte della demolizione, gli stessi si troverebbero privi di dimora.
3. Il quarto motivo è inammissibile. Il tribunale si è limitato a rilevare, non già l’obbligo di demolizione a carico di Ferri Aurora - posto il principio per cui in tema di reati edilizi, l'ordine di demolizione ha come suo destinatario unicamente il condannato responsabile per l'abuso, sicché è illegittima l'estensione dell'obbligo di demolizione al proprietario del bene rimasto estraneo al processo penale, sul quale ricadono solo gli effetti della misura. (Sez. 3, n. 4011 del 18/12/2020 Cc. (dep. 02/02/2021 ) Rv. 280916 – 01 - bensì la circostanza per cui non è preclusiva per l’esecuzione dell’ordine di demolizione la proprietà dell’immobile abusivo in capo ad altri soggetti. Invero, l'ordine di demolizione delle opere abusive emesso dal giudice penale ha carattere reale e natura di sanzione amministrativa a contenuto ripristinatorio e deve, pertanto, essere eseguito nei confronti di tutti i soggetti che sono in rapporto col bene e vantano su di esso un diritto reale o personale di godimento, anche se si tratti di soggetti estranei alla commissione del reato, (cfr. sez. 3^, n. 42781 del 21.10.2009, Arrigoni), cosicchè è corretta la notifica dell’ordine anche all’attuale proprietario dell’opera abusiva . In tale prospettiva, questa corte ha più volte ribadito il principio di diritto secondo il quale, in tema di reati edilizi, l'esecuzione dell'ordine di demolizione, impartito dal giudice a seguito dell'accertata edificazione in violazione di norme urbanistiche, non è escluso neppure dall'alienazione del manufatto abusivo a terzi, anche se intervenuta anteriormente all'ordine medesimo (Sez. 3, Sez. 3, n. 42699 del 07/07/2015 Rv. 265193 – 01 Curcio; n. 16035 del 26/02/2014, Attardi, Rv. 259802).
8. Anche il quinto motivo è manifestamente infondato. Quanto al tema della declaratoria di estinzione, è sufficiente richiamare quanto già illustrato nel primo paragrafo. Con l’aggiunta per cui è corretto lo specifico rilievo del tribunale per cui, a fronte della natura amministrativa dell’ordine di demolizione e della sua non riconducibilità tra le pene accessorie del reato, l’estinzione del medesimo non implica la revoca dell’ordine stesso. Secondo un principio che trova inevitabile riscontro anche in caso di indulto. Tema quest’ultimo, per vero, non citato nel riepilogo dei motivi di contestazione rinvenibile nella ordinanza del tribunale di Velletri, senza che tale ricostruzione sia stata criticata dai ricorrenti. Con la conseguenza per cui a tale ultimo riguardo trova applicazione il principio, applicabile anche in caso di istanza promossa in sede esecutiva, secondo il quale sussiste un onere di specifica contestazione del riepilogo dei motivi di impugnazione, allorquando si ritenga che non sia stata menzionata la medesima questione come già proposta in sede di gravame; in mancanza della predetta contestazione, il motivo deve pertanto ritenersi proposto per la prima volta in cassazione, e quindi tardivo ed inammissibile (cfr. in tal senso, Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017 Ud. (dep. 28/06/2017 ) Rv. 270627 – 01 Ciccarelli).
9. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che i ricorsi debbano essere dichiarati inammissibili, con conseguente onere per i ricorrenti, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che i ricorrenti versino la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 1 luglio 2022.