Sez. 3, Sentenza n. 24201 del 25/05/2005 Ud. (dep. 27/06/2005 ) Rv. 231948
Presidente: Savignano G. Estensore: Petti C. Relatore: Petti C. Imputato: David.
P.M. Consolo S. (Conf.)
(Rigetta, App. Palermo, 20 Dicembre 2004)
EDILIZIA - COSTRUZIONE EDILIZIA - Disposizioni regionali - Legge Regione Sicilia
n. 37 del 1985 - Impianto di prefabbricati ad uso non abitativo - Realizzazione
di complesso non precario - Permesso di costruire - Necessità - Fondamento.
In materia edilizia, la disposizione della Legge Regione Sicilia 10 agosto 1985
n. 37, come modificata dalla Legge Regione Sicilia 15 maggio 1986 n. 26, ai
sensi della quale non occorre il permesso di costruire per l'impianto di
prefabbricati non adibiti ad uso abitativo, deve essere limitata ai soli
manufatti precari, atteso il necessario coordinamento con la normativa statale,
con i cui principi generali le disposizioni regionali non possono collidere. (In
applicazione di tale principio la Corte ha affermato come la realizzazione di
più opere, che singolarmente considerate non avrebbero richiesto il rilascio del
permesso di costruire, integrate in modo da realizzare un complesso edilizio non
precario, in difetto del preventivo provvedimento autorizzatorio, configura il
reato di cui all'art. 44 d.P.R. n. 380 del 2001).(Fonte CED cassazione)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. SAVIGNANO Giuseppe - Presidente - del 25/05/2005
Dott. VITALONE Claudio - Consigliere - SENTENZA
Dott. DE MAIO Guido - Consigliere - N. 1147
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GRILLO Carlo - Consigliere - N. 11079/2005
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GANDOLFO David, nato a Castellana Sicula il 7 febbraio del 1959;
avverso la sentenza della Corte d'appello di Palermo del 20 dicembre 2004;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Ciro Petti;
sentito il P.M. nella persona del sostituto procuratore generale Dott. CONSOLO
Santi, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso;
Sentito il difensore avv. LUPO Francesco, il quale ha concluso per
l'accoglimento del ricorso;
letti il ricorso e la sentenza denunciata.
Osserva quanto segue:
IN FATTO
Con sentenza del 20 dicembre 2004, la corte d'appello di Palermo, in parziale
riforma di quella pronunciata dal Tribunale di Termini Imerese, sezione
distaccata di Cefalù, dichiarava non doversi procedere nei confronti David
Gandolfo per il reato di cui agli artt. 1, 3, 17, 18 e 20 della legge n. 64 del
1974, perché estinto per prescrizione, e, per l'effetto, rideterminava in giorni
diciannove di arresto ed Euro 11.500,00 di ammenda, la pena inflittagli per i
seguenti reati:
A) del reato di cui all'art. 20, lett c, della legge n 47/85, per avere, in zona
sottoposta a vincolo paesaggistico e in assenza di concessione edilizia,
proceduto alla costruzione di opere abusive, consistenti in uno sbancamento di
un appezzamento di terreno, ubicato in Castellana Sicula, contrada Portella
delle Piante, nella pavimentazione del suolo con battuto cementizio, nella
collocazione di una struttura metallica del tipo "container" con antistante
pensilina realizzata con tubi metallici, nella costruzione di muri di
contenimento in cemento armato di altezza variabile da mt. 0,50 a mt. 2,
sormontati da paletti e rete metallica;
B) del reato di cui agli artt. 138 e 163 D.Lgs. n 490/99, per avere eseguito i
lavori senza la preventiva autorizzazione della Soprintendenza ai BB.CC.AA.;
C) del reato di cui agli artt. 1, 2, 4, 13 e 14 della legge n. 1086/71, per
avere eseguito opere in cemento armato in assenza di progetto esecutivo redatto
da tecnico abilitato,senza la direzione di questi e senza farne denuncia
all'Ufficio del Genio Civile. Fatti commessi fino al 30 novembre del 2000.
A fondamento della decisione, per quello che ancora rileva in questa fase la
corte territoriale osservava che alle opere anzidette non era applicabile la
sospensione di cui all'art. 44 della legge n. 47 del 1985, al quale rinviava
l'articolo 39 della legge 327 del 2003, trattandosi di costruzioni non
residenziali; che per le opere realizzate occorreva il permesso di costruire e,
quanto meno, per il muro in cemento armato anche l'autorizzazione del Genio
Civile; che sussisteva il reato di cui al capo b) perché le opere realizzate
erano potenzialmente idonee a ledere in senso fisico ed estetico l'ambiente.
Ricorre per Cassazione l'imputato tramite il suo difensore denunciando:
a) violazione e falsa applicazione dell'articolo 10 della legge 28 febbraio del
1985 n. 47 in relazione all'articolo 5 della legge regionale n. 37 del 1985
nonché omessa motivazione, il tutto ex art. 606 lettere b) ed e). Assume che in
base all'articolo 5 della legge regionale n. 37 del 1985 per le opere innanzi
descritte non era necessaria la concessione essendo sufficiente l'autorizzazione
sindacale, la cui mancanza non comportava l'applicazione delle pene di cui
all'articolo 20 della legge n. 47 del 1985 come previsto dall'articolo 10 comma
secondo della legge anzidetta. La relativa questione era stata sottoposta
all'esame della corte con il quarto motivo, ma sul punto la motivazione della
sentenza impugnata è del tutto carente;
b) violazione dell'articolo 32 della legge n. 326 del 2003 giacché, sia pure
sulla base di una decisione di questa corte (la n. 1436 del 2004) si è ritenuto
illegittimamente inapplicabile il condono. Assume che il vero tema del
contendere, sul quale è intervenuta qualche pronuncia dei giudici amministrativi
e di questa stessa Corte, ha riguardato il se agli edifici non residenziali
potesse applicarsi il limite dei 750 mc, ma non se fossero assoggettabili o meno
al condono edilizio;
C) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2, 3 e 4, 13 e 14 della legge
n. 1086 del 1971 in relazione all'articolo 606 lett. b) c.p.p. in quanto per la
natura delle opere non era necessaria la denuncia dell'inizio dei lavori
all'Ufficio del Genio Civile: infatti il battuto era costituito da semplice
calcestruzzo, come pure il muro a contenimento della scarpata:
d) violazione e falsa applicazione degli artt. 138 e 163 del D.Leg.vo n. 490 del
1999 giacché nel caso in esame nessun apprezzabile vulnus era stato arrecato al
contesto ambientale.
All'odierna udienza il difensore ha invocato la prescrizione del reato poiché i
lavori erano stati sospesi ben prima del 30 novembre 2000.
IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va pertanto respinto.
L'eccezione di prescrizione sollevata per la prima volta all'odierna udienza va
respinta, in quanto il reato non si è ancora prescritto. Il principio in dubio
pro reo può trovare applicazione anche in materia di prescrizione quando v'è
incertezza sulla data di consumazione del reato e quindi sulla decorrenza del
termine prescrizionale. Nella fattispecie però dalla sentenza impugnata emerge
che i lavori erano ancora in atto al momento del sopralluogo del 30 novembre del
2000. La riprova è costituita dal fatto che, proprio a seguito di quel
sopralluogo, l'ing. Capo, con provvedimento del 1 dicembre 2000, ha ordinato la
sospensione dei lavori e la demolizione delle opere abusive già realizzate.
Ciò premesso, per quanto concerne il primo motivo, è vero che la corte non ha
esplicitamente escluso l'applicabilità alla fattispecie della norma regionale
(art. 5 legge Regione Sicilia n. 37 del 1985) invocata dalla difesa ma, avendo
sostenuto che il prefabbricato non era opera precaria e che nel complesso le
opere realizzate avevano modificato la morfologia del terreno agricolo per
destinarlo ad attività imprenditoriale (realizzazione di una fungaia), ha, sia
pure implicitamente, disapplicato la norma invocata dalla difesa. In ogni caso,
trattandosi di una questione di diritto che non ha inciso sul dispositivo, la
motivazione può essere integrata anche da questa corte a norma dell'articolo 619
c.p.p. In proposito si rileva che, secondo l'orientamento consolidato di questa
corte, avuto riguardo alla ratio della norma contenuta nell'art. 619 c.p.p. (che
è quella di scongiurare l'annullamento della decisione impugnata tutte le volte
in cui la corte, rimanendo nell'ambito della sua funzione istituzionale e nel
rispetto del fatto, possa ovviare agli errori di diritto o alle cadute
d'attenzione da parte del giudice a quo, lasciando inalterato l'essenziale del
contesto decisorio), nella categoria degli errori di diritto può essere compresa
anche l'insufficienza motivazionale in diritto(Cass 17 dicembre 1992, Serranò;
Cass 24 giugno 1998, Cremi). D'altra parte l'insufficiente motivazione in
diritto, sia o no compresa nel genus degli errori di diritto di cui all'articolo
619, quando è coerente e quando è priva di carenze strutturali non determina la
nullità della sentenza. Ciò precisato, la norma invocata dalla difesa non può
essere applicata alla fattispecie per due ragioni.
La prima è costituita dal fatto che la modificazione introdotta dall'articolo 5
della legge regionale n. 26 del 1986 all'articolo 5 della Legge regionale n. 37
del 1985, in forza della quale non occorre il permesso di costruire "per
l'impianto di prefabbricati ad un'elevazione non adibiti ad uso abitativo", per
la sedes materiae e per il necessario coordinamento con la normativa statale,
deve essere riferita, come riconosciuto dallo stesso ricorrente, a manufatti
precari (Così anche Cass. 6814 del 2000). Un'opera si può considerare precaria
allorché, indipendentemente dalla natura dei materiali usati, dalla tecnica
costruttiva e dalla più o meno facile amovibilità, sia destinata a soddisfare
oggettivamente esigenze specifiche, cronologicamente delimitate(cfr per tutte
Cass 10 giugno 2003, Nagni). Nella fattispecie come risulta dalla sentenza
impugnata quel manufatto non era oggettivamente finalizzato a svolgere una
funzione contingente, giacché le opere nel complesso erano destinate
all'esercizio di attività commerciale (coltivazione di funghi). La seconda
ragione è costruita dal fatto che la legge regionale n. 37 del 1985, nonostante
la competenza esclusiva della Regione Siciliana in materia urbanistica, dovendo
rispettare in ogni caso i principi generali stabiliti dalla legislazione
statale, deve essere interpretata in modo da non collidere con siffatti
principi. Orbene le opere indicate dall'articolo 5, singolarmente considerate,
non richiedono il permesso di costruire, ma la semplice autorizzazione o perché
trattasi di manufatti precari (come i prefabbricati) o perché pertinenze ovvero
perché non implicano trasformazioni rilevanti del territorio, come le
recinzioni. Se però nello stesso luogo vengono realizzate più opere tra quelle
indicate nell'articolo 5 opportunamente integrate tra loro, in modo da
realizzare un complesso edilizio non precario, non è più invocabile articolo 5
perché il manufatto realizzato, per la sua autonomia funzionale, non è più
riferibile alle singole opere assentibili con semplice autorizzazione, ma
richiede il permesso di costruire. D'altra parte l'articolo 5 non menziona le
piattaformi in cemento o i muri di contenimento in cemento armato. Nella
fattispecie, come emerge dalla sentenza impugnatale opere, (scavi, livellamenti,
costruzioni di paiattoforma, muro di contenimento, recinzione, installazione di
un prefabbricato con pensilina) erano finalizzate a realizzare un complesso
commerciale per la produzione, coltivazione e vendita di funghi. Inoltre ogni
intervento in zona paesaggisticamente vincolata effettuato in assenza
dell'autorizzazione dell'ente preposto alla tutela del vincolo, costituendo una
variazione essenziale indipendentemente dal titolo abilitativo richiesto dalla
legge regionale, configura il reato di cui all'articolo 20 lett., c) della legge
n. 47 del 1985 (ora art. 44 lett. e D.P.R. n. 380 del 2001) che è stato
contestato al prevenuto (cfr Cass 9538 del 2003) Legittimamente i giudici di
merito hanno respinto l'istanza di sospensione del procedimento nell'attesa
della definizione della pratica di condono giacché a norma del tenore letterale
dell'articolo 32 comma 25 del d.l.n. 269 del 2003, conv con modificazioni nella
legge n. 326 dello stesso anno, una nuova costruzione non qualificabile come
residenziale non è suscettibile di sanatoria, secondo l'orientamento di questa
corte (cfr oltre alla decisione già citata dalla corte territoriale, cass. 12
marzo 2004, Pieri). Poiché l'esclusione dal condono delle nuove costruzioni non
residenziali non è irragionevole; il chiaro ed inequivoco tenore letterale della
norma non consente, a norma dell'articolo 12 delle preleggi, interpretazioni
diverse. La dottrina citata dal ricorrente non riguarda il condono ora in esame.
Peraltro nella fattispecie la sospensione non poteva essere concessa anche per
un'altra ragione e cioè per la mancanza del nulla osta dell'ente preposto alla
tutela del vincolo paesaggistico, trattandosi di manufatto costruito in zona
paesaggisticamente vincolata.
Relativamente al terzo motivo, va condiviso l'assunto della corte territoriale
secondo la quale, quanto meno per la recinzione ed il muro di contenimento in
cemento armato era necessaria la preventiva verifica dell'Ufficio del Genio
civile,come riconosciuto dallo stesso imputato, il quale aveva presentato al
Genio Civile il progetto per ottenere l'autorizzazione in sanatoria. Invero la
legge n. 1086 del 1971 è applicabile a tutte le strutture in conglomerato
cementizio (normale o precompresso) ed in metallo che assolvono ad una funzione
statica del manufatto, senza che assuma rilievo l'entità dell'elemento
materiale, posto che non è necessario che questo sia costituito da un complesso
di strutture, essendo rilevante l'elemento funzionale. Diversamente si
confliggerebbe con la ratio legis che è quella di assicurare la stabilità del
manufatto in tutti i casi in cui siano adoperate strutture metalliche o in
cemento armato (Cass. 5220 del 2001). La funzione statica di un muro di
contenimento in cemento armato è palese.
Manifestamente infondato è infine l'ultimo motivo giacché la valutazione della
corte territoriale in merito all'idoneità del complesso realizzato a ledere
l'ambiente circostante non è censurabile in questa sede perché non contiene
errori giuridici o logici.
P.Q.M.
LA CORTE
Letto l'art. 616 c.p.p..
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 25 maggio 2005.
Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2005