Cass. Sez. III n. 12746 del 26 marzo 2008 (Cc 20 feb. 2008)
Pres. Altieri Est. De Maio Ric. Chiofalo
Urbanistica. Dichiarazione di compatibilità ambientale e demolizione

In materia edilizia, è inidonea a determinare la revoca e/o la sospensione dell\'ordine di demolizione in sede esecutiva la dichiarazione di compatibilità ambientale dell\'opera abusiva rilasciata dal Comune dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, in quanto non si tratta di atto amministrativo incompatibile con la demolizione.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. ALTIERI Enrico - Presidente - del 20/02/2008
Dott. DE MAIO Guido - Consigliere - SENTENZA
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - N. 00230
Dott. GRILLO Carlo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SENSINI Maria Silvia - Consigliere - N. 036701/2007
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) CHIOFALO COSIMO, N. IL 28/02/1963;
avverso ORDINANZA del 17/09/2007 TRIBUNALE di BARCELLONA POZZO DI GOTTO;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. DE MAIO GUIDO;
lette le conclusioni del P.G. che ha concluso per il rigetto del ricorso.
MOTIVAZIONE
Cosimo Chiofalo fu condannato con sentenza 182/99 del Pretore di Barcellona P.G. in data 16.4.99, divenuta irrevocabile il 9.2.2001, alla pena ritenuta di giustizia, oltre demolizione delle opere abusive, per il reato di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. b).
Avendo il PM presso quel Tribunale in data 18.8.2003 emesso provvedimento di ingiunzione a demolire il manufatto abusivo di mq. 35, il Chiofalo chiese al Giudice dell\'Esecuzione la revoca e, in via gradata, la sospensione dell\'anzidetto provvedimento con istanza che il predetto Giudice rigettò con ordinanza in data 17.9.2007. Avverso tale ordinanza il Chiofalo ha proposto ricorso denunciando:
1) violazione della L. n. 326 del 2003, art. 32 e L. n. 47 del 1985, art. 38 per avere il G.E. affermato erroneamente che il condono non può essere concesso in presenza di una condanna passata in giudicato;
2) vizio della motivazione perché la citata affermazione contrasta con quella successiva secondo cui l\'ordine di demolizione non è suscettibile di passaggio in giudicato;
3) violazione di legge e vizio della motivazione per avere il G.E. erroneamente ritenuto non condonabile il manufatto in quanto ricadente a m. 85 dall\'argine del torrente Longano.
In questa sede il Chiofalo ha presentato memoria aggiuntiva con allegata dichiarazione in data 19.11.07 del predetto Assessorato di compatibilità ambientale e rilascio di nulla-osta alla concessione in sanatoria. Il Proc. Gen. presso questa Corte ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Il ricorso è infondato dovendo ritenersi, al di là delle osservazioni non decisive del provvedimento impugnato circa l\'inerzia del condannato, che è esatta la ragione sostanziale della decisione, che consiste nella mancata adozione da parte della P.A. di atti incompatibili con la demolizione. Non può, infatti, ritenersi tale nemmeno la citata dichiarazione di compatibilità ambientale, la quale riserva all\'amministrazione comunale ("alla quale compete la definizione della pratica di sanatoria") l\'accertamento circa la compatibilità dell\'opera "con tutte le altre prescrizioni in materia urbanistica e condono edilizio di cui alla L. n. 326 del 2003". E nel caso in esame non è dubbia la non condonabilità dell\'opera, in quanto le opere edilizie realizzate in zone sottoposte a vincolo a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e paesistici possono ottenere la sanatoria ai sensi della L. n. 326 del 2003, art. 32 solo per gli interventi edilizi di minore rilevanza e cioè di restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria (sez. 3, 24.9.2004 n. 37865, rv. 230030; 7.9.200 n. 37865, rv. 230030;
7.9.2004 n. 35984, rv. 229013). Occorre ribadire che è del tutto pacifico, fino a costituire ormai ius receptum, che il giudice può provvedere alla invocata sospensione solo se, da un lato, abbia verificato con esito positivo, tra l\'altro, la concreta condonabilità dell\'opera e, dall\'altro, se sia concretamente prevedibile che il condono e la sanatoria possano essere concessi in tempi brevi (non essendo possibile, sotto tale ultimo profilo, che le esigenze di giustizia connesse all\'esecuzione della demolizione restino sospese sine die).
Inoltre, la dichiarazione di compatibilità ambientale non è idonea ex se a determinare la revoca o la sospensione dell\'esecuzione del provvedimento di demolizione, così come la presentazione dell\'istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica per gli abusi commessi entro il 30.9.2004 non determina la sospensione del procedimento penale in difetto di un\'espressa previsione legislativa, non potendosi nemmeno estendere alla disciplina del condono paesaggistico l\'effetto sospensivo previsto dalla disciplina del condono edilizio dalla L. n. 326 del 2003, attesa la mancanza di qualsiasi collegamento tra le due discipline (giurisprudenza consolidata di questa Corte: sez. 3, 3.7.2007 n. 37311, rv. 237384;
13459/2007, rv. 236333; n. 19719/2007 rv. 236749). Neppure potrebbe sostenersi l\'opportunità della sospensione, in considerazione appunto della conseguita dichiarazione di compatibilità ambientale, nella prospettiva, questa volta, del cd. condono ambientale, in quanto, per un verso, spetta al giudice anche in questa caso verificare, al fine dell\'invocata sospensione, l\'astratta condonabilità dell\'opera; e, per l\'altro, che l\'opera in questione non può conseguire nemmeno il condono ambientale a norma del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 ter che riguarda solo le opere "che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati" (lett. a), ovvero i soli interventi edilizi di manutenzione ordinaria o straordinaria (lett. c); nella specie, invece, si è trattato di una nuova opera di mq. 35.
Per il resto, le censure sopra citate del ricorso concernono, come rilevato anche dal Proc. Gen. in requisitoria, "le considerazioni svolte nel provvedimento impugnato ad abundantiam e non investono, invece, il profilo essenziale della ratio decidendi, sicché sono incongrue e inammissibili".
Il ricorso va pertanto rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali. P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2008.
Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2008