Pres. Papa Est. Fiale Ric. Giangrasso
Urbanistica. Limiti alla potestà regionale (regioni a statuto speciale)
In tema di reati edilizi deve escludersi, in ossequio al principio di legalità, che la scelta di criminalizzare o meno una certa condotta possa attribuirsi alla Regione, consentendo l\'opzione fra attrarre o meno una certa attività al regime del permesso di costruire. L\'art. 2, comma 2, del T.U. n. 380-2001 prevede che "Le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano esercitano la propria potestà legislativa esclusiva, nel rispetto e nei limiti degli statuti di autonomia e delle relative norme di attuazione" tuttavia le leggi n. 31-1985 e n. 4-2003 della Regione Siciliana - nonostante la competenza esclusiva della Regione medesima in materia urbanistica - devono (ex art. 117 della Costituzione, anche come modificato dalla legge costituzionale n. 3 del 200l) comunque rispettare i principi fondamentali stabiliti dalla legislazione statale e quindi in ogni caso devono essere interpretate in modo da non collidere con detti principi generali.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. PAPA Enrico - Presidente - del 25/10/2007
Dott. CORDOVA Agostino - Consigliere - SENTENZA
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - N. 1008
Dott. SENSINI Maria Silvia - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere - N. 21411/2007
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GIANGRASSO Concetta, nata a Catania il 15.6.1976;
avverso l\'ordinanza 23.3.2007 del Tribunale per il riesame di Catania;
Visti gli atti, l\'ordinanza impugnata ed il ricorso;
Udita, in camera di consiglio, la relazione fatta dal Consigliere Dott. Aldo Fiale;
Udite le richieste del Pubblico Ministero, Dott. IZZO Gioacchino, il quale ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
FATTO E DIRITTO
Il Tribunale di Catania, con ordinanza del 23.3.2007, rigettava l\'istanza di riesame proposta nell\'interesse di Giangrasso Concetta avverso il decreto di sequestro preventivo emesso in data 27.2.2007 dal G.I.P. di quello stesso Tribunale ed avente ad oggetto tre manufatti con struttura portante anche in muratura, per le rispettive superfici di mq. 24, 16 e 16, nonché l\'ampliamento di un locale preesistente mediante chiusura di un balcone con tompagnamento esterno: opere tutte realizzate sulla terrazza del piano attico di un fabbricato sito nella via Cavallaro di Catania (misura di cautela adottata in relazione all\'ipotizzato reato di costruzione abusiva, D.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 44, lett. b).
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso la Giangrasso, la quale ha eccepito che:
- le opere realizzate sarebbero sottratte al regime del permesso di costruire a norma della L.R. Siciliana 16 aprile 2003, n. 4, art. 20, si da potere essere eseguite senza necessità di concessione o autorizzazione e previa mera presentazione al Sindaco del Comune nel quale ricade l\'immobile di "una relazione a firma di un professionista abilitato alla progettazione, che asseveri le opere da compiersi ed il rispetto delle norme di sicurezza e delle norme urbanistiche, nonché di quelle igienico - sanitarie vigenti";
- nella fattispecie, a fronte degli oggettivi caratteri di precarietà e pertinenzialità dei manufatti, si profilerebbe l\'assoluta irrilevanza penale della loro edificazione, alla stregua di disposizioni regionali emanate nell\'esercizio di potestà legislativa esclusiva (art. 14, dello Statuto siciliano). Il Giudice non avrebbe potuto procedere, pertanto, ad una totale disapplicazione di tale normativa regionale, ma avrebbe dovuto sollevare, eventualmente, questione di legittimità costituzionale per violazione dell\'art. 25 Cost., il quale riserva alla legge dello Stato ogni competenza in materia penale.
Il ricorso deve essere rigettato, perché infondato. 1. La normativa della Regione Siciliana
Alla Regione autonoma Siciliana l\'art. 14, lett. f), dello Statuto (approvato con R.D.L. 15 maggio 1946, n. 455) riconosce competenza legislativa esclusiva in materia urbanistica, tale potestà, dunque, può svolgersi in maniera piena, purché nel rispetto dei limiti generali di legittimità (territoriale, costituzionale, degli obblighi internazionali, età).
La L.R. autonoma Siciliana 10 agosto 1985, n. 37, art. 9, (Nuove norme in materia di controllo dell\'attività urbanistico, edilizia, riordino urbanistico e sanatoria delle opere abusive) disciplina le "opere interne" e dispone testualmente, ai primi due commi, che:
"1. Non sono soggette a concessioni ne\' ad autorizzazioni le opere interne alle costruzioni che non comportino modifiche della sagoma della costruzione, dei fronti prospicienti pubbliche strade o piazze, nè aumento delle superfici utili e del numero delle unità immobiliari, non modifichino la destinazione d\'uso delle costruzioni e delle singole unità immobiliari, non rechino pregiudizio alla statica dell\'immobile e, per quanto riguarda gli immobili compresi nelle zone indicate al D.M. 2 aprile 1968, art. 2, lett. a), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 97 del 16 aprile 1968, rispettino le originarie caratteristiche costruttive. Ai fini dell\'applicazione del presente articolo non è considerato aumento delle superfici utili l\'eliminazione o lo spostamento di pareti interne o di parte di esse. Non è altresì considerato aumento di superficie utile o di volume ne\' modificazione della sagoma della costruzione la chiusura di verande o balconi con strutture precarie".
2. Nei casi di cui al comma precedente, contestualmente all\'inizio dei lavori, il proprietario dell\'unità immobiliare deve presentare al sindaco una relazione a firma di un professionista abilitato alla progettazione, che asseveri le opere da compiersi e il rispetto delle norme di sicurezza e delle norme igienico - sanitarie vigenti". La L.R. autonoma Siciliana 16 aprile 2003, n. 4, art. 20, (Disposizioni programmatiche e finanziarie per Vanno 2003) introduce una norma edilizia riguardante anch\'essa le "opere interne" e dispone testualmente, nei primi quattro commi, che:
"1. In deroga ad ogni altra disposizione di legge, non sono soggette a concessioni e/o autorizzazioni ne\' sono considerate aumento di superficie utile o di volume ne\' modifica della sagoma della costruzione la chiusura di terrazze di collegamento e/o la copertura di spazi interni con strutture precarie, ferma restando l\'acquisizione preventiva del nulla osta da parte della Soprintendenza dei beni culturali ed ambientali nel caso di immobili soggetti a vincolo.
2. Nei casi di cui al comma 1, contestualmente all\'inizio dei lavori, il proprietario dell\'unità immobiliare deve presentare al sindaco del Comune nel quale ricade l\'immobile una relazione a firma di un professionista abilitato alla progettazione, che asseveri le opere da compiersi ed il rispetto delle norme di sicurezza e delle norme urbanistiche, nonché di quelle igienico - sanitarie vigenti, unitamente al versamento a favore del Comune dell\'importo di cinquanta Euro per ogni metro quadro di superficie sottoposta a chiusura con struttura precaria.
3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2, si applicano anche alla chiusura di verande o balconi con strutture precarie come previsto dalla L.R. 10 agosto 1985, n. 37, art. 9; per tali casi è dovuto l\'importo di venticinque Euro per ogni metro quadro di superficie chiusa.
4. Ai fini dell\'applicazione dei commi 1, 2 e 3, sono da considerare strutture precarie tutte quelle realizzate in modo tale da essere suscettibili di facile rimozione, si definiscono verande tutte le chiusure o strutture precarie come sopra realizzate, relativa a qualunque superficie esistente su balconi, terrazze a anche tra fabbricati. Sano assimilate alle verande le altre strutture, aperte almeno da un lato, quali tettoie, pensiline, gazebo ed altre ancora, comunque denominate, la cui chiusura sia realizzata con strutture precarie, sempreché ricadenti su aree private".
La Circolare 5.3.2004, n. 2 dell\'Assessorato dei territorio e dell\'ambiente della Regione Siciliana (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana n. 11 del 12.3.2004) è stata espressamente emanata "a chiarimento della L.R. n. 4 del 2003, art. 20".
In essa l\'organo amministrativo - dopo avere premesso che "con l\'espressione opere interne si intendono definire gli interventi edilizi minori non incidenti sul prospetto, sulla sagoma, sulla superficie e non comportanti un aumento di unità immobiliari (L. n. 47 del 1985, ex art. 26" - ha evidenziato che "il legislatore siciliano, già con la L.R. n. 37 del 1985, art. 9, aveva ampliato, rispetto alla normativa nazionale, le tipologie di tali interventi minori includendo la chiusura di verande e balconi con strutture precarie; successivamente con la L. n. 4 del 2003, art. 20, in sintonia con l\'evoluzione legislativa (vedi testo unico D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) tendente a ridurre a 2 i titoli abilitativi, la concessione edilizia e la denuncia di inizio di attività (riservando il primo agli interventi rilevanti che importano un controllo preventivo e il secondo agli interventi minori per i quali tale controllo non è necessario), sono state ulteriormente ampliate le tipologie assoggettate a semplice denuncia di attività. Tra le nuove tipologie sono compresi tutti gli interventi su superfici sia interne che esterne che presentino come comune denominatore la precarietà delle strutture consistente nella facile rimozione.
Recita inoltre l\'ultima parte del comma 4 che, ai fini dell\'applicazione dei regime semplificato, sono considerate verande sia le chiusure che le strutture precarie suscettibili di facile rimozione e che sono assimilabili alle verande numerose altre strutture, purché aperte almeno da un solo lato su aree private che si devono intendere di natura pertinenziale.
D\'altra parte, se così non fosse, non si comprenderebbe per quale ragione logica la semplice costruzione di una tettoia, o di una copertura con struttura precaria e aperta da uno o più lati, debba scontare un regime più rigoroso comportante il titolo abilitativo della concessione, rispetto alla chiusura di spazi già coperti che danno luogo ad un intervento di maggiore rilievo e consistenza". 2. La potestà legislativa regionale in materia di reati urbanistici. La Corte Costituzionale - nell\'interpretazione del principio della riserva di legge in materia penale, posto dall\'art. 25 Cost., comma 1. - ha costantemente affermato il monopolio del legislatore statale, fondando tale posizione su un\'esegesi del complessivo sistema costituzionale che disvela la statualità del ramo penale del diritto in ogni vicenda costitutiva o estintiva della punibilità. È stato evidenziato, in particolare, che: a) la scelta circa le restrizioni dei beni fondamentali della persona è così impegnativa che non può non essere di pertinenza dello Stato; b) la riserva di competenza alla legge statale è anche una conseguenza della necessità che vi siano in tutto il territorio nazionale condizioni di eguaglianza nella fruizione della libertà personale, pena la violazione dell\'art. 3 Cost.; c) un eventuale pluralismo di fonti regionali penali contrasterebbe con il principio dell\'unità politica dello Stato (Si vedano, al riguardo, le ampie e diffuse argomentazioni svolte nella sentenza n. 487 del 25.10.1989, riferita proprio a disposizioni legislative della Regione Siciliana incidenti sul regime del condono edilizio posto dalla L. n. 47 del 1985, art. 31). La Consulta dunque, in coerenza con tali principi, ha più volte censurato leggi regionali comunque incidenti sul sistema penale, in senso cioè favorevole o contrario al reo.
Deve escludersi, pertanto, in ossequio al principio di legalità, che la scelta di criminalizzare o meno una certa condotta possa attribuirsi alla Regione, consentendo l\'opzione fra attrarre o meno una certa attività al regime del permesso di costruire. In proposito:
- la formulazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 10, commi 2 e 3, consente alle Regioni l\'esercizio di una flessibilità normativa nella direzione di ampliare l\'area applicativa del permesso di costruire, non determinando comunque un ampliamento siffatto l\'irrogazione delle sanzioni penali individuate dall\'art. 44, dello stesso T.U.;
- ai sensi dello stesso D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 4, le Regioni a statuto ordinario possono, con legge, ampliare o ridurre l\'ambito applicativo della denuncia di inizio dell\'attività (D.I.A.), con la specificazione che gli ampliamenti o le riduzioni delle categorie sottoposte dalla legge statale a permesso di costruire non incidono, però, sul regime delle sanzioni penali, che alla sola normativa statale si correla, in considerazione dei limiti posti dalla Costituzione alla potestà legislativa regionale. 3.1 canoni interpretativi della normativa posta dalla Regione autonoma Siciliana.
Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 2, comma 2, prevede che "Le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano esercitano la propria potestà legislativa esclusiva, nel rispetto e nei limiti degli statuti di autonomia e delle relative norme di attuazione".
La Corte Costituzionale - con la sentenza n. 303/2003 - ha affermato che, quanto all\'attività urbanistico - edilizia, "lo Stato ha mantenuto la disciplina dei titoli abilitativi come appartenente alla potestà di dettare i principi della materia" e che "costituisce un principio dell\'urbanistica che la legislazione regionale e le funzioni amministrative in materia non risultino inutilmente gravose per gli amministrati e siano dirette a semplificare le procedure e ad evitare la duplicazione di valutazioni sostanzialmente già effettuate dalla pubblica amministrazione". Costituisce altresì principio della materia "la necessaria compresenza nella legislazione di titoli abilitativi preventivi ed espressi... e taciti... libero il legislatore regionale di ampliarne o ridurne l\'ambito applicativo". La L. n. 37 del 1985, e L. n. 4 del 2003, della Regione Siciliana - nonostante la competenza esclusiva della Regione medesima in materia urbanistica - devono (ex art. 117 Cost., anche come modificato dalla Legge Costituzionale n. 3 del 2001) comunque rispettare i principi fondamentali stabiliti dalla legislazione statale e quindi in ogni caso devono essere interpretate in modo da non collidere con detti principi generali (vedi, al riguardo: Corte Cost., sentenza n. 187 del 1997; Cons. giust. amm. Reg. sic, 28.2.1995, n. 73; nonché Cass., Sez. Ili: 9.12.2004, Garufi; 11.1.2002, Castiglia; 16.1.2001, Oraziano).
Alla stregua di tale premessa va effettuata l\'interpretazione della L.R. autonoma Siciliana n. 4 del 2003, art. 20, (così Cass., Sez. 3^, 4.10.2006, n. 33039, P.M. in proc. Moltisanti) ed al riguardo deve rilevarsi che esso, intitolato "opere interne" pur riguardando interventi edilizi anche "esterni", disciplina:
a) "la chiusura di terrazze di collegamento e/o la copertura di spazi interni con strutture precarie";
b) la realizzazione di verande, definite come "chiusure o strutture precarie relative a qualunque superficie esistente su balconi, terrazze e anche tra fabbricati";
c) la realizzazione di altre strutture, comunque denominate (a titolo esemplificativo si fa riferimento a tettoie, pensiline e gazebo), che vengono assimilate alle verande, a condizione che ricadano su aree private, siano realizzate con strutture precarie e siano aperte almeno da un lato.
La norma in esame dispone altresì che:
aa) gli interventi dianzi descritti non sono considerati aumento di superficie utile o di volume ne\' modifica della sagoma della costruzione;
bb) "sono da considerare strutture precarie tutte quelle realizzate in modo tale da essere suscettibili di facile rimozione". La mancanza di precarietà di una trasformazione urbanistico - edilizia del territorio è elemento essenziale che deve sempre esistere perché si possa riconoscere la necessità del permesso di costruire: in presenza di una precarietà dei manufatti, invero, non sussistono quegli effetti sul territorio che la normativa urbanistica vuole regolare.
Le disposizioni regionali anzidette, procedendo alla identificazione in via di eccezione di determinate opere precarie non soggette a permesso di costruire, privilegiano il "criterio strutturale" (la circostanza che le parti di cui la costruzione si compone siano facilmente rimovibili) a discapito di quello "funzionale" (l\'uso realmente precario e temporaneo cui la costruzione è destinata). Tali disposizioni, pertanto, non possono essere applicate al di fuori dei casi espressamente previsti ed in relazione alle stesse, anche nella accentuazione del riferimento alle modalità costruttive ed alla stabilità materiale dei manufatti, deve rilevarsi che:
a) la "sagoma" di una costruzione attiene alla conformazione planovolumetrica della stessa ed al suo perimetro inteso in senso sia verticale sia orizzontale (vedi Cass., Sez. 3^: 18.3.2004, Calzoni;
9.2.1998, Maffollo; 12.5.1994, Soprani).
La norma regionale in esame pone eccezioni, quanto all\'alterazione della sagoma, in relazione al contorno orizzontale dell\'edificio, mentre non stabilisce che le opere da essa previste possano realizzarsi in sopraelevazione di esso, attuandosi così una modificazione del perimetro verticale.
Non può ritenersi, cioè, che il legislatore regionale abbia inteso consentire sostanzialmente la generalizzata sopraelevazione di tutti gli edifici esistenti sul territorio isolano, sia pure con strutture da considerarsi "precarie" nel senso dianzi specificato, perché interventi siffatti, incidendo con modalità incrementative sui limiti di altezza dei fabbricati normativamente fissati per le diverse zone territoriali omogenee, introducono modifiche rilevanti delle caratteristiche fondamentali sia del singolo edificio sia dell\'aggregato urbano;
b) non possono comunque considerarsi "realizzate in modo tale da essere suscettibili di facile rimozione" opere Che abbiano struttura portante anche in muratura e blocchi di laterizi (pur sempre non intese oggettivamente a soddisfare necessità contingenti e limitate nel tempo), realizzate sul terrazzo di copertura di un edificio e stabilmente incorporate, alle opere murarie già esistenti si da non potersi procedere alla separazione se non incidendo sull\'integrità di dette opere.
Deve concludersi, pertanto, che i manufatti in esame - i quali non sono stati realizzati su una terrazza di collegamento e coprono solo in parte esigua spazi già aggettanti dell\'edificio, ponendosi prevalentemente invece in elevazione dello stesso per una rilevante estensione - essendo idonei a determinare una stabile trasformazione del territorio, con incremento dei limiti di altezza, restano al di fuori dell\'area di applicazione della L.R. n. 4 del 2003, art. 20. 4. E preteso "carattere pertinenziale" delle costruzioni. Non esiste, infine, alcun elemento che possa condurre a ravvisare il carattere pertinenziale delle opere in oggetto.
Secondo la giurisprudenza Costante di questa Corte Suprema, la nozione di pertinenza urbanistica, diversamente da quella dettata dall\'ari 817 del codice civile, ha peculiarità sue proprie, inerendo essa ad un\'opera - che abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale - preordinata ad un\'esigenza oggettiva dell\'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell\'edificia principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell\'immobile cui accede (vedi, tra le molteplici decisioni, Cass., Sez. 3^, 9.12.2004, Bufano).
La strumentalità rispetto all\'immobile principale deve essere in ogni caso oggettiva, cioè connaturale alla struttura dell\'opera, e non può desumersi, a differenza di quanto consente la nozione civilistica di pertinenza, esclusivamente dalla destinazione soggettivamente data dal proprietario o dal possessore. L\'opera pertinenziale, inoltre, non deve essere parte integrante o costitutiva di altro fabbricato, sicché non può considerarsi tale l\'ampliamento di un edificio che, per la relazione di congiunzione fisica con esso, ne costituisca parte, come elemento che diviene essenziale all\'immobile o lo completa affinché esso meglio soddisfi ai bisogni cui è destinato (vedi Cass., Sez. 3^: 11.5.2005, Grida;
17.1.2003, Chiappatone).
La pertinenza stessa, infine, deve essere conforme alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti.
L\'esistenza di tutti i requisiti ahzidetti neppure è stata prospettata (e meno che mai dimostrata), nella specie, dall\'indagata. 5. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 127 e 325 c.p.p., rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 ottobre 2007. Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2008