Consiglio di Stato Sez. I n. 12 del 7 gennaio 2021
Rumore.Responsabilità del gestore di un locale
Le conseguenze della violazione della quiete e dell’interesse pubblico possono essere imputate al gestore del locale frequentato da avventori che poi, in massa, stazionano davanti al locale medesimo producendo schiamazzi e confusione anche a tarda ora, in spregio della quiete e dell’interesse pubblico. Gli obblighi in capo ai gestori dei locali, previsti dalle vigenti disposizioni in materia di orari, sono posti anche al fine di prevenire condizioni di disturbo alla quiete pubblica e, comunque, al fine di promuovere comportamenti atti a favorire il rispetto della convivenza civile e a migliorare la vivibilità nei centri urbani. Gli assembramenti di numerosi avventori all’esterno di uno o più locali agevolano al contrario comportamenti pregiudizievoli degli interessi pubblici tutelati.
Numero 00012/2021 e data 07/01/2021 Spedizione
REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima
Adunanza di Sezione del 22 luglio 2020
NUMERO AFFARE 00740/2019
OGGETTO:
Ministero dello sviluppo economico direzione generale per il mercato, la concorrenza.
Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto da Oreste Dal Zovo, contro Comune di Verona, per l’annullamento dell'ordinanza sindacale del Comune di Verona n. 18 del 15 marzo 2018, con la quale veniva imposta la chiusura del locale entro le ore 24 nei giorni di venerdì, sabato e domenica e per trenta giorni consecutivi, a partire dal settimo giorno successivo a quello di notifica;
LA SEZIONE
Vista la relazione n. 93397 del 29/4/2019 con la quale il Ministero dello sviluppo economico ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Claudio Tucciarelli;
Premesso:
1. Con il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, il sig. Oreste Dal Zovo chiede l’annullamento dell'ordinanza sindacale del Comune di Verona n. 18 del 15 marzo 2018, con la quale veniva imposta la chiusura del locale entro le ore 24 nei giorni di venerdì, sabato e domenica e per trenta giorni consecutivi, a partire dal settimo giorno successivo a quello di notifica.
2. Il ricorrente, titolare di un’enoteca posta in un vicolo del centro storico di Verona, con orario dalle 7 di mattina alle 3 del mattino successivo, rappresenta di avere posto in essere le attività necessarie – tra cui un avviso scritto e l’invito ripetuto ai clienti stazionanti fuori del locale – affinché fosse ridotto il rumore prodotto all’esterno. Dopo alcuni sopralluoghi in zona da parte della polizia municipale, il Comune ha prima invitato il ricorrente a porre in essere le attività utili alla riduzione del rumore e, poi, ha avviato il procedimento infine sfociato nel provvedimento impugnato, fondando l’ordinanza su situazioni di disturbo alla quiete pubblica, rilevate dalla polizia municipale e fatte oggetto di segnalazioni, suffragate anche da rilievi fonometrici, da parte di alcuni residenti in zona nei confronti di alcuni locali.
Dopo avere riportato di avere presentato ricorso in autotutela, con esito per lui negativo, il ricorrente riconduce le iniziative di alcuni residenti a sue attività di promozione di natura turistica e rappresenta il carattere per lui penalizzante dell’ordinanza.
3. Il ricorrente adduce i seguenti motivi a supporto del ricorso.
In primo luogo deduce eccesso di potere per carenza di istruttoria, falsità dei presupposti, illogicità e manifesta irragionevolezza del provvedimento. Il provvedimento sarebbe stato adottato all’esito di un’istruttoria generica e imprecisa, considerato che nei verbali dei sopralluoghi disponibili si dà solo atto che i vigili sono transitati su altra via (Corso Portoni Borsari), a velocità moderata e senza scendere dall'autovettura, senza neppure entrare nel vicolo in cui si trova l'enoteca. L'ordinanza di riduzione dell'orario adottata il 15 marzo 2018 non sarebbe fondata su nuovi elementi rispetto a quelli già citati nella comunicazione di avvio del procedimento amministrativo e già dalla metà del mese di gennaio 2018 il Comune non avrebbe più ricevuto alcuna lamentela da parte di residenti, né altre relazioni di servizio. Per di più, le verifiche si sarebbero concentrate unicamente in un ridotto arco di tempo né i risultati dei rilievi fonometrici sarebbero riconducibili al locale del ricorrente.
In secondo luogo sono dedotti violazione e falsa applicazione dell'art. 20 della legge della Regione Veneto 21 settembre 2007, n. 29; eccesso di potere per disparità di trattamento e per travisamento dei fatti e sviamento di potere; violazione dell'art. 97 Cost. e dell’art. 78 del d.lgs. n. 267/2000 in relazione ai principi di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa. L'art. 20 della legge regionale n. 29 del 2007 prevede, tra l'altro, che il Sindaco possa disporre con atto motivato rivolto a persone determinate, in via permanente o per situazioni contingenti, limitazioni agli orari per "ragioni di interesse pubblico". Come sostenuto da parte della giurisprudenza amministrativa, tali esigenze si pongono su un piano di parità con quelle proprie dell’attività di impresa e andrebbero contemperate con queste ultime, cosa che in questo caso non si sarebbe realizzata dato il pesante sacrificio imposto al ricorrente. L’ordinanza sarebbe stata inoltre adottata quando ormai non ne sussisteva più la necessità, a seguito degli interventi già posti in essere, e perseguirebbe così un intento sanzionatorio, configurando di conseguenza sviamento di potere.
A riprova di quanto esposto, il ricorrente rappresenta che i limitrofi locali sul perpendicolare corso Portoni Borsari, del pari diffidati, non avrebbero ricevuto alcun avviso di avvio del procedimento amministrativo.
Sostiene in terzo luogo il ricorrente di non avere responsabilità per i comportamenti tenuti dalle persone al di fuori del proprio locale, come si desumerebbe da alcune decisioni della giurisprudenza amministrativa.
4. La relazione del Ministero dello sviluppo economico, del 29 aprile 2019 (prot. n. 93397) dà conto delle controdeduzioni comunali, allegate alla relazione e, traendo spunto da quanto previsto dall’art. 34, comma 3, c.p.a., sulla conversione della domanda di annullamento in domanda di accertamento, rappresenta l’inammissibilità del ricorso; si tratterebbe infatti di una domanda il cui contenuto è estraneo al ricorso straordinario in quanto volto all’accertamento con finalità risarcitorie, atteso che, alla data di presentazione del ricorso, l’ordinanza impugnata aveva già prodotto ed esaurito i propri effetti e che ad essa il ricorrente aveva dato acquiescenza. Sostiene poi l’infondatezza del ricorso.
5. Il ricorrente ha presentato controdeduzioni alla relazione ministeriale, ribadendo il proprio interesse ad agire.
Considerato:
6. La Sezione ritiene, in primo luogo, che l’eccezione di inammissibilità prospettata dall’amministrazione non possa essere condivisa. Infatti, se solo si aderisse a una lettura del genere si dovrebbe dedurne l’inammissibilità potenziale di tutte le domande di annullamento di provvedimenti la cui efficacia abbia durata inferiore a 120 giorni, termine per la presentazione del ricorso straordinario. Alla scadenza del termine, il provvedimento avrebbe infatti esaurito i propri effetti e si sottrarrebbe alla possibilità dell’annullamento. Si configurerebbe così, ad accedere all’eccezione dell’amministrazione, una sorta di clausola generalizzata di esenzione del provvedimento dalla giurisdizione o, come nel caso di specie, dal rimedio giustiziale.
Ad avviso della Sezione va invece verificato se, anche dopo l’esaurimento degli effetti del provvedimento impugnato, possano residuare elementi atti a riconoscere la sussistenza dell’interesse ad agire da parte del ricorrente. Sul punto, questa Sezione ha sintetizzato, anche di recente, i presupposti in presenza dei quali debba essere riconosciuta la sussistenza dell’interesse ad agire (v. in particolare il parere n. 436/2020), con riferimento all’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse ma con considerazioni senz’altro riferibili anche alla eventuale insussistenza originaria.
La Sezione non può che confermare che l’interesse del ricorrente va considerato secondo criteri rigorosi e restrittivi, tenendo conto di tre concorrenti principi: a) evitare l’elusione dell'obbligo del giudice di pronunciare sulla domanda proposta; b) l'interesse residuo alla pronuncia sul merito della controversia va inteso nella sua massima ampiezza, alla luce degli effetti conformativi e ripristinatori dell'eventuale sentenza di accoglimento, la quale, anche al di là della sua portata meramente caducatoria del provvedimento annullato, può essere in concreto idonea a spiegare influenza sulla vicenda amministrativa in contestazione; c) la persistenza dell'interesse va valutata considerando anche le possibili ulteriori iniziative attivate (o attivabili) dal ricorrente per ottenere la soddisfazione della pretesa vantata; in particolare, la pronuncia di annullamento può costituire il presupposto per l'accoglimento di ricorsi proposti contro gli atti amministrativi conseguenziali viziati per illegittimità derivata, oppure può rappresentare elemento costitutivo di un'azione risarcitoria. L'improcedibilità (o, in questo caso, l’inammissibilità) del ricorso, in caso di contestazione tra le parti, può essere affermata solo quando sia acquisita non già la mera possibilità, ma la definitiva certezza della mancanza di utilità di una eventuale sentenza (così Cons. Stato, sez. V, n. 242/1997, con orientamento costantemente seguito; v. da ultimo CGARS n. 1069/2019).
Facendo uso, pertanto, di criteri rigorosi e restrittivi, anche alla luce delle ultime controdeduzioni del ricorrente - che ha ribadito l’utilità sia a fini risarcitori sia nei confronti di eventuali, ulteriori provvedimenti analoghi dell’amministrazione – è da riconoscere la sussistenza di un interesse, anche soltanto strumentale o morale, da parte del ricorrente, in considerazione dell’utilità, seppure residua, che lo stesso trarrebbe dall’eventuale accoglimento del ricorso.
Il ricorso è dunque ammissibile.
7. Nel merito, la Sezione ritiene che il ricorso non sia fondato.
Infatti, dalla documentazione in atti emerge che il Comune di Verona – la cui memoria rammenta che l’enoteca svolge anche attività di somministrazione di alimenti e bevande, all’interno di uno spazio particolarmente ristretto - ha agito, ricorrendone i presupposti come da accertamenti effettuati dalla polizia municipale, ai sensi della deliberazione n. 323/2016 con cui la Giunta comunale ha definito la procedura da seguire per evitare il disturbo della quiete pubblica derivante dalla consistente frequentazione dei locali in cui si esercita l'attività di somministrazione di alimenti e bevande. A seguito dei citati accertamenti, il Comune ha, prima, coerentemente diffidato il ricorrente ad attivarsi al fine di evitare qualsiasi turbativa dell’ordine e della quiete pubblica e, poi, avviato la procedura fondata su quanto previsto dall'art. 20 della legge regionale n. 29/2007, una volta verificato che l’azione posta in essere dal gestore, volta a scoraggiare lo stazionamento all’esterno del locale, non si era rivelata sufficiente. L’art. 20 della legge regionale attribuisce al sindaco il potere di disporre con atto motivato rivolto a persone determinate, in via permanente o per situazioni contingenti, limitazioni agli orari per ragioni di ordine e di sicurezza pubblica o comunque di interesse pubblico.
Non risulta che l’istruttoria svolta dall’amministrazione sia afflitta dai vizi lamentati. Gli accertamenti della polizia municipale (non meno di tre tra ottobre e dicembre 2017), richiamati anche nella comunicazione di avvio del procedimento, hanno evidenziato la situazione di fatto e le condizioni di contesto che hanno legittimato l’adozione del provvedimento impugnato, evidenziando, tra l’altro, che neppure era possibile l’accesso al vicolo dall’automezzo di servizio, tanta era la folla che stazionava davanti ai locali, tra cui il locale del ricorrente, siti nel vicolo medesimo. Hanno trovato così conferma, quali che ne fossero le effettive motivazioni, le segnalazioni di alcuni residenti della zona in ordine al disturbo della quiete pubblica.
Non trova pertanto riscontro negli atti quanto sostenuto con il primo motivo del ricorso, ovverosia che l’amministrazione abbia operato in presenza di una situazione riconducibile ad un quadro istruttorio lacunoso, limitato nel tempo e ritenuto, pertanto, inattendibile. Al contrario, dalla documentazione in atti emerge l’esistenza di una situazione perdurante di pregiudizio per la quiete e la tranquillità pubblica in presenza della quale l’amministrazione era legittimata ad adottare il provvedimento impugnato, sulla base di quanto previsto dall’art. 20 della legge regionale. Sono eloquenti al riguardo i verbali dei tre accertamenti condotti dalla polizia municipale e richiamati nelle premesse del provvedimento impugnato, con riferimento agli assembramenti di persone all’esterno del locale, tali da impedire la circolazione e da indurre alcuni residenti a segnalare i conseguenti disagi.
Il provvedimento impugnato è stato infine adottato a conclusione di un procedimento in cui sono stati garantiti il contraddittorio con l’interessato, è stato ampiamente motivato in fatto e in diritto, con rinvio espresso alla giurisprudenza prevalente in materia, ai cui criteri l’amministrazione si è ispirata. Nelle premesse del provvedimento è fatto inoltre riferimento alla vigente normativa nazionale, che pone in via eccezionale limitazioni all’autonomia dell’imprenditore nella fissazione degli orari di apertura e chiusura del proprio esercizio (art. 31, comma 2, del decreto-legge n. 201/2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214/2011, con riguardo alle limitazioni derivanti dalla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali). Si tratta di limitazioni che sono legittimate dai caratteri propri del caso di specie.
Venendo al secondo e al terzo motivo del ricorso straordinario, a giudizio della Sezione non può essere condiviso quanto sostenuto dal ricorrente – adducendo quanto sostenuto dal T.A.R. Lombardia, Sez. Brescia, sent. n. 1255/2017 – in base a cui ogni utilizzo autonomo degli spazi esterni da parte dei clienti di un locale non può essere imputato al gestore che sarebbe esentato da qualsiasi responsabilità per lo stesso, essendo tra l’altro privo di qualunque strumento di coercizione.
La prevalente giurisprudenza (v. ad esempio, proprio con riferimento alla legge regionale veneta n. 29/2007, T.A.R. Veneto, Sez. III, nn. 2926/2009, 97/2016 e 848/2017; v. anche T.A.R. Emilia – Romagna, Sez. II, sent. n. 188/2018), cui la Sezione aderisce, ritiene al contrario che le conseguenze della violazione della quiete e dell’interesse pubblico possano essere imputate al gestore del locale frequentato da avventori che poi, in massa, stazionano davanti al locale medesimo producendo schiamazzi e confusione anche a tarda ora, in spregio della quiete e dell’interesse pubblico. Né può esservi dubbio che il disturbo alla quiete pubblica rientri tra le ragioni di “interesse pubblico” che giustificano l’anticipazione degli orari di chiusura degli esercizi pubblici in base all’art. 20 della legge regionale.
Gli obblighi in capo ai gestori dei locali, previsti dalle vigenti disposizioni in materia di orari, sono posti anche al fine di prevenire condizioni di disturbo alla quiete pubblica e, comunque, al fine di promuovere comportamenti atti a favorire il rispetto della convivenza civile e a migliorare la vivibilità nei centri urbani. Gli assembramenti di numerosi avventori all’esterno di uno o più locali agevolano al contrario comportamenti pregiudizievoli degli interessi pubblici tutelati.
Peraltro si impone una precisazione. La sussistenza e prevalenza dell’interesse pubblico deve essere verificata caso per caso e non può essere presunta né tantomeno essere considerata senza alcuna forma di specifica comparazione tra il sacrificio economico sopportato dal ricorrente e la concretezza dell’interesse pubblico alla tutela della tranquillità e della quiete. E’ quanto evidentemente presuppone l’art. 20 della legge veneta n. 29/2007. Si produrrebbe altrimenti una indebita compressione della libertà di iniziativa economica privata, sancita dall’art. 41 Cost. e corroborata dal richiamato art. 31, comma 2, del decreto-legge n. 201/2011. La verifica e il connesso giudizio di comparazione non possono tradursi pertanto in un mero automatismo nella prevalenza dell’interesse pubblico rispetto agli interessi economici dei titolari dei pubblici esercizi, senza che siano state accertate le condizioni e le condotte nel singolo caso. La Sezione ribadisce peraltro che, nel caso in esame, la verifica e la comparazione risultano adeguatamente effettuate, per il cui il provvedimento è esente da vizi.
E’ infatti evidente il carattere derogatorio ed eccezionale del provvedimento impugnato, diretto chiaramente a superare una situazione specifica, con misure circoscritte nell’intensità e nell’estensione temporale, sulla base di un’adeguata istruttoria, in cui è stata riscontrata anche l’attualità dell’interesse pubblico, e di un’idonea motivazione.
Inoltre, la censura addotta dal ricorrente circa l’asserita disparità di trattamento rispetto alla diversa condotta tenuta dall’amministrazione nei confronti dei gestori di altri locali nella stessa area è stata smentita dal Comune né il ricorrente ha addotto elementi atti a dimostrare l’utilità conseguente alla eventuale estensione della misura ad altre situazioni asseritamene consimili.
Il Comune ha precisato che identica procedura è stata avviata, anche con esiti diversi, nei confronti di altri locali situati nelle vie oggetto delle ispezioni di polizia.
Nessuno dei motivi dedotti dal ricorrente è quindi fondato.
P.Q.M.
Esprime il parere che il ricorso debba essere respinto.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Claudio Tucciarelli Paolo Troiano