TAR Toscana Sez. II n. 1508 del 4 dicembre 2017
Rifiuti.Cogenerazione
Il fatto che la definizione di cogenerazione contenuta nell’articolo 2, comma 1, lettera a) dello stesso decreto non specifichi che per darsi un processo cogenerativo l’energia prodotta deve essere ceduta all’esterno non è argomento decisivo; può invece ritenersi che la dizione normativa presupponga tale circostanza in quanto, si ripete, senza cessione di energia all’esterno dell’impianto non si avrebbe ontologicamente alcuna generazione di energia e, pertanto, a maggior ragione non si potrebbe parlare di cogenerazione.
Pubblicato il 04/12/2017
N. 01508/2017 REG.PROV.COLL.
N. 01689/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1689 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Società Agricola Energia Verde s.r.l. e Azienda Agricola Valdichiana in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentate e difese dall'avvocato Tullio D'Amora, con domicilio eletto presso il suo studio (Studio Legale Lessona) in Firenze, via dei Rondinelli 2;
contro
il Comune di Sinalunga in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato Leonardo Piochi, con domicilio eletto presso lo studio Luca Alberto Arinci in Firenze, piazza Cesare Beccaria 7;
la Regione Toscana in persona del Presidente in carica della Giunta, non costituita in giudizio;
l’Agenzia Regionale Protezione Ambientale della Toscana – A.R.P.A.T. in persona del Direttore Generale p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Michela Simongini, con domicilio eletto presso l’Ufficio Legale A.R.P.A.T. in Firenze, via Porpora 22;
per l'annullamento
- dell'ordinanza a firma del Responsabile dell'Area Funzionale Governo del Territorio del Comune di Sinalunga prot. n. 18529 del 6 ottobre 2016, avente ad oggetto "conclusione del procedimento teso alla emissione di una ordinanza di demolizione e/o rimozione dell’impianto a biogas in Loc. Le Persie nel Comune di Sinalunga perché privo del necessario titolo abilitativo (Autorizzazione Unica ai sensi dell'art. 12 D.Lgs. 387/2003, dell'art. 5 del D.Lgs. n. 28/2011 e dell'art. 11 della LR n. 39/2005), stante la mancanza del requisito della cogenerazione" e dell'ordinanza a firma del Responsabile dell'Area Funzionale Governo del Territorio del Comune di Sinalunga prot. n. 142 del 3 ottobre 2016 avente ad oggetto "ordinanza di rimozione di opere e trasformazioni edilizie eseguite in assenza dell'autorizzazione unica di cui all'art. 13 della L.R. n. 35/2015; ripristino dei luoghi" nonché di ogni altro atto e/o provvedimento a questi connesso, conseguente o presupposto ivi compresi, per quanto occorrer possa, il parere della Regione Toscana, Direzione Ambiente ed Energia, privo di data e di protocollo, allegato all'ordinanza comunale n. 18529/2016 ed il parere di ARPAT 8/9/2016 prot. SI.01.17.34/92.23 anch'esso allegato alla medesima ordinanza.
e con atto di motivi aggiunti depositati in data 12 luglio 2017
- del provvedimento a firma del Responsabile dell'Area Funzionale Governo del Territorio del Comune di Sinalunga prot. n. 9864 del 12 giugno 2017 avente ad oggetto "atto integrativo all'atto di conclusione del procedimento prot. n. 18529 del 6/1012016''.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Sinalunga e dell’Agenzia Regionale Protezione Ambientale della Toscana;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 novembre 2017 il dott. Alessandro Cacciari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
L’azienda agricola Valdichiana, il 5 gennaio 2011, ha presentato una dichiarazione di inizio attività per realizzare un impianto di cogenerazione a biogas sui terreni da essa gestiti nel Comune di Sinalunga. Successivamente, a seguito di contestazioni mosse dall’Amministrazione Comunale, l’11 maggio 2011 ha presentato una seconda dichiarazione con cui si prevedeva di eliminare le trincee dello stoccaggio della materia prima rimandando, per il resto, al contenuto della relazione del progetto originario. L’impianto è stato realizzato tra il 10 giugno 2011 e il 28 dicembre 2012 e, quindi, è stato ceduto in affitto alla società agricola Energia Verde, anch’essa ricorrente nel presente ricorso.
L’Amministrazione Comunale, il 23 settembre 2015, a seguito di una verifica condotta dall’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana (nel seguito: “ARPAT”) circa le emissioni dell’impianto, ha inviato una richiesta di informazioni basata su due contestazioni, una relativa a presunti errori di calcolo sul livello di piena da considerare per la messa in sicurezza idraulica dell’impianto, e l’altra in ordine alla presunta mancanza dei requisiti necessari per qualificare l’impianto come “cogenerativo”.
A seguito di comunicazione di avvio procedimento per l’emissione di un’ordinanza di demolizione la società agricola Energia Verde, il 30 maggio 2016, ha presentato una Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata con cui rendeva nota l’avvenuta realizzazione, nell’agosto 2012, di una doppia tubazione interrata per utilizzare il calore prodotto dall’impianto di riscaldamento in due unità abitative in proprietà. Ottenuta una proroga per presentare memorie procedimentali, il 16 giugno 2016 le odierne ricorrenti hanno inoltrato al Comune una relazione tecnica nella quale sostengono che la centrale rispetti i principi della cogenerazione. Tale requisito, a loro dire, sarebbe soddisfatto laddove l’energia termica risultante dal processo di generazione elettrica venga utilizzata per soddisfare fabbisogni termici industriali o civili. Il documento è stato inviato dall’Amministrazione Comunale alla Regione Toscana, al Gestore Servizi Energetici (nel seguito: “GSE”) e ad ARPAT invitandoli ad una conferenza di servizi istruttoria. Essi non hanno partecipato alla conferenza ma hanno comunque fornito apporti collaborativi, in particolare l’ARPAT ha inoltrato la relazione del 9 settembre 2016, prot. n. 16842, secondo cui l’impianto non opera in condizioni di cogenerazione poiché non rispetta i parametri IRE e LT previsti dalla deliberazione n. 42/2002 dell’Autorità per l’Energia Elettrica e Gas, oggi Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico (nel seguito: “Autorità”), mentre il GSE ha trasmesso il parere 1° settembre 2016, n. 16056 il quale ultimo sostiene, al contrario, che l’impianto può essere definito cogenerativo poiché produce simultaneamente energia elettrica e termica, quest’ultima utilizzata nell’impianto stesso per la produzione del biogas.
Il Comune di Sinalunga ha allora notificato alle odierne ricorrenti le ordinanze dirigenziali 6 ottobre 2016, prot. n. 18529, con cui dichiara che l’impianto non opera in assetto cogenerativo, e 13 ottobre 2016, n. 142, con cui dispone la rimozione dell’impianto stesso perché privo del necessario titolo abilitativo in quanto mancante del requisito della cogenerazione, con ripristino dello stato dei luoghi. I provvedimenti sono stati impugnati con il ricorso principale, notificato il 5 dicembre 2016 e depositato il 20 dicembre 2016, lamentando violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili.
Si sono costituiti il Comune di Sinalunga e ARPAT chiedendo la reiezione del ricorso.
Con ordinanza 10 gennaio 2017, n. 14, è stata accolta la domanda cautelare.
Il Comune di Sinalunga, successivamente, ha integrato la motivazione del provvedimento 6 ottobre 2016, prot. n. 18529, originariamente impugnato, con atto dirigenziale 12 giugno 2017, prot. n. 9864. Quest’ultimo é stato allora impugnato con ricorso per motivi aggiunti, notificato in data 11 luglio 2017 e depositato il 12 luglio 2017, per violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili.
All’udienza del 7 novembre 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. La presente controversia ha ad oggetto i provvedimenti del Comune di Sinalunga con cui è stata disposta la rimozione di un impianto di cogenerazione da biogas, con ripristino dello stato dei luoghi, perché privo del necessario titolo abilitativo in quanto asseritamente mancante del requisito della cogenerazione. Il provvedimento è motivato con riferimento alla nota di ARPAT del 9 settembre 2016 nella quale si deduce che secondo il d. lgs. 8 febbraio 2007, n. 20, e la delibera dell’Autorità n. 42/2002, affinché sussista il carattere cogenerativo di un impianto è necessario che il calore prodotto vada a sostituire, in tutto o in parte, quello necessario ad un’utenza civile o ad altra unità produttiva diversa da quella stessa di cogenerazione, al fine di risparmiare energia primaria. Non può quindi essere considerata energia utile, al fine di qualificare un impianto come cogenerativo, quella termica impiegata nello stesso processo.
Viene confutata la relazione prodotta dalle ricorrenti in sede di intervento procedimentale basata su un parere del GSE del 27 settembre 2011, secondo cui l’impianto risulterebbe in assetto cogenerativo dal momento di messa in esercizio, poiché gli impianti considerati cogenerativi ai sensi della delibera dell’Autorità non lo sarebbero necessariamente alla luce del decreto legislativo n. 20/2007. Gli accertamenti avrebbero dimostrato che gli scambiatori per lo smaltimento del calore prodotto dal motore cedevano in area libera e non veniva attuato alcun recupero dei fumi di scarico; non è stato accertato quindi alcun altro uso del calore al di fuori del recupero parziale entro il processo per il mantenimento della temperatura nei fermentatori. Anche ove un recupero fosse stato parzialmente presente per il riscaldamento ad uso civile, non sarebbe stato comunque sufficiente a definire l’impianto in assetto cogenerativo in quanto l’indice di limite termico non raggiungerebbe il 15% stabilito dalla suddetta delibera dell’Autorità n. 42/2002.
1.1 Le ricorrenti, con primo motivo rivolto avverso l’ordinanza comunale 6 ottobre 2016 prot. 18529, lamentano che non sarebbero state nella specie rispettate le garanzie del giusto procedimento. Infatti l’impianto è stato realizzato sulla base di una d.i.a. proposta l’11 maggio 2011 conformemente al progetto presentato; il ripensamento del Comune intimato configurerebbe un esercizio di autotutela senza però che sia stato rispettato il relativo procedimento, ed attuato inoltre oltre il termine massimo di diciotto mesi previsto dall’art. 21 nonies della l. 7 agosto 1990, n. 241.
Con secondo motivo, anch’esso rivolto avverso l’ordinanza comunale 6 ottobre 2016 prot. 18529, deducono che il Comune, nonostante l’istruttoria abbia espresso risultati non univoci, avrebbe recepito acriticamente le conclusioni di ARPAT secondo la quale l’impianto non opera in assetto cogenerativo in quanto non fornisce energia termica ad utenze esterne. Il GSE, interpellato nel corso dell’istruttoria, ha infatti raggiuto conclusioni opposte ritenendo che non sia, a tal fine, richiesto dalla normativa che venga fornita energia termica ad un’utenza civile o industriale esterna. Il provvedimento comunale non dà atto di questa divergenza di pareri e, pertanto, sarebbe illegittimo anche sotto questo profilo.
Con terzo motivo, egualmente rivolto avverso l’ordinanza comunale 6 ottobre 2016 prot. 18529, si dolgono che sarebbe stata male applicata la legge di settore poichè ARPAT e la Regione Toscana fonderebbero le proprie conclusioni sulla normativa relativa al conseguimento dei riconoscimenti agli impianti di cogenerazione termica di alto rendimento (CAR). La necessità di collegare utenze esterne all’impianto di biogas esulerebbe dalla cogenerazione come disciplinata dal dm 10 settembre 2010. ARPAT avrebbe erroneamente applicato la disciplina del “calore utile” anche all’impianto di cui si tratta confondendo così il piano dell’autorizzazione alla costruzione degli impianti con quello della loro ammissione al particolare regime contributivo riservato agli impianti di cogenerazione ad alto rendimento. A loro dire ben potrebbero esistere impianti che pur operando in cogenerazione tuttavia, per le loro modalità di funzionamento, non sviluppano calore sufficiente ad accedere a tale disciplina. La normativa vigente al momento di presentazione della d.i.a. nulla avrebbe previsto quanto alla necessità di servire anche utenze esterne, e questo non costituirebbe dunque un requisito per qualificare un impianto come “cogenerativo”. Il parere del GSE sul punto sarebbe stato trascurato dal Comune, mentre il parere di ARPAT sarebbe strutturato con richiamo alla disciplina della cogenerazione ad alto rendimento cui attengono i parametri IRE e LT previsti dalla deliberazione n. 42/2002 dell’Autorità; tale tipologia di cogenerazione non riguarda però gli aspetti autorizzativi ma quelli relativi all’ammissione ai contributi specificamente previsti.
Con quarto motivo evidenziano che l’ordinanza di demolizione dell’impianto 13 ottobre 2016, n. 142, sarebbe viziata per illegittimità derivata.
1.2 Con ricorso per motivi aggiunti è impugnato l’atto dirigenziale 12 giugno 2017, prot. n. 9364, con cui il Comune intimato ha integrato la motivazione del provvedimento 6 ottobre 2016, prot. n. 18529, originariamente impugnato.
Con primo motivo lamentano che anche questo secondo provvedimento sia stato adottato in violazione della normativa in materia di autotutela, in quanto l’originaria dichiarazione di inizio attività prot. n. 9516 dell’11 maggio 2011 legittimerebbe il funzionamento dell’impianto in questione, il quale sarebbe stato realizzato in perfetta aderenza al progetto assentito. L’Amministrazione avrebbe dovuto avviare un procedimento di autotutela con le garanzie previste a tal scopo dalla legge; i provvedimenti impugnati, comunque, difetterebbero di motivazione in ordine alla sussistenza dei presupposti per procedere in tal senso.
Con secondo motivo aggiunto deducono che l’Amministrazione non avrebbe svolto alcuna specifica istruttoria per l’emanazione del provvedimento, il quale non sarebbe altro che una mera reiterazione di argomenti difensivi a carattere giuridico e non tecnico e riprenderebbe argomentazioni già contenute nei provvedimenti originariamente impugnati.
Con terzo motivo si dolgono che le conclusioni comunali sarebbero errate poiché si fondano sugli allegati secondo e terzo del d.lgs. 20/2007, i quali rispondono alle definizioni di cui alla lettera h) “elettricità da cogenerazione” ed o) “cogenerazione ad alto rendimento” dell’articolo 2 del medesimo decreto, ma non anche sulla lettera a) che le precede e che definisce la cogenerazione come “generazione simultanea in un unico processo di energia termica ed elettrica o di energia termica e meccanica o di energia termica, elettrica e meccanica”. L’allegato 2 individuerebbe le modalità di calcolo dell’energia elettrica da cogenerazione funzionale non alla definizione tout court di “cogenerazione”, ma a quella specifica “cogenerazione ad alto rendimento”. La disciplina dettata dalla deliberazione dell’Autorità n. 42/2002, a dire delle ricorrenti, avrebbe avuto valore solo per la cogenerazione ad alto rendimento e a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 20/2007, la definizione di cogenerazione e di cogenerazione ad alto rendimento sarebbe stata differenziata: la prima risponderebbe a quella dell’articolo 2, lettera a) del decreto stesso, mentre la seconda troverebbe riscontro nella successiva lettera o). Pertanto la definizione di cogenerazione introdotta dalla prima sarebbe più ampia rispetto a quella di cogenerazione ad alto rendimento e potrebbe riguardare anche impianti che, pur garantendo la generazione simultanea in un unico processo di energia termica ed elettrica, o di energia termica e meccanica o di energia termica, elettrica e meccanica, tuttavia non rispettano i requisiti della suddetta deliberazione dell’Autorità n. 42/2002.
Con quarto motivo deducono che il provvedimento impugnato con motivi aggiunti sarebbe affetto da illegittimità derivata da quelli oggetto dell’impugnazione principale.
1.3 Le resistenti replicano puntualmente alle deduzioni delle ricorrenti evidenziando, in particolare, che il limite dei diciotto mesi entro il quale può essere esercitata l’autotutela è stato introdotto dalla legge 7 agosto 2015, n. 124, a novellazione dell’articolo 21 della legge 241/1990, e riguarderebbe dunque i provvedimenti adottati successivamente alla sua entrata in vigore. Comunque, a suo dire, la dichiarazione di inizio attività presentata dall’azienda Valdichiana avrebbe rappresentato che l’energia termica sarebbe stata utilizzata all’esterno dell’impianto mediante cessione alla rete pubblica, in realtà, l’energia stessa sarebbe stata utilizzata solo per il riscaldamento delle vasche e la propagazione del calore all’interno dell’impianto. La dichiarazione è stata giustificata sulla base del prospettato utilizzo esterno del calore prodotto, ma tale utilizzo non avrebbe poi trovato concreta attuazione e quindi correttamente l’Amministrazione avrebbe affermato che l’impianto, mancante dell’assetto cogenerativo, si trova privo dell’unico titolo abilitativo ovvero l’autorizzazione unica di cui all’articolo 12 del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387. I provvedimenti impugnati sarebbero poi correttamente motivati per relazione alla nota ARPAT 9 settembre 2016.
2. Al fine della soluzione della controversia è necessario prendere le mosse dal primo motivo del ricorso principale e dal primo motivo del ricorso per motivi aggiunti, con cui le ricorrenti lamentano il mancato rispetto dei principi in tema di autotutela poiché i provvedimenti gravati sono stati emanati a distanza di oltre diciotto mesi dalla presentazione della d.i.a. e senza alcuna garanzia procedimentale né motivazione circa la prevalenza dell’interesse pubblico su quello privato al mantenimento dell’impianto.
La difesa comunale replica che l’impianto delle ricorrenti non avrebbe operato in assetto cogenerativo poiché, contrariamente a quanto allegato in sede di dichiarazione, l’energia prodotta non sarebbe ceduta all’esterno dell’impianto, e questo dato fattuale non è contestato dalle ricorrenti.
La relazione allegata alla denuncia di attività originariamente testualmente prevede (pp. 6-7) che “l’energia elettrica generata sarà ceduta alla rete pubblica, mentre l’energia termica prodotta dal motore in conseguenza della combustione sarà in parte utilizzata per il riscaldamento delle vasche e per la propagazione del calore all’interno dell’impianto. La parte residua potrà essere impiegata per riscaldare serre o per alimentare essiccatori mobili di erba medica”. L’ordinanza principaliter impugnata si basa sulla mancata verificazione di quest’ultima circostanza, che rappresenterebbe un impegno assunto dal dichiarante relativamente al funzionamento del proprio impianto. In memoria di replica le ricorrenti negano che sia possibile raggiungere tale conclusione in quanto l’utilizzo del verbo “potere” escluderebbe l’assunzione di alcun impegno al riguardo.
La replica non ha fondamento poiché in sede di presentazione della d.i.a. il dichiarante è tenuto ad indicare le caratteristiche progettuali e il funzionamento dell’impianto, sulla base delle quali poi l’Amministrazione qualifica la fattispecie verificando se rientri o meno nelle ipotesi per le quali la normativa consente la sostituzione del provvedimento autorizzatorio con la dichiarazione medesima. In tale contesto l’azienda agricola Valdichiana aveva assunto l’impegno a che l’impianto funzionasse nel senso indicato dalla relazione tecnica allegata alla dichiarazione, che ne rappresentava parte integrante, ed è perciò escluso che avesse inteso rimettere al suo mero piacimento l’utilizzo dell’energia termica che sarebbe stata prodotta dall’impianto. L’uso del termine “potere” in tale contesto non poteva indicare che l’utilizzo dell’energia termica sarebbe stato deciso ed effettuato ad nutum dalla dichiarante, ma stava ad indicare le potenzialità di utilizzo del calore. Trattasi quindi di impegno condizionato unicamente al funzionamento dell’impianto, al verificarsi cioè della potenzialità (“potere”) produttiva rappresentata nella relazione.
L’Amministrazione, al fine di qualificare la fattispecie, si è basata proprio su quanto rappresentato dall’azienda agricola Valdichiana e pertanto, secondo un principio di buona fede che deve improntare le relazioni reciproche tra privato e pubblico potere, ha correttamente colto un suo impegno ad utilizzare il calore nel senso da essa stessa rappresentato. Il mancato verificarsi di tale circostanza puntualmente rappresentata nella relazione allegata alla d.i.a. legittima perciò il Comune intimato a procedere nel senso dei provvedimenti impugnati. L’Amministrazione non ha inteso intervenire sul rapporto costituito in base alla d.i.a., ma ha ritenuto che alla fattispecie non potesse applicarsi questo istituto in quanto era necessario munirsi di autorizzazione unica, essendo il caso in esame (risultato successivamente) estraneo agli interventi che l’art. 16 (nel testo all’epoca vigente) della Legge della Regione Toscana 24 febbraio 2005, n. 39, assoggettava a d.i.a.
Devono quindi essere respinti il primo motivo del ricorso principale ed il primo motivo del ricorso per motivi aggiunti.
3. Deve ora essere trattato il secondo motivo del ricorso per motivi aggiunti, con cui viene impugnato il provvedimento 12 giugno 2017, prot. n. 9364.
Il motivo è infondato poiché nel caso di specie non era necessario effettuare alcuna istruttoria tecnica, essendo già pacifici i fatti di causa, bensì di attribuire la corretta qualificazione giuridica alla fattispecie in esame. Sono perciò infondate le censure mosse in tal senso dalle ricorrenti, mentre il provvedimento impugnato con motivi aggiunti dà conto delle ragioni per le quali l’Amministrazione ha ritenuto di disattendere il parere espresso dal GSE.
4. La reiezione della censura suddetta rende improcedibile il secondo motivo del ricorso principale, essendo (stata) giustificata la divergenza tra i provvedimenti impugnati e il parere del GSE 1° settembre 2016.
5. La trattazione deve ora passare ai motivi terzo del ricorso principale e del ricorso per motivi aggiunti, che impongono di verificare se la fattispecie di cogenerazione possa legalmente essere affermata anche laddove un impianto non ceda all’esterno l’energia prodotta, circostanza che nella fattispecie, si ripete, è pacifica e non contestata.
Sotto un profilo strettamente letterale appare poco soddisfacente l’interpretazione propugnata dalle ricorrenti secondo le quali si avrebbe “cogenerazione” di energia anche laddove alcuna energia venisse rilasciata al di fuori dell’impianto. Il termine “generazione” infatti indica il dar vita a qualcosa (o qualcuno), o suscitare qualcosa, con la creazione di un bene nuovo prima inesistente: se un impianto non producesse alcuna energia al di fuori del proprio ciclo di funzionamento, ebbene non verrebbe generato alcunché poiché l’energia prodotta verrebbe interamente impiegata al suo interno senza creare nulla, in un gioco a somma zero. Difficilmente quindi, sotto un profilo strettamente letterale, potremmo pensare a una (co)generazione in assenza di cessione di energia all’esterno dell’impianto preso in considerazione.
Questa interpretazione appare suffragata dall’analisi del tessuto normativo che regolamenta la materia. Il punto 5.7 dell’all. II al d.lgs. 20/2007, intitolato “calcolo della produzione da cogenerazione”, riferito letteralmente alla cogenerazione in generale e in specifico alla cogenerazione ad alto rendimento, statuisce che “non è considerato come calore utile il calore disperso nell'ambiente senza alcun impiego. Esempi di calore non utile sono: il calore disperso da camini e tubi di scappamento….il calore utilizzato per il funzionamento dell’impianto di cogenerazione” . Secondo la definizione di cui all’art. 2, comma 1, lett. f) dello stesso d.lgs. 20/2007 è calore utile “il calore prodotto in un processo di cogenerazione per soddisfare una domanda economicamente giustificabile di calore o di raffreddamento”. Ne segue che laddove il calore venga disperso, non può ritenersi sussistente il requisito della cogenerazione. E’ quanto accaduto nella fattispecie in esame, laddove gli accertamenti di ARPAT (rapporto di ispezione ambientale 29 gennaio 2016) hanno dimostrato che gli scambiatori per lo smaltimento del calore prodotto dal motore cedevano in area libera e non veniva attuato alcun recupero dei fumi di scarico, circostanza fattuale che non viene contestata dalle ricorrenti.
Le definizioni legislative non sono applicabili alla sola cogenerazione ad alto rendimento come esse pretendono, poiché l’art. 1, comma 2, del d.lgs. 20/2007 definisce l’ambito di applicazione della normativa nei termini seguenti: “il presente decreto si applica alla cogenerazione come definita all'articolo 2”, con ciò intendendo che il fenomeno della cogenerazione va individuato e qualificato, a tutti i fini, in base alle sue definizioni che corrispondono puntualmente a quelle di cui alla Direttiva 2004/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio.
La tesi delle ricorrenti secondo la quale l’allegato 2 individuerebbe le modalità di calcolo dell’energia elettrica da cogenerazione funzionali non alla definizione tout court di cogenerazione, ma a quella specifica di cogenerazione ad alto rendimento, non trova rispondenza nella normativa poiché detto allegato detta criteri di calcolo per la cogenerazione in generale, senza porre una limitazione specifica a quella con alto rendimento.
Il fatto che la definizione di cogenerazione contenuta nell’articolo 2, comma 1, lettera a) dello stesso decreto non specifichi che per darsi un processo cogenerativo l’energia prodotta deve essere ceduta all’esterno non è argomento decisivo; può invece ritenersi che la dizione normativa presupponga tale circostanza in quanto, si ripete, senza cessione di energia all’esterno dell’impianto non si avrebbe ontologicamente alcuna generazione di energia e, pertanto, a maggior ragione non si potrebbe parlare di cogenerazione.
Il d.lgs. 20/2007 prevede la produzione di almeno due tipi di energia, produzione che però deve essere “utile” e che quindi non può essere rivolta esclusivamente all’utilizzo dell’impianto cogenerativo, ma deve essere immagazzinabile o, per lo meno, utilizzabile, cosa che non accade nel caso in esame (T.A.R. Marche 10 dicembre 2013, n. 895).
Devono quindi essere respinti anche i motivi in esame.
6. L’acclarata legittimità dei provvedimenti impugnati in via principale comporta la reiezione del quarto motivo del ricorso principale, con cui viene impugnata l’ordinanza di demolizione dell’impianto per illegittimità derivata, ed anche del quarto motivo del ricorso per motivi aggiunti con cui si lamenta illegittimità derivata dell’atto dirigenziale 12 giugno 2017, prot. n. 9364, dai provvedimenti impugnati in via principale.
7. In conclusione, devono essere respinti sia il ricorso principale che il ricorso per motivi aggiunti.
Le spese possono tuttavia essere integralmente compensate tra le parti in ragione della novità delle questioni affrontate e dei mutamenti normativi intervenuti nella materia.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso principale e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 7 novembre 2017 con l'intervento dei magistrati:
Saverio Romano, Presidente
Luigi Viola, Consigliere
Alessandro Cacciari, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Alessandro Cacciari Saverio Romano