L’abbruciamento dei residui vegetali. Le ultime novità della giurisprudenza

di Angelo VITA

 

1. Premessa – 2. La giurisprudenza di legittimità – 3. La giurisprudenza costituzionale – 4. Conclusioni

 

 

1. - A circa un anno dall’entrata in vigore della l. 11 agosto 2014 n. 116, si coglie l’occasione per fare alcune riflessioni sullo stato di applicazione della norma e sui suoi problemi di interpretazione.

Già in un precedente intervento1, era stato argomentato circa la sua genesi e le questioni interpretative di maggiore rilevanza.

Al fine di verificare quali soluzioni abbia adottato la giurisprudenza e, alla luce di ciò, per effettuare un maggiore approfondimento, è utile richiamare quali si erano rivelati i punti di maggiore criticità.

In primo luogo era stato evidenziato che la tecnica dell’abbruciamento dei residui vegetali non potesse considerarsi ipso facto pratica agricola, in quanto tale qualificazione, almeno in materia di esclusione dalla disciplina sui rifiuti, dipende dalle finalità per cui essa viene realizzata.

L’altro aspetto della disciplina che era stato evidenziato riguarda l’assenza di sanzioni nel caso di violazione del divieto assoluto di abbruciamento dei residui vegetali nel periodo di massimo rischio incendi.

Nel seguito si andrà dunque ad analizzare la produzione giurisprudenziale di maggior rilievo dell’ultimo anno per verificare se è stata data soluzione a tali questioni.

 

2. – una recente sentenza2 della Suprema Corte dichiara che alla luce del nuovo quadro normativo introdotto dalla l. 11 agosto 2014, n. 116 risulta «irrilevante … (omissis) … ogni ulteriore considerazione relativa al dibattito circa il fondamento scientifico dell’utilizzazione delle ceneri da combustione di residui agricoli come concime naturale». Ciò in quanto l’art. 182 c. 6 bis 3 del d.lgs. 152/20064, introdotto dalla predetta legge, «precisa espressamente che le attività di raggruppamento e di abbruciamento effettuate sul posto e nei limiti quantitativi indicati costituiscono normali pratiche agricole consentite per il reimpiego dei materiali come sostanze concimanti o ammendanti».

Questo motivo, unitamente a quanto previsto dal secondo periodo introdotto all'art. 256 bis c.6 TUA, porta la Corte a concludere che «può dunque desumersi che gli scarti vegetali sono esclusi dal novero dei rifiuti».

Non sembra però potersi condividere quest’ultima affermazione.

Si confermano innanzitutto le critiche già esposte altrove5 in merito alla scelta legislativa di determinare ex lege un metodo di utilizzazione dei residui vegetali che valga ad escludere gli stessi dal campo di applicazione della disciplina sui rifiuti.

Si ritiene infatti che tale soluzione si risolva in una mera petizione di principio.

Infatti, secondo il legislatore l’abbruciamento dei residui vegetali sarebbe da considerarsi quale pratica agricola soltanto se avvenisse in piccoli cumuli, senza ulteriormente dare indicazioni sul significato dell’aggettivo piccoli.

È questa ovviamente una tecnica normativa già nota in cui la descrizione della fattispecie presenta lemmi dal significato volutamente indeterminato, che richiedono un momento integrativo dell’interprete per sussumere il fatto nell’ipotesi normativa.

Per il caso di specie, si ritiene che la valutazione della descrizione «in piccoli cumuli», non potrà che rinviare ad una valutazione tecnica che tale modalità di abbruciamento sia coerente con la buona pratica agronomica di reimpiego dei residui della bruciatura come sostanze concimanti o ammendanti.

Ciò identicamente a quanto si sarebbe fatto in assenza della norma in argomento.

Starà dunque alla giurisprudenza di legittimità non disperdere il significato della norma nel punto in cui essa conserva in sé tale giudizio tecnico.

Viste le conclusioni della sentenza, in verità tale questione sembra però sfuggire alla Suprema Corte.

Infatti, in primo luogo, nelle motivazioni a sostegno della propria tesi, la Suprema Corte richiama una precedente sentenza6 del 2013 nella quale si afferma che la combustione di frasche e residui di potatura in un vivaio di piante «rientra nella normale pratica agricola, cui consegue l’esclusione … (omissis)… dei materiali di cui si tratta dal novero dei rifiuti».

Il richiamo però non sottolinea che la Corte ivi evidenziava che il materiale di risulta della combustione sarebbe stato utilizzato «come composto nello stesso vivaio»; e dunque l’abbruciamento dei residui vegetali era in stretta correlazione con la finalità dell’operazione.

Pertanto, anche prima dell’introduzione dell’art. 182 comma 6 bis TUA, si deve ritenere che l’abbruciamento dei residui vegetali fosse da considerarsi pratica agricola non in re ipsa, ma in quanto finalizzata alla produzione di composto da utilizzarsi per scopi agricoli. Il mero abbruciamento invece non avrebbe comportato una utilizzazione dei residui vegetali, ma uno smaltimento. Dunque si sarebbe dovuta applicare la normativa di cui alla parte IV del TUA.

In secondo luogo, sempre nelle motivazioni, la Corte richiama alcune recenti sentenze sull'argomento7, nelle quali dichiarava, soprattutto in una di esse, che «l'incenerimento di ramaglie, di per sè solo, rappresenta il disfarsi di scarti vegetali, e non la loro utilizzazione in un determinato scopo produttivo. Il fatto che, poi, dalla cenere possa ricavarsi un concime non è sufficiente a identificare l'incenerimento di per sè con la produzione di concime, occorrendo infatti che risulti, quanto meno, uno specifico intento di chi procede all'incenerimento ... (omissis) ... di utilizzare la cenere a scopo fertilizzante in un'area agricola, o di trasferirla a un terzo perché mi tal modo la utilizzi»8.

La Suprema Corte richiama tali conclusioni affermando che le predette sentenze non si pongono in contrasto con il suo nuovo orientamento in quanto sono state prese in vigenza del comma 6 bis dell'art 256 bis9 TUA, introdotto dal D.l. 24 giugno 2014, n. 91 e successivamente abrogato ex tunc con la legge di conversione 11 agosto 2014, n. 116, che inserisce il comma 6 bis dell'art. 182 TUA, norma oggi in vigore.

Per questo motivo secondo la Corte esse devono ritenersi superate poiché miravano, per quanto interessa in questa sede, a valorizzare «il dato della mancanza di certezza scientifica circa l'utilizzabilità delle ceneri di combustione come concime»10.

Secondo la Corte, dunque, l'aver qualificato, con l'art. 182 comma 6 bis TUA, l'abbruciamento in piccoli cumuli di residui vegetali come normale pratica agricola (consentita per il reimpiego dei materiali come sostanze concimanti o ammendanti), rende non più necessaria l'interpretazione precedente.

Tale affermazione è valida, nella misura in cui però l'abbruciamento dei materiali vegetali sia appunto finalizzato al reimpiego dei materiali come sostanze ammendanti o concimanti, come peraltro espressamente richiesto dalla norma; e ciò accade, come sopra esposto, se i cumuli sono piccoli nel senso indicato dalla pratica agronomica. Le sentenze richiamate dalla Corte non devono pertanto ritenersi superate nel senso che le affermazioni sopra riportate non sono più coerenti col nuovo sistema normativo, ma nel senso che quest'ultimo comprende anche le loro conclusioni.

Seguendo tale linea di pensiero non si può affermare quindi che «gli scarti vegetali sono esclusi dal novero dei rifiuti», ma piuttosto che sono esclusi se reimpiegati in una pratica agricola quale quella dell'abbruciamento in cumuli, che per dimensioni e distribuzione sul terreno consentano l'utilizzazione delle ceneri come sostanze ammendanti o concimanti.

In altri termini, dunque, l’abbruciamento di residui vegetali in cumuli piccoli da un punto di vista quantitativo, ma non della pratica agronomica, non deve considerarsi pratica agricola in quanto non consente il reimpiego dei residui come sostanze ammendanti o concimanti senza ulteriore spargimento.

Una questione di notevole importanza, soltanto sfiorata nelle motivazioni della sentenza, ma non oggetto di riflessione compiuta in quanto non motivo di doglianza, è quella dell’onere della prova che i cumuli siano piccoli .

Al riguardo si osserva quanto segue.

Poiché l’attività di abbruciamento per il reimpiego come sostanze concimanti o ammendanti è una delle modalità di utilizzazione dei residui vegetali in agricoltura11, si può ritenere che il rapporto tra l’art. 185 c. 1 lett. f) e l’art. 182 c. 6 bis, possa ricondursi a quelli del tipo tra genere e specie.

Pertanto le conclusioni della giurisprudenza su quanto attiene alla prima norma sono di conseguenza applicabili anche alla seconda.

Per giurisprudenza consolidata l’art. 185 è da considerarsi norma derogatoria rispetto alla disciplina dei rifiuti, e dunque avente carattere eccezionale12.

La costante giurisprudenza della Suprema Corte afferma inoltre che «l'applicazione di norme aventi natura eccezionale e derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria in tema di rifiuti fa sì che l'onere della prova circa la sussistenza delle condizioni di legge debba essere assolto da colui che ne richiede l'applicazione»13.

Ciò significa che sarebbe l'eventuale trasgressore a dover dimostrare che le dimensioni dei piccoli cumuli oggetto dell’abbruciamento siano tali da essere adeguati alla qualificazione di buona pratica agronomica.

Nella sentenza in argomento la Suprema Corte affronta anche la questione delle sanzioni in caso di violazione del divieto assoluto di abbruciamento dei residui vegetali nel periodo di massimo rischio incendi.

Partendo dalle conclusioni sopra richiamate, poiché non si rientra per il caso di specie nel campo della gestione dei rifiuti, la Suprema Corte deduce che «non sono applicabili né l’art. 256 bis, che contiene, del resto, un’espressa esclusione in tal senso, né l’art. 256, che si riferisce ai soli materiali riconducibili alla categoria dei rifiuti».

Inoltre, poiché l’art. 182 comma 6 bis TUA non richiama alcuna sanzione, se ne deduce che la condotta vietata è da sanzionare in via amministrativa. Tale sanzione è individuata nella legge regionale di riferimento, che per i fatti oggetto di giudizio in tale sentenza è rappresentata dall’articolo 47 lett. b)14 dell’allegato C alla legge regionale Campania 7 maggio 1996, n. 1115, che sanziona le violazioni di cui all’art. 6 – “cautela per la salvaguardia delle zone a rischio di incendio”16.

Tale interpretazione pone una serie di problemi. Quello più rilevante sembra essere dovuto al fatto che, per le ragioni evidenziate in nota17, la predetta legge regionale ha come finalità la tutela delle aree boschive e pascolive, nonché la difesa del suolo18. Ciò comporta che il divieto di accensione di fuochi sia stabilito nei boschi o nelle zone prossime, nonché nei pascoli, mentre ad esempio è consentita la bruciatura dei residui vegetali «quando la distanza dai boschi é superiore a 50 metri purché il terreno su cui l'abbruciamento si effettua, venga preventivamente circoscritto ed isolato con una striscia arata della larghezza minima di metri 5. La pratica é comunque vietata in presenza di vento».

Non vi è dunque un allineamento tra le due norme. Nell’una c’è il divieto assoluto di abbruciamento dei residui vegetali, mentre nell’altra tale divieto è mitigato da condizioni particolari legate alla distanza dai boschi, alle condizioni atmosferiche e alle modalità con le quali si opera.

Né si ritiene che tale allineamento debba ontologicamente esserci, tenuto conto che il bene giuridico tutelato delle due norme è diverso19.

Le sanzioni per le violazioni dell'art. 182 c.6 bis non possono pertanto ricercarsi nelle norme regionali per la difesa del patrimonio boschivo.

Tale argomentazione conduce dunque a ritenere che il divieto di abbruciamento di residui vegetali agricoli e forestali disposto dall’art. 182 comma 6 bis, sia una norma imperfetta, in quanto senza sanzione. Da ciò ne deriva che anche la sua funzione general-preventiva risulti notevolmente depotenziata.

 

3. – Numerose Regioni hanno disciplinato l’abbruciamento dei residui vegetali in quanto pratica agricola, richiamando la propria competenza legislativa residuale in materia di agricoltura e foreste20.

Il Governo ha ritenuto invece che la pratica fosse da considerarsi una modalità di smaltimento di rifiuti agricoli e, dunque, afferente alla materia della tutela dell’ambiente, che, ai sensi dell’art. 117 Cost., è nella potestà legislativa esclusiva dello Stato21.

Per questo motivo il Presidente del Consiglio ha proposto tre ricorsi, con i quali ha impugnato le norme di settore delle Regioni Marche, Friuli Venezia-Giulia, Veneto e Basilicata22, sollevando la questione di legittimità costituzionale delle stesse.

In particolare nella sentenza 26 febbraio 2015, n. 16, che giudica in ordine alle norme di settore della Regione Marche e della Regione Friuli-Venezia Giulia, la Corte Costituzionale offre numerosi spunti di riflessione.

Il ricorso impugna il comma 6 bis23 dell’art. 1924 della l.r. Marche 23 febbraio 2005 n.6, e il comma 3-ter25 dell’art. 16 della l.r. Friuli-Venezia Giulia 23 aprile 2007, n.9.

Prima di entrare nel dettaglio della sentenza si ritiene opportuno evidenziare che la questione investe in realtà un argomento di rilevanza costituzionale più ampio, che afferisce all’ampiezza ed ai limiti della potestà legislativa regionale residuale, di cui all’art. 117 c. 4, Cost..

Come rilevato in dottrina, uno di tali limiti è il rispetto della legislazione esclusiva dello Stato, che si traduce nella preclusione di legiferare nelle materie di cui all’art. 117 c. 2, Cost..

Ciò significa, per il caso di specie, che la potestà legislativa regionale non può estendersi ad integrare il significato della locuzione utilizzati in agricoltura di cui all’art. 185 c. 1 lett. f), definito in funzione della tutela dell’ambiente, aggiungendovi significato oltre quello già segnato dal legislatore statale e dalla giurisprudenza di legittimità nell’esercizio della sua funzione nomofilattica.

Come espresso al precedente punto 2, quest’ultima, fatta eccezione per la sentenza n. 76/2015, ha costantemente interpretato la formula utilizzati in agricoltura nel senso che il materiale agricolo o forestale non pericoloso deve essere utilizzato «in un determinato scopo produttivo»26.

E la norma di cui all’art. 182 c. 1 lett. f) è coerente a tale impostazione. Infatti, non è considerata pratica agricola il mero abbruciamento di residui vegetali, ma l’abbruciamento in piccoli cumuli; solo in questo modo si consente il reimpiego dei residui come sostanze ammendanti o concimanti, e dunque il reimpiego per scopi produttivi.

Fatta questa doverosa premessa, e passando alla sentenza, innanzitutto occorre riportarne le conclusioni: la Corte dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale in quanto «si può ritenere che il legislatore regionale sia legittimamente intervenuto sul punto, nell’esercizio della propria competenza nella materia agricoltura».

Nella motivazione, dopo aver fatto un excursus cronologico delle norme ambientali relative all'argomento, la Corte richiama il testo vigente dell’art. 185 c. 1 lett. f) ed osserva che già tale norma consentiva «di annoverare tra le attività escluse dall’ambito di applicazione della normativa dei rifiuti l’abbruciamento in loco dei rifiuti vegetali, considerato ordinaria pratica applicata in agricoltura e nella selvicoltura». La nuova norma contenuta nell'art 182 c. 6 bis risulta dunque addirittura superflua ai fini del giudizio.

La Corte sostiene tale affermazione anche con le conclusioni della Corte di Cassazione di cui alle sentenze n. 16474/2013 e soprattutto n. 76/2015 precedentemente richiamate.

Le motivazioni della Corte però non convincono.

Da un’analisi del testo legislativo sembra potersi dedurre, come già sopra ampiamente esposto, che l’abbruciamento dei residui vegetali non può considerarsi in sé una pratica agricola; ma soltanto se effettuato in piccoli cumuli, così da consentire il reimpiego del materiale residuo della combustione come sostanza ammendante o concimante, ai sensi dell’art. 182 c. 6 bis TUA; ovvero con altra modalità27 comunque finalizzata all’utilizzo in agricoltura28, ai sensi dell’art. 185 c. 1 lett. f) TUA.

Per quanto riguarda le sentenze richiamate dalla Corte, invece, si rimanda al precedente punto nel quale si è già avuto modo di effettuare una critica sulle conclusioni della sentenza n. 76/2015.

Se ne deduce ancora una volta che il mero abbruciamento, al di fuori delle predette regole di pratica agronomica, non può non risolversi in uno smaltimento di rifiuti.

Seguendo tale linea di pensiero, è interessante entrare nel dettaglio delle singole norme regionali.

Con riferimento alla questione di legittimità costituzionale del comma 3-ter, art. 16, l.r. Friuli-Venezia Giulia 23 aprile 2007, n.9, il giudizio della Corte è da condividersi in quanto la norma effettivamente richiama la pratica agronomica classica di distribuzione delle ceneri sul terreno. La norma pertanto attiene alla materia «agricoltura», non incide sul significato della formula «utilizzati in agricoltura» contenuta all’art. 184 c.1 lett. f) e dunque la Regione ha dunque potere di legislazione al riguardo.

Si osserva al riguardo che anche tale norma non aggiunge alcuna novità all'Ordinamento in quanto le stesse conclusioni si traggono in via interpretativa dall'art. 185 c. 1 lett. f).

Con riferimento alla legittimità costituzionale del comma 6-bis dell’ art. 19, l.r. Marche 23 febbraio 2005, n.6, invece, si osserva quanto segue.

La norma29 definisce utilizzo in agricoltura l’abbruciamento dei residui vegetali in quanto «pratica ordinaria finalizzata alla prevenzione degli incendi o metodo di controllo agronomico di fitopatie, fitofagi o infestanti vegetali».

La pratica dell’abbruciamento ha dunque due finalità: quella della prevenzione degli incendi e quella del controllo di fitopatie, fitofagi o infestanti vegetali.

Con riferimento a quest’ultima, non può che confermarsi che la pratica agronomica comprende il metodo fissato ex lege. Si condividono pertanto le conclusioni della Corte che ritiene la norma regionale in questo punto inerente alla materia agricoltura. Evidentemente tale pratica è da attuare nel momento in cui vi sia la presenza di fitopatie, di fitofagi o di infestanti vegetali, certamente nell’ambito di un programma più ampio che in generale dovrà prevedere sicuramente trattamenti alle piante o alle colture interessate. Altrimenti metterla in atto non avrebbe alcun valore agronomico, neanche di prevenzione, ed essa si risolverebbe ancora una volta in un mero smaltimento di rifiuti.

Pertanto si deve precisare che è comunque necessario un momento di valutazione tecnica per verificare la effettività della finalità e dunque se i fatti possano essere sussunti in tale ipotesi normativa, con onere a carico del trasgressore, come in precedenza affermato. ovvero in quella dello smaltimento dei rifiuti.

Soltanto un'interpretazione di tale tipo consente poi di affermare che il legislatore regionale non abbia evaso i limiti della propria competenza legislativa residuale; limiti - si ricorda - fissati ab externo dall'art. 185 c. 1 lett. f).

Con riferimento invece all’abbruciamento dei residui vegetali in relazione alla prevenzione incendi, a parte la perplessità di voler perseguire tale finalità consentendo l’accensione di fuochi, sebbene con i limiti ivi previsti, si ritiene che essa, per quanto sopra espresso, non realizzi propriamente una utilizzazione in agricoltura30, ai sensi della normativa ambientale.

Per quanto sopra espresso, inoltre, la definizione contenuta nella norma regionale, al limite legittima se funzionale alla regolamentazione della materia agricoltura, non ha potere di integrare il significato della norma ambientale.

Sulla base di quanto appena esposto, le conclusioni della Corte sono dunque condivisibili soltanto nella misura in cui si ritenga possibile che il significato giuridico di agricoltura possa essere ambivalente in funzione del contesto giuridico in cui opera (nella materia agricoltura, a competenza legislativa regionale residuale, o nella materia tutela dell’ambiente a competenza legislativa statale esclusiva).

Tenuto conto delle motivazioni della Corte, però, non sembra che possa delinearsi tale ipotesi.

La Corte, poi, conclude affermando che «dato che attiene «alla tutela dell’ambiente», di competenza esclusiva dello Stato, la definizione degli ambiti di applicazione della normativa sui rifiuti, oltre i quali può legittimamente dispiegarsi la competenza regionale nella materia «agricoltura e foreste», restano fermi i vincoli posti dal sopravvenuto comma 6-bis dell’art. 182 del codice dell’ambiente al fine di assicurare che l’abbruciamento dei residui vegetali in agricoltura – in conformità del resto a quanto stabilito dalla normativa dell’Unione europea – non danneggi l’ambiente o metta in pericolo la salute umana».

Tale affermazione si richiama alla ripartizione dei poteri legislativi fissata all’art. 117 Cost. secondo l’interpretazione corrente e rinvia all’art. 185 c. 1 lett. f) TUA, il quale pone come limite dell’esclusione dell’applicazione della normativa sui rifiuti, quello appunto che i processi o i metodi di utilizzazione dei residui vegetali non danneggino l’ambiente né mettano in pericolo la salute umana.

Al riguardo si ritiene di precisare che tale affermazione non dovrebbe potersi mettere in relazione con l’interpretazione della formula in piccoli cumuli utilizzata all’art. 182 c. 6 bis TUA.

Infatti, da un punto di vista quantitativo, è il limite di tre metri steri al giorno per ettaro che si correla con il danno all’ambiente ed il pericolo alla salute umana, e non già le dimensioni dei cumuli, che invece sono valorizzate nel testo legislativo per allineare il concetto tecnico di pratica agronomica a quello giuridico.

Nelle successive sentenze che definiscono i ricorsi sulle norme regionali di settore del Veneto e della Basilicata, la Corte richiama semplicemente quanto già espresso nella sentenza appena commentata, pertanto esse non stimolano ulteriori riflessioni sull’argomento.

 

4. – In ben tre sentenze dunque la Corte Costituzionale ha dichiarato, come peraltro «attestato a più riprese dalla Corte di cassazione», «di annoverare tra le attività escluse dall’ambito di applicazione della normativa sui rifiuti l’abbruciamento in loco dei residui vegetali, in quanto considerato ordinaria pratica applicata in agricoltura e nella selvicoltura». Per questo motivo, secondo la Corte, il legislatore regionale può legittimamente intervenire sul punto, «trattandosi di una disciplina che rientra nella materia «agricoltura», competenza di carattere residuale per le Regioni a statuto ordinario».31

Nel testo si è invece esposta la tesi per la quale, da un punto di vista meramente tecnico, il mero abbruciamento dei residui vegetali non è una pratica agricola; lo diventa nel momento in cui i residui vegetali siano effettivamente utilizzati quali sostanze ammendanti o concimanti.

Dal punto di vista del diritto, nel caso in cui si dia ex lege alla predetta attività una tale qualificazione, comunque essa non ha potere di ampliare il contenuto della normativa ambientale statale, e segnatamente dell’art. 185 c. 1 lett. f), a causa dei limiti costituzionali fissati per il potere legislativo residuale regionale.

Tale norma resta il punto focale della disciplina, per cui anche la norma di cui all’art. 182 c. 6 bis deve interpretarsi in armonia a questa.

Il tutto pertanto si concentra sul significato giuridico da dare alla formula «utilizzati in agricoltura» contenuta all’art. 185 c. 1 lett. f).

Si ritiene al riguardo che i principi che reggono la normativa sui rifiuti portino a dedurre che tale frase debba intendersi nel senso di aventi una funzione produttiva, in linea con la sua definizione tecnica.

Coerenti a tale linea di pensiero sono tutte le sentenze della Suprema Corte, tranne la n. 76/2015; lo è anche la norma di cui all’art. 182 c. 6 bis TUA.

Una diversa lettura delle norme porterebbe a consentire attività che sì sono effettuate da agricoltori secondo tradizione, ma soltanto al fine di smaltire i residui vegetali, e non come pratica agronomica, cioè in funzione dell’agricoltura, intesa come «l’arte e la pratica di coltivare il suolo allo scopo di ottenerne prodotti utili»32.

Questo da un punto di vista meramente giuridico.

Al di fuori di esso, si ritiene certamente che quello dell’abbruciamento dei residui vegetali sia una questione da risolvere in quanto grava da un punto di vista economico sull’intera categoria del riparto agricoltura, con benefici dal lato della tutela dell’ambiente assolutamente non confrontabili ai costi da sostenere.

Si ritiene però che, dopo aver distinto le pratiche agronomiche consentite, nel senso sopra riportato, dalle attività che si risolvono in uno smaltimento di residui vegetali, sarebbe stato più lineare e coerente con la normativa europea introdurre per queste ultime una disciplina semplificatoria, piuttosto che indulgere in interpretazioni che ne disperdono lo spirito.

 

 

 

 

 

1 Si veda “la bruciatura dei residui vegetali. La nuova disciplina”, in “Diritto e giurisprudenza agraria, alimentare e dell’ambiente”, numero speciale anno I - 2015

2 Si veda sentenza Cass. sez. III Pen. 7 gennaio 2015, n. 76, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Avellino, pubblicata sul sito www.italgiure.giustizia.it

3 Art. 182, comma 6 bis del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152: «Le attività di raggruppamento e abbruciamento in piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro dei materiali vegetali di cui all'articolo 185, comma 1, lettera f), effettuate nel luogo di produzione, costituiscono normali pratiche agricole consentite per il reimpiego dei materiali come sostanze concimanti o ammendanti, e non attività di gestione dei rifiuti. Nei periodi di massimo rischio per gli incendi boschivi, dichiarati dalle regioni, la combustione di residui vegetali agricoli e forestali è sempre vietata. I comuni e le altre amministrazioni competenti in materia ambientale hanno la facoltà di sospendere, differire o vietare la combustione del materiale di cui al presente comma all'aperto in tutti i casi in cui sussistono condizioni meteorologiche, climatiche o ambientali sfavorevoli e in tutti i casi in cui da tale attività possano derivare rischi per la pubblica e privata incolumità e per la salute umana, con particolare riferimento al rispetto dei livelli annuali delle polveri sottili (PM10).»

4 Di seguito indicato con TUA

5 Si veda “la bruciatura dei residui vegetali. La nuova disciplina”, in “Diritto e giurisprudenza agraria, alimentare e dell’ambiente”, numero speciale anno I - 2015

6 Si veda sentenza Cass. sez. III Pen. 11 aprile 2013, 16474, I.L.

7 Si vedano sentenze Cass. sez. III Pen. 9 luglio 2014, nn. 39203, 39204, 41713, 41714 e 41715

8 Si veda sentenza Cass. sez. III Pen. 24 settembre 2014, nn. 39203, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Avellino

9 Art. 256 bis, comma 6-bis, TUA: «Le disposizioni del presente articolo e dell'articolo 256 non si applicano al materiale agricolo e forestale derivante da sfalci, potature o ripuliture in loco nel caso di combustione in loco delle stesse. Di tale materiale è consentita la combustione in piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro nelle aree, periodi e orari individuati con apposita ordinanza del Sindaco competente per territorio. Nei periodi di massimo rischio per gli incendi boschivi, dichiarati dalle Regioni, la combustione di residui vegetali agricoli e forestali è sempre vietata».

10 sentenza Cass. sez. III Pen. 7 gennaio 2015, n. 76, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Avellino, pubblicata sul sito www.italgiure.giustizia.it

11Evidentemente, quella dell'abbruciamento per il reimpiego come sostanze concimanti o ammendanti non è l'unico tipo di utilizzazione dei residui vegetali che esclude l'applicazione della disciplina dei rifiuti. Altri possono individuarsi ad esempio nell'abbruciamento come metodo di controllo agronomico di fitopatie, di fitofagi o di infestanti vegetali ( Si veda oltre il comma 6 bis dell’art. 19, l.r. Marche 23 febbraio 2005, n.6)

12 Si veda ad esempio Sentenza Cass. sez. III Pen. 14 aprile 2014, n. 16200

13 Sentenza Cass. sez. III Pen. 14 aprile 2014, 16200 (si vedano anche Sez. III Pen. , 10 maggio 2012, n.17453; Sez. III 29 aprile 2011, n. 16727; Sez. III 7 novembre 2008, n. 41836, in tema di sottoprodotti; Sez. III 23 aprile 2010, n. 15680; Sez. III 17 marzo 2004, n. 21587; Sez. III 15 giugno 2004, n. 30647,in tema di deposito temporaneo e, con riferimento alle terre e rocce da scavo, Sez. III 8 marzo 2007, n. 9794; Sez. III 1 ottobre 2008, n. 37280; Sez. III 10 settembre 2009, n. 35138)

14 L.r. Campania 7 maggio1996, n. 11, all. C, art. 47: «1. Per le violazioni alle previste prescrizioni si applicano le seguenti sanzioni amministrative oltre quanto già previsto dalla L.R. 28 febbraio 1987, n. 13 e successive modifiche ed integrazioni …

(omissis)

b) Violazione agli artt. 3, 4, 5, 6, commi 4, 5, 6, 7 e 8, 16, 17, 18, 19, 46 lettere b), d), ed e) da un minimo di £. 100.000 ad un massimo di £. 1.000.000

… (omissis)»

15 La legge contiene le prescrizioni di massima e di polizia forestale applicabili in regione Campania. In proposito, si ricorda che la l. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3 ha modificato in modo sostanziale l’art. 117 che disciplina la potestà legislativa dello Stato e delle regioni. In virtù di tali modifiche la materia «agricoltura e foreste», che in precedenza era materia a legislazione concorrente, è oggi nella potestà legislativa residuale delle Regioni. Per tale motivo il R.D. 30 dicembre 1923, n. 3267, che agli artt. 8 e 9 prevede le P.M.P.F., non vige più se non come rinvio recettizio delle singole legislazioni regionali. In generale può rilevarsi una certa omogeneità tra le singole normative regionali in quanto sono tutte precedenti all’entrata in vigore del nuovo testo costituzionale, cosicchè sono state formulate nel rispetto dei «principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato», ai sensi dell’art. 117 Cost. vecchia formulazione, che per il caso di specie è appunto il R.D. 3267/1923. Le legislazioni regionali in vigore, così come il R.D. 3267/1923, hanno dunque ad oggetto comune la tutela del bosco e della fauna selvatica, la difesa del suolo e la conservazione dei pascoli.

16 L.r. Campania 7 maggio1996, n. 11, all. C, art. 6 - Cautela per la salvaguardia delle zone a rischio di incendio:

«1. Nel periodo dal 15 giugno al 30 settembre é vietato a chiunque accendere fuochi all'aperto nei boschi, come individuati dall'art. 14 della presente legge, e per una distanza da essi inferiore a 100 metri.

2. Nel periodo dal 15 giugno al 30 settembre é vietato a chiunque accendere fuochi nei pascoli, cioè nelle aree i cui soprassuoli sono rivestiti da cotico erboso permanente anche se sottoposto a rottura ad intervalli superiori ai 10 anni e anche se interessati dalla presenza di piante arboree od arbustive radicate mediamente a distanza non inferiore ai 20 metri.

2-bis. a) È fatta eccezione per coloro che per motivi di lavoro sono costretti a soggiornare nei boschi. Ad essi è consentito accendere, con le necessarie cautele, negli spazi vuoti preventivamente ripuliti da foglie, da erbe secche e da altre materie facilmente infiammabili, il fuoco strettamente necessario per il riscaldamento o per la cattura delle vivande con l'obbligo di riparare il focolare in modo da impedire la dispersione della brace e delle scintille e di spegnere completamente il fuoco prima di abbandonarlo;

b) In aree circoscritte, già opportunamente attrezzate, purché ripulite da materiali infiammabili e preventivamente individuate dai sindaci che ne assicurano la sorveglianza è consentita l'accensione del fuoco, e l'uso di fornelli a gas, elettrici, a carbone o a legna. Gli interessati cureranno in ogni caso lo spegnimento del fuoco prima di abbandonare dette aree.

3. Nel periodo di cui ai commi 1 e 2, nei boschi e nei pascoli sono vietate, le seguenti attività:

a) far brillare mine;

b) usare apparecchi a fiamma od elettrici per tagliare metalli;

c) usare, motori, fornelli o inceneritori che producono faville e brace, fumare o compiere ogni altra operazione che possa creare comunque pericolo mediato o immediato d'incendio.

4. Nel restante periodo dell'anno é vietato accendere fuochi nei boschi di cui in precedenza e per una distanza da essi inferiore a 50 metri e nei pascoli.

5. In altre zone la bruciatura delle ristoppie e di altri residui vegetali, salvo quanto previsto dall' art. 25 della L.R. 10 aprile 1996, n. 8 é permesso quando la distanza dai boschi é superiore a 50 metri purché il terreno su cui l'abbruciamento si effettua, venga preventivamente circoscritto ed isolato con una striscia arata della larghezza minima di metri 5. La pratica é comunque vietata in presenza di vento.

6. Nei castagneti da frutto è consentita la ripulitura del terreno dai ricci, dal fogliame, dalle felci, mediante la raccolta, concentramento ed abbruciamento. L'abbruciamento è consentito dal 1° luglio al 30 marzo, dall'alba alle ore 10.00. Il materiale raccolto in piccoli mucchi andrà bruciato con le opportune cautele su apposite radure predisposte nell'àmbito del castagneto. Il Sindaco, per particolari condizioni ambientali, su proposta delle autorità forestali competenti, può sospendere le operazioni di bruciatura nel periodo compreso tra il 1° luglio ed il 30 settembre.

7. La bruciatura delle stoppie e la pulizia dei castagneti da frutto debbano essere preventivamente denunciati al Sindaco ed al Comando Stazione Forestale competente.

8. Dal 15 giugno al 15 settembre é vietato fumare nei boschi e nelle strade e sentieri che li attraversano.»

17 Si veda nota n. 15

18 L.r. Campania 7 maggio1996, n. 11, art. 1 – Finalità: «1. La presente legge, nel quadro degli obiettivi di sviluppo economico e sociale della Campania, persegue le seguenti finalità:

a) la conservazione, il miglioramento e l'ampliamento del bosco, l'incremento della produzione legnosa, la valorizzazione delle bellezze naturali e paesaggistiche, la tutela e l'incremento della fauna selvatica anche attraverso la costituzione di apposite strutture;

b) la difesa del suolo e la sistemazione idraulico-forestale, la prevenzione e la difesa dei boschi dagli incendi;

c) la conservazione ed il miglioramento dei pascoli montani;

d) la massima occupazione della mano d'opera rapportata alle singole realtà territoriali al fine di contribuire al mantenimento delle popolazioni montane a presidio del territorio».

19 In questo senso, se la norma ambientale avesse previsto anche una sanzione amministrativa in caso di violazione del divieto, i trasgressori sarebbero stati sanzionati sia ai sensi del’art. 182 comma 6 bis TUA, che ai sensi della normativa regionale di riferimento, nelle modalità previste dall’art. 8 c. 1 della l. 24 novembre 1981, n. 689, di cui si riporta nel seguito il testo: «Salvo che sia diversamente stabilito dalla legge, chi con un'azione od omissione viola diverse disposizioni che prevedono sanzioni amministrative o commette più violazioni della stessa disposizione, soggiace alla sanzione prevista per la violazione più grave, aumentata sino al triplo».

20 Sul punto Si veda “la bruciatura dei residui vegetali. La nuova disciplina”, in “Diritto e giurisprudenza agraria, alimentare e dell’ambiente”, numero speciale anno I - 2015.

21 Si veda art. 117 c. 2, lett. s), Cost.

22 Si vedano rispettivamente le sentenze Corte cost. 26 febbraio 2015, n. 16, 17 marzo 2015, n. 38 e 16 aprile 2015, n. 60.

23 art. 19 comma 6-bis, l.r. Marche 23 febbraio 2005, n.6: «Fermo restando il rispetto delle distanze indicate ai commi 2 e 6, costituisce utilizzo in agricoltura l'abbruciamento del materiale di cui al medesimo comma 6, ovvero di altro materiale agricolo e forestale naturale non pericoloso, in quanto inteso come pratica ordinaria finalizzata alla prevenzione degli incendi o metodo di controllo agronomico di fitopatie, di fitofagi o di infestanti vegetali».

La regione Marche ha poi successivamente abrogato la predetta norma con l’art. 35 c. 1, l.r. Marche 16 febbraio 2015, n.3.

24 Art. 19, l.r. Marche 23 febbraio 2005, n.6 – Prescrizioni e divieti: «1. Ai fini di quanto stabilito dall' articolo 3, comma 3, lettera c), della legge 21 novembre 2000, n. 353 (Legge-quadro in materia di incendi boschivi), tutti i boschi sono aree a rischio di incendio boschivo.

2. Nei periodi individuati a rischio di incendio boschivo, come individuati dal piano di cui all' articolo 3 della legge n. 353/2000 approvato dalla Giunta regionale, è vietata l'accensione di fuochi nei boschi o ad una distanza inferiore ai metri 200 dai medesimi ad eccezione:

a) dell'accensione di fuochi per la cottura

b) dell'accensione di fuochi nelle radure dei castagneti da frutto per la combustione in cumuli del materiale vegetale derivante dalla ripulitura del sottobosco finalizzata alla raccolta dei frutti;

c) dell'attività di carbonizzazione secondo le modalità fissate dalla Giunta regionale.

3. È consentita l'accensione in cumuli del materiale vegetale proveniente dalla ripulitura di incolti, di colture erbacee ed arboree al di fuori dei boschi e ad una distanza di sicurezza non inferiore a 200 metri dai medesimi.

4. Nelle accensioni dei fuochi devono essere adottate le necessarie cautele affinché le scintille e le braci non siano disperse, non vi sia continuità con altro materiale infiammabile e l'operatore assista di persona fino a quando il fuoco sia completamente spento.

5. L'accensione del fuoco è sempre consentita nell'ambito della lotta attiva contro gli incendi boschivi.

6. Al di fuori dei periodi a rischio di incendio boschivo, la distanza di sicurezza minima dai boschi è stabilita in metri 100; oltre questa distanza è consentito dar fuoco alla paglia, alle stoppie e al materiale vegetale derivante da colture erbacee ed arboree, e dalla distruzione di erbe infestanti, rovi e simili, purché detto materiale sia raccolto in cumuli e l'operatore assista di persona fino a quando il fuoco sia completamente spento.

7. Nelle aree non a rischio di incendio boschivo è sempre vietato:

a) dare fuoco alla vegetazione erbacea, arbustiva o arborea presente in terreni calanchivi o comunque soggetti a dissesto idrogeologico;

b) dare fuoco alla vegetazione erbacea, arbustiva o arborea nei terreni incolti, nei pascoli permanenti o nei terreni non coltivati in cui è in atto un processo di colonizzazione di specie pioniere;

c) dare fuoco agli arbusti, alle erbe palustri e al materiale vegetale in genere lungo gli argini dei fiumi, laghi e corsi d'acqua;

d) esercitare il pascolo nei terreni percorsi dal fuoco che abbia interessato una superficie superiore a 0,5 ettari, per un periodo compreso tra l'evento e tre annualità successive a quella in cui esso è avvenuto.

8. La Regione attua interventi in materia di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi secondo quanto previsto dal piano regionale di settore di cui all' articolo 3 della legge n. 353/2000

25 art. 16 Comma 3-ter, , l.r. Friuli-Venezia Giulia 23 aprile 2007, n.9: «Ferme restando le disposizioni regionali in materia di antincendio boschivo, è ammesso il reimpiego nel ciclo colturale di provenienza dei residui ligno-cellulosici derivanti da attività selvicolturali di cui all'articolo 14, comma 1, lettera a), da potature, ripuliture o da altri interventi agricoli e forestali, previo rilascio, triturazione o abbruciamento in loco, entro 250 metri dal luogo di produzione, purché il materiale triturato e le ceneri siano reimpiegate nel ciclo colturale, tramite distribuzione, come sostanze concimanti o ammendanti e lo spessore del materiale distribuito non superi i 15 centimetri nel caso della triturazione e i 5 centimetri nel caso delle ceneri».

In corso di giudizio la Regione Friuli-Venezia Giulia ha abrogato tale norma con l’art. 95 c. 1 lett. b) l.r Friuli-Venezia Giulia 26 giugno 2014, n. 11

26 sentenza Cass. Sez. III Pen. 24 settembre 2014, n. 39203, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Avellino. In sentenza la Corte afferma anche che se si tratta di incenerimento di residui vegetali, «di per sé solo, esso rappresenta il disfarsi di scarti vegetali». Sulla validità di tale affermazione però si rimanda al precedente punto 2

27 Come correttamente evidenziato nelle memorie depositate dalla Regione Marche, il metodo dell’abbruciamento consente non solo la mineralizzazione degli elementi contenuti nei residui organici, ma anche la riduzione delle avversità biotiche sui terreni interessati, nonché il controllo di fitopatie, fitofagi ed infestanti vegetali. Anche queste finalità sarebbero da considerarsi utili all’agricoltura, cosi da poter qualificare l’abbruciamento dei residui vegetali come pratica agricola.

28 si precisa ancora una volta che la norma richiama l’utilizzo in agricoltura, non già l’utilizzo che gli agricoltori fanno dei materiali vegetali. Per agricoltura si intende (si veda definizione dell’Enciclopedia Treccani) «L’arte e la pratica di coltivare il suolo allo scopo di ottenerne prodotti utili all’alimentazione dell’uomo e degli animali e materie prime indispensabili per numerose industrie… (omissis).». A tale definizione è riconducibile, anche quella derivante dalla definizione civilistica di imprenditore agricolo, ai sensi dell’art. 2135 c.c., e con esclusione degli aspetti di connessione.

29 si veda nota n. 23.

30 Ciò direttamente dalla definizione di agricoltura richiamata alla nota n. 29.

 

31 Si veda sentenza Corte Cost. 17 marzo 2015, n. 38

32 Si veda nota n. 29