La compartecipazione criminosa al reato di realizzazione e gestione di una discarica abusiva di rifiuti

di Vincenzo PAONE

pubblicato su rivistadga.it. Si ringraziano Autore ed Editore

Cass. Sez. III Pen. 16 dicembre 2024, n. 46231- Ramacci, pres.; Scarcella, est.; Giordano, P.M. (conf.) - F.N., ric. (Conferma App. Lecce, sez. dist. Taranto 24 gennaio 2024)

Sanità pubblica - Realizzazione e gestione di una discarica abusiva di rifiuti - Concorso nel reato da parte di chi conferisce il fondo all’autore materiale del reato - Consenso all’attività criminosa - Sufficienza - Fattispecie.

Il proprietario di un fondo che, dopo averlo conferito ad uno stretto parente conoscendo la destinazione impressa da costui all’area acquisita, abbia consentito che ivi fosse realizzata e gestita una discarica abusiva, concorre nel reato oggetto di volontà comune, avendo fornito il luogo per il suo esercizio, ponendo in essere una condizione indispensabile dell’illecito e rafforzando nell’autore tale volontà (nella specie, i rapporti di stretta parentela esistenti tra la proprietaria del fondo ed il fratello, il conferimento dell’immobile al fratello e la circostanza che, anche dall’esterno, fosse visibile la raccolta dei rifiuti accatastati, hanno fatto escludere che la ricorrente ignorasse il programma criminoso del fratello).

Testo della sentenza in commento qui

1 . - Responsabilità concorsuali per il reato di discarica abusiva . Una recente sentenza della III Sezione della Suprema Corte 1 ha attirato la nostra attenzione perché, accanto ad una assolutamente condivisibile posizione espressa sulla questione della rilevanza del comportamento susseguente al reato ai fini della riconoscibilità della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p.2, si è pronunciata in tema di concorso nel reato di discarica abusiva con argomentazioni che sollevano alcune riserve.

Nel caso oggetto della decisione, due fratelli erano stati condannati per il reato di cui all’art. 256, comma 3, d.lgs. n. 152/06. La sorella dell’autore materiale del reato si rivolgeva alla Cassazione contestando l’affermazione della sua responsabilità in concorso ai sensi dell’art. 110 c.p. Con un articolato ricorso, la difesa, in primo luogo, evidenziava che la condanna, secondo i giudici d’appello, derivava dalla consapevolezza dell’imputata della destinazione illecita del fondo, desumibile da alcune circostanze e cioè il rapporto di stretta parentela tra i fratelli, il conferimento dell’area e dell’abitazione al coimputato e la visibilità dei rifiuti dall’esterno dell’area ceduta in uso al fratello. In secondo luogo, osservava, quanto al legame di parentela, che si trattava di un elemento del tutto neutro in quanto la circostanza che la ricorrente fosse la sorella del coimputato non faceva automaticamente desumere che i due fratelli avessero un rapporto di frequentazione regolare od assidua tale da far ritenere ragionevolmente che la ricorrente fosse a conoscenza dei fatti del fratello; quanto al conferimento dell’immobile al fratello, quest’ultima ne aveva perso il possesso, l’uso e la disponibilità3; infine, quanto alla circostanza che i rifiuti erano visibili dall’esterno dell’area, non vi era prova certa che la ricorrente fosse risultata frequentatrice dell’immobile stesso e che si fosse quindi avveduta dell’accumulo dei rifiuti prima del sopralluogo effettuato dalle forze dell’ordine, unica occasione in cui era stata presente per essere stata appositamente convocata.

La Cassazione ha disatteso le doglianze della donna ritenendo che il giudice d’appello si fosse espresso in maniera logica sul pregnante significato delle riferite circostanze confutando l’asserita ignoranza della ricorrente sulla destinazione d’uso dell’area e sottolineando invece la sua tolleranza e il sostanziale consenso all’attività illecita.

Anche per la Suprema Corte, i rapporti di stretta parentela esistenti tra la ricorrente (proprietaria del fondo e dell’immobile) ed il fratello e la circostanza che dall’esterno fosse visibile la raccolta di rifiuti accatastati portavano ad escludere che la ricorrente ignorasse la destinazione impressa dal fratello all’area di sua proprietà. Ha perciò concluso che la stessa aveva consentito che sul detto fondo il fratello realizzasse e gestisse una discarica abusiva, così concorrendo nel reato oggetto di volontà comune, avendo fornito il luogo per il suo esercizio e rafforzando nel fratello tale volontà, fondata sul consenso della proprietaria.

La Suprema Corte, nell’ambito della distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato, ha altresì osservato che nel reato contravvenzionale, come quello contestato, l’agente risponde della sua azione, sia essa dolosa o colposa, purché la medesima sia cosciente e volontaria. Detti requisiti sussistono nell’ipotesi che il soggetto autorizzi altra persona all’uso di cosa propria che, per le sue caratteristiche e natura, non può che essere adoperata, se non per lo scopo illecito. In tal caso il cosciente e volontario consenso dato dall’agente al terzo per l’unico uso possibile della cosa implica l’adesione al comportamento illecito che della medesima farà la persona autorizzata, con ogni conseguenza in ordine al concorso nel reato da costei commesso4.

Pur con il dovuto rispetto per l’alto Consesso, è legittimo esprimere alcune perplessità sulla conclusione che il fatto di aver “tollerato” e/o di aver “consentito” l’utilizzo del fondo per finalità criminose cessi di essere una connivenza non punibile divenendo un concorso nel reato.

2. - Compartecipazione criminosa nelle contravvenzioni . La vicenda chiama in causa il tema del concorso di persone nel reato – le cui coordinate generali si danno qui per conosciute 5 – con particolare riferimento all’ipotesi in cui il reato abbia natura contravvenzionale e l’apporto del partecipe si concretizzi sul piano morale o, meglio, psicologico.

In premessa, va brevemente ricordato che, se non sorgono problemi per il concorso nelle contravvenzioni dolose, ricondotto nell’alveo dell’art. 110 c.p., si discute, invece, in ordine alla possibilità di configurare il concorso nelle contravvenzioni colpose, atteso che l’art. 113 c. p. (cooperazione nel delitto colposo) disciplina la cooperazione con riferimento esclusivo ai “delitti”.

Secondo la dottrina prevalente e la giurisprudenza ormai consolidata sul punto, anche le contravvenzioni colpose rientrano nella disciplina dettata dall’art. 110 c.p. che fa riferimento al concetto generico di “reato”; inoltre, l’art. 113 c.p. non ha una funzione di sbarramento preclusivo rispetto alla possibilità del concorso colposo nelle contravvenzioni colpose, ma è soltanto una norma necessaria al fine di poter affermare la responsabilità, a titolo di colpa, per la realizzazione in forma concorsuale di un delitto, che richiede un’apposita incriminazione delle condotte colpose. Le contravvenzioni sono indifferentemente punibili a titolo di dolo o di colpa e quindi tale esigenza non si ravvisa.

Per quanto attiene alla questione dell’elemento soggettivo che deve accompagnare la condotta del partecipe, occorre tenere separate la responsabilità concorsuale e la mera connivenza. Il confine tra queste due fattispecie è alquanto labile e perciò al giudice è richiesto di valutare con particolare rigore logico gli aspetti sintomatici che permettano di inquadrare la condotta come partecipazione criminosa piuttosto che come semplice connivenza o mera adesione morale al fatto illecito altrui.

Ciò posto, un primo approccio alla decisione non può che prendere le mosse dall’impostazione seguita dai giudici nella specie e cioè che la ricorrente fosse a conoscenza che il fratello avrebbe utilizzato l’area da lui acquisita 6 per commettervi una violazione alle norme ambientali penalmente presidiata, e cioè realizzare e gestire senza titolo una discarica di rifiuti.

Orbene, siamo dubbiosi che tale conoscenza (non presuntiva, ma effettiva) potesse discendere dal rapporto parentale tra le parti e dal conferimento del fondo al fratello (sull’ulteriore circostanza concernente la visibilità dei rifiuti dall’esterno dell’area ci esprimiamo in appresso perché, a ben vedere, essa attiene al momento in cui il reato era ormai in corso di esecuzione). Peraltro, ci pare che proprio la pronuncia della Cassazione (Cass. Sez. 1, n. 3822/1994) citata nella motivazione della sentenza in commento possa sostenere il nostro rilievo: infatti, la cessione di un fondo non è assimilabile all’autorizzazione ad usare una cosa in spregio di apposito divieto perché l’immobile può essere adoperato per qualsivoglia finalità e non necessariamente (ed esclusivamente) per uno scopo illecito.

In conclusione, le circostanze esaminate in questo primo esame del problema 7 non appaiono significative per dimostrare che la ricorrente fosse realmente a conoscenza delle intenzioni criminose del fratello.

3. - Basta la tolleranza o il consenso per ravvisare il concorso nel reato? Ma anche ad ammettere che la ricorrente conoscesse la destinazione che il fratello avrebbe impresso al fondo, ci chiediamo se fosse sufficiente la “tolleranza” e il “consenso” per concorrere nel reato commesso materialmente dal coimputato.

Nell’ambito della connivenza non punibile, tradizionalmente si colloca la situazione di chi assiste alla commissione di un reato senza intervenire: orbene, si è affermato che la presenza sul luogo del reato può integrare la partecipazione psichica solo quando si traduca in una chiara adesione alla condotta criminosa e l’autore materiale ne abbia tratto motivo di rafforzamento oppure di stimolo o un maggiore senso di sicurezza.

Si richiede la dimostrazione, in concreto, del rapporto di causalità fra l’adesione del terzo e l’incentivo che ne deriva sull’attività dell’autore materiale. È infatti evidente che la mera presenza alla perpetrazione di un reato, pur senza esteriori gesti di approvazione, potrebbe anche avere l’effetto di rafforzare l’altrui proposito criminoso, come nel caso di chi compia un reato in presenza di una persona che esercita su di lui notevole influenza. In questa ipotesi, non sarebbe logico escludere la responsabilità del soggetto a titolo di concorso morale essendo indubbio il rafforzamento del proposito criminoso dovuto alla specifica (ed intensa) relazione tra le parti8.

Al di fuori, però, di questa specifica, e per vero non frequente, situazione, va ribadita la regola che il concorso morale nel reato è configurabile se l’adesione al fatto criminoso si sia manifestata all’esterno in modo chiaro ed esplicito in presenza dell’autore materiale del reato, prima che questi lo commetta.

Ciò posto, nel caso di specie, riteniamo che, anche se la ricorrente avesse avuto conoscenza della programmata commissione del reato da parte del fratello e anche se, per ipotesi, l’avesse condivisa, in mancanza di comportamenti esteriori, idonei a fornire un effettivo contributo alla consumazione del reato sul piano psichico, il suo “consenso” non fosse sufficiente per dimostrare la compartecipazione criminosa perché, al più, ricorreva un’adesione interna del soggetto al fatto, come tale però non punibile.

4 . - Concorso nel reato in corso di esecuzione . Fin qui si è discusso dell’ipotesi in cui il reato non era stato ancora commesso. Con riferimento alla fase esecutiva del reato di discarica abusiva, possiamo – finalmente – parlare della circostanza che anche dall’esterno del fondo fossero visibili i rifiuti accatastati.

A parte il fatto che non si sa se la ricorrente abitasse nello stesso immobile occupato dal fratello o avesse realmente occasione di accedervi, la difesa dell’imputata aveva messo l’accento sul fatto che la valorizzazione di quella circostanza postulava che il concorrente nel reato avesse un preciso obbligo giuridico di evitare l’evento, come richiesto dall’art. 40, comma 2, c.p., fosse cioè titolare di una posizione di garanzia basata sul dovere di prevenire eventi pregiudizievoli. Sul punto, è risaputo che nessuna norma rilevante nel settore di cui trattasi fissa un obbligo di tal natura idoneo a generare una responsabilità per omesso impedimento dell’evento.

A questo riguardo, non si può fare a meno di ricordare una sentenza delle Sezioni Unite 9 che ha sancito che la realizzazione e la gestione di una discarica – fatti puniti in origine dall’art. 25, d.p.r. n. 915/1982 ed attualmente dall’art. 256, comma 3, d.lgs. n. 152/06 – configurano un reato che può realizzarsi solo in forma commissiva con la conseguenza che il mero mantenimento di una discarica da altri realizzata in assenza di qualsiasi partecipazione attiva e in base alla sola consapevolezza della loro esistenza non è compreso nel paradigma legale.

Ne deriva che la “tolleranza” e il “consenso” all’attività criminosa in corso di esecuzione, da parte di chi non era investito di una posizione di garanzia e che dunque non aveva l’obbligo di intervenire per far cessare l’attività abusiva di stoccaggio dei rifiuti 10 , non erano sufficienti per affermare la responsabilità penale a titolo di concorso nel reato altrui.

Nel solco dell’orientamento tradizionale, in altra recente pronuncia 11 si è stabilito che non è configurabile in forma omissiva il reato di cui all’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152/06 nei confronti del proprietario di un terreno sul quale altri abbia abbandonato o depositato rifiuti, anche nel caso in cui non si attivi per la loro rimozione, perché la sua responsabilità sussiste solo in presenza di un obbligo giuridico di impedire la realizzazione o il mantenimento dell’evento lesivo o nel caso in cui il soggetto compia atti di gestione o movimentazione dei rifiuti 12 .

Vincenzo Paone

1 Cass. Sez. III Pen. 16 dicembre 2024, n. 46231, in epigrafe.

2 La sentenza ha affermato questo principio: le condotte post delictum, ove normativamente imposte, anche se antecedenti al momento in cui è intervenuta condanna, in quanto solo anticipatorie di un effetto che sarebbe comunque conseguito ex lege, non rendono di particolare tenuità un’offesa che tale non era al momento della commissione del fatto, escludendo la riconoscibilità dell’art. 131 bis, c.p.

3 La difesa aveva altresì posto in risalto che il terreno in questione era recintato e chiuso con un cancello, la cui chiave di accesso era nella disponibilità esclusiva del fratello coimputato, il che implicava che la ricorrente non potesse avervi accesso in via autonoma.

4 Così Cass. Sez. I 3 marzo 1994, n. 3822, Le Rose, rv. 196.988-01. Per completezza, si segnala che nella fattispecie era stato ritenuto il concorso nel reato di inosservanza di provvedimento legalmente dato a carico di persona che aveva autorizzato il figlio ad usare la propria autobotte per trasportare e vendere acqua potabile sulla pubblica via, in spregio di apposito divieto, e ciò sul rilievo che l’unico uso possibile dell’autobotte era quello che comportava la consumazione dell’illecito.

5 Si rinvia a Mantovani, Diritto penale. Parte generale, X ed., Padova, 2017, 532 ss.

6 Non sfugga, peraltro, che con l’intervenuta cessione dell’immobile, il proprietario subentrato era pienamente libero di goderne senza dover rendere conto a terzi dell’utilizzo dell’area.

7 Ribadiamo che nella fase genetica della vicenda non rileva la «visibilità dei rifiuti dall’esterno del fondo» perché non era ancora cominciato l’ammasso degli stessi.

8 Non a caso la giurisprudenza ammette ormai da tempo che è configurabile il concorso morale nel delitto di omicidio nei confronti dell’appartenente all’organismo di vertice di un’associazione criminale di tipo mafioso, che presta tacitamente il proprio consenso in merito alla esecuzione dello specifico delitto mantenendo un comportamento silente nel corso di una riunione o all’atto della “doverosa” informazione ad opera di altro membro del sodalizio, in quanto la sola presenza ed il solo implicito assenso del capo sono idonei a costituire condizione per la realizzazione del crimine o comunque a rafforzare significativamente il relativo proposito: v., da ultimo, Cass. Sez. V 18 marzo 2022, n. 9395, Pariante, rv. 282.826-01.

9 Cass. Sez. Un. 5 ottobre 1994, n. 12753, Zaccarelli, in Foro it., 1995, II, 345.

10 Sulla responsabilità per omesso impedimento dell’evento ex art. 40, comma 2, c.p., in presenza di riconoscibili situazioni illecite, v. Cass. Sez. III 22 aprile 2020, n. 12642, F.A. ed a., in Ambiente e sviluppo, 2020, 616 [come nel settore della sicurezza sul lavoro, anche in materia di inquinamento, in caso di delega di funzioni legittimamente conferita in conformità alle disposizioni di legge nell’ambito di un’attività di recupero rifiuti svolta in forma societaria, persiste comunque un obbligo di vigilanza del delegante circa il corretto uso della delega da parte del delegato. Una volta affermato l’obbligo di controllo del delegante sul delegato, la condotta omissiva del primo può integrare una responsabilità per omesso impedimento dell’evento ex art. 40, comma 2, c.p., in presenza di riconoscibili situazioni illecite (nella specie, acquisto di rifiuti metallici in violazione delle prescrizioni, superamento dei limiti massimi di rifiuti ritirati da terzi, palese inosservanza delle aree di stoccaggio e suddivisione dei rifiuti) che potevano essere oggetto di verifica da parte dei deleganti]; Cass. Sez. III 27 maggio 2020, n. 15941, ibid., 710 [premesso che, anche in materia di ambiente, come nel settore della sicurezza sul lavoro, opera l’istituto della delega di funzioni, persiste l’obbligo di vigilanza del delegante circa il corretto uso della delega da parte del delegato: tuttavia, la condotta omissiva del primo può integrare una responsabilità, per omesso impedimento dell’evento ex art. 40, comma 2, c.p., in presenza di riconoscibili situazioni illecite (nella specie, violazione delle prescrizioni relative all’acquisto di rifiuti, superamento dei limiti massimi di rifiuti ritirati, inosservanza delle aree di stoccaggio e suddivisione dei rifiuti) che possono essere oggetto di verifica da parte dei deleganti].

11 Cass. Sez. III 11 dicembre 2024, n. 45422, Fa.St. ed a.

12 Quale ulteriore espressione dello stesso orientamento, v. Cass. Sez. III 9 giugno 2017, n. 28704, Andrisani ed a., rv. 270.340-01 (in motivazione, la Corte ha affermato che la responsabilità sussiste solo in presenza di un obbligo giuridico di impedire la realizzazione o il mantenimento dell’evento lesivo, che il proprietario può assumere solo ove compia atti di gestione o movimentazione dei rifiuti e che non può invece fondarsi sull’esistenza del rapporto di coniugio), con nota di Losengo, È proprietario incolpevole il coniuge di chi abbia illegittimamente depositato rifiuti sul proprio fondo , in Riv. giur. amb., 2017, 3, 510.