TAR Lazio (RM) Sez.IIbis n.1141 del 2 febbraio 2012
Elettrosmog. Impianti e regime sanzionatorio edilizio
L'installazione di impianti di telecomunicazione non comporta l'esclusione a priori di ogni possibile rilevanza, quantomeno concorrente, del regime sanzionatorio edilizio, in quanto il tipo di manufatto in questione è potenzialmente suscettibile di incidere non solo sull’estetica e comunque sulla situazione del territorio, ma anche e in particolare sulla stabilità degli immobili
N. 01141/2012 REG.PROV.COLL.
N. 06220/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6220 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Soc. Wind Telecomunicazioni Spa, rappresentata e difesa dall'Avv. Giuseppe Sartorio, con domicilio eletto presso lo studio dello stesso in Roma, via Luigi Luciani, 1;
contro
Comune di Monterotondo, in persona del Sindaco p.t., costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall'Avv. Clara Curreri, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Alessio Malaspina in Roma, via Fornovo, 3;
nei confronti di
Sofia Rosati e Arnaldo Rosati, costituitisi in giudizio, rappresentati e difesi dagli Avv. Gaetano Lepore e Maria Claudia Lepore, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Cassiodoro, 6;
Soc. Emis Immobiliare Srl, non costituitasi in giudizio;
per l'annullamento
- della nota prot. 19569 del 5.5.2010 del Responsabile del Servizio Edilizia Privata del Comune di Monterotondo;
- della determinazione prot. 17745 del 22.4.2010 Responsabile del Servizio Edilizia Privata del Comune di Monterotondo,
nonché, quanto ai motivi aggiunti:
- dell'Ordinanza n. 8 del 22.06.2010 del Responsabile del Servizio Edilizia Privata del Comune di Monterotondo.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Monterotondo nonché di Sofia Rosati e di Arnaldo Rosati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 dicembre 2011 il dott. Francesco Arzillo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Considerato in fatto e in diritto quanto segue:
1. Con il presente ricorso, e con i successivi motivi aggiunti, la WIND TELECOMUNICAZIONI S.p.A. ha impugnato i seguenti atti proponendo una serie di censure di incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere:
1) la nota prot. 19569 del 5.5.2010 con la quale il Comune di Monterotondo, in relazione alla comunicazione inoltrata da WIND in data 4.5.2010 per l’esecuzione di lavori di adeguamento/reinstallazione dell’impianto di telecomunicazioni sul fabbricato di Via Matteotti 17/19, ha diffidato a non porre in essere alcuna ulteriore attività “in quanto priva di autorizzazione all’installazione”;
2) la determinazione prot. 17745 del 22.4.2010, con la quale il medesimo Comune ha annullato il silenzio - assenso formatosi sulla richiesta di autorizzazione prot. n. 12155 del 13 marzo 2008 ai sensi del D. Lgs. n. 259/2003 per l’esecuzione di lavori di adeguamento/reinstallazione dell’impianto di telecomunicazioni sul fabbricato di Via Matteotti 17/19;
3) l'ordinanza n. 8 del 22.06.2010, con cui il Comune di Monterotondo ha ordinato la demolizione e la riduzione in pristino dell’impianto di telecomunicazioni realizzato e attivato da WIND sul fabbricato di Via Matteotti 17/19 entro il termine perentorio di giorni novanta “considerato che, in conseguenza dell’annullamento del silenzio assenso, la stazione radio base risulta priva del titolo edilizio e pertanto ricorrono i presupposti di fatto e di diritto per ingiungere la demolizione delle predette opere abusive ed il ripristino dello stato dei luoghi”.
2. Si sono costituiti in giudizio il Comune di Monterotondo nonché i signori Arnaldo e Sofia Rosati.
3. Il ricorso è stato chiamato per la discussione all’udienza pubblica del 2 dicembre 2011 e quindi trattenuto in decisione.
4. La presente controversia ha ad oggetto un impianto di telecomunicazioni installato su un fabbricato adibito ad albergo.
L’odierna ricorrente, sulla base di un contratto di sublocazione stipulato con la società di gestione dell’albergo, ha inteso procedere alla reinstallazione dell’impianto mediante la realizzazione di un sistema di antenne camuffato con una finta canna fumaria.
In data 13.3.2008 l’odierna ricorrente ha presentato al Comune di Monterotondo un’istanza di autorizzazione ex art. 87 del D. Lgs. n. 259/2003.
Con atto prot. n. 44333 del 29.9.2009, il Comune di Monterotondo si è pronunciato negativamente sull’istanza di autorizzazione; a seguito di impugnativa in sede straordinaria, con il successivo provvedimento prot. n. 9466 dell’1.3.2010 l’Amministrazione ha annullato il predetto diniego, avviando un ulteriore procedimento di annullamento in autotutela del titolo originario, formatosi per silenzio-assenso.
Detto procedimento si è concluso con l’annullamento dell’autorizzazione, basato sostanzialmente su un solo motivo: premesso che i proprietari dell’immobile, odierni controinteressati, hanno negato che la locatrice Emis Immobiliare srl avesse titolo a sublocare parte dell’immobile a WIND per l’uso in questione (che presupponeva l’attivazione di una regolare procedura di esproprio), l’Amministrazione ha evidenziato la necessità di tutelare l’interesse pubblico al rispetto della normativa che disciplina le limitazioni che possono essere poste sulla proprietà privata da parte degli operatori di telefonia mobile nell’installazione di impianti di trasmissione, con il connesso rilievo che il titolo in questione si è formato in assenza dei requisiti richiesti dalla normativa vigente.
A detto annullamento hanno fatto seguito gli altri atti conseguenziali indicati in epigrafe e parimenti impugnati con il ricorso e con i motivi aggiunti.
5. Con i primi due motivi di impugnativa, da considerarsi congiuntamente, la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 21 - nonies della L. n. 241/90 e dell’art. 11 della L. n. 47/85 (oggi art. 38 del D.P.R. n. 380/2001), nonché la violazione dei principi del buon andamento, del giusto procedimento e della conservazione degli atti giuridici.
Secondo la ricorrente, in sintesi, l’Amministrazione non avrebbe potuto porre a base dell’annullamento in autotutela una questione attinente alla contestazione mossa dai proprietari dell’immobile - questione non prevista dalla normativa di riferimento e avente natura meramente privatistica, e neppure accertata in giudizio - senza neppure motivare in ordine a uno specifico interesse pubblico, che deve avere carattere urbanistico sostanziale, e senza contemperare adeguatamente interesse pubblico ed interesse privato, avuto anche riguardo all’affidamento ingenerato dal decorso del tempo.
5.1 Le censure sono infondate.
Il Collegio, ritiene - in tal modo superando, in esito all’approfondimento della questione, la posizione assunta nella fase cautelare - che l’Amministrazione abbia sostanzialmente ben operato ponendo a fondamento dell’annullamento d’ufficio e dei conseguenti atti il profilo della carenza, in capo alla società richiedente, di un valido titolo di disponibilità dell’immobile.
Deve anzitutto premettersi al riguardo che la questione privatistica - la quale costituisce il presupposto di tutta la conseguente attività dell’Amministrazione - rientra legittimamente nella cognizione di questo Tribunale in via incidentale (cfr. l’art. 8 della L. n. 1034/1071 e ora l’art. 8 del codice del processo amministrativo).
Ciò posto, va rilevato che il contratto di sublocazione stipulato in data 7.12.2007 tra la Wind Telecomunicazioni S.p.A. e la società Emis Immobiliare s.r.l., che aveva ad oggetto “lo spazio, posto al piano copertura, di complessivi mq 21 circa, necessario per l’installazione degli apparati radio e del supporto di antenne” non rappresentava un titolo idoneo ai fini dell’autorizzazione all’installazione, in quanto nel contratto di locazione stipulato tra la società Emis e il signor Rosati la facoltà di sublocare l’immobile era espressamente circoscritta alle “attività che rientrano nell’oggetto sociale” della medesima società, il quale fa riferimento ad una serie di attività inquadrabili nel genere dell’attività alberghiera, turistica e di ristorazione.
In mancanza di un titolo idoneo, non possono quindi che aver rilievo i canoni ricavabili dagli artt. 90, 91 e 92 del d. lgs. n. 259/2003, secondo i quali - in buona sostanza - in carenza di un valido consenso del proprietario alla realizzazione di questo tipo di opere, l’Amministrazione deve procedere alla stregua della disciplina in tema di espropriazione.
Questa motivazione è congrua e del tutto adeguata nella presente sede, in quanto è evidente che l’Amministrazione non può agire in spregio dei principi che tutelano la proprietà privata nei confronti dell’azione amministrativa: principi che sono sanciti dalla Costituzione, ma ormai presidiati anche da un consistente corpus giurisprudenziale della Corte europea dei diritti dell’uomo; e che hanno anche un impatto sui profili sostanziali del governo e della gestione del territorio.
Ragionare diversamente significherebbe non salvaguardare, bensì pregiudicare i principi di buon andamento e del giusto procedimento, dovendosi aver riguardo alle fondamentali garanzie della proprietà. Ed anche il principio di conservazione degli atti si rivela recessivo nella specie, mancando il presupposto fondamentale della legittimazione, neppure sanato a posteriori.
E parimenti recessivo si rivela - in concreto - il principio dell’affidamento (attesa la chiarezza delle clausole contrattuali e dei criteri normativi che vengono in rilievo nella specie), anche sotto il profilo del lasso di tempo intercorso (pari a circa due anni), avuto riguardo al fatto che in giurisprudenza è stato individuato un lasso di tempo assai più ampio con riferimento ad es. all’annullamento della concessione edilizia illegittima, ossia un tertium comparationis normativo rappresentato dalla disposizione dell'art. 39 DPR 380/01, che disciplina il potere regionale di annullamento del permesso di costruire, prevedendo dieci anni dall’adozione delle deliberazioni e dei provvedimenti comunali che autorizzano interventi non conformi a prescrizioni degli strumenti urbanistici o dei regolamenti edilizi o comunque in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della loro adozione (T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 11 settembre 2009, n. 4934).
6. Con il terzo, il quarto e il quinto mezzo di impugnazione, da considerarsi congiuntamente, la ricorrente lamenta del pari la violazione degli artt. 87 e 93 del D. Lgs. n. 259/03 e dell’art. 11 del D.P.R. n. 380/2011 e del principio di non aggravamento del procedimento amministrativo, oltre all’eccesso di potere, sostenendo in particolare:
- che il Codice delle comunicazioni elettroniche (All. A. Mod. 13) non richiede tra i documenti quello relativo al consenso del proprietario;
- che l’art. 11 del D.P.R. n. 380/2001, che prevede che il permesso di costruire sia rilasciato a chi abbia titolo per richiederlo, non si applica alla speciale materia in questione, nella quale vige altresì il divieto di imporre ulteriori oneri procedimentali indebiti (art. 93 del Codice delle comunicazioni elettroniche);
- che anzi l’art. 87, comma 9 del Codice prevede la possibilità di ulteriori forme di semplificazione amministrativa e che comunque va rispettato il generale principio di non aggravamento del procedimento di cui all’art. 1 della L. n. 241/1990.
6.1 Le censure sono infondate.
Infatti:
- la necessità del consenso del proprietario risulta dalle richiamate disposizioni degli artt. 90, 91 e 92 del Codice, che postula in alternativa il ricorso all’esproprio: esso è presupposto sostanziale e non mero requisito documentale;
- in questa ottica, è agevole osservare che non si tratta di una questione di oneri procedimentali (con le connesse esigenze di semplificazione e non aggravamento), ma del rispetto dei principi generali in materia di gestione del territorio, in relazione alle garanzie previste in materia di proprietà privata.
7. Con il sesto motivo di ricorso viene espressamente censurata la diffida comunale del 5.5.2010, impugnata unitamente al provvedimento di annullamento in autotutela, sia per illegittimità derivata, sia per la constatazione che essa risulterebbe inutiliter data, attesa la già avvenuta ultimazione dei lavori a tale data.
7.1 Quanto all’illegittimità derivata, valgono le relative ragioni a sostegno dell’infondatezza dei precedenti motivi di ricorso.
In ordine all’ulteriore considerazione, si rileva che la stessa appare ultronea, in quanto – a prescindere da ogni considerazione di fatto – la stessa denoterebbe, se fondata, una sostanziale carenza di interesse al ricorso in parte qua.
8. Con i motivi aggiunti la ricorrente ha impugnato la conseguenziale ordinanza comunale di demolizione e riduzione in pristino dell’impianto di telecomunicazioni.
8.1 Con il primo motivo aggiunto, l’atto impugnato viene contestato per avere erroneamente applicato il regime sanzionatorio di cui all’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 (opere realizzate in assenza di permesso di costruire). Secondo il ricorrente:
- le sanzioni edilizie non si applicano alla materia disciplinata dal D. Lgs. n. 259/2003 e dalla L. n. 36/2001;
- anche a voler applicare il D.P.R. n. 380/2001, il riferimento andrebbe piuttosto individuato negli artt. 37 (“Interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla denuncia di inizio attività e accertamento di conformità”) e 38 (“Interventi eseguiti in base a permesso annullato”), nella parte in cui prevedono l’applicazione di una sanzione pecuniaria;
- non può consentirsi agli enti locali il potere di incidere in maniera così radicale su un impianto che è diretto a garantire la diffusione del segnale telefonico di pubblica utilità, per il quale al massimo è consentita la disattivazione (che comunque spetterebbe all’Amministrazione centrale);
- occorre infine tenere conto del disposto dell’art. 2933 c.c., che impedisce la distruzione della cosa ove la stessa sia di pregiudizio all’economia nazionale.
Il Collegio non condivide la prospettazione volta ad escludere a priori ogni possibile rilevanza, quantomeno concorrente, del regime sanzionatorio edilizio, in quanto il tipo di manufatto in questione è potenzialmente suscettibile di incidere non solo sull’estetica e comunque sulla situazione del territorio, ma anche e in particolare sulla stabilità degli immobili (profilo, questo, evidenziato in sede di discussione in udienza).
Un termine di riferimento normativo può essere trovato quindi, per quanto qui interessa, anche e proprio nella disposizione dell’art. 38 del D.P.R. n. 380/2001, comma 1, secondo il quale “in caso di annullamento del permesso, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite…”. Questa disposizione pone in primo piano la rimozione dei vizi procedurali (qui non prospettabile, in quanto allo stato non si tratta di un mero vizio procedurale, ma nella carenza di un presupposto sostanziale) e unitamente ad essa la riduzione in pristino, che con riferimento alle antenne è – per comune esperienza – normalmente praticabile.
Quindi, anche a voler disattendere la prospettazione del Comune, secondo cui l’attività in questione sarebbe intervenuta dopo la decadenza dell’autorizzazione, con connessa applicazione della sanzione demolitoria, comunque la disposta demolizione trova fondamento nel sistema sanzionatorio legale in materia edilizia (al quale è estranea, tra l’altro, la prospettiva dell’art. 2933 del codice civile, richiamato dalla ricorrente).
8.2 Con il secondo motivo aggiunto la ricorrente fa valere l’omessa comunicazione di avvio del procedimento con le connesse garanzie di legge.
Essa è infondata, in quanto nella specie la demolizione rappresenta la conseguenza, sostanzialmente vincolata, del provvedimento di annullamento in autotutela nel quale la ricorrente ha beneficiato delle prescritte garanzie partecipative “a monte” .
8.3 Gli ultimi sei motivi aggiunti prospettano censure di illegittimità derivata, le quali riproducono quelle già esaminate con riferimento al ricorso principale, e che vanno parimenti disattese.
9. Alla stregua delle suesposte considerazioni, il ricorso, con i relativi motivi aggiunti, va respinto nel merito (potendosi quindi prescindere dall’esame dei profili di inammissibilità prospettati dalla difesa dell’Amministrazione).
10. Sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2011 con l'intervento dei magistrati:
Eduardo Pugliese, Presidente
Antonio Vinciguerra, Consigliere
Francesco Arzillo, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 02/02/2012