Corte Costituzionale sent. n. 450 del 28 dicembre 2006
Tutela dell'ambiente -Norme della Regione Valle d'Aosta in materia di
installazione, localizzazione ed esercizio di stazioni radioelettriche,
postazioni, reti di comunicazione elettronica e di altrestrutture
connesse - Approvazione da parte dei comuni e comunità
montane
della Regione dei progetti di rete e delle varianti ai progetti di rete
già approvati -Attribuzione alla Giunta regionale della
competenza a fissare la misura dei diritti diistruttoria o di ogni
altro onere posto a carico degli operatori interessati -Assoggettamento
all'obbligo di denuncia di inizio attività o diesecuzioni di
varianti in corso d'opera per interventi di ordinaria manutenzione
sulle postazioni o altre strutture.
SENTENZA N. 450
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giovanni Maria
FLICK
Presidente
- Francesco
AMIRANTE
Giudice
-
Ugo
DE
SIERVO
”
-
Romano
VACCARELLA
”
-
Paolo
MADDALENA
”
-
Alfio
FINOCCHIARO
”
-
Alfonso
QUARANTA
”
-
Franco
GALLO
”
-
Luigi
MAZZELLA
”
-
Gaetano
SILVESTRI
”
-
Sabino
CASSESE
”
- Maria Rita
SAULLE
”
-
Giuseppe
TESAURO
”
- Paolo Maria
NAPOLITANO
”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della
Regione Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste 4 novembre 2005, n. 25,
recante «Disciplina per l'installazione, la localizzazione e
l'esercizio di stazioni radioelettriche e di strutture di
radiotelecomunicazioni. Modificazioni alla legge regionale 6 aprile
1998, n. 11 (Normativa urbanistica e di pianificazione territoriale
della Valle d'Aosta), e abrogazione della legge regionale 21 agosto
2000, n. 31», nonché degli artt. 5, 6, comma 4,
14, comma
1, e 15 della medesima legge, promosso con ricorso del Presidente del
Consiglio dei ministri notificato il 20 gennaio 2006, depositato in
cancelleria il successivo giorno 24 ed iscritto al n. 3 del registro
ricorsi 2006.
Visto l'atto di costituzione della
Regione Valle
d'Aosta nonché l'atto di intervento della Telecom Italia
Mobile
s.p.a. (TIM);
udito nell'udienza pubblica del 5
dicembre 2006 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;
uditi l'avvocato dello Stato Glauco Nori
per il
Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Giuseppe Franco
Ferrari per la Regione Valle d'Aosta.
Ritenuto in fatto
1.— Con ricorso notificato il
20 gennaio 2006
e depositato il successivo giorno 24, il Presidente del Consiglio dei
ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, ha
promosso questione di legittimità costituzionale della legge
della Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste 4
novembre
2005, n. 25, recante «Disciplina per l'installazione, la
localizzazione e l'esercizio di stazioni radioelettriche e di strutture
di radiotelecomunicazioni. Modificazioni alla legge regionale 6 aprile
1998, n. 11 (Normativa urbanistica e di pianificazione territoriale
della Valle d'Aosta), e abrogazione della legge regionale 21 agosto
2000, n. 31».
1.1.— Il ricorrente premette
che la legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle
d'Aosta), attribuisce alla Regione competenza legislativa in materia di
«urbanistica e piani regolatori per zone di particolare
importanza turistica» (art. 2, lettera g), nonché
potestà legislativa di tipo integrativo-attuativo in materia
di
«igiene e sanità» (art. 3, lettera l).
La legge impugnata –
riguardando la
installazione, localizzazione ed esercizio di stazioni radioelettriche,
postazioni, reti di comunicazione elettronica e di altre strutture
connesse – non rientrerebbe in nessuno degli ambiti materiali
indicati nello statuto.
In particolare, sottolinea il
ricorrente, la
“installazione” e “l'esercizio delle
reti”
– presupponendo soluzioni di ordine tecnico –
esulano dalle
competenze legislative regionali. Allo stesso modo non vi rientrerebbe
la “localizzazione” di tali impianti, in quanto sia
l'urbanistica che i piani regolatori sono attribuiti alla legislazione
regionale soltanto “per le zone di particolare importanza
turistica”, limitazione quest'ultima non richiamata dalla
normativa impugnata.
Per quanto attiene, poi, alla
“tutela della
salute”, si rileva come, pur essendo questa una delle
finalità perseguite dalla legge censurata (art. 1, comma 1),
nondimeno lo statuto speciale assegna questa materia alla competenza
legislativa soltanto in relazione alle norme di integrazione e
attuazione delle leggi statali.
Si aggiunge, infine, che le lettere b) e
c)
dell'art. 1, comma 3, della legge regionale impugnata –
prevedendo, rispettivamente, la «corretta localizzazione e
l'ordinato sviluppo delle stazioni radioelettriche» anche
attraverso la loro «razionalizzazione e
concentrazione»,
nonché «il rispetto dei parametri tecnici
riguardanti
l'esercizio delle stazioni radioelettriche» –
presuppongono
verifiche e valutazioni di ordine tecnico che, per impianti da inserire
in una rete nazionale, non possono competere ad una Regione.
In conclusione, alla luce delle
considerazioni che
precedono, l'Avvocatura dello Stato ha chiesto la declaratoria di
illegittimità costituzionale dell'intera legge.
1.2.— Il ricorrente, inoltre,
prospetta la
questione di costituzionalità anche alla luce del nuovo
Titolo
V, al fine di stabilire se «la legge regionale possa desumere
la
sua legittimità, sia pure parziale» dall'art. 10
della
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante
«Modifiche al
titolo V della parte seconda della Costituzione».
Le “materie” che
verrebbero in rilievo
sono quelle della “tutela della salute” e
dell'“ordinamento della comunicazione” (art. 117,
terzo
comma, Cost.). La legge regionale dovrebbe, pertanto, rispettare i
principi fondamentali posti dalla legge 22 febbraio 2001, n. 36 (Legge
quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici
ed elettromagnetici) e dal decreto legislativo 1° agosto 2003,
n.
259 (Codice delle comunicazioni elettroniche). Al riguardo, si deduce
che la legge statale «ha delineato il giusto equilibrio tra
le
varie esigenze convergenti, in particolare, tra la tutela della salute,
il governo del territorio e la protezione ambientale. Le competenze
regionali, peraltro, non possono pregiudicare gli interessi estesi
all'intero territorio nazionale che trovano la loro attuazione nella
pianificazione della rete nazionale, della quale non può
essere
pregiudicata la realizzazione».
Alla luce di questa premessa, viene
dedotta la
illegittimità costituzionale, nell'ordine di prospettazione,
degli artt. 5, 6, comma 4, 15 e 14, comma 1, della predetta legge n. 25
del 2005.
2.— Per quanto attiene
all'art. 5, il primo
comma di tale disposizione è censurato nella parte in cui
prevede che i progetti di rete e di varianti sono presentati dagli
operatori ai soggetti (“enti locali”) indicati dal
secondo
comma del precedente art. 4, corredati dello schema funzionale e della
documentazione idonea ad attestare, «per ogni stazione
radioelettrica, i dati anagrafici, tecnici, topografici e
fotografici».
La natura della documentazione richiesta
rivelerebbe, nella prospettiva del ricorrente, che la Regione abbia
voluto sottoporre i vari impianti a verifiche di ordine tecnico da
parte degli enti locali.
Ciò si porrebbe in contrasto
con il principio
fondamentale della materia, riconosciuto da questa Corte con la
sentenza n. 307 del 2003, che demanda alla competenza statale la
disciplina della realizzazione degli impianti e delle reti rispondenti
a rilevanti interessi unitari per l'intero territorio nazionale. La
previsione di un controllo tecnico della progettazione, infatti,
rischierebbe di pregiudicare «la funzionalità
delle reti,
che non possono essere disarticolate Regione per Regione». La
illegittimità – si aggiunge – viene a
risultare
ancora più evidente per il fatto che lo stesso adempimento
è previsto per le varianti ai progetti, in quanto
«anche
varianti di ordine puramente tecnico, senza nessuna rilevanza
territoriale», sarebbero soggette a verifica da parte degli
enti
locali.
2.1.— In relazione alla
censura che investe
l'art. 6, comma 4, della stessa legge regionale n. 25 del 2005, si
osserva che tale disposizione prevede che la
«Giunta
regionale stabilisce con propria deliberazione la misura dei diritti di
istruttoria o di ogni altro onere posto a carico degli operatori
interessati all'ottenimento dell'approvazione dei progetti e delle
varianti, in relazione all'attività di consulenza tecnica
svolta
dall'ARPA» (Agenzia regionale per la protezione
dell'ambiente).
Secondo il ricorrente, tale disposizione
si porrebbe
in contrasto con quanto previsto dall'art. 93 del d.lgs. n. 259 del
2003, il quale vieta a tutte le pubbliche amministrazioni di imporre
oneri o canoni che non siano stabiliti dalla legge statale. Con
quest'ultima previsione «si è voluto evitare che
oneri o
canoni eccessivi rendessero antieconomici certi tracciati, orientando a
soluzioni meno utili dal punto di vista tecnico. Questi oneri sarebbero
causa di aumenti dei prezzi, che farebbero carico a tutti i
consumatori, e non solo a quelli operanti nella sfera territoriale dei
soggetti che li hanno imposti». Tale imposizione di oneri
finirebbe, dunque, «per condizionare la politica delle
comunicazioni nazionali, che è al di fuori delle competenze
regionali».
Per le stesse ragioni sarebbe
costituzionalmente
illegittimo l'art. 15 della stessa legge n. 25 del 2005, che
attribuisce alla Giunta regionale la competenza a fissare la misura dei
diritti di istruttoria e di ogni altro onere posto a carico degli
operatori interessati, in relazione all'attività di
consulenza
tecnica svolta dall'ARPA nell'ambito dei procedimenti di cui agli artt.
11, 12, 13 e 14. Si puntualizza, inoltre, che il terzo comma dell'art.
11 prevede l'intervento dell'ARPA «in merito al rispetto dei
limiti di esposizione, delle misure di cautela e degli obiettivi di
qualità stabiliti dalla normativa statale
vigente»,
operazioni queste che, investendo le tecniche di progettazione e la
funzionalità degli impianti, sono sottratte alla competenza,
anche legislativa, della Regione. Analogo contenuto, si aggiunge, ha il
primo comma dell'art. 12, mentre l'art. 13 non prescrive alcun
intervento dell'ARPA.
2.2.— Per quanto attiene,
infine, all'art. 14,
comma 1, della legge impugnata, tale disposizione assoggetta alla
denuncia di inizio attività (cosiddetta DIA) la
realizzazione
delle strutture di cui all'art. 2, comma 1, lettera h), della stessa
legge, vale a dire «ricettori passivi, tralicci, pali,
recinzioni, locali di ricovero, cavidotti, cabine
elettriche». Il
ricorrente assume che «si tratta di opere che hanno
già
avuto una loro dislocazione, che non viene mutata. L'adempimento
è previsto “in assenza di mutamenti della
destinazione
d'uso”, anche in questo caso in funzione di eventuali
verifiche
tecniche, che si collocano al di fuori delle competenze
regionali».
Secondo il ricorrente, la disposizione
impugnata
violerebbe l'art. 87 del d.lgs. n. 259 del 2003 che, al comma 1,
prevede solo l'autorizzazione degli enti locali per l'installazione di
nuove infrastrutture. La denuncia di inizio attività, si
sottolinea, sarebbe richiesta da detta disposizione statale
esclusivamente per la installazione di impianti con tecnologia UMTS od
altre, con potenza in singola antenna uguale o inferiore ai 20 Watt
(comma 3), o per la installazione di una rete di telecomunicazione su
aree ferroviarie (comma 3-bis).
La riportata disciplina statale, nella
prospettiva
del ricorrente, sarebbe volta, in attuazione dei principi posti dalla
normativa comunitaria, alla semplificazione del procedimento attraverso
la eliminazione di adempimenti non necessari «in quanto non
coordinati con poteri di intervento degli enti locali, evitando
così costi, anche temporali, senza
giustificazione». La
previsione di un adempimento, non strumentale ad interventi degli enti
che sono richiamati dalla norma impugnata, si porrebbe, pertanto, in
contrasto con il primo e terzo comma dell'art. 117 Cost.
3.— Si è costituita
in giudizio la
Regione autonoma Valle d'Aosta chiedendo che il ricorso sia dichiarato
«inammissibile, improcedibile e, comunque, infondato nel
merito», con riserva di ulteriori deduzioni.
4.— Ha proposto intervento
Telecom Italia
Mobile s.p.a. (TIM), chiedendo, invece, che il ricorso proposto dallo
Stato venga accolto.
5.— Con memoria depositata
nell'imminenza
dell'udienza pubblica, la Regione resistente deduce, innanzitutto, la
inammissibilità del ricorso per genericità e
difetto di
motivazione. In particolare, la difesa regionale ritiene che lo Stato
non avrebbe indicato i principi fondamentali che il legislatore
regionale avrebbe violato, né le disposizioni legislative
dalle
quali tali principi sarebbero desumibili, né infine,
«per
la gran parte delle censure», le norme costituzionali che si
assumono violate.
5.1.— Nel merito, con
riferimento alle
doglianze che hanno investito l'intera legge impugnata, la Regione
deduce che le stesse non sono fondate.
Innanzitutto, si sottolinea che,
contrariamente a
quanto sostenuto dalla difesa erariale, lo statuto speciale per la
Valle d'Aosta attribuisce alla competenza esclusiva regionale l'intera
materia dell'“urbanistica”, in quanto il limite
delle
«zone di particolare importanza turistica»
riguarderebbe,
come risulterebbe dal dato letterale, esclusivamente i «piani
regolatori». A conferma delle attribuzioni regionali in
materia
urbanistica, si richiamano una serie di disposizioni normative (in
particolare, l'art. 6 della legge 16 maggio 1978, n. 196, recante
«Norme di attuazione dello statuto speciale della Valle
d'Aosta», nonché l'art. 50 del d.P.R. 22 febbraio
1982, n.
182, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale
della
regione Valle d'Aosta per la estensione alla regione delle disposizioni
del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 e
della normativa relativa agli enti soppressi con l'art. 1-bis del
decreto-legge 18 agosto 1978, n. 481, convertito nella legge 21 ottobre
1978, n. 641»).
Alla luce di quanto sopra, la Regione
conclude
affermando che «la censura di illegittimità
costituzionale
della legge regionale n. 25 del 2005 alla stregua dello statuto
regionale deve essere disattesa e respinta».
5.2.— La resistente contesta,
inoltre,
l'assunto della difesa erariale volto a dimostrare la
illegittimità costituzionale della legge regionale impugnata
per
violazione dei principi fondamentali contemplati dalla legge dello
Stato n. 36 del 2001 e dal d.lgs. n. 259 del 2003. Si ribadisce, al
riguardo, che il ricorrente non avrebbe specificato i motivi per cui la
Regione non si sarebbe attenuta ai principi fondamentali statali, che
non sarebbero stati neanche espressi.
Nel merito – dopo avere
ricostruito il quadro
normativo di riferimento e richiamato talune sentenze di questa Corte
– la difesa regionale conclude, affermando che «la
Regione,
nell'adozione dell'impugnata legge, si è (…)
ispirata
alla tutela della salute e dell'ambiente, al corretto uso del
territorio, al principio di semplificazione dei procedimenti e di
partecipazione ad essi, alla libera concorrenza e non discriminazione,
sia pure nel quadro dei vincoli che derivano dalla pianificazione
nazionale delle reti e dai relativi parametri tecnici,
nonché
dai valori soglia stabiliti dallo Stato».
5.3.— Quanto, poi, alle
censure che hanno
investito specifiche norme della legge regionale in esame, si assume,
in primo luogo, in relazione al denunciato art. 5, che la relativa
censura è inammissibile, in quanto non sarebbero state
indicate
«le fonti di rango costituzionale violate e i principi
fondamentali fissati con legge statale che si assumono non
rispettati», e non sarebbe stata svolta alcuna argomentazione
mirata a dimostrare la asserita illegittimità costituzionale
della disposizione in esame.
Nel merito, la difesa della Regione
osserva che
può essere data una interpretazione costituzionalmente
orientata
alla norma in esame, rispondendo la stessa «alla semplice
esigenza operativa di consentire l'aggiornamento dei dati del catasto
regionale e di consentire un monitoraggio sullo sviluppo delle
reti». In altri termini, tale norma perseguirebbe il solo
obiettivo di consentire, attraverso l'allegazione dei dati richiesti,
la puntuale identificazione e descrizione degli interventi; esulerebbe,
invece, dalla sua portata precettiva qualunque forma di controllo di
ordine tecnico sui progetti presentati dagli operatori del settore. In
conclusione, si sottolinea che la norma impugnata «non
introduce
nozioni estranee alla legislazione statale di principio e non si pone
in contrasto con essa, ma rientra appieno nella competenza regionale in
tema di governo del territorio».
5.4.— In relazione ai
censurati artt. 6, comma
4, e 15 della legge impugnata, la difesa della Regione assume che
«la legge regionale non ha inteso imporre oneri o canoni non
normati o prescritti dalla vigente legislazione, ma bensì
intervenire riservando ad una successiva disciplina di dettaglio la
determinazione del quantum (mediante la diversificazione delle tariffe
e dei costi) di spettanze e diritti già previsti, attinenti
esclusivamente all'attività svolta dall'ARPA relativamente
all'approvazione dell'installazione delle stazioni radioelettriche o
dei loro progetti». Si aggiunge, inoltre, che «si
tratta di
una mera quantificazione di prestazioni pecuniarie che costituiscono il
pagamento del costo di un servizio che l'Agenzia va a svolgere a favore
e a richiesta degli interessati».
La difesa della Regione, inoltre,
richiama la legge
regionale 4 settembre 1995, n. 41, recante «Istituzione
dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (A.R.P.A.) e
creazione, nell'ambito dell'Unità sanitaria locale della
Valle
d'Aosta, del Dipartimento di prevenzione e dell'Unità
operativa
di microbiologia», al fine di sottolineare che detto
organismo
è un ente strumentale della Regione stessa: viene
richiamato, in
particolare, l'art. 23, comma 1, lettera f), della citata legge
regionale, il quale stabilisce che al finanziamento
dell'attività istituzionale dell'ARPA si provvede mediante,
tra
l'altro, prestazioni per conto di privati o di enti diversi. La difesa
regionale, inoltre, sottolinea che l'ARPA «è
unicamente
disciplinata in virtù di disposizioni regionali, sia sotto
il
profilo organizzativo istituzionale degli organi che la compongono e
delle attività chiamata a svolgere, sia sotto il profilo
economico-finanziario, relativo alle risorse e alle spettanze per il
suo funzionamento, al fine di garantire una omogenea e uniforme
normativa su tutto il territorio della Regione».
5.5.— Per quanto attiene,
infine, al
denunciato art. 14 della legge impugnata, la difesa regionale, dopo
avere ribadito la inammissibilità della doglianza per
genericità, deduce che la norma censurata si limita a
prescrivere «una semplice d.i.a. anche per quelle opere di
minore
rilievo successive all'installazione, attinenti le strutture connesse
agli impianti che impegnino il territorio». Si sottolinea
che,
sotto questo aspetto, la legge in esame «trova titolo nella
materia urbanistica e di tutela del paessaggio» e che la
stessa
rispetta i principi fondamentali posti dal legislatore statale
«sia sotto il profilo della tutela della salute, in ordine
alla
fissazione di standard di protezione uniformi, riservata allo Stato,
sia con riguardo alle fasi procedimentali amministrative di cui al
d.lgs. n. 259 del 2003».
6.— Anche il Presidente del
Consiglio dei
ministri ha depositato, nell'imminenza dell'udienza pubblica, una
memoria con la quale ribadisce, innanzitutto, che le norme impugnate
non rinvengono alcun titolo di legittimazione nelle disposizioni
statutarie, ragion per cui è necessario valutare la loro
legittimità alla luce dei parametri costituzionali contenuti
nel
nuovo Titolo V, applicabili alle Regioni speciali (e alle Province
autonome) nei limiti consentiti dall'art. 10 della legge costituzionale
n. 3 del 2001.
6.1.— Con riferimento all'art.
5 della legge
n. 25 del 2005, l'Avvocatura generale dello Stato ribadisce che la
disciplina delle modalità di verifica dei progetti, sotto il
profilo tecnico e funzionale della rete e quindi delle singole
stazioni, non può che competere allo Stato.
6.2.— In relazione alle
censure di violazione
degli artt. 6, comma 4, e 15 della stessa legge, la difesa erariale si
riporta alle argomentazioni già svolte, sottolineando, in
particolare, che la legge impugnata avrebbe rimesso alla Giunta
regionale un potere di determinazione «senza
limiti» degli
«altri oneri», per i quali «non sono
indicati criteri
non solo sulla misura, ma nemmeno sulla natura e sui
presupposti». Inoltre, con riguardo all'art. 15, si assume
che
mentre gli artt. 11, 12 e 13, richiamati dallo stesso art. 15,
prevedono un intervento dell'ARPA, sia pure in via eventuale, nessun
intervento sarebbe previsto dall'art. 14,
«cosicché manca
ogni indicazione, sia pure generica» del presupposto cui
dovrebbe
essere condizionata l'imposizione dell'onere.
6.3.— Infine, si ribadiscono
nei confronti
dell'art. 14 della legge impugnata i motivi di doglianza già
formulati nell'atto di costituzione.
7.— Ha presentato memoria,
nell'imminenza
dell'udienza pubblica, anche Telecom Italia Mobile s.p.a. (TIM), la
quale, a sostegno dell'ammissibilità del proprio intervento,
ha
sottolineato di avere, in qualità di titolare di licenza per
la
installazione e l'esercizio di reti di radiotelefonia cellulare, un
interesse rilevante, autonomo e qualificato ad ottenere l'accertamento
della illegittimità costituzionale delle norme impugnate.
Nel
merito, ha concluso chiedendo che la Corte accolga il ricorso proposto
dallo Stato.
Considerato in diritto
1.— Il Governo ha promosso
questione di legittimità costituzionale:
a) dell'intera legge della Regione
autonoma Valle
d'Aosta/Vallée d'Aoste 4 novembre 2005, n. 25, recante
«Disciplina per l'installazione, la localizzazione e
l'esercizio
di stazioni radioelettriche e di strutture di radiotelecomunicazioni.
Modificazioni alla legge regionale 6 aprile 1998, n. 11 (Normativa
urbanistica e di pianificazione territoriale della Valle d'Aosta), e
abrogazione della legge regionale 21 agosto 2000, n. 31», per
violazione della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto
speciale per la Valle d'Aosta);
b) degli articoli 5, 6, comma 4, 14,
comma 1, e 15
della stessa legge regionale per violazione dell'art. 117, terzo comma,
della Costituzione.
2.— In via preliminare, deve
essere dichiarato
inammissibile l'intervento spiegato nel presente giudizio da Telecom
Italia Mobile s.p.a. (TIM). Nei giudizi di costituzionalità
promossi in via d'azione sono, infatti, legittimati ad essere parti
soltanto i soggetti titolari delle attribuzioni legislative in
contestazione.
Pertanto, alla luce della normativa in
vigore e in
conformità al costante orientamento di questa Corte (ex
plurimis, sentenze numeri 265, 129, 103, 80, 59, 51 del 2006, e numeri
469, 383 e 336 del 2005), non è ammesso l'intervento in tali
giudizi di soggetti privi di potere legislativo.
3.— Ancora in via preliminare,
deve osservarsi
che, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa dello Stato nel corso
dell'udienza pubblica, il ricorso (v. pag. 2, riga 9) è
rivolto,
in via principale, anche nei confronti dell'intera legge regionale.
Ciò precisato, la relativa
questione deve
essere dichiarata inammissibile, in quanto l'impugnazione della legge
nel suo complesso non risulta menzionata nella delibera del Governo di
autorizzazione alla proposizione del ricorso e nei relativi allegati.
Questa Corte ha, infatti, più volte affermato che la
delibera
del Consiglio dei ministri o la relazione ministeriale a cui questa
rinvii devono necessariamente indicare le specifiche disposizioni che
si intendono impugnare (v., ex plurimis, sentenze n. 49 del 2006, e
numeri 360 e 300 del 2005).
4.— Deve, invece, essere
rigettata
l'eccezione, sollevata dalla Regione resistente, di
inammissibilità per genericità delle censure
rivolte nei
confronti delle singole disposizioni della legge impugnata.
Il ricorso, sia pure in maniera
sintetica, possiede
i requisiti argomentativi minimi per identificare in quali termini si
pongano le questioni proposte. In particolare, all'esito di una lettura
complessiva dell'atto introduttivo, risultano sufficientemente
enucleati i parametri costituzionali, nonché le norme
interposte
e i principi fondamentali dei quali si deduce la violazione (v., ex
plurimis, sentenza n. 284 del 2006).
5.— Prima di passare ad
esaminare nel merito
le censure formulate dal ricorrente nei confronti delle singole
disposizioni contenute nella legge oggetto di impugnazione,
è
necessario chiarire che non è possibile individuare un unico
ambito materiale in cui tali disposizioni rinvengano la loro
legittimazione. Infatti, il settore relativo alla installazione,
localizzazione ed esercizio di impianti di comunicazione elettronica
investe contestualmente una pluralità di materie,
disciplinate,
per quanto attiene alle Regioni ad autonomia speciale e alle Province
autonome di Trento e Bolzano, sia negli statuti speciali, sia, in
assenza di norme statutarie al riguardo, nelle disposizioni
costituzionali contenute nel nuovo Titolo V ed operanti, a favore dei
predetti enti, attraverso il meccanismo di adeguamento automatico di
cui all'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3
(Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).
In particolare, avendo riguardo allo
statuto
speciale per la Valle d'Aosta, viene, innanzitutto, in rilievo la
materia dell'urbanistica attribuita alla potestà legislativa
primaria regionale (art. 2, lettera g), per tutto ciò che
attiene all'uso del territorio e alla localizzazione di impianti o
attività (sentenze n. 336 del 2005 e n. 307 del 2003).
Tale materia, contrariamente a quanto
sostenuto dal
ricorrente, non ha un ambito applicativo limitato alle sole
«zone
di particolare importanza turistica», afferendo quest'ultimo
inciso, contenuto nella citata lettera g) dello stesso art. 2,
esclusivamente ai «piani regolatori».
La Regione può, inoltre,
rinvenire –
mediante la clausola di equiparazione di cui al richiamato art. 10
della legge costituzionale n. 3 del 2001 – il fondamento
costituzionale della propria potestà legislativa anche nelle
norme contenute nel nuovo Titolo V. A tal fine, rilevano essenzialmente
le materie di competenza ripartita relative, da un lato, alla
“tutela della salute”, per i profili inerenti alla
protezione dall'inquinamento elettromagnetico, e, dall'altro,
all'“ordinamento della comunicazione”, per quanto
riguarda
gli aspetti connessi alla realizzazione degli impianti di comunicazione
elettronica (sentenze n. 336 del 2005 e n. 307 del 2003).
A ciò va aggiunto che la
disciplina relativa
agli impianti concernenti infrastrutture necessarie alle comunicazioni
elettroniche ha punti di collegamento anche con la potestà
legislativa esclusiva dello Stato, di tipo trasversale, in relazione
alle materie della “tutela dell'ambiente” e della
“tutela della concorrenza” (cfr. sentenza n. 336
del 2005).
6.— Alla luce delle
osservazioni che
precedono, ai fini dello scrutinio delle singole norme impugnate,
occorre preliminarmente accertare quale sia lo specifico ambito
materiale di eventuale legittimazione regionale e, in particolare, se
lo stesso sia rinvenibile nello statuto speciale ovvero nelle norme
contenute nel Titolo V della Costituzione. In quest'ultimo caso, la
Regione, con riferimento alle materie di competenza ripartita,
è
tenuta a rispettare i principi fondamentali posti dallo Stato con la
legge 22 febbraio 2001, n. 36 (Legge quadro sulla protezione dalle
esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici), e con il
decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle
comunicazioni elettroniche).
7.— Orbene, la prima censura
investe l'art. 5
della predetta legge regionale n. 25 del 2005, nella parte in cui
prevede che «i progetti di rete e le varianti ai progetti di
rete
già approvati» devono essere presentati, dagli
operatori,
ai soggetti indicati dal secondo comma del precedente art. 4, corredati
dello schema funzionale e della documentazione idonea ad attestare, per
ogni stazione radioelettrica, «i dati anagrafici, tecnici,
topografici e fotografici».
Secondo il ricorrente, tale disposizione
violerebbe
l'art. 117, terzo comma, della Costituzione – applicabile,
come
si è specificato, alle Regioni a statuto speciale in
virtù di quanto previsto dall'art. 10 della legge
costituzionale
n. 3 del 2001 – in quanto, prevedendo «un controllo
tecnico
della progettazione», si porrebbe in contrasto con i principi
fondamentali, afferenti alle materie “tutela della
salute”
e “ordinamento della comunicazione”, fissati dalla
legislazione statale e volti a garantire, anche sul piano tecnico, la
unitarietà e funzionalità delle reti
«che non
possono essere disarticolate Regione per Regione».
7.1.— La questione non
è fondata.
Il ricorrente – assumendo che
la norma
impugnata prevede un «controllo tecnico della
progettazione» idoneo a compromettere il principio della
unitarietà e funzionalità delle reti –
muove da un
erroneo presupposto interpretativo.
Al riguardo, occorre premettere che,
sulla base di
principi desumibili dalla legislazione statale, la definizione delle
tecnologie concernenti gli impianti che, unitariamente, costituiscono
la rete delle infrastrutture di comunicazione elettronica, è
riservata allo Stato, in forza di quanto disposto dalla legge n. 36 del
2001 e dal d.lgs. n. 259 del 2003.
Ciò vale ad escludere che sia
configurabile
una competenza regionale per quanto attiene alla approvazione dei
progetti di rete o delle relative varianti che si discostino dagli
standard tecnici fissati in sede nazionale. Una normativa regionale che
prevedesse tale tipo di controllo, ancorché emanata da
Regioni
ad autonomia speciale, si porrebbe in contrasto con i principi
fondamentali fissati dalla legge dello Stato e sarebbe, quindi,
costituzionalmente illegittima.
Diverso discorso si impone per quelle
normative
regionali che, ferma la suddetta competenza dello Stato, prevedano
scambi o acquisizioni di informazioni, anche d'ordine tecnico, tra i
soggetti (o dai soggetti) variamente interessati alla realizzazione
della rete infrastrutturale. È ciò, d'altronde,
la stessa
difesa della Regione riconosce, quando afferma (pag. 21 della memoria
del 21 novembre 2006) che «la richiesta a fornire le
indicazioni
anagrafiche, tecniche e distintive riferite ai siti che gli operatori
andranno a realizzare sul territorio, risponde alla semplice esigenza
di consentire l'aggiornamento dei dati del catasto regionale e
(…) un monitoraggio sullo sviluppo delle reti», e
che
ciò «giustifica l'estensione anche alle
varianti». E
la stessa difesa regionale aggiunge che «non si comprende da
quale assunto la difesa statale faccia discendere la
necessità
di un preliminare controllo d'ordine tecnico, rimesso ai singoli
Comuni, del quale la disciplina impugnata non si occupa, neppure
implicitamente».
Le suindicate considerazioni svolte
dalla difesa
della Regione sono condivisibili, atteso che, dalla lettura coordinata
degli artt. 4, 5 e 16 della legge regionale impugnata, risulta che la
documentazione tecnica, che deve essere allegata al progetto di rete,
non è funzionale, come sostenuto dal ricorrente, ad un
controllo
di natura tecnica sul contenuto della progettazione, bensì
ad
uno scopo puramente conoscitivo; la suddetta documentazione
è,
infatti, destinata a confluire nel «catasto regionale delle
stazioni radiolettriche» previsto dal citato art. 16.
Più
precisamente, tale ultima norma stabilisce che il catasto è
istituito presso l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente
(ARPA) e contiene la mappa delle stazioni radiolettriche presenti sul
territorio regionale ed il relativo archivio informatizzato dei dati
tecnici ed anagrafici delle stesse e di quelli topografici riferiti ad
apposite cartografie.
È, dunque, riscontrabile,
sotto il profilo
oggettivo, una sostanziale coincidenza tra i dati che devono confluire
nel suddetto catasto regionale ai sensi del citato art. 16 e i dati che
devono essere contenuti nella documentazione allegata dagli operatori
di settore ai progetti di rete e alle loro varianti.
I «dati necessari
all'istituzione e
all'aggiornamento del catasto» (art. 16, comma 2) vengono,
inoltre, trasmessi all'ARPA dagli stessi soggetti – indicati
dall'art. 4, comma 2 («Comune di Aosta e gli altri Comuni, in
forma associata attraverso le Comunità montane»)
–
cui vanno presentati, ai sensi della norma impugnata, i progetti di
rete corredati della prescritta documentazione e che, quindi, hanno la
concreta disponibilità dei dati stessi ai fini della
suddetta
trasmissione.
A ciò si aggiunga che il
compito demandato
agli enti locali sui progetti regionali di rete è
preordinato, a
norma dell'art. 6, comma 1, della medesima legge, alla verifica della
loro conformità, da un lato, alla localizzazione degli
impianti
(art. 7, comma 1, della citata legge), richiamata dall'art. 6, comma 1,
lettera a) e, dall'altro, alle indicazioni degli strumenti urbanistici
comunali (art. 6, comma 1, lettera b). Ciò esclude ogni
possibile interferenza con la potestà statale di individuare
le
tecnologie costruttive della rete nazionale e, dunque, con sfere di
competenza legislativa dello Stato, atteso che i compiti affidati agli
enti locali concernono esclusivamente aspetti rientranti nella loro
specifica competenza relativa alla gestione del territorio.
Infine, i dati confluiti nel catasto
regionale
devono essere coordinati, per i profili di possibile intersezione, con
quanto prescritto, a livello nazionale, dal d.lgs. n. 259 del 2003 ai
fini della formazione di una «banca dati centralizzata per la
costituzione di un catasto nazionale di raccolta dei dati
stessi»
(sentenza n. 336 del 2005).
Esula, dunque, dal contenuto della norma
impugnata
la previsione di un controllo tecnico sulle modalità di
realizzazione della rete e degli impianti, che sia affidato agli enti
locali, i quali, in ipotesi, potrebbero imporre standard tecnici
difformi da (o comunque non coerenti con) quelli adottati per l'intera
rete nazionale in vista di esigenze di omogeneità ed
unitarietà di questa.
8.— Il ricorrente ha,
altresì,
impugnato l'art. 6, comma 4, della stessa legge regionale n. 25 del
2005, nella parte in cui prevede che la Giunta regionale stabilisce con
propria deliberazione la misura dei diritti di istruttoria o di ogni
altro onere posto a carico degli operatori interessati ad ottenere
l'approvazione dei progetti e delle varianti (di cui al precedente art.
5), in relazione all'attività di consulenza tecnica svolta
dall'ARPA.
Ad avviso dello Stato, tale disposizione
si porrebbe
in contrasto con il principio fondamentale di cui all'art. 93 del
d.lgs. n. 259 del 2003, il quale vieta a tutte le pubbliche
amministrazioni di imporre «oneri o canoni» che non
siano
stabiliti dalla legge statale.
Il ricorrente ha formulato analoga
censura nei
confronti dell'art. 15 della legge n. 25 del 2005, che attribuisce alla
Giunta regionale il potere di stabilire gli oneri economici in
relazione all'attività di consulenza tecnica svolta
dall'ARPA
nell'ambito dei procedimenti autorizzatori previsti dal Capo III della
medesima legge.
8.1.— Le questioni sono
fondate.
In via preliminare, deve essere
precisato che
– pur sussistendo, in relazione a taluni profili, un labile
collegamento con la materia dell'urbanistica – le norme in
esame
non ricevono alcuna legittimazione da parte dello statuto speciale.
L'ambito materiale prevalente cui le stesse afferiscono riguarda,
infatti, in relazione all'oggetto regolamentato inerente
all'attività svolta dall'ARPA, la “tutela della
salute”, e in relazione, invece, alla finalità
perseguita,
la “tutela della concorrenza”.
Chiarito ciò, deve rilevarsi
che questa
Corte, con la sentenza n. 336 del 2005, ha già avuto modo di
affermare che l'art. 93 del d.lgs. n. 259 del 2003, richiamato dal
ricorrente quale norma interposta, costituisce «espressione
di un
principio fondamentale, in quanto persegue la finalità di
garantire a tutti gli operatori un trattamento uniforme e non
discriminatorio, attraverso la previsione del divieto di porre, a
carico degli stessi, oneri o canoni. In mancanza di un tale principio,
infatti, ciascuna Regione potrebbe liberamente prevedere obblighi
“pecuniari” a carico dei soggetti operanti sul
proprio
territorio, con il rischio, appunto, di una ingiustificata
discriminazione rispetto ad operatori di altre Regioni, per i quali, in
ipotesi, tali obblighi potrebbero non essere imposti. È
evidente
che la finalità della norma è anche quella di
“tutela della concorrenza”, sub specie di garanzia
di
parità di trattamento e di misure volte a non ostacolare
l'ingresso di nuovi soggetti nel settore».
Nel caso in esame, le norme impugnate
sono in
contrasto con la citata legislazione statale così come
interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte.
La previsione, infatti, di un potere
della Giunta
regionale di determinare la misura di oneri economici posti a carico
degli operatori, in relazione all'attività di consulenza
tecnica
svolta dall'ARPA – che è un ente strumentale della
Regione
stessa, ai sensi dell'art. 3 della legge della Regione autonoma Valle
d'Aosta 4 settembre 1995, n. 41, (Istituzione dell'Agenzia regionale
per la protezione dell'ambiente – A.R.P.A. – e
creazione,
nell'ambito dell'Unità sanitaria locale della Valle d'Aosta,
del
Dipartimento di prevenzione e dell'Unità operativa di
microbiologia) – è suscettibile di determinare un
trattamento discriminatorio e non uniforme tra gli operatori del
settore, con conseguente violazione del principio fissato dal
legislatore statale.
Né a legittimare le norme
impugnate valgono
le considerazioni svolte dalla difesa della Regione, la quale ha
sostenuto che gli oneri in esame altro non sarebbero che corrispettivi
per l'attività di consulenza svolta dall'ARPA in favore
degli
operatori di settore.
Invero, come risulta dall'analisi delle
disposizioni
impugnate e di quelle dalle stesse richiamate, non si tratta di una
attività di consulenza liberamente richiesta dalle parti,
bensì di una attività autoritativamente prevista.
Il
parere che deve rendere l'ARPA costituisce, infatti, un momento
procedimentale obbligatorio (v. artt. 6, comma 1, 11, comma 3, 12,
comma 1, 13, comma 2, e 14, comma 2); ciò che determina il
carattere autoritativo ed impositivo della prestazione pecuniaria
stessa.
Inoltre, le disposizioni censurate
demandano alla
Giunta regionale di stabilire la misura dei predetti oneri economici
senza, però, prevedere alcun criterio di determinazione
quantitativa degli stessi.
9.— Da ultimo, il ricorrente
ha censurato
l'art. 14, comma 1, della legge regionale in esame, nella parte in cui
assoggetta al regime della denuncia di inizio di attività
(DIA)
una serie di interventi edilizi sulle strutture («ricettori
passivi, tralicci, pali, recinzioni, locali di ricovero, cavidotti,
cabine elettriche») indicate dall'art. 2, comma 1, lettera
h),
della stessa legge.
L'illegittimità
costituzionale deriverebbe
dal contrasto della norma censurata con l'art. 87 del d.lgs. n. 259 del
2003, che, al comma 1, prevede solo l'autorizzazione degli enti locali
per l'installazione di nuove infrastrutture, mentre la denuncia di
inizio attività sarebbe richiesta esclusivamente per la
installazione di impianti con tecnologia UMTS od altre, con potenza in
singola antenna uguale o inferiore ai 20 Watt (comma 3), o per la
installazione di una rete di telecomunicazione su aree ferroviarie
(comma 3-bis).
9.1.— La censura non
è fondata.
La norma impugnata prevede che sono
soggetti a mera
denuncia di inizio attività i seguenti tipi di interventi
sulle
postazioni e sulle strutture sopra indicate, che sono funzionali
all'esercizio delle radiotelecomunicazioni: a) opere di manutenzione
straordinaria, di restauro e risanamento conservativo in assenza di
mutamenti della destinazione d'uso; b) opere esterne di eliminazione
delle barriere architettoniche in edifici esistenti; c) recinzioni,
muri di cinta e cancellate; d) opere interne di singole
unità
immobiliari che non comportino modifiche della sagoma e dei prospetti,
non rechino pregiudizio alla statica dell'immobile, non aumentino il
numero delle unità immobiliari e non mutino la destinazione
d'uso; e) realizzazione di condutture e impianti interrati e di
impianti tecnici al servizio di strutture esistenti; f) opere di
demolizione, reinterri e scavi di modesta entità; g)
intonacatura e tinteggiatura esterna delle strutture ove conformi alle
disposizioni urbanistico-edilizie vigenti in materia di colore e arredo
urbano; h) varianti ai progetti relativi agli interventi di cui alle
suindicate lettere.
Ai fini della individuazione della
portata della
norma impugnata, va osservato, innanzitutto, che i predetti interventi
devono essere realizzati su postazioni e strutture, la cui
installazione è stata già oggetto di
autorizzazione (art.
11 della legge n. 25 del 2005), ovvero di presentazione di una denuncia
di inizio attività (art. 13 della stessa legge), vale a dire
su
opere già realizzate ed in esercizio.
Inoltre, non è condivisibile
il rilievo
formulato dall'Avvocatura dello Stato, secondo cui l'autorizzazione
varrebbe soltanto per la installazione «di nuove
infrastrutture» di comunicazione elettronica e non anche per
i
successivi interventi aventi ad oggetto le stesse infrastrutture. Anche
tali interventi sono, infatti, sottoposti a controlli di natura
pubblica, ancorché posti in essere successivamente alla
installazione dell'impianto.
Infine, deve rilevarsi che, nel caso di
specie, gli
interventi contemplati dalla norma impugnata concernono, come risulta
dal contenuto precettivo della norma stessa, aspetti di natura
essenzialmente edilizia, per i quali può ritenersi
sufficiente
la mera denuncia di inizio attività in luogo dell'esplicito
provvedimento autorizzatorio.
In definitiva, la disposizione censurata
si limita a
contemplare uno strumento di semplificazione procedimentale per
interventi edilizi di minore impatto, su strutture già
esistenti
ed autorizzate.
Alla luce delle considerazioni che
precedono deve,
pertanto, ritenersi che l'impugnato art. 14, comma 1, della legge
regionale n. 25 del 2005 trovi legittimazione nella potestà
legislativa primaria che lo statuto della Valle d'Aosta attribuisce
alla Regione in materia “urbanistica” (per
l'inerenza della
denuncia di inizio attività alla suddetta materia, si vedano
le
sentenze n. 336 del 2005 e n. 303 del 2003). Potestà
legislativa
che incontra il limite (nella specie, però, non rinvenibile)
delle «norme fondamentali delle riforme economico-sociali
della
Repubblica» (art. 2 dello statuto speciale della Regione
Valle
d'Aosta) e non anche il limite della normativa di competenza statale,
soltanto espressiva, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, della
Costituzione, di principi fondamentali della materia “governo
del
territorio”, atteso che non possono trovare qui applicazione
le
disposizioni del novellato Titolo V, in connessione con l'art. 10 della
legge costituzionale n. 3 del 2001.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile l'intervento di
Telecom Italia Mobile s.p.a. (TIM);
dichiara la illegittimità
costituzionale
degli artt. 6, comma 4, e 15 della legge della Regione autonoma Valle
d'Aosta/Vallée d'Aoste 4 novembre 2005, n. 25, recante
«Disciplina per l'installazione, la localizzazione e
l'esercizio
di stazioni radioelettriche e di strutture di radiotelecomunicazioni.
Modificazioni alla legge regionale 6 aprile 1998, n. 11 (Normativa
urbanistica e di pianificazione territoriale della Valle d'Aosta) e
abrogazione della legge regionale 21 agosto 2000, n. 31»;
dichiara inammissibile la questione di
legittimità costituzionale della suddetta intera legge
regionale
n. 25 del 2005, proposta, in riferimento alla legge costituzionale 26
febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d'Aosta), dal
Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in
epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale degli artt. 5 e 14, comma 1,
della
suddetta legge regionale n. 25 del 2005, proposte, in riferimento
all'art. 117 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei
ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella
sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 2006.
F.to:
Giovanni Maria FLICK, Presidente
Alfonso QUARANTA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 28 dicembre 2006.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
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