Corte Costituzionale ord. 203 del 18 maggio 2006
giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 87 e 88 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), promosso con ordinanza del 16 dicembre 2004 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sul ricorso proposto dalla Ericsson Telecomunicazioni s.p.a. contro il Comune di Ripi, iscritta al n. 131 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell’anno 2005.
ORDINANZA N. 203
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 87 e 88 del decreto
legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche),
promosso con ordinanza del 16 dicembre 2004 dal Tribunale amministrativo
regionale del Lazio, sul ricorso proposto dalla Ericsson Telecomunicazioni
s.p.a. contro il Comune di Ripi, iscritta al n. 131 del registro ordinanze 2005
e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie
speciale, dell’anno 2005.
Visto l’atto di costituzione della Vodafone Omnitel N. V. e l’atto di intervento
del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 5 aprile 2006 il Giudice relatore Giuseppe
Tesauro.
Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con ordinanza del
16 dicembre 2004, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 76, 97 e 117 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 87 e 88 del
decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni
elettroniche), nella parte in cui equiparano gli impianti di telecomunicazione
agli interventi edilizi minori soggetti a mera denuncia di inizio di attività;
che il giudice rimettente premette di essere stato adito dalla Ericcson s.p.a.
allo scopo di ottenere: in primo luogo, l’annullamento di una serie di
deliberazioni, con le quali il Comune di Ripi avrebbe illegittimamente
disciplinato la localizzazione e l’installazione delle stazioni radio sul
territorio comunale, nonché degli atti asseritamente applicativi delle medesime,
relativi all’installazione, da parte della ricorrente, di una stazione radio
base per rete radiomobile senza il permesso di costruire prescritto dagli artt.
3 e 10 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A); in secondo luogo, la
condanna del medesimo Comune al risarcimento dei danni;
che, in ordine alla rilevanza, il Tar del Lazio deduce che la procedura di
rilascio dell’autorizzazione all’installazione della stazione radio base è stata
avviata nella vigenza del decreto legislativo 4 settembre 2002 n. 198
(Disposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di
telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a
norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443), ma che, a
seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale di detto decreto
legislativo (sentenza n. 303 del 2003) ed in virtù dell’art. 4 del decreto legge
14 novembre 2003, n. 315 (Disposizioni urgenti in tema di composizione delle
commissioni per la valutazione di impatto ambientale e di procedimenti
autorizzatori per le infrastrutture di comunicazione elettronica), convertito in
legge 16 gennaio 2004, n. 5, essa è ora disciplinata dagli artt. 87 e 88 del
d.lgs. n. 259 del 2003, i quali stabiliscono, per l’installazione di
infrastrutture per impianti radioelettrici, il rilascio, in forma espressa o
tacita, di un unico titolo abilitativo qualificato come autorizzazione;
che, ad avviso del rimettente, le predette disposizioni – in conformità agli
intenti di semplificazione perseguiti con la legge-delega – disciplinano in modo
esaustivo l’installazione degli impianti in questione e, conseguentemente, anche
secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza, non è per essi
necessario, come invece ha ritenuto il Comune di Ripi, il permesso di costruire
prescritto dagli artt. 1, 3 e 10 del d.P.R. n. 380 del 2001, il quale peraltro
stabilisce che il silenzio dell’amministrazione entro il termine indicato dalla
legge va inteso come silenzio rifiuto;
che, secondo il Tar, le norme impugnate violerebbero l’art. 76 della
Costituzione, in quanto definirebbero <
che, secondo il Tar del Lazio, le norme censurate, nella parte in cui
stabiliscono per l’installazione degli impianti ricetrasmittenti la mera
autorizzazione o la denuncia di inizio di attività ed il silenzio-assenso
dell’amministrazione, sottraggono questa fattispecie alla disciplina dell’art.
44 del testo unico dell’edilizia per l’esecuzione di opere senza permesso di
costruire, sanzionata penalmente, e, in tal modo, incidono nella materia penale,
eccedendo i limiti della delega, che permetteva siffatto intervento
limitatamente alle fattispecie di cui all’art. 41, comma 2, lettera c), della
legge n. 166 del 2002, e dell’art. 195 del d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156
(Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale,
di bancoposta e di telecomunicazioni);
che, peraltro, anche ritenendo necessario nel caso in esame il permesso di
costruire, sussisterebbe egualmente il vizio denunciato, in quanto la
legge-delega imponeva al legislatore delegato di stabilire una disciplina
uniforme per il rilascio delle autorizzazioni relative alle installazioni in
questione, prevedendo il coinvolgimento di tutte le amministrazioni interessate;
che, ad avviso del rimettente, le norme in questione, ridefinendo l’ambito degli
interventi edilizi c.d. minori, realizzabili previa denuncia di inizio di
attività, vulnerano la competenza legislativa regionale, in quanto è riservata
alla Regione la riduzione o l’ampliamento dell’ambito di detti interventi, in
virtù del <
che, infine, le disposizioni impugnate recano vulnus agli artt. 3 e 97 della
Costituzione, in quanto non realizzano gli obiettivi, fissati dalla
legge-delega, di snellire le procedure e di garantire certezza e trasparenza
degli adempimenti necessari per la realizzazione di impianti di
telecomunicazione, ma determinano anzi una situazione di incertezza in ordine ai
titoli abilitativi richiesti ed al contenuto della potestà di controllo
dell’ente locale;
che, nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto
che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque infondata;
che la difesa erariale, in linea preliminare, ha eccepito l’inammissibilità
della questione, in quanto essa consiste in una censura della scelta riservata
alla discrezionalità del legislatore delegato in ordine alle plurime possibilità
di intervento normativo consentite dalla norma delegante, e, nel merito, ha
dedotto l’infondatezza delle censure, osservando che le norme del Codice delle
comunicazioni elettroniche sono norme speciali rispetto a quelle recate dal
testo unico dell’edilizia, risultando detto carattere proprio dall’art. 41 della
legge n. 166 del 2002, la quale, recependo le direttive 2002/19/CE, 2002/20/CE,
2002/21/CE e 2002/22/CE, ha delegato al Governo il potere di adottare uno o più
decreti legislativi riguardanti, tra l’altro, la redazione di un codice delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia di telecomunicazioni,
prevedendo <
che, nel giudizio innanzi a questa Corte, si è costituita la Vodafone Omnitel
N.V. – intervenuta nel giudizio principale – chiedendo, nell’atto di
costituzione e nella memoria depositata in prossimità della camera di consiglio,
che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque infondata.
Considerato che il Tribunale amministrativo regionale del Lazio dubita, in
riferimento agli artt. 3, 76, 97 e 117 della Costituzione, della legittimità
costituzionale degli artt. 87 e 88 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n.
259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), nella parte in cui equiparano gli
impianti di telecomunicazione agli interventi edilizi minori, anche tacitamente
assentibili ovvero oggetto di autocertificazione di legittimità;
che questa Corte ha già affermato che l’art. 87 del d.lgs. n. 259 del 2003,
nella parte in cui prescrive, per l’installazione di infrastrutture per impianti
radioelettrici, il rilascio, in forma espressa o tacita, di un unico titolo
abilitativo qualificato come autorizzazione, <
che, in attuazione della delega, sia il predetto art. 87 sia l’art. 88 del
medesimo Codice delle comunicazioni elettroniche – il quale definisce un
procedimento analogo a quello descritto nell’art. 87 per l’ipotesi in cui
l’installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica presupponga la
realizzazione di opere civili o, comunque, l’effettuazione di scavi e
l’occupazione di suolo pubblico – stabiliscono, infatti, <
che, pertanto, la censura sollevata in relazione all’art. 76 della Costituzione
è manifestamente infondata, in quanto la procedura unica disciplinata dalle
norme impugnate come speciale rispetto a quella prevista dal testo unico
dell’edilizia <
che il procedimento autorizzatorio unico di cui agli artt. 87 e 88 del d.lgs. n.
259 del 2003 – il quale comprende anche la valutazione della compatibilità
urbanistico-edilizia da parte dell’ente competente – neppure incide nella
materia penale, in violazione dei limiti fissati dalla legge-delega, in quanto
la regolamentazione del titolo occorrente per realizzare l’intervento in
questione non influisce sulla disciplina sanzionatoria penale di cui all’art. 44
del Testo unico dell’edilizia, che, come ha chiarito la giurisprudenza di
legittimità, non è correlata alla tipologia del titolo abilitativo ma alla
consistenza concreta dell’intervento;
che questa Corte ha, altresì, sottolineato che il legislatore statale, con le
norme impugnate, ha posto <
che, infine, le suesposte considerazioni dimostrano che i moduli di definizione
del procedimento di autorizzazione di cui agli artt. 87 e 88 del d.lgs. n. 259
del 2003 sono informati alle <
Visti gli artt. 26, comma secondo, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma
2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale
degli artt. 87 e 88 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle
comunicazioni elettroniche), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 76, 97 e
117 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con
l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 3 maggio 2006.
Annibale MARINI, Presidente
Giuseppe TESAURO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 18 maggio 2006.