TAR Veneto Sez. III sent. 3460 del 4 dicembre 2009
Danno ambientale. Imposizione di fidejussione
E' vero che le norme del D. Lgs 152/2006 non prevedono espressamente la possibilità per l’amministrazione di ordinare al presunto debitore il rilascio di una fideiussione a garanzia dei danni o delle opere da eseguire in sostituzione del responsabile di violazioni di norme ambientali. Tuttavia nulla vieta che l’amministrazione possa intimare, pur senza disporre di un effettivo potere coercitivo, il deposito, in via cautelare, di garanzie su somme che la stessa amministrazione ritiene di ascrivere al danno ambientale ovvero di dover essa stessa impiegare nell’esercizio del potere sanzionatorio o surrogatorio per gli interventi che la legge le impone di eseguire in danno del responsabile (nello specifico a seguito della violazione dell’art. 192 del D.Lgs 152/2006). Ciò, beninteso, a condizione che il provvedimento cui inerisce la richiesta di garanzie fideiussorie preveda di porre a carico (o ponga a carico) del soggetto onerato la realizzazione di interventi previsti dalla legge a titolo di sanzione per la violazione delle norme ambientali e in particolare quando è previsto il potere di esecuzione in danno del responsabile, e sussista un ragionevole rapporto tra l’importo che l’amministrazione richiede e che è garantito dalla fideiussione e quello stimato dall’amministrazione come costo delle stesse operazioni o ovvero come misura del danno ambientale.
Danno ambientale. Imposizione di fidejussione
E' vero che le norme del D. Lgs 152/2006 non prevedono espressamente la possibilità per l’amministrazione di ordinare al presunto debitore il rilascio di una fideiussione a garanzia dei danni o delle opere da eseguire in sostituzione del responsabile di violazioni di norme ambientali. Tuttavia nulla vieta che l’amministrazione possa intimare, pur senza disporre di un effettivo potere coercitivo, il deposito, in via cautelare, di garanzie su somme che la stessa amministrazione ritiene di ascrivere al danno ambientale ovvero di dover essa stessa impiegare nell’esercizio del potere sanzionatorio o surrogatorio per gli interventi che la legge le impone di eseguire in danno del responsabile (nello specifico a seguito della violazione dell’art. 192 del D.Lgs 152/2006). Ciò, beninteso, a condizione che il provvedimento cui inerisce la richiesta di garanzie fideiussorie preveda di porre a carico (o ponga a carico) del soggetto onerato la realizzazione di interventi previsti dalla legge a titolo di sanzione per la violazione delle norme ambientali e in particolare quando è previsto il potere di esecuzione in danno del responsabile, e sussista un ragionevole rapporto tra l’importo che l’amministrazione richiede e che è garantito dalla fideiussione e quello stimato dall’amministrazione come costo delle stesse operazioni o ovvero come misura del danno ambientale.
N. 03460/2009 REG.SEN.
N. 01426/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 1426 del 2007, proposto da:
Benini Escavazioni Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Nicola Avanzi, Alessandro Calegari, Nicola Creuso, Antonio Lovisetto, Riccardo Ruffo, Giovanni Sala, Franco Zambelli, con domicilio eletto presso Franco Zambelli in Venezia-Mestre, via Cavallotti, 22;
contro
Comune di Lavagno - (Vr), rappresentato e difeso dall'avv. Lucio Filippo Longo, con domicilio eletto presso Lucio Filippo Longo in Roma, piazza della Marina, 1; Provincia di Verona - (Vr), rappresentato e difeso dagli avv. Francesco Curato, Franco Zumerle, con domicilio eletto presso Francesco Curato in Venezia, Piazzale Roma, 468/B; A.R.P.A.V. Dip. Prov. Verona; A.R.P.A.V. Veneto, rappresentato e difeso dagli avv. Roberto Bondi', Lucia Casella, Giovanni Scudier, con domicilio eletto presso Roberto Bondi' in Venezia, Santa Croce, 663;
per l'annullamento
dell’ordinanza n. 30 datata 7 giugno 2007 del Sindaco di Lavagno con cui sono stati ordinati interventi urgenti a carico della ditta Benini Escavazioni s.r.l.;
dell’ordinanza n. 30 datata 27 giugno 2007 del Sindaco di Lavagno di ripristino dei luoghi ai sensi dell’art. 192 del D.Lgs 152/2006;
del verbale della conferenza dei servizi del 4 giugno 2008 e del 25 giugno 2008,
della nota della Provincia di Verona n. 0057013 del 30 maggio 2006;
della nota dell’ARPAV di Verona n. 071796 del 3 giugno 2008;
della nota del Comune di Lavagno n. 8292 del 31 maggio 2008;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Lavagno - (Vr);
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Provincia di Verona - (Vr);
Visto l'atto di costituzione in giudizio di A.R.P.A.V. Veneto;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 aprile 2009 il dott. Angelo De Zotti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
A Con deliberazione n. 46 in data 21 ottobre 2004, il Consiglio Comunale di Lavagno approvava il piano di lottizzazione denominato "Lepia" in Vago di Lavagno.
La ditta ricorrente realizzava le opere di urbanizzazione in tale lottizzazione per conto della Ditta Trapper S.p.A., proprietaria dell'area, impiegando tra l’altro, uno strato di scorie di acciaieria lavorate di circa 30 cm sul quale collocava uno strato di riciclato di circa 20 cm., ricoperto di uno strato di asfalto a grana grossolana (bynder) su cui è stato steso, da ultimo il manto fine di usura.
I materiali utilizzati per il sottofondo stradale, classificati con i codici CER 1O.02.02-scorie di acciaieria e CER 17.09.04 demolizioni provenivano dall'impianto di Località Guainetta, in Comune di San Martino Buon Albergo, della stessa ditta ricorrente; impianto autorizzato a lavorare rifiuti non pericolosi,. in regime semplificato, ai sensi del D.M. 5 febbraio 1998.
Su richiesta della Provincia, nel marzo 2006, ad opera già realizzata, l'Arpav di Verona ha procedeva alla campionatura del sotto fondo stradale ed all'esecuzione del test di cessione ai sensi del D.M. 4 febbraio 1998 riscontrando nei campioni analizzati, che contenevano terra, sassi, laterizi, scorie ed altro, il superamento di alcuni parametri previsti nel test di cessione per i rifiuti non pericolosi.
In seguito a ciò la Provincia di Verona e il Comune di Lavagno contestavano alla ditta ricorrente lo smaltimento abusivo di rifiuti pericolosi.
.3) Il comune di Lavagno convocava, in data 8 settembre 2006, una conferenza di servizi, nella quale, su istanza della ditta, prendeva atto che i campioni analizzati non potevano ritenersi rappresentativi dei materiali forniti e si concordava di ripetere il campionamento così da prelevare, in modo indisturbato, i componenti del sottofondo stradale, scorie e riciclato, su cui eseguire il test di cessione secondo la nuova metodologia di cui all'art. 9 del D.M. n. 186 del 2006.
Le modalità di campionamento e di analisi venivano concordate dai tecnici delle parti (comune, ditta Benini e ditta Trapper) e, in data 11 novembre 2006, si procedeva, in tre punti significativi, al prelievo dei campioni della lottizzazione, di riciclato di scorie tal quali e di materiale setacciato a 4 mm..
La determinazione analitica veniva condotta sul riciclato e sulla frazione fine di scoria: il test di cessione sul riciclato risultava rispettare i limiti fissati, mentre il test di cessione sulle scorie eccedeva il limite di 90/50 microgrammi/l per il cromo.
Il Comune di Lavagno convocava quindi una nuova conferenza di servizi in data 16 febbraio 2007, nella quale sia il rappresentante della Provincia, sia quello dell'ARPAV, manifestavano perplessità circa le caratteristiche del materiale.
In data 19 marzo 2007, il tecnico della ditta ricorrente, trasmetteva al Sindaco una nota, in cui ribadiva la tesi sempre sostenuta: che, cioè, la ricorrente aveva operato correttamente nel recupero dei rifiuti avendo fornito la documentazione analitica dei rifiuti introdotti nell'impianto e dei materiali impiegati nella lottizzazione.
In tale nota, si sottolineava, in particolare, che le caratteristiche chimico fisiche riscontrate sui campioni prelevati in sito non potevano essere trasferite automaticamente ai materiali usciti dall'impianto, come, peraltro, ammesso anche dai rappresentanti di Provincia e ARPAV.
Si rilevava anche come il referto fornito dal test di cessione, eseguito sulla frazione di scorie prelevate nella lottizzazione, non poteva essere assunto per valutare l'inquinamento del sito e che per di più, dagli stessi dati dell' ARPAV si desumeva che il valore ottenuto per il cromo era inferiore alla soglia di contaminazione (CSC). Con la conseguenza che il sito non poteva essere qualificato come sito inquinato e dunque tale da rendere necessari interventi di bonifica ovvero di messa in sicurezza ai sensi dell'art. 242 del D.lvo n. 152 del 2006.
In data 27 marzo 2007, il Comune, non tenendo in considerazione le osservazioni della ditta, comunicava "l’avvio del procedimento per la rimozione, l'avvio al recupero ed allo smaltimento dei rifiuti, nonché il ripristino dello stato dei luoghi posti nella lottizzazione denominata Lepia in Vago di Lavagno".
Sulla scorta dei referti dell'ARPAV sui campioni prelevati nel marzo 2006 (materiale mescolato del sotto fondo stradale) e sui campioni di scorie fini prelevati 1'8 novembre 2006, il Sindaco riteneva di dover ricondurre la fattispecie nell'ambito di applicazione dell'art. 192 del D.lvo n. 152 del 2006 (abbandono dei rifiuti), osservando "che i predetti rifiuti non potevano essere utilizzati nell'attività di recupero in regime semplificato" .
La ditta Benini faceva pervenire al Comune le proprie osservazioni, in cui ribadiva di avere operato correttamente nell'esecuzione della lottizzazione Lepia e, in particolare, di avere acquisito preventivamente la certificazione analitica d'idoneità del materiale, che escludeva che la materia prima secondaria potesse essere qualificabile come rifiuto.
Il Sindaco convocava, in data 28 maggio 2007, un'ulteriore conferenza di servizi decisoria, al termine e in esito alla quale si riservava di adottare i provvedimenti più opportuni per fronteggiare lo stato di pericolo indotto dall’impiego di rifiuti nelle opere di sottofondo stradale eseguite dalla ditta Benini.
In quella sede la ditta ricorrente ribadiva che nella specie non era configurabile l'abbandono di rifiuti, né la necessità di un intervento di bonifica in un sito che, alla luce dei parametri rilevati, non poteva essere definito come sito inquinato.
Il rappresentante dell'ARPAV riconosceva, per parte sua, che non sussistendo contaminazione delle matrici ambientali, non doveva essere avviato un procedimento di bonifica, ma, ove il comune ne ravvisasse i presupposti, di rimozione.
Infine, con il provvedimento n. 30 del 7 giugno 2007, impugnato con il ricorso principale, il Sindaco ha ordinato alla ditta ricorrente di provvedere alla messa in sicurezza di emergenza del sito inquinato e, previa predisposizione immediata di un progetto, all’esecuzione delle opere necessarie ad evitare pericoli per la salute pubblica, imponendo, altresì alla ditta stessa il rilascio di una fideiussione a garanzia del costo delle opere necessarie ad evitare che i materiali (rifiuti) inquinati presenti nel sito diventino fonte di pericolo ai sensi della normativa in materia.
Tale provvedimento viene impugnato con il ricorso principale e di esso si chiede l'annullamento, con vittoria di spese per i seguenti motivi:
1) eccesso di potere per perplessità e insufficienza della motivazione.
2) Violazione degli articoli 50 e 54 del D.L.vo 267/2000.
Si sostiene che dal provvedimento impugnato non risulta chiaro quale potere il Sindaco abbia inteso esercitare con l’atto in questione; che in particolare, essendo stati richiamati tanto il D .1vo n. 152 del 2006, contenente norme in materia ambientale, quanto il D.1vo n. 267 del 2000 non è chiaro se il Sindaco abbia inteso esercitare gli specifici poteri di ordinanza che gli sono attribuiti dalle norme in materia ambientale, ovvero il generale potere, previsto dal Testo Unico degli enti locali, di adottare ordinanze contingibili e urgenti e, in tale seconda ipotesi, se il provvedimento sia stato emanato nell'esercizio del potere di ordinanza di cui all'art. 50, comma 5^ del Testo Unico, che prevede ipotesi di emergenze sanitarie o di igiene pubblica, ovvero dell'art. 54, che contempla l'ipotesi in cui sussistano gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini.
3) Violazione degli artt. 244 e 250 del D. Lgs 152/2006; violazione dell’art. 8 comma 8^ del D.M. 25 ottobre 1999 n. 471; incompetenza.
Si sostiene che ove il provvedimento impugnato dovesse ritenersi emanato nell'esercizio di poteri amministrativi attribuiti al comune dalla normativa di tutela dell'ambiente, esso risulterebbe illegittimo per incompetenza in quanto l’art. 244 del D.1vo n. 152 del 2006 stabilisce, che, nel caso in cui il responsabile dell'inquinamento non provveda, gli interventi che risultassero necessari "sono adottati dall'Amministrazione competente in conformità a quanto disposto dall'art. 250" e che quest'ultima disposizione stabilisce, a sua volta, che le procedure e gli interventi di cui all'art. 242 "sono realizzati d'ufficio dal comune territorialmente competente"; che la giurisprudenza, sia pure con specifico riferimento alla previgente normativa di cui all'art. 17 del D.1vo n. 22 del 1997 ha più volte affermato che la norma “ deve essere interpretata conformemente ai principi generali che governano il riparto delle competenze tra organi di direzione politica e amministrativi sanciti dal D.1vo 18 agosto 2000 n. 267 e che, in assenza di deroga ad opera di specifiche disposizioni di legge, attribuisce a questi ultimi "tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'Amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo Statuto fra le funzioni d'indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'ente" e che, conseguentemente, il provvedimento rientra nella competenza del Dirigente e non in quello del Sindaco.
4) violazione artt. 181, 242, 244 e 250 D.L.vo n. 152 del 2006; violazione dell’art: 8 del d.m. n. 471 del 1999. eccesso di potere per illogicità, travisamento dei fatti e insufficienza della motivazione.
Si sostiene che con il provvedimento impugnato, il Sindaco ha ordinato alla ditta ricorrente di provvedere alla messa in sicurezza di emergenza del sito, in attesa di assumere eventuali ulteriori provvedimenti, sul presupposto che il sito dovesse considerarsi inquinato; che il provvedimento è illegittimo in quanto fondato su presupposti di fatto erronei e cioè che contrariamente a quanto si assume nelle premesse dell’ordinanza, il materiale utilizzato dalla ditta ricorrente per la formazione del sotto fondo stradale debba considerarsi rifiuto, costituendo, invece, materia prima secondaria, non soggetta, dunque, alla disciplina in materia di gestione dei rifiuti; che nel caso di specie, i materiali utilizzati per il sottofondo stradale provengono da un impianto autorizzato a trattare rifiuti non pericolosi in regime semplificato ai sensi del D.M. 5 febbraio 1998 e che in forza dell'autorizzazione rilasciata dalla Provincia con determinazione n. 4345 del 2005 tratta scorie di acciaieria e materiali di demolizione che previa verifica analitica della non pericolosità dei materiali (test di cessione); che la ditta ricorrente, prima di iniziare la lavorazione delle scorie provenienti dalla Ditta Riva Acciaio di Verona, ha acquisito le certificazioni previste, caratterizzazione del rifiuto e test di cessione, e, in fase di lavorazione, ha provveduto ad eseguire il test di cessione sia sul rifiuto da lavorare, sia sul prodotto da utilizzare; che non è sostenibile contestare la fattispecie di abbandono incontrollato di rifiuti, secondo quanto previsto dall'art. 192 del D.L.vo n. 152 del 2006, sia perché il materiale del sotto fondo stradale non può considerarsi rifiuto ma materia prima secondaria, perché la ditta ricorrente ha preventivamente informato la direzione dei lavori e il comune dell'utilizzo dei prodotti di recupero, fornendone la certificazione analitica; che non si può sostenere che le scorie di acciaieria introdotte nell'impianto di trattamento, costituenti rifiuti non pericolosi, non potessero essere utilizzati nell'attività di recupero in procedura semplificata di cui al D.M. 5 febbraio 1998; che nella specie non sussistevano i presupposti per un intervento di messa in sicurezza ai sensi degli artt. 242 e seguenti del D.L.vo n. 152 del 2006 giacché la norma prevede che simili interventi debbano essere disposti qualora l'indagine preliminare accerti l'avvenuto superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione laddove nel caso di specie, tali soglie non risultano superate; che l’analisi di rischio specifico, elaborata dalla ditta Benini e prodotta alla conferenza dei servizi del 16 febbraio 2007, esclude, a sua volta, in modo assoluto, l'esistenza di un rischio per le matrici ambientali, terreno e acqua di falda, derivante dal deposito di scorie nel sottofondo stradale; che inoltre la stessa conferenza dei servizi del 28 maggio 2007 ha escluso una contaminazione delle matrici ambientali che avrebbe giustificato il provvedimento di messa in sicurezza.
5) violazione degli artt. 242, 244 e 250 D.L.vo n. 152 del 2006.
Si sostiene che con il medesimo provvedimento, il Sindaco ha anche ordinato alla ditta ricorrente, senza averne il potere, il rilascio di una fideiussione per l'importo di 500.000,00 Euro, a garanzia del costo delle opere necessarie ad evitare che i materiali inquinati presenti nel sito divengano fonte di pericolo ai sensi della normativa in materia; che il provvedimento è, anche per questa parte, illegittimo, non solo perché il sito non può ritenersi inquinato e non sussistono, dunque, i presupposti per l'intervento di messa in sicurezza, ma altresì perché nessuna disposizione legislativa consente all'Amministrazione di imporre al privato la prestazione di garanzie fideiussorie; che in ogni caso, l'importo, particolarmente elevato (500.000 Euro) della fideiussione appare manifestamente sproporzionato rispetto all'entità delle opere che potrebbero rendersi necessarie in seguito alle violazioni contestate alla ditta Benini.
6) violazione degli artt. 7 e 8, l. n. 241 del 1990.
Si sostiene che il provvedimento impugnato è stato emanato nell'esercizio di un potere diverso da quello ipotizzato nella comunicazione di avvio del procedimento e in contrasto con quanto previsto dall'art. 8 della 1. n. 241 del 1990, secondo cui nella comunicazione di avvio del procedimento deve essere indicato, fra l'altro, "l'oggetto del procedimento promosso"; che l’amministrazione avrebbe avuto l'onere di comunicare l'avvio di un nuovo procedimento, indicando con precisione l'oggetto del procedimento stesso e il potere che intendeva esercitare.
7) eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà, e insufficienza della motivazione.
Si sostiene che il provvedimento impugnato è stato emanato in seguito ad una conferenza di servizi, tenutasi in data 28 maggio 2007, espressamente qualificata come "decisoria" al fine di procedere alle valutazioni conclusive ed emettere il provvedimento finale; che la conferenza si è, peraltro, conclusa senza l'emanazione di alcuna determinazione, lasciando al Comune di adottare i provvedimenti opportuni nell'ambito dei poteri conferitegli dalla legge; che, pertanto, illegittimamente il Sindaco, dopo la conclusione della conferenza, ha provveduto, in contrasto, fra l'altro, con l'avviso manifestato dal rappresentante dell'ARPAV, ad emanare l'ordinanza impugnata, senza, peraltro, indicare le ragioni per le quali ha ritenuto di discostarsi dalle conclusioni alle quali era pervenuta la conferenza di servizi.
B) In seguito ai fatti sopraesposti, ad un anno di distanza dall’adozione del primo provvedimento di messa in sicurezza provvisoria il Sindaco del Comune di Lavagno ha ordinato, ai sensi dell'art. 192, terzo comma, del d.lgs. n. 152/2006, alla società Benini, di procedere "alla rimozione, all'avvio al recupero e/o allo smaltimento presso impianti autorizzati dei rifiuti rilevati e sopradescritti (scorie di fonderia/acciaieria) utilizzati nella costruzione delle strade di lottizzazione del piano artigianale, industriale e commerciale in località Lepia di Vago di Lavagno " entro 60 (sessanta) giorni dalla notifica della presente", sotto pena "dell'esecuzione in danno a carico della ditta sopraccitata e al recupero delle somme anticipate".
Ritenendo anche tale ordinanza illegittima e ingiusta, con atto di motivi aggiunti la ditta Benini Escavazioni s.r.l. estende ad esso la domanda di annullamento con vittoria di spese deducendo i seguenti motivi:
1) Violazione e falsa applicazione dell'art. 192, terzo comma del D.Lgs. n. 152/2006, anche in relazione a quanto stabilito dal T.U. n. 267/2000. Incompetenza del Sindaco.
2. Violazione e falsa applicazione dell'art. 7 della legge n. 241/1990.
Si sostiene che se è vero che l'ordinanza impugnata non è stata preceduta da una comunicazione di avvio del procedimento, posto che tale adempimento doveva essere effettuato a cura dell' Amministrazione anche nel caso di specie (a nulla ovviamente valendo la "vecchia" comunicazione di avvio), tanto più che, sino al momento dell'adozione dell'ordinanza avversata in questa sede, il Sindaco aveva sempre prospettato e cercato soluzioni alternative alla rimozione; che in ultimo va osservato che non sussistono (e, comunque, non sono indicate nel provvedimento) eventuali "ragioni di impedimento all'adozione della comunicazione di avvio del procedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento".
3. Violazione e falsa applicazione dell'art. 192 del D. Lgs n. 152/2006. Eccesso di potere sotto il profilo del difetto del presupposto, del travisamento dei fatti, dell'inadeguata istruttoria e dell'insufficiente motivazione. Sviamento di potere.
Si sostiene che il potere previsto dal terzo comma dell'art. 192 del D.1gs. n. 152/2006 è stato conferito all'Amministrazione Locale allo scopo di sanzionare le condotte descritte e vietate dal primo e dal secondo comma del medesimo articolo; che nel caso di specie tuttavia alla ricorrente non può essere contestata la violazione dei predetti divieti: in primo luogo perché il materiale utilizzato per la realizzazione del sottofondo stradale per le opere di urbanizzazione in località Lepia non costituisce rifiuto; che nel caso di specie il materiale utilizzato dalla ricorrente per la formazione del sottofondo stradale è una scoria di acciaieria oggetto di attività recupero in conformità a quanto stabilito dagli art. 181 e ss. del medesimo D. Lgs. 152/2006; che l'attività di recupero effettuata dalla società ricorrente sulle scorie di acciaieria acquisite è avvenuta nel pieno e assoluto rispetto della specifica disciplina in materia; che la società ricorrente era regolarmente autorizzata dalla Provincia di Verona allo svolgimento delle operazioni di "recupero di rifiuti previste dal decreto ministeriale 5 febbraio 1998"; che la società ricorrente ha acquisito le scorie di acciaieria provenienti da Riva Acciai sulla scorta di un certificato di analisi n. 30 del 23.6.2005 rilasciato dall'Università di Padova, che evidenzia la classificazione della scoria come non pericolosa; che in base all'autorizzazione provinciale di cui al precedente punto 1) la ricorrente ha sottoposto il prodotto a test di cessione in conformità all'art. 9 del D.M. 5.2.1998; che inoltre il prodotto è stato sottoposto ad una pluralità di test in conformità sia alle modalità indicate nella versione originaria dell' art. 9 sia alle modalità -nel frattempo introdotte- dal D.M. 186/2006 che ha modificato in parte il D.M. 5.2.1998; che in tutti i casi i test di cessione, effettuati da organismi accreditati, hanno dato esito favorevole e che una volta completate le operazioni di recupero in conformità al D.M. 5.2.1998 (e successive modificazioni) ed accertata, sempre in conformità al predetto decreto, la recuperabi1ità del bene, il materiale oggetto di recupero non può più essere considerato rifiuto.
4. Eccesso di potere il profilo dell'inadeguata istruttoria, dell'erronea valutazione dei presupposti di fatto. Eccesso di potere sotto il profilo della manifesta illogicità. Violazione e falsa applicazione del D.M. n. 186 del 5.4.2006. Violazione e falsa applicazione dell'art. 192 del D.lgs n. 152/2006. Violazione e falsa applicazione della norma UNI 10802..
Si sostiene che l'ordinanza n. 30/2008 è stata adotta sul presupposto (punti 2 e 6 delle premesse) che "dai prelievi e dalle successive analisi di laboratorio per la determinazione della conformità dei materiali utilizzati sarebbe emerso il superamento dei limiti previsti nella tabella dell'Allegato 3 al d m. 186/06"; che tuttavia la società Benini intende contestare la metodologia concretamente seguita per effettuare il campionamento dei materiali sottoposti ad analisi, evidenziando l’assoluta inattendibilità dei risultati ottenuti da prelievi di campioni effettuati in soli tre punti dell'intera superficie della lottizzazione Lepia (che si estende per 35.000 metri quadrati) rispetto a quanto previsto dalle norme nazionali e internazionali in materia e a mente delle quali il numero di punti di prelievo dei campioni da analizzare deve avere una significatività statistica. tale da fornire campioni (da sottoporre ad analisi) che siano effettivamente rappresentativi di masse di materiali presenti a cumulo o distribuiti per strati su superfici di relativamente ampie dimensioni; che le norme UNI stabiliscono che, in relazione agli scopi per cui viene effettuato il campionamento, deve essere predisposto un Piano di campionamento che deve avere i contenuti (definiti "elementi fondamentali") indicati dalla lettera a) alla lettera a l) del punto 4 nella norma UNI., che nel caso di specie non solo risulta del tutto assente un piano di campionamento, ma non sono nemmeno stati rispettati gli elementi fondamentali che debbono indefettibilmente caratterizzare ogni procedura di campionamento; che in considerazione dello stato dei luoghi e degli obiettivi dell'indagine doveva essere applicata la procedura di campionamento sistematico (prevista e regolata dal punto 4.2.2 della norma UNI 10802), che applicata al caso specifico (ove si discorre di un volume totale di materiale pari a 5.000 metri cubi) avrebbe comportato che i punti di prelievo (o nodi da indagare) avrebbero dovuto essere almeno 50, con la formazione di 5 campioni compositi, ciascuno in corrispondenza dei 5 settori in cui è stata suddivisa l'intera area al fine di individuare volumi di almeno 1.000 metri cubi ciascuno (in conformità a quanto previsto dalla DGRV 2922/03); che nulla di tutto questo è stato fatto e che è evidente il carattere assolutamente inadeguato della fase istruttoria del procedimento.
5. Violazione del principio di proporzionalità dell'azione amministrativa. Eccesso di potere sotto il profilo dell'illogicità e della contraddizione.
Si sostiene che nella specie è stato violato il principio di proporzionalità; che tale principio implica che l'Amministrazione debba adottare la soluzione idonea e adeguata, comportante il minor sacrificio possibile per gli interessi compresenti; che nella specie la soluzione prescelta dall'Amministrazione Comunale, oltre ad essere illegittima per le ragioni di carattere procedimentale e sostanziale esposte in precedenza, appare, altresì, in contrasto con il suddetto principio, dato che essa non prevede "la soluzione più idonea e adeguata comportante il minor sacrificio possibile in relazione agli interessi coinvolti" ma che oltre ad avere dei costi economici "diretti" assolutamente insostenibili (stimabili tra i 4 ed 5 milioni di euro) e dei costi "indiretti" ancor più insopportabili, tenuto conto che nella lottizzazione sono insediate da tempo circa trenta ditte (oltre ad un vero e proprio centro commerciale) che dovrebbero chiudere ogni attività per consentire le operazioni di rimozione del materiale utilizzato per costruire i sottofondi; che l’intervento è assai pericoloso anche dal punto di vista dell'impatto ambientale a causa dei gravi danni che deriverebbero all'ambiente ed alla salute umana dall'attività di rimozione del materiale classificato rifiuto; che l'Amministrazione non ha considerato che nel corso dell'intervento, si genererebbe una sorgente, diffusa e non convogliabile, di emissioni aeriformi con sicuri fenomeni di veicolazione di sostanze inquinanti nel terreno sottostante e nelle acque, con la conseguenza che il danno cagionato dall'intervento sarebbe di gran lunga superiore rispetto alla situazione attualmente esistente.
Con ricorso per motivi aggiunti la ricorrente ha introdotto un ulteriore articolato motivo di ricorso per i profili appresso indicati:
8. Eccesso di potere sotto il profilo del difetto di istruttoria, dell'inadeguata valutazione dei presupposti di fatto. Violazione e falsa applicazione dell'art. 192 del D.lgs. n. 152/2006.
Con il motivo di ricorso la ricorrente Benini Escavazioni s.r.l. ribadisce, tra le altre cose, che l'effettuazione di un campionamento in soli tre punti della superficie dell'area in discussione è assolutamente inattendibile; che sussiste un evidente difetto di istruttoria del provvedimento nella parte in cui il Comune di Lavagno ha deciso di ordinare la rimozione degli asseriti rifiuti su un'area di tre ettari e mezzo sulla scorta del risultato di prelievi effettuati in soli tre punti -due soltanto dei quali hanno prodotto analisi con esito negativo; che a tale macroscopico difetto di istruttoria, si aggiunge, un ulteriore profilo sintomatico dell'eccesso di potere intervenuto in seguito agli adempimenti istruttori disposti dal Tribunale Amministrativo Regionale con l’ordinanza n. 695/2008 resa in data 10.9.02008, in esito alla quale è emerso che in 5 dei 15 settori in cui è stata divisa l'area oggetto del provvedimento contestato e che rappresentano più di un terzo della superficie stradale della lottizzazione) non sono state rinvenute le scorie di acciaieria, con la conseguenza che non è possibile ipotizzare la fattispecie dell’abbandono di rifiuti contestata alla ditta Benini; che pertanto, a seguito dei nuovi test di verifica resta confermata l’illegittimità dell’avversato provvedimento di rimozione dei rifiuti per errore e travisamento dei presupposti di fatto sulla classificazione dell’intervento come abbandono di rifiuti. Si sono costituiti in giudizio e resistono al ricorso il Comune di Lavagno, la Provincia di Verona e l’ARPAV di Verona, i quali contestano con distinte memorie tutti i motivi di ricorso, sia principale che aggiunto e ne chiedono il rigetto con vittoria di spese.
All’udienza del 23 aprile 2009, previa audizione delle parti, il ricorso è stato posto in decisione.
DIRITTO
l. Con i primi tre motivi del ricorso principale la ricorrente contesta la circostanza che dal provvedimento impugnato non si evince quale specifico potere il Sindaco abbia esercitato nella fattispecie, soggiungendo che anche nel caso in cui fossero stati correttamente esercitati i poteri di ordinanza attribuiti al medesimo Sindaco dal TUEL, nella specie sarebbe impossibile stabilire se questo potere sia riferibile all’art. 50, comma 5^ che attiene alla materia dell’emergenza sanitaria ovvero all’art. 54 comma 4^ e cioè il potere di ordinanza contingibile e urgente attribuito al Sindaco nella veste di Ufficiale del Governo.
I tre motivi sopra compendiati, che possono essere trattati congiuntamente, in quanto logicamente connessi, sono infondati.
E tutto ciò perché è evidente, sia dal contesto della delibera, ma prima ancora dalla comunicazione di avvio del procedimento, oltre che, in ultimo, dal riferimento al D.Lgs. 152/2006 riportato nelle premesse, che il Sindaco di Lavagno ha agito in forza dei poteri di cui all’art. 192 comma 3^ del D.Lgs. 152/2006 che, come noto prevede che “Fatta salva l'applicazione delle sanzioni di cui agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti e al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati e al recupero delle somme anticipate”.
Non solo, quindi, dal provvedimento impugnato si desume con assoluta chiarezza la natura del potere esercitato dal Sindaco ma, come sopra evidenziato, questa si deduce anche dalla comunicazione di avvio del procedimento del 27 marzo 2007, nella quale è chiaramente esplicitato che “ la fattispecie in questione è riconducibile al disposto dell’art. 192 del d.lgs. 267/2000 che prevede la rimozione dei rifiuti a cura del responsabile” e dal fatto che il procedimento è finalizzato alla necessità di procedere alla caratterizzazione delle matrici ambientali sottostanti i rifiuti (suolo, sottosuolo e acque di falda) ai sensi dell’allegato 2 delle norme citate.
E’ quindi evidente che il provvedimento sindacale non poteva essere equivocato, né quanto a matrice normativa né quanto a presupposti di fatto e dunque che le censure in esame meritano di essere disattese in quanto chiaramente infondate.
2. Con il quarto motivo la ricorrente affronta l'aspetto principale del giudizio, sostenendo che il provvedimento impugnato si baserebbe su un erroneo presupposto di fatto, negando, in particolare, che il materiale utilizzato dalla ditta Benini per i lavori di sottofondo stradale rientri nella categoria dei rifiuti.
A tal fine sostiene che stante l'intervenuto trattamento dei rifiuti presso altro impianto di recupero della medesima ricorrente (lo stesso, osserva il Collegio, in cui, a seguito di contestate inadempienze alle norme che regolano l'attività di recupero in via semplificata e alla contestata violazione delle regole che disciplinano la gestione di detti impianti, è stata sospesa l'autorizzazione in regime semplificato) il materiale proveniente da tale impianto, in quanto sottoposto previamente a test di cessione non potrebbe essere considerato rifiuto.
Sennonché, sul fatto che il materiale utilizzato dalla ditta Benini e riscontrato fuori dai parametri di legge debba qualificarsi rifiuto si sono espressi non solo gli organi tecnici competenti in sede di conferenza dei servizi ed in particolare l’ARPAV e la Provincia di Verona, ma anche lo stesso Ministero dell’Ambiente, il quale, su richiesta del Sindaco di Lavagno, con nota del 23 maggio 2007, a firma del Direttore Generale della Direzione per la qualità della vita, ha espresso il parere che il materiale utilizzato quale sottofondo dalla ditta Benini nel piano di lottizzazione Lepia, in quanto eccedente i parametri di legge, debba essere classificato quale rifiuto e rientrare, dunque, nella disciplina del D. L.vo n. 152 del 2006.
E, invero, il fatto che la ricorrente assuma di possedere tutte le certificazioni di legge e di avere ricevuto il materiale dall'impianto (di proprietà della stessa ricorrente) autorizzato a lavorare rifiuti non pericolosi, in regime semplificato, ai sensi del D.M. 5 febbraio 1998 e quindi che si tratta di materiale sottoposto a test di cessione sia all’atto dell’ingresso nell’impianto che all’uscita da esso, non esclude che dagli accertamenti svolti più volte e in contraddittorio con la ditta Benini dalle competenti Autorità tecniche e da laboratori universitari è emerso (in due casi su tre) che quel materiale, costituito da scorie di fonderia, sottoposto ad esame è risultato in grado di rilasciare sostanze inquinanti (per la presenza di Cromo, di Bario e di valori anomali di PH) in misura superiore ai limiti di legge, sia avuto riguardo alla previgente normativa sia rispetto all'attuale disciplina.
In particolare: sia la concentrazione di cromo, che supera i valori massimi previsti nella tabella dell'allegato 3 al D.M. 186/06 per il cromo totale (vedi anche la nota al rapporto della prova 11038/06 rev. nr. O del 4/11/2007) sia quella del bario che del fosforo sono risultati nettamente fuori norma rispetto ai valori massimi previsti nella tabella dell'allegato 3 al D.M. 186/06 (vedi la nota al rapporto della prova 11041/06 rev. nr. O del 4/11/2007).
Né ciò può essere smentito dalle certificazioni prodotte dalla ricorrente, che si riferiscono a test di cessione effettuati sullo stesso tipo di materiale trattato presso l’impianto di S. Martino Buon Albergo, perché è evidente che anche se quel materiale, in quanto proveniente da un impianto autorizzato a trattarlo, fosse risultato regolare ai test di cessione in entrata ed in uscita dallo stabilimento resterebbe nondimeno il fatto oggettivo che la sua composizione è risultata, al controllo, tale da non poterne consentire l’impiego sul suolo come materia prima secondaria dovendo al contrario essere trattata come rifiuto pericoloso da smaltire in apposita discarica.
Ne consegue che l’ordine di provvedere alla messa in sicurezza del sito inquinato, previa predisposizione immediata di un progetto di esecuzione delle opere atte ad evitare pericoli per la salute pubblica, appare giustificato dai risultati delle verifiche effettuate sul materiale utilizzato; verifiche tecniche, che non possono essere contestate perché la metodologia dei prelievi, come si legge nei documenti di causa è stata concordata ed eseguita in contraddittorio con la parte privata.
Va soggiunto peraltro che il Collegio non vede quale sia l’interesse della ditta ricorrente ad impugnare il provvedimento di messa in sicurezza di emergenza del sito inquinato, una volta che la stessa, pur senza riconoscere la natura di rifiuto del materiale impiegato sul posto, ha proposto un progetto di messa in sicurezza definitiva del sito finalizzato ad evitare l’ordine di rimozione del materiale stesso e la successiva eventuale bonifica del sito.
E’, infatti, appare del tutto logico e giustificato dalle circostanze oggettivamente riscontrate che il Sindaco abbia ordinato, ai sensi dell'art. 192 del D. L.vo 152 del 2006, la messa in sicurezza del sito e il progetto di caratterizzazione prima ed in eventuale alternativa alla rimozione del materiale-rifiuto inquinato.
D’altra parte anche il Ministero dell'Ambiente, con la nota 20 marzo 2007, aveva rilevato la necessità di una verifica della situazione ambientale dell'area prima di adottare provvedimenti definitivi, suggerendo di ritenere "necessario procedere alla caratterizzazione delle matrici ambientali sottostanti i rifiuti (suolo, sottosuolo e acqua di falda), ai sensi dell'Allegato 2 "Criteri generali per la caratterizzazione dei siti contaminati" alla Parte Quarta, Titolo V del D. L.gs. 152/2006, al fine di adottare interventi di messa in sicurezza di emergenza e di successiva bonifica".
Il fatto che le verifiche e i prelievi siano stati numericamente pochi (tre per parte ricorrente, sino a nove per l’amministrazione) e che non tutti i test abbiano dato risultati positivi non esclude quindi che la decisione dell’amministrazione, assunta in esito alla conferenza di servizio del 28 maggio 2007, sia immune dal dedotto vizio di errore di fatto o di travisamento dei presupposti.
E ciò quantomeno ai fini dell’adozione del provvedimento di messa in sicurezza provvisoria del sito.
Il motivo, pertanto, anche a prescinder dai parziali cennati profili di inammissibilità per difetto di interesse, va quindi respinto.
5. Con il quinto motivo la ricorrente si duole che il Sindaco abbia previsto “in attesa che la situazione del sito venga chiarita e a garanzia del costo delle opere necessarie ad evitare che i materiali (rifiuti) inquinanti presenti nel sito divengano fonte di pericolo ai sensi della normativa in materia” il rilascio di una fideiussione di 500.000,00 euro sostenendo che la prescrizione è illegittima sia perché il sito non può ritenersi inquinato e dunque non sussistono i presupposti per l'intervento di messa in sicurezza, sia perché nessuna disposizione legislativa consente all'Amministrazione di imporre al privato, in forza della norma invocata, la prestazione di garanzie fideiussorie e che, in ogni caso, non sarebbe dato conoscere sulla base di quali parametri sia stato determinato l'importo della fideiussione, che appare manifestamente sproporzionato rispetto all'entità delle opere o del danno che la fideiussione intende garantire.
La censura, che peraltro riguarda solo una clausola del provvedimento impugnato, è infondata.
In realtà è vero che le norme del D. Lgs 152/2006 non prevedono espressamente la possibilità per l’amministrazione di ordinare al presunto debitore il rilascio di una fideiussione a garanzia dei danni o delle opere da eseguire in sostituzione del responsabile di violazioni di norme ambientali.
Tuttavia nulla vieta che l’amministrazione possa intimare, pur senza disporre di un effettivo potere coercitivo, il deposito, in via cautelare, di garanzie su somme che la stessa amministrazione ritiene di ascrivere al danno ambientale ovvero di dover essa stessa impiegare nell’esercizio del potere sanzionatorio o surrogatorio per gli interventi che la legge le impone di eseguire in danno del responsabile (nello specifico a seguito della violazione dell’art. 192 del D.Lgs 152/2006).
Ciò, beninteso, a condizione che il provvedimento cui inerisce la richiesta di garanzie fideiussorie preveda di porre a carico (o ponga a carico) del soggetto onerato la realizzazione di interventi previsti dalla legge a titolo di sanzione per la violazione delle norme ambientali e in particolare quando è previsto il potere di esecuzione in danno del responsabile, e sussista un ragionevole rapporto tra l’importo che l’amministrazione richiede e che è garantito dalla fideiussione e quello stimato dall’amministrazione come costo delle stesse operazioni o ovvero come misura del danno ambientale.
Rapporto che nella specie, all’evidenza sembra sussistere, giacchè la ditta ricorrente non solo non nega che il costo della rimozione dei rifiuti, o la messa in sicurezza del sito può raggiungere l’importo della fideiussione ma addirittura sostiene, per giustificare i provvedimenti cautelari, che gli interventi richiesti superebbero, come in effetti documentato nei motivi aggiunti, la misura delle somme oggetto della contestata fideiussione.
6. Infondato è anche il sesto motivo di ricorso con il quale la parte deduce la violazione degli artt. 7 e 8, l. n. 241 del 1990.
Sostiene, infatti, la ricorrente che il provvedimento impugnato sarebbe stato emanato nell'esercizio di un potere diverso da quello ipotizzato nella comunicazione di avvio del procedimento, e in particolare che nell’anzidetta comunicazione non sarebbe stato indicato , "l'oggetto del procedimento promosso" deducendone che l’amministrazione avrebbe dovuto dar corso all'avvio di un nuovo procedimento, contenente l’indicazione della finalità del procedimento stesso e del potere che essa intendeva esercitare.
In realtà tale motivo è, a giudizio del collegio, infondato in punto di fatto, poiché non solo la comunicazione di avvio del procedimento richiama espressamente il provvedimento alla cui adozione è preordinata la procedura ma è del tutto evidente, dagli atti del fascicolo, che la ricorrente ne conosceva chiaramente lo scopo avendo preso parte all’intero procedimento di contestazione relativo all’impiego di rifiuti pericolosi; procedimento che si è articolato in numerosi passaggi (incontri e conferenze di servizio) nel corso dei quali la ditta Benini ha potuto conoscere tempestivamente tutte le contestazioni alla stessa mosse e interloquire su di esse, presentando relazioni, anche tecniche e partecipando alle conferenze di servizi sia con propri esperti che con il proprio legale rappresentante.
Ne consegue che il motivo va respinto.
7. Infondata è infine anche l'ultima censura con cui la ditta Benini assume l’illegittimità del provvedimento impugnato per essere stato emanato in seguito ad una conferenza di servizi decisoria tenutasi in data 28 maggio 2007, espressamente indetta “al fine di procedere alle valutazioni conclusive ed emettere il provvedimento finale"; conferenza che si sarebbe conclusa senza l'emanazione di alcuna determinazione, lasciando al Comune di adottare i provvedimenti ritenuti più opportuni nell'ambito dei poteri conferitigli dalla legge.
In realtà, anche a prescindere dal fatto che la conferenza di servizio risulta essere stata indetta “ai fini dell’adozione di un provvedimento finale di competenza del Comune di Lavagno”, l’affermazione che la conferenza non abbia assunto alcuna determinazione non corrisponde ad una corretta lettura del relativo verbale, poiché, ferma restando la necessità di intervenire per rimuovere la condizione di pericolo di inquinamento creata dalla presenza del rifiuto inquinante, ciò che in conferenza è emerso –secondo parte ricorrente - come elemento di divisione e di incertezza, è stato unicamente un diverso orientamento sul provvedimento da proporre all’amministrazione comunale e precisamente se suggerire l’immediata rimozione del materiale classificato rifiuto ovvero ordinare la messa in sicurezza provvisoria del sito previa presentazione di un progetto da parte della ditta Benini, rinviando in tale ipotesi all’esito della prima operazione la rimozione del materiale inquinante e la successiva bonifica dei luoghi ove fosse accertato l’inquinamento delle matrici ambientali.
La scelta del Sindaco di Lavagno di assumere il provvedimento di messa in sicurezza di emergenza in attesa di esaminare in maniera più approfondita la situazione di inquinamento del sito, pertanto, non solo non è in contraddizione con la conferenza dei servizi, peraltro consultiva e non decisoria, ma ne costituisce, per le ragioni già spiegate una motivata e comunque coerente forma di attuazione di quanto in essa emerso.
Né d’altronde il Collegio ritiene che la ditta Benini possa dolersi della scelta operata dall’amministrazione comunale, che in definitiva costituisce un’opzione a favore di un provvedimento meno gravoso e certamente assai più prudente di quello alternativo, preso in considerazione dalla conferenza di servizio, dell’intervento di rimozione immediata del materiale risultato inquinante.
In ogni caso, dal verbale della conferenza risulta che nessuna delle amministrazioni partecipanti ha proposto di non avviare, nei confronti della ditta Benini, ovvero di archiviare la procedura d’infrazione di cui all’art. 192 del D. Lgs 152/2006.
La dichiarazione del rappresentante dell' ARPAV di non ritenere possibile o opportuno, al momento, l’adozione di un provvedimento di messa in sicurezza definitiva non implica, infatti, che il sito non fosse ritenuto inquinato (né tale poteva essere il senso del parere giacchè è proprio l’ARPAV ad aver rilevato il contrario in sede di controllo) ma che “solo dopo aver avuto certezza che la matrice ambientale è inquinata sarebbe stato possibile optare per la messa in sicurezza definitiva e non per la rimozione del materiale rifiuto”.
Ciò conferma, dunque, che il Sindaco ha adottato un provvedimento coerente e non in contrasto con il parere dell’ARPAV così come, nel complesso, con il risultato della conferenza di servizio.
Il ricorso principale è quindi infondato in tutti i suoi motivi e va respinto.
Quanto al ricorso per motivi aggiunti.
Con il primo motivo la ditta ricorrente contesta la competenza del Sindaco ad emanare l’ordinanza impugnata, assumendo che in base all’art. 107 del D.Lgs. 267/2000 tale attribuzione rientra nelle competenze dirigenziali e non in quelle del Sindaco.
Il motivo è infondato.
Invero, sul punto specifico il Tribunale si è già espresso (cfr. TAR Veneto sez. 3^ n. 49/2009) osservando che “in disparte la considerazione per la quale l’art. 192, comma 3, del D.lgs. n. 152 del 2006, che è norma speciale sopravvenuta rispetto all`art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267 del 2000, attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione e allo smaltimento dei rifiuti, nella specie, per il criterio della specialità e per quello cronologico la norma prevale sul disposto dell`art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267 del 2000 (cfr. Consiglio di Stato, Sez.V, 25 agosto 2008, n. 4061).
La censura va quindi disattesa.
Con il secondo motivo la ricorrente ripropone sostanzialmente la doglianza di violazione e falsa applicazione dell'art. 7 della legge 241/1990, di cui al terzo motivo del ricorso principale, assumendo di non essere mai stata notiziata dell’inizio del procedimento e del fatto che tale procedimento fosse finalizzato all’adozione di un provvedimento di rimozione del materiale considerato rifiuto; comunicazione che sarebbe stata assolutamente necessaria in quanto il procedimento, diversamente dal primo “era chiaramente indirizzato a questo risultato ".
Anche questo motivo è, a giudizio del Collegio, privo di fondamento poiché pur se è vero che la comunicazione di avvio del procedimento richiamata nel provvedimento impugnato è costituita dalla nota del 27 marzo 2007, che si riferisce al procedimento di messa in sicurezza di emergenza e all’ordine intervenuto in data 7 luglio 2007 impugnato con il ricorso principale, la stessa comunicazione avverte che il procedimento avviato dal Comune di Lavagno è finalizzato all’adozione del provvedimento di rimozione del materiale di rifiuto abbandonato nel piano di lottizzazione denominato “Lepia” e contiene le specifiche contestazioni mosse alla ditta Benini (superamento di alcuni dei parametri fissati dall’allegato 3 al D.M. 5/2/11998 sui campioni prelevati da ARPAV Verona in data 8/!!/2006 ed analizzati dall’ARPAV, dall’Università di Padova e dall’azienda Labo Consult di Milano) esattamente riprese nel provvedimento qui impugnato.
Inoltre, come risulta dagli atti di causa, e come già rilevato nell’omologo motivo, il procedimento di verifica del materiale, considerato rifiuto e sottoposto ad ulteriore attività istruttoria, nonché l’esecuzione di ulteriori campionamenti si sono svolte in contraddittorio con la ditta ricorrente, che ha partecipato sistematicamente a tutta l'attività istruttoria svolta dall’amministrazione, attraverso l'amministratore unico, che coadiuvato da consulenti, ha presentato documenti ed interloquito nel corso di tutte le riunioni, tra cui la conferenza di servizio del 25 giugno 2008, nel corso della quale l’amministrazione comunale ha preso atto delle risultanze istruttorie ed ha preannunciato l’emanazione del provvedimento, ritenuto urgente ed emesso il 27 giugno 2008.
La circostanza, quindi, che sia trascorso un lungo lasso di tempo dall'inizio del procedimento alla data di emanazione del provvedimento impugnato appare al Collegio ininfluente sulla legittimità del procedimento, poiché risulta evidente dagli atti di causa che nel periodo che intercorre tra i due provvedimenti impugnati l’attività istruttoria dell’amministrazione comunale non si è mai arrestata e che, in una prima fase, è stata valutata la possibilità di adottare una serie di determinazioni diverse, inclusa quella della messa in sicurezza permanente del sito inquinato, poi esclusa in seguito ai pareri negativi espressi sia dalla Provincia di Verona che dall’ARPAV di Verona, le quali hanno ritenuto prevalente il rischio di contaminazione delle matrici, rispetto a quello, fortemente condizionato dal costo economico dei lavori, rappresentato dal confinamento dei materiali inquinanti in loco in condizioni di assoluta sicurezza per le persone e per l’ambiente.
Le proposte presentate dalla ricorrente, in sede di conferenza di servizio per indurre l’amministrazione ad adottare soluzioni diverse dalla rimozione del materiale inquinante (l'ultimo progetto è del mese di maggio 2008) sono state infatti respinte dagli organi tecnici, che le hanno ritenute errate tecnicamente ancor prima che contrarie alle norme che disciplinano la materia.
E su questo punto la ricorrente sembra aver fatto acquiescenza , poiché pur avendo impugnato le note che contengono tali parere non ha dedotto alcuna specifica doglianza, a parte quella generica e comunque di non decisivo rilievo che le operazioni di rimozione del materiale inquinante avrebbero comportato, anch’esse, rischi di contaminazione ambientale, dei quali si sarebbe dovuto tener conto, come ha fatto l’amministrazione, nel bilanciamento degli interessi tra le due soluzioni.
In conclusione e salva la valutazione di altri profili di censura riferiti alla legittimità di tale opzione il motivo in esame è infondato e va respinto.
Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente contesta, sia la qualificazione del materiale (scorie di fonderia pretrattate e sottoposte a test di cessione) come rifiuto, sia il fatto che i prelievi effettuati dall’amministrazione sarebbero scarsamente significativi perché effettuati in soli tre punti dell'intera area, pari a 35.000 mq. e in violazione, tra l’altro, della norma UNI 10802.
Sennonché tale assunto è, a giudizio del Collegio, infondato in punto di fatto poiché, come dimostra l’amministrazione comunale i verbali dei prelievi effettuati sono stati, innanzitutto, assai più di tre (si veda la documentazione depositata con la prima memoria) e tutti riportano, inoltre, l'indicazione che è stato rispettato il disposto del citato D.M. n. 186 del 2006 e che sono stati eseguiti alla presenza anche di un rappresentante della ricorrente che, come indicato nei verbali dei prelievi stessi, ne ha condiviso la metodologia.
Peraltro, anche a prescindere dal fatto che, come eccepisce parte resistente, la censura sulla metodologia dei prelievi effettuati prima dell’adozione del primo dei provvedimenti impugnati avrebbe dovuto essere dedotta in tale ricorso, non trattandosi di circostanza nuova emersa dopo o in seguito al provvedimento di rimozione del materiale inquinante oggetto del secondo ricorso, resta il fatto che - salva la contestazione sulla mancanza di significatività statistica , riferita all’assunto che nella specie sarebbe occorso un c.d. campionamento sistematico (che su un volume totale di materiale pari a 5000 metri cubi avrebbe richiesto almeno 50 punti di prelievo) - quanto alla metodica di esecuzione della campionatura e quanto alla sua attendibilità tecnica non sono state dedotte, se non genericamente, censure apprezzabili sotto quel profilo, né sono state comprovate con altri referti le diverse risultanze (quanto a diversa presenza, inferiore ai limiti di legge, dei materiali inquinanti rilevati dall’amministrazione a seguito delle verifiche effettuate da soggetti diversi e tutti tecnicamente abilitati come l’ARPAV, l’Università di Padova e la struttura accreditata Control Lab) ottenute dalla ditta Benini, in esito ai propri test.
Il Collegio non rinviene, infatti, nella documentazione tecnica prodotta dalla ditta Benini, elementi idonei a confutare sia i risultati dei test eseguiti dall’amministrazione sulla natura dei materiali classificati da essa rifiuti sia, più in generale, la validità della tecnologia utilizzata per pervenire ai risultati da essa documentati.
Dunque il motivo va, sotto questo profilo, respinto.
Quanto alla necessità di una campionatura sistematica è certamente corretto, oltre che ovvio, assumere che solo un carotaggio sistematico avrebbe potuto dimostrare che l’intera area della lottizzazione ritenuta inquinata è effettivamente tale ma, a parte i costi di siffatta operazione resta il fatto che per stessa ammissione della Ditta Benini il materiale utilizzato come sottofondo stradale appartiene alla medesima tipologia e provenienza (si tratta di scorie di acciaierie provenienti dallo stesso impianto e tutte asseritamente sottoposte a test di cessione successivo al loro trattamento) e che il materiale è stato impiegato pressocchè uniformemente su tutta la lottizzazione.
Né risulta che la ditta ricorrente abbia fornito all’amministrazione una diversa mappatura delle zone, tale da escludere o restringere l’area di ricerca del materiale tipologicamente classificabile come rifiuto.
Ne consegue che, salvo quanto è emerso in concreto a seguito dell’ulteriore verifica disposta ai fini della domanda cautelare dal Tribunale (effettuata su quindici campioni di materiale prelevato in almeno tre diversi settori della lottizzazione) il test ha confermato, per due terzi dell’area, che il materiale in questione, sottoposto a verifica in contraddittorio e con procedure concordate è risultato contenere una concentrazione di cromo superiore, da uno a quattro volte, ai valori massimi previsti dalla tabella dell’allegato 3 al D.M. 186/06 per il cromo totale e (e ciò nei prelievi) e che anche il bario e il pH sono in taluni campioni fuori dai limiti di cui al D.M. citato con ciò confermando, piuttosto che smentendo la significatività statistica degli accertamenti compiuti dall’amministrazione.
Il motivo è quindi, quantomeno nella sua valenza generale, infondato e va respinto.
Con il motivo successivo parte ricorrente deduce la violazione del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa assumendo che la rimozione del materiale usato per il sottofondo stradale non rappresenta la soluzione più idonea e adeguata, né quella che comporta il minimo sacrificio possibile in relazione agli interessi coinvolti, giacchè oltre ad avere costi economici diretti insostenibili per la ditta Benini (stimabili nell’ordine di 4 e 5 milioni di euro) presenta costi indiretti altrettanto, se non ancora più insostenibili per il privato, tenuto conto che nella lottizzazione sono insediate circa trenta ditte e un centro commerciale per le quali l’esecuzione dell’intervento avrebbe effetti pregiudizievoli sulle relative attività; la soluzione della rimozione del materiale, peraltro, sarebbe, secondo parte ricorrente, inaccettabile anche dal punto di vista dell’impatto ambientale per i gravi danni che i lavori di rimozione potrebbe produrre all’ambiente e alla salute umana.
Sostiene inoltre la ditta Benini che la violazione del principio di proporzionalità è ancora più evidente nel fatto che ditta ricorrente è disposta, come ha già fatto, a proporre e ad effettuare ulteriori interventi di messa in sicurezza tali da neutralizzare il rischio di inquinamento paventato dalle amministrazioni intimate, e ciò pur senza rinunciare a contestare in radice i presupposti del provvedimento impugnato.
Sennonché ritiene il Collegio che questa censura non abbia fondamento, dal momento che la scelta di ordinare l’intervento di rimozione del materiale inquinante non è stata assunta dall’amministrazione comunale trascurando la necessaria valutazione del rapporto tra costi economici (estremamente rilevanti) e rischi che sono alla base dell’intervento stesso ma a seguito del diniego motivato da parte di ARPAV e da parte dell’amministrazione provinciale di approvare il progetto di messa in sicurezza definitiva proposto dalla ditta Benini perché il rischio di contaminazione di sorgenti secondarie (suolo superficiale, suolo profondo e falda ) da parte del materiale classificato rifiuto (ossia sorgente primaria di contaminazione) è tale – si legge nel parere dell’ARPAV - da non apparire superabile attraverso interventi provvisori o definitivi come quelli proposti dalla ditta Benini e comunque perché la rimozione del materiale inquinante, che costituisce un fattore di pericolo crescente anche in relazione all’uso ed all’usura del manto della strada di lottizzazione, è necessario per poter rilevare lo stato di contaminazione del suolo e della falda e per predisporre un eventuale intervento di bonifica.
E’ evidente quindi che alla luce di tale giudizio il principio di proporzionalità, riferibile anche alla prospettiva che i costi dell’operazione, per la loro consistenza, possano restare a carico, per la parte non recuperabile a carico dell’amministrazione pubblica, appare adeguatamente rispettato.
Anche il quinto motivo di ricorso va perciò respinto
Residua , a questo punto, l’ultimo motivo di ricorso aggiunto , proposto dopo il supplemento di istruttoria disposto dal TAR con l’ordinanza n. 695/2008 citata in premessa, con cui parte ricorrente ripropone la censura per cui la campionatura di pochi punti di prelievo su cui il comune di Lavagno ha fondato il provvedimento impugnato è “statisticamente inattendibile” deducendone che la contestazione di abbandono incontrollato di rifiuti sarebbe inconsistente, soprattutto allo scopo di ordinare un provvedimento di rimozione del materiale pretesamente inquinante su tutta l’area di lottizzazione.
E ciò a maggior ragione se si considera che, come emerso dai risultati dell’istruttoria ordinata dal TAR, in 5 settori dei 15 in cui è stata suddivisa l’area oggetto del provvedimento contestato (settori che rappresentano, secondo parte ricorrente, più di un terzo della superficie stradale della lottizzazione) non sono state rinvenute scorie di acciaieria e comunque non è stato rilevato il superamento dei valori di legge tale da implicare la classificazione del materiale impiegato come “rifiuto”.
A tale argomento l’amministrazione oppone che la difesa della ditta Benini è palesemente contraddittoria e illogica, risolvendosi nel totale fraintendimento e travisamento dei dati che sono emersi dalle analisi effettuate .
Ciò in quanto la ricorrente nega nell’odierno ricorso di aver utilizzato scorie di acciaieria in tutta l’area mentre in precedenza aveva sempre affermato il contrario e cioè di aver utilizzato le scorie di acciaieria su tutto il fondo stradale precisando che “il materiale usato per la sottofondazione della lottizzazione Lepia aveva una massa di oltre 5.000 metri cubi per una superficie di oltre35.000 metri quadrati (con uno spessore medio del materiale oggetto del recupero pari a 15 centimetri intercalato da strati di materiale vario).
Ne consegue, per l’amministrazione, che in ogni caso quand’anche (solo) in due terzi dell’area sottostante il fondo stradale fosse rilevata, come in effetti è stato, la presenza di scorie inquinanti costituenti rifiuto, questo sarebbe sufficiente a configurare la fattispecie dell’abbandono di rifiuti contestata alla ditta Benini, che oltretutto ben sapeva, secondo l’amministrazione, sin dall’atto del suo impiego che il materiale in questione era (a dir poco) a rischio di classificazione come rifiuto per la sua componente inquinante, siccome proveniente da un impianto per tale ragione era stato colpito da provvedimento di sospensione della gestione in forma semplificata con provvedimento impugnato davanti al TAR.
In realtà il Collegio non ritiene che l’affermazione della ditta Benini alla cui stregua il materiale scorie di acciaieria sarebbe stato impiegato su tutta la lottizzazione sia incompatibile con quella che solo parte di questo materiale sia presente con carattere di rifiuto sull’intera superficie della lottizzazione, posto che in effetti alcune delle campionature , effettuate in esecuzione dell’ordinanza del TAR, per settori (nella specie in 15 distinti settori) hanno dato (in tre casi e per lo stesso tipo di materiale) risultati negativi per tutte le componenti del materiale stesso (si vedano le prove dei test depositate con la relazione sull’esecuzione dell’ordinanza n. 695/2008).
Questo significa, o può significare che effettivamente nei cinque settori individuati ai fini della verifica istruttoria, nei quali il risultato del prelievo ha fornito risposte (tutte) negative sul superamento dei valori di legge per le sostanze di cui all’allegato 3 del D.M. 186/06, non è stato impiegato materiale qualitativamente o quantitativamente appartenente allo stesso tipo, classificato come rifiuto e quindi, salvo che l’amministrazione non intenda effettuare ulteriori verifiche nell’ambito di tali settori, che l’ordine di rimozione non è motivato né può essere giustificato dalla mera presunzione dell’appartenenza di quel materiale alla categoria scorie di acciaieria altrove utilizzato con caratteri diversi.
Per cui se è vero - ma l’amministrazione sul punto non ha fornito né dati quantitativi diversi né quel preciso dettaglio tra campioni (positivi o negativi) e settori di riferimento, richiesti in sede istruttoria- che l’area sulla quale non sono stati riscontrati campioni di materiale classificabile come rifiuto è pari a cinque dei settori analizzati e ad un terzo della superficie complessiva della lottizzazione è del pari evidente che l’ordine di rimozione del materiale inquinante non può riguardare anche tali settori e che l’intervento che l’amministrazione si è riservata di effettuare d’ufficio a spese della ditta Benini non può che essere riferito ai soli settori, prevedibilmente contigui - non essendo ragionevole presumere che la distribuzione del materiale sia avvenuta “a macchia di leopardo”, anche se nulla è stato precisato sul punto a seguito dell’istruttoria, .- nei quali la verifica ha confermato la presenza del materiale inquinante e pericoloso contro la cui permanenza nel sito si sono espressi gli organi tecnici di ARPAV e della Provincia di Verona.
Ne consegue che l’amministrazione, ove provveda d’ufficio, e per quanto ciò possa rendere più complessa l’operazione di rimozione del materiale inquinante, dovrà quindi scorporare dal provvedimento tutte le aree o settori (così determinati e qualificati in sede istruttoria) nei quali non è stata riscontrata traccia di collocazione del materiale inquinato da cromo, bario e/o valori di ph superiori ai limiti di legge.
Il ricorso va quindi accolto parzialmente nei limiti di cui in motivazione e respinto quanto al resto.
Le spese e le competenze di causa seguono la parziale soccombenza e, previa parziale compensazione, sono liquidate nella misura di cui al dispositivo.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, terza Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie parzialmente, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione e, per l'effetto, annulla in parte qua l’ordinanza n. 30 del 27 giugno 2008 del Sindaco di Lavagno.
Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore delle amministrazioni intimate, delle spese di lite, che previa compensazione per la metà liquida in € 2.000,00 (duemila/00) in favore del Comune di Lavagno, e in € 1500,00 (millecinquecento/00) ciascuno in favore della Provincia di Verona e dell’ARPAV di Verona per spese, diritti ed onorari, oltre i.v.a. e c.p.a.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2009 con l'intervento dei Signori:
Angelo De Zotti, Presidente, Estensore
Marco Buricelli, Consigliere
Stefano Mielli, Primo Referendario
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/12/2009
N. 01426/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 1426 del 2007, proposto da:
Benini Escavazioni Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Nicola Avanzi, Alessandro Calegari, Nicola Creuso, Antonio Lovisetto, Riccardo Ruffo, Giovanni Sala, Franco Zambelli, con domicilio eletto presso Franco Zambelli in Venezia-Mestre, via Cavallotti, 22;
contro
Comune di Lavagno - (Vr), rappresentato e difeso dall'avv. Lucio Filippo Longo, con domicilio eletto presso Lucio Filippo Longo in Roma, piazza della Marina, 1; Provincia di Verona - (Vr), rappresentato e difeso dagli avv. Francesco Curato, Franco Zumerle, con domicilio eletto presso Francesco Curato in Venezia, Piazzale Roma, 468/B; A.R.P.A.V. Dip. Prov. Verona; A.R.P.A.V. Veneto, rappresentato e difeso dagli avv. Roberto Bondi', Lucia Casella, Giovanni Scudier, con domicilio eletto presso Roberto Bondi' in Venezia, Santa Croce, 663;
per l'annullamento
dell’ordinanza n. 30 datata 7 giugno 2007 del Sindaco di Lavagno con cui sono stati ordinati interventi urgenti a carico della ditta Benini Escavazioni s.r.l.;
dell’ordinanza n. 30 datata 27 giugno 2007 del Sindaco di Lavagno di ripristino dei luoghi ai sensi dell’art. 192 del D.Lgs 152/2006;
del verbale della conferenza dei servizi del 4 giugno 2008 e del 25 giugno 2008,
della nota della Provincia di Verona n. 0057013 del 30 maggio 2006;
della nota dell’ARPAV di Verona n. 071796 del 3 giugno 2008;
della nota del Comune di Lavagno n. 8292 del 31 maggio 2008;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Lavagno - (Vr);
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Provincia di Verona - (Vr);
Visto l'atto di costituzione in giudizio di A.R.P.A.V. Veneto;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 aprile 2009 il dott. Angelo De Zotti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
A Con deliberazione n. 46 in data 21 ottobre 2004, il Consiglio Comunale di Lavagno approvava il piano di lottizzazione denominato "Lepia" in Vago di Lavagno.
La ditta ricorrente realizzava le opere di urbanizzazione in tale lottizzazione per conto della Ditta Trapper S.p.A., proprietaria dell'area, impiegando tra l’altro, uno strato di scorie di acciaieria lavorate di circa 30 cm sul quale collocava uno strato di riciclato di circa 20 cm., ricoperto di uno strato di asfalto a grana grossolana (bynder) su cui è stato steso, da ultimo il manto fine di usura.
I materiali utilizzati per il sottofondo stradale, classificati con i codici CER 1O.02.02-scorie di acciaieria e CER 17.09.04 demolizioni provenivano dall'impianto di Località Guainetta, in Comune di San Martino Buon Albergo, della stessa ditta ricorrente; impianto autorizzato a lavorare rifiuti non pericolosi,. in regime semplificato, ai sensi del D.M. 5 febbraio 1998.
Su richiesta della Provincia, nel marzo 2006, ad opera già realizzata, l'Arpav di Verona ha procedeva alla campionatura del sotto fondo stradale ed all'esecuzione del test di cessione ai sensi del D.M. 4 febbraio 1998 riscontrando nei campioni analizzati, che contenevano terra, sassi, laterizi, scorie ed altro, il superamento di alcuni parametri previsti nel test di cessione per i rifiuti non pericolosi.
In seguito a ciò la Provincia di Verona e il Comune di Lavagno contestavano alla ditta ricorrente lo smaltimento abusivo di rifiuti pericolosi.
.3) Il comune di Lavagno convocava, in data 8 settembre 2006, una conferenza di servizi, nella quale, su istanza della ditta, prendeva atto che i campioni analizzati non potevano ritenersi rappresentativi dei materiali forniti e si concordava di ripetere il campionamento così da prelevare, in modo indisturbato, i componenti del sottofondo stradale, scorie e riciclato, su cui eseguire il test di cessione secondo la nuova metodologia di cui all'art. 9 del D.M. n. 186 del 2006.
Le modalità di campionamento e di analisi venivano concordate dai tecnici delle parti (comune, ditta Benini e ditta Trapper) e, in data 11 novembre 2006, si procedeva, in tre punti significativi, al prelievo dei campioni della lottizzazione, di riciclato di scorie tal quali e di materiale setacciato a 4 mm..
La determinazione analitica veniva condotta sul riciclato e sulla frazione fine di scoria: il test di cessione sul riciclato risultava rispettare i limiti fissati, mentre il test di cessione sulle scorie eccedeva il limite di 90/50 microgrammi/l per il cromo.
Il Comune di Lavagno convocava quindi una nuova conferenza di servizi in data 16 febbraio 2007, nella quale sia il rappresentante della Provincia, sia quello dell'ARPAV, manifestavano perplessità circa le caratteristiche del materiale.
In data 19 marzo 2007, il tecnico della ditta ricorrente, trasmetteva al Sindaco una nota, in cui ribadiva la tesi sempre sostenuta: che, cioè, la ricorrente aveva operato correttamente nel recupero dei rifiuti avendo fornito la documentazione analitica dei rifiuti introdotti nell'impianto e dei materiali impiegati nella lottizzazione.
In tale nota, si sottolineava, in particolare, che le caratteristiche chimico fisiche riscontrate sui campioni prelevati in sito non potevano essere trasferite automaticamente ai materiali usciti dall'impianto, come, peraltro, ammesso anche dai rappresentanti di Provincia e ARPAV.
Si rilevava anche come il referto fornito dal test di cessione, eseguito sulla frazione di scorie prelevate nella lottizzazione, non poteva essere assunto per valutare l'inquinamento del sito e che per di più, dagli stessi dati dell' ARPAV si desumeva che il valore ottenuto per il cromo era inferiore alla soglia di contaminazione (CSC). Con la conseguenza che il sito non poteva essere qualificato come sito inquinato e dunque tale da rendere necessari interventi di bonifica ovvero di messa in sicurezza ai sensi dell'art. 242 del D.lvo n. 152 del 2006.
In data 27 marzo 2007, il Comune, non tenendo in considerazione le osservazioni della ditta, comunicava "l’avvio del procedimento per la rimozione, l'avvio al recupero ed allo smaltimento dei rifiuti, nonché il ripristino dello stato dei luoghi posti nella lottizzazione denominata Lepia in Vago di Lavagno".
Sulla scorta dei referti dell'ARPAV sui campioni prelevati nel marzo 2006 (materiale mescolato del sotto fondo stradale) e sui campioni di scorie fini prelevati 1'8 novembre 2006, il Sindaco riteneva di dover ricondurre la fattispecie nell'ambito di applicazione dell'art. 192 del D.lvo n. 152 del 2006 (abbandono dei rifiuti), osservando "che i predetti rifiuti non potevano essere utilizzati nell'attività di recupero in regime semplificato" .
La ditta Benini faceva pervenire al Comune le proprie osservazioni, in cui ribadiva di avere operato correttamente nell'esecuzione della lottizzazione Lepia e, in particolare, di avere acquisito preventivamente la certificazione analitica d'idoneità del materiale, che escludeva che la materia prima secondaria potesse essere qualificabile come rifiuto.
Il Sindaco convocava, in data 28 maggio 2007, un'ulteriore conferenza di servizi decisoria, al termine e in esito alla quale si riservava di adottare i provvedimenti più opportuni per fronteggiare lo stato di pericolo indotto dall’impiego di rifiuti nelle opere di sottofondo stradale eseguite dalla ditta Benini.
In quella sede la ditta ricorrente ribadiva che nella specie non era configurabile l'abbandono di rifiuti, né la necessità di un intervento di bonifica in un sito che, alla luce dei parametri rilevati, non poteva essere definito come sito inquinato.
Il rappresentante dell'ARPAV riconosceva, per parte sua, che non sussistendo contaminazione delle matrici ambientali, non doveva essere avviato un procedimento di bonifica, ma, ove il comune ne ravvisasse i presupposti, di rimozione.
Infine, con il provvedimento n. 30 del 7 giugno 2007, impugnato con il ricorso principale, il Sindaco ha ordinato alla ditta ricorrente di provvedere alla messa in sicurezza di emergenza del sito inquinato e, previa predisposizione immediata di un progetto, all’esecuzione delle opere necessarie ad evitare pericoli per la salute pubblica, imponendo, altresì alla ditta stessa il rilascio di una fideiussione a garanzia del costo delle opere necessarie ad evitare che i materiali (rifiuti) inquinati presenti nel sito diventino fonte di pericolo ai sensi della normativa in materia.
Tale provvedimento viene impugnato con il ricorso principale e di esso si chiede l'annullamento, con vittoria di spese per i seguenti motivi:
1) eccesso di potere per perplessità e insufficienza della motivazione.
2) Violazione degli articoli 50 e 54 del D.L.vo 267/2000.
Si sostiene che dal provvedimento impugnato non risulta chiaro quale potere il Sindaco abbia inteso esercitare con l’atto in questione; che in particolare, essendo stati richiamati tanto il D .1vo n. 152 del 2006, contenente norme in materia ambientale, quanto il D.1vo n. 267 del 2000 non è chiaro se il Sindaco abbia inteso esercitare gli specifici poteri di ordinanza che gli sono attribuiti dalle norme in materia ambientale, ovvero il generale potere, previsto dal Testo Unico degli enti locali, di adottare ordinanze contingibili e urgenti e, in tale seconda ipotesi, se il provvedimento sia stato emanato nell'esercizio del potere di ordinanza di cui all'art. 50, comma 5^ del Testo Unico, che prevede ipotesi di emergenze sanitarie o di igiene pubblica, ovvero dell'art. 54, che contempla l'ipotesi in cui sussistano gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini.
3) Violazione degli artt. 244 e 250 del D. Lgs 152/2006; violazione dell’art. 8 comma 8^ del D.M. 25 ottobre 1999 n. 471; incompetenza.
Si sostiene che ove il provvedimento impugnato dovesse ritenersi emanato nell'esercizio di poteri amministrativi attribuiti al comune dalla normativa di tutela dell'ambiente, esso risulterebbe illegittimo per incompetenza in quanto l’art. 244 del D.1vo n. 152 del 2006 stabilisce, che, nel caso in cui il responsabile dell'inquinamento non provveda, gli interventi che risultassero necessari "sono adottati dall'Amministrazione competente in conformità a quanto disposto dall'art. 250" e che quest'ultima disposizione stabilisce, a sua volta, che le procedure e gli interventi di cui all'art. 242 "sono realizzati d'ufficio dal comune territorialmente competente"; che la giurisprudenza, sia pure con specifico riferimento alla previgente normativa di cui all'art. 17 del D.1vo n. 22 del 1997 ha più volte affermato che la norma “ deve essere interpretata conformemente ai principi generali che governano il riparto delle competenze tra organi di direzione politica e amministrativi sanciti dal D.1vo 18 agosto 2000 n. 267 e che, in assenza di deroga ad opera di specifiche disposizioni di legge, attribuisce a questi ultimi "tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'Amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo Statuto fra le funzioni d'indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'ente" e che, conseguentemente, il provvedimento rientra nella competenza del Dirigente e non in quello del Sindaco.
4) violazione artt. 181, 242, 244 e 250 D.L.vo n. 152 del 2006; violazione dell’art: 8 del d.m. n. 471 del 1999. eccesso di potere per illogicità, travisamento dei fatti e insufficienza della motivazione.
Si sostiene che con il provvedimento impugnato, il Sindaco ha ordinato alla ditta ricorrente di provvedere alla messa in sicurezza di emergenza del sito, in attesa di assumere eventuali ulteriori provvedimenti, sul presupposto che il sito dovesse considerarsi inquinato; che il provvedimento è illegittimo in quanto fondato su presupposti di fatto erronei e cioè che contrariamente a quanto si assume nelle premesse dell’ordinanza, il materiale utilizzato dalla ditta ricorrente per la formazione del sotto fondo stradale debba considerarsi rifiuto, costituendo, invece, materia prima secondaria, non soggetta, dunque, alla disciplina in materia di gestione dei rifiuti; che nel caso di specie, i materiali utilizzati per il sottofondo stradale provengono da un impianto autorizzato a trattare rifiuti non pericolosi in regime semplificato ai sensi del D.M. 5 febbraio 1998 e che in forza dell'autorizzazione rilasciata dalla Provincia con determinazione n. 4345 del 2005 tratta scorie di acciaieria e materiali di demolizione che previa verifica analitica della non pericolosità dei materiali (test di cessione); che la ditta ricorrente, prima di iniziare la lavorazione delle scorie provenienti dalla Ditta Riva Acciaio di Verona, ha acquisito le certificazioni previste, caratterizzazione del rifiuto e test di cessione, e, in fase di lavorazione, ha provveduto ad eseguire il test di cessione sia sul rifiuto da lavorare, sia sul prodotto da utilizzare; che non è sostenibile contestare la fattispecie di abbandono incontrollato di rifiuti, secondo quanto previsto dall'art. 192 del D.L.vo n. 152 del 2006, sia perché il materiale del sotto fondo stradale non può considerarsi rifiuto ma materia prima secondaria, perché la ditta ricorrente ha preventivamente informato la direzione dei lavori e il comune dell'utilizzo dei prodotti di recupero, fornendone la certificazione analitica; che non si può sostenere che le scorie di acciaieria introdotte nell'impianto di trattamento, costituenti rifiuti non pericolosi, non potessero essere utilizzati nell'attività di recupero in procedura semplificata di cui al D.M. 5 febbraio 1998; che nella specie non sussistevano i presupposti per un intervento di messa in sicurezza ai sensi degli artt. 242 e seguenti del D.L.vo n. 152 del 2006 giacché la norma prevede che simili interventi debbano essere disposti qualora l'indagine preliminare accerti l'avvenuto superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione laddove nel caso di specie, tali soglie non risultano superate; che l’analisi di rischio specifico, elaborata dalla ditta Benini e prodotta alla conferenza dei servizi del 16 febbraio 2007, esclude, a sua volta, in modo assoluto, l'esistenza di un rischio per le matrici ambientali, terreno e acqua di falda, derivante dal deposito di scorie nel sottofondo stradale; che inoltre la stessa conferenza dei servizi del 28 maggio 2007 ha escluso una contaminazione delle matrici ambientali che avrebbe giustificato il provvedimento di messa in sicurezza.
5) violazione degli artt. 242, 244 e 250 D.L.vo n. 152 del 2006.
Si sostiene che con il medesimo provvedimento, il Sindaco ha anche ordinato alla ditta ricorrente, senza averne il potere, il rilascio di una fideiussione per l'importo di 500.000,00 Euro, a garanzia del costo delle opere necessarie ad evitare che i materiali inquinati presenti nel sito divengano fonte di pericolo ai sensi della normativa in materia; che il provvedimento è, anche per questa parte, illegittimo, non solo perché il sito non può ritenersi inquinato e non sussistono, dunque, i presupposti per l'intervento di messa in sicurezza, ma altresì perché nessuna disposizione legislativa consente all'Amministrazione di imporre al privato la prestazione di garanzie fideiussorie; che in ogni caso, l'importo, particolarmente elevato (500.000 Euro) della fideiussione appare manifestamente sproporzionato rispetto all'entità delle opere che potrebbero rendersi necessarie in seguito alle violazioni contestate alla ditta Benini.
6) violazione degli artt. 7 e 8, l. n. 241 del 1990.
Si sostiene che il provvedimento impugnato è stato emanato nell'esercizio di un potere diverso da quello ipotizzato nella comunicazione di avvio del procedimento e in contrasto con quanto previsto dall'art. 8 della 1. n. 241 del 1990, secondo cui nella comunicazione di avvio del procedimento deve essere indicato, fra l'altro, "l'oggetto del procedimento promosso"; che l’amministrazione avrebbe avuto l'onere di comunicare l'avvio di un nuovo procedimento, indicando con precisione l'oggetto del procedimento stesso e il potere che intendeva esercitare.
7) eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà, e insufficienza della motivazione.
Si sostiene che il provvedimento impugnato è stato emanato in seguito ad una conferenza di servizi, tenutasi in data 28 maggio 2007, espressamente qualificata come "decisoria" al fine di procedere alle valutazioni conclusive ed emettere il provvedimento finale; che la conferenza si è, peraltro, conclusa senza l'emanazione di alcuna determinazione, lasciando al Comune di adottare i provvedimenti opportuni nell'ambito dei poteri conferitegli dalla legge; che, pertanto, illegittimamente il Sindaco, dopo la conclusione della conferenza, ha provveduto, in contrasto, fra l'altro, con l'avviso manifestato dal rappresentante dell'ARPAV, ad emanare l'ordinanza impugnata, senza, peraltro, indicare le ragioni per le quali ha ritenuto di discostarsi dalle conclusioni alle quali era pervenuta la conferenza di servizi.
B) In seguito ai fatti sopraesposti, ad un anno di distanza dall’adozione del primo provvedimento di messa in sicurezza provvisoria il Sindaco del Comune di Lavagno ha ordinato, ai sensi dell'art. 192, terzo comma, del d.lgs. n. 152/2006, alla società Benini, di procedere "alla rimozione, all'avvio al recupero e/o allo smaltimento presso impianti autorizzati dei rifiuti rilevati e sopradescritti (scorie di fonderia/acciaieria) utilizzati nella costruzione delle strade di lottizzazione del piano artigianale, industriale e commerciale in località Lepia di Vago di Lavagno " entro 60 (sessanta) giorni dalla notifica della presente", sotto pena "dell'esecuzione in danno a carico della ditta sopraccitata e al recupero delle somme anticipate".
Ritenendo anche tale ordinanza illegittima e ingiusta, con atto di motivi aggiunti la ditta Benini Escavazioni s.r.l. estende ad esso la domanda di annullamento con vittoria di spese deducendo i seguenti motivi:
1) Violazione e falsa applicazione dell'art. 192, terzo comma del D.Lgs. n. 152/2006, anche in relazione a quanto stabilito dal T.U. n. 267/2000. Incompetenza del Sindaco.
2. Violazione e falsa applicazione dell'art. 7 della legge n. 241/1990.
Si sostiene che se è vero che l'ordinanza impugnata non è stata preceduta da una comunicazione di avvio del procedimento, posto che tale adempimento doveva essere effettuato a cura dell' Amministrazione anche nel caso di specie (a nulla ovviamente valendo la "vecchia" comunicazione di avvio), tanto più che, sino al momento dell'adozione dell'ordinanza avversata in questa sede, il Sindaco aveva sempre prospettato e cercato soluzioni alternative alla rimozione; che in ultimo va osservato che non sussistono (e, comunque, non sono indicate nel provvedimento) eventuali "ragioni di impedimento all'adozione della comunicazione di avvio del procedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento".
3. Violazione e falsa applicazione dell'art. 192 del D. Lgs n. 152/2006. Eccesso di potere sotto il profilo del difetto del presupposto, del travisamento dei fatti, dell'inadeguata istruttoria e dell'insufficiente motivazione. Sviamento di potere.
Si sostiene che il potere previsto dal terzo comma dell'art. 192 del D.1gs. n. 152/2006 è stato conferito all'Amministrazione Locale allo scopo di sanzionare le condotte descritte e vietate dal primo e dal secondo comma del medesimo articolo; che nel caso di specie tuttavia alla ricorrente non può essere contestata la violazione dei predetti divieti: in primo luogo perché il materiale utilizzato per la realizzazione del sottofondo stradale per le opere di urbanizzazione in località Lepia non costituisce rifiuto; che nel caso di specie il materiale utilizzato dalla ricorrente per la formazione del sottofondo stradale è una scoria di acciaieria oggetto di attività recupero in conformità a quanto stabilito dagli art. 181 e ss. del medesimo D. Lgs. 152/2006; che l'attività di recupero effettuata dalla società ricorrente sulle scorie di acciaieria acquisite è avvenuta nel pieno e assoluto rispetto della specifica disciplina in materia; che la società ricorrente era regolarmente autorizzata dalla Provincia di Verona allo svolgimento delle operazioni di "recupero di rifiuti previste dal decreto ministeriale 5 febbraio 1998"; che la società ricorrente ha acquisito le scorie di acciaieria provenienti da Riva Acciai sulla scorta di un certificato di analisi n. 30 del 23.6.2005 rilasciato dall'Università di Padova, che evidenzia la classificazione della scoria come non pericolosa; che in base all'autorizzazione provinciale di cui al precedente punto 1) la ricorrente ha sottoposto il prodotto a test di cessione in conformità all'art. 9 del D.M. 5.2.1998; che inoltre il prodotto è stato sottoposto ad una pluralità di test in conformità sia alle modalità indicate nella versione originaria dell' art. 9 sia alle modalità -nel frattempo introdotte- dal D.M. 186/2006 che ha modificato in parte il D.M. 5.2.1998; che in tutti i casi i test di cessione, effettuati da organismi accreditati, hanno dato esito favorevole e che una volta completate le operazioni di recupero in conformità al D.M. 5.2.1998 (e successive modificazioni) ed accertata, sempre in conformità al predetto decreto, la recuperabi1ità del bene, il materiale oggetto di recupero non può più essere considerato rifiuto.
4. Eccesso di potere il profilo dell'inadeguata istruttoria, dell'erronea valutazione dei presupposti di fatto. Eccesso di potere sotto il profilo della manifesta illogicità. Violazione e falsa applicazione del D.M. n. 186 del 5.4.2006. Violazione e falsa applicazione dell'art. 192 del D.lgs n. 152/2006. Violazione e falsa applicazione della norma UNI 10802..
Si sostiene che l'ordinanza n. 30/2008 è stata adotta sul presupposto (punti 2 e 6 delle premesse) che "dai prelievi e dalle successive analisi di laboratorio per la determinazione della conformità dei materiali utilizzati sarebbe emerso il superamento dei limiti previsti nella tabella dell'Allegato 3 al d m. 186/06"; che tuttavia la società Benini intende contestare la metodologia concretamente seguita per effettuare il campionamento dei materiali sottoposti ad analisi, evidenziando l’assoluta inattendibilità dei risultati ottenuti da prelievi di campioni effettuati in soli tre punti dell'intera superficie della lottizzazione Lepia (che si estende per 35.000 metri quadrati) rispetto a quanto previsto dalle norme nazionali e internazionali in materia e a mente delle quali il numero di punti di prelievo dei campioni da analizzare deve avere una significatività statistica. tale da fornire campioni (da sottoporre ad analisi) che siano effettivamente rappresentativi di masse di materiali presenti a cumulo o distribuiti per strati su superfici di relativamente ampie dimensioni; che le norme UNI stabiliscono che, in relazione agli scopi per cui viene effettuato il campionamento, deve essere predisposto un Piano di campionamento che deve avere i contenuti (definiti "elementi fondamentali") indicati dalla lettera a) alla lettera a l) del punto 4 nella norma UNI., che nel caso di specie non solo risulta del tutto assente un piano di campionamento, ma non sono nemmeno stati rispettati gli elementi fondamentali che debbono indefettibilmente caratterizzare ogni procedura di campionamento; che in considerazione dello stato dei luoghi e degli obiettivi dell'indagine doveva essere applicata la procedura di campionamento sistematico (prevista e regolata dal punto 4.2.2 della norma UNI 10802), che applicata al caso specifico (ove si discorre di un volume totale di materiale pari a 5.000 metri cubi) avrebbe comportato che i punti di prelievo (o nodi da indagare) avrebbero dovuto essere almeno 50, con la formazione di 5 campioni compositi, ciascuno in corrispondenza dei 5 settori in cui è stata suddivisa l'intera area al fine di individuare volumi di almeno 1.000 metri cubi ciascuno (in conformità a quanto previsto dalla DGRV 2922/03); che nulla di tutto questo è stato fatto e che è evidente il carattere assolutamente inadeguato della fase istruttoria del procedimento.
5. Violazione del principio di proporzionalità dell'azione amministrativa. Eccesso di potere sotto il profilo dell'illogicità e della contraddizione.
Si sostiene che nella specie è stato violato il principio di proporzionalità; che tale principio implica che l'Amministrazione debba adottare la soluzione idonea e adeguata, comportante il minor sacrificio possibile per gli interessi compresenti; che nella specie la soluzione prescelta dall'Amministrazione Comunale, oltre ad essere illegittima per le ragioni di carattere procedimentale e sostanziale esposte in precedenza, appare, altresì, in contrasto con il suddetto principio, dato che essa non prevede "la soluzione più idonea e adeguata comportante il minor sacrificio possibile in relazione agli interessi coinvolti" ma che oltre ad avere dei costi economici "diretti" assolutamente insostenibili (stimabili tra i 4 ed 5 milioni di euro) e dei costi "indiretti" ancor più insopportabili, tenuto conto che nella lottizzazione sono insediate da tempo circa trenta ditte (oltre ad un vero e proprio centro commerciale) che dovrebbero chiudere ogni attività per consentire le operazioni di rimozione del materiale utilizzato per costruire i sottofondi; che l’intervento è assai pericoloso anche dal punto di vista dell'impatto ambientale a causa dei gravi danni che deriverebbero all'ambiente ed alla salute umana dall'attività di rimozione del materiale classificato rifiuto; che l'Amministrazione non ha considerato che nel corso dell'intervento, si genererebbe una sorgente, diffusa e non convogliabile, di emissioni aeriformi con sicuri fenomeni di veicolazione di sostanze inquinanti nel terreno sottostante e nelle acque, con la conseguenza che il danno cagionato dall'intervento sarebbe di gran lunga superiore rispetto alla situazione attualmente esistente.
Con ricorso per motivi aggiunti la ricorrente ha introdotto un ulteriore articolato motivo di ricorso per i profili appresso indicati:
8. Eccesso di potere sotto il profilo del difetto di istruttoria, dell'inadeguata valutazione dei presupposti di fatto. Violazione e falsa applicazione dell'art. 192 del D.lgs. n. 152/2006.
Con il motivo di ricorso la ricorrente Benini Escavazioni s.r.l. ribadisce, tra le altre cose, che l'effettuazione di un campionamento in soli tre punti della superficie dell'area in discussione è assolutamente inattendibile; che sussiste un evidente difetto di istruttoria del provvedimento nella parte in cui il Comune di Lavagno ha deciso di ordinare la rimozione degli asseriti rifiuti su un'area di tre ettari e mezzo sulla scorta del risultato di prelievi effettuati in soli tre punti -due soltanto dei quali hanno prodotto analisi con esito negativo; che a tale macroscopico difetto di istruttoria, si aggiunge, un ulteriore profilo sintomatico dell'eccesso di potere intervenuto in seguito agli adempimenti istruttori disposti dal Tribunale Amministrativo Regionale con l’ordinanza n. 695/2008 resa in data 10.9.02008, in esito alla quale è emerso che in 5 dei 15 settori in cui è stata divisa l'area oggetto del provvedimento contestato e che rappresentano più di un terzo della superficie stradale della lottizzazione) non sono state rinvenute le scorie di acciaieria, con la conseguenza che non è possibile ipotizzare la fattispecie dell’abbandono di rifiuti contestata alla ditta Benini; che pertanto, a seguito dei nuovi test di verifica resta confermata l’illegittimità dell’avversato provvedimento di rimozione dei rifiuti per errore e travisamento dei presupposti di fatto sulla classificazione dell’intervento come abbandono di rifiuti. Si sono costituiti in giudizio e resistono al ricorso il Comune di Lavagno, la Provincia di Verona e l’ARPAV di Verona, i quali contestano con distinte memorie tutti i motivi di ricorso, sia principale che aggiunto e ne chiedono il rigetto con vittoria di spese.
All’udienza del 23 aprile 2009, previa audizione delle parti, il ricorso è stato posto in decisione.
DIRITTO
l. Con i primi tre motivi del ricorso principale la ricorrente contesta la circostanza che dal provvedimento impugnato non si evince quale specifico potere il Sindaco abbia esercitato nella fattispecie, soggiungendo che anche nel caso in cui fossero stati correttamente esercitati i poteri di ordinanza attribuiti al medesimo Sindaco dal TUEL, nella specie sarebbe impossibile stabilire se questo potere sia riferibile all’art. 50, comma 5^ che attiene alla materia dell’emergenza sanitaria ovvero all’art. 54 comma 4^ e cioè il potere di ordinanza contingibile e urgente attribuito al Sindaco nella veste di Ufficiale del Governo.
I tre motivi sopra compendiati, che possono essere trattati congiuntamente, in quanto logicamente connessi, sono infondati.
E tutto ciò perché è evidente, sia dal contesto della delibera, ma prima ancora dalla comunicazione di avvio del procedimento, oltre che, in ultimo, dal riferimento al D.Lgs. 152/2006 riportato nelle premesse, che il Sindaco di Lavagno ha agito in forza dei poteri di cui all’art. 192 comma 3^ del D.Lgs. 152/2006 che, come noto prevede che “Fatta salva l'applicazione delle sanzioni di cui agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti e al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati e al recupero delle somme anticipate”.
Non solo, quindi, dal provvedimento impugnato si desume con assoluta chiarezza la natura del potere esercitato dal Sindaco ma, come sopra evidenziato, questa si deduce anche dalla comunicazione di avvio del procedimento del 27 marzo 2007, nella quale è chiaramente esplicitato che “ la fattispecie in questione è riconducibile al disposto dell’art. 192 del d.lgs. 267/2000 che prevede la rimozione dei rifiuti a cura del responsabile” e dal fatto che il procedimento è finalizzato alla necessità di procedere alla caratterizzazione delle matrici ambientali sottostanti i rifiuti (suolo, sottosuolo e acque di falda) ai sensi dell’allegato 2 delle norme citate.
E’ quindi evidente che il provvedimento sindacale non poteva essere equivocato, né quanto a matrice normativa né quanto a presupposti di fatto e dunque che le censure in esame meritano di essere disattese in quanto chiaramente infondate.
2. Con il quarto motivo la ricorrente affronta l'aspetto principale del giudizio, sostenendo che il provvedimento impugnato si baserebbe su un erroneo presupposto di fatto, negando, in particolare, che il materiale utilizzato dalla ditta Benini per i lavori di sottofondo stradale rientri nella categoria dei rifiuti.
A tal fine sostiene che stante l'intervenuto trattamento dei rifiuti presso altro impianto di recupero della medesima ricorrente (lo stesso, osserva il Collegio, in cui, a seguito di contestate inadempienze alle norme che regolano l'attività di recupero in via semplificata e alla contestata violazione delle regole che disciplinano la gestione di detti impianti, è stata sospesa l'autorizzazione in regime semplificato) il materiale proveniente da tale impianto, in quanto sottoposto previamente a test di cessione non potrebbe essere considerato rifiuto.
Sennonché, sul fatto che il materiale utilizzato dalla ditta Benini e riscontrato fuori dai parametri di legge debba qualificarsi rifiuto si sono espressi non solo gli organi tecnici competenti in sede di conferenza dei servizi ed in particolare l’ARPAV e la Provincia di Verona, ma anche lo stesso Ministero dell’Ambiente, il quale, su richiesta del Sindaco di Lavagno, con nota del 23 maggio 2007, a firma del Direttore Generale della Direzione per la qualità della vita, ha espresso il parere che il materiale utilizzato quale sottofondo dalla ditta Benini nel piano di lottizzazione Lepia, in quanto eccedente i parametri di legge, debba essere classificato quale rifiuto e rientrare, dunque, nella disciplina del D. L.vo n. 152 del 2006.
E, invero, il fatto che la ricorrente assuma di possedere tutte le certificazioni di legge e di avere ricevuto il materiale dall'impianto (di proprietà della stessa ricorrente) autorizzato a lavorare rifiuti non pericolosi, in regime semplificato, ai sensi del D.M. 5 febbraio 1998 e quindi che si tratta di materiale sottoposto a test di cessione sia all’atto dell’ingresso nell’impianto che all’uscita da esso, non esclude che dagli accertamenti svolti più volte e in contraddittorio con la ditta Benini dalle competenti Autorità tecniche e da laboratori universitari è emerso (in due casi su tre) che quel materiale, costituito da scorie di fonderia, sottoposto ad esame è risultato in grado di rilasciare sostanze inquinanti (per la presenza di Cromo, di Bario e di valori anomali di PH) in misura superiore ai limiti di legge, sia avuto riguardo alla previgente normativa sia rispetto all'attuale disciplina.
In particolare: sia la concentrazione di cromo, che supera i valori massimi previsti nella tabella dell'allegato 3 al D.M. 186/06 per il cromo totale (vedi anche la nota al rapporto della prova 11038/06 rev. nr. O del 4/11/2007) sia quella del bario che del fosforo sono risultati nettamente fuori norma rispetto ai valori massimi previsti nella tabella dell'allegato 3 al D.M. 186/06 (vedi la nota al rapporto della prova 11041/06 rev. nr. O del 4/11/2007).
Né ciò può essere smentito dalle certificazioni prodotte dalla ricorrente, che si riferiscono a test di cessione effettuati sullo stesso tipo di materiale trattato presso l’impianto di S. Martino Buon Albergo, perché è evidente che anche se quel materiale, in quanto proveniente da un impianto autorizzato a trattarlo, fosse risultato regolare ai test di cessione in entrata ed in uscita dallo stabilimento resterebbe nondimeno il fatto oggettivo che la sua composizione è risultata, al controllo, tale da non poterne consentire l’impiego sul suolo come materia prima secondaria dovendo al contrario essere trattata come rifiuto pericoloso da smaltire in apposita discarica.
Ne consegue che l’ordine di provvedere alla messa in sicurezza del sito inquinato, previa predisposizione immediata di un progetto di esecuzione delle opere atte ad evitare pericoli per la salute pubblica, appare giustificato dai risultati delle verifiche effettuate sul materiale utilizzato; verifiche tecniche, che non possono essere contestate perché la metodologia dei prelievi, come si legge nei documenti di causa è stata concordata ed eseguita in contraddittorio con la parte privata.
Va soggiunto peraltro che il Collegio non vede quale sia l’interesse della ditta ricorrente ad impugnare il provvedimento di messa in sicurezza di emergenza del sito inquinato, una volta che la stessa, pur senza riconoscere la natura di rifiuto del materiale impiegato sul posto, ha proposto un progetto di messa in sicurezza definitiva del sito finalizzato ad evitare l’ordine di rimozione del materiale stesso e la successiva eventuale bonifica del sito.
E’, infatti, appare del tutto logico e giustificato dalle circostanze oggettivamente riscontrate che il Sindaco abbia ordinato, ai sensi dell'art. 192 del D. L.vo 152 del 2006, la messa in sicurezza del sito e il progetto di caratterizzazione prima ed in eventuale alternativa alla rimozione del materiale-rifiuto inquinato.
D’altra parte anche il Ministero dell'Ambiente, con la nota 20 marzo 2007, aveva rilevato la necessità di una verifica della situazione ambientale dell'area prima di adottare provvedimenti definitivi, suggerendo di ritenere "necessario procedere alla caratterizzazione delle matrici ambientali sottostanti i rifiuti (suolo, sottosuolo e acqua di falda), ai sensi dell'Allegato 2 "Criteri generali per la caratterizzazione dei siti contaminati" alla Parte Quarta, Titolo V del D. L.gs. 152/2006, al fine di adottare interventi di messa in sicurezza di emergenza e di successiva bonifica".
Il fatto che le verifiche e i prelievi siano stati numericamente pochi (tre per parte ricorrente, sino a nove per l’amministrazione) e che non tutti i test abbiano dato risultati positivi non esclude quindi che la decisione dell’amministrazione, assunta in esito alla conferenza di servizio del 28 maggio 2007, sia immune dal dedotto vizio di errore di fatto o di travisamento dei presupposti.
E ciò quantomeno ai fini dell’adozione del provvedimento di messa in sicurezza provvisoria del sito.
Il motivo, pertanto, anche a prescinder dai parziali cennati profili di inammissibilità per difetto di interesse, va quindi respinto.
5. Con il quinto motivo la ricorrente si duole che il Sindaco abbia previsto “in attesa che la situazione del sito venga chiarita e a garanzia del costo delle opere necessarie ad evitare che i materiali (rifiuti) inquinanti presenti nel sito divengano fonte di pericolo ai sensi della normativa in materia” il rilascio di una fideiussione di 500.000,00 euro sostenendo che la prescrizione è illegittima sia perché il sito non può ritenersi inquinato e dunque non sussistono i presupposti per l'intervento di messa in sicurezza, sia perché nessuna disposizione legislativa consente all'Amministrazione di imporre al privato, in forza della norma invocata, la prestazione di garanzie fideiussorie e che, in ogni caso, non sarebbe dato conoscere sulla base di quali parametri sia stato determinato l'importo della fideiussione, che appare manifestamente sproporzionato rispetto all'entità delle opere o del danno che la fideiussione intende garantire.
La censura, che peraltro riguarda solo una clausola del provvedimento impugnato, è infondata.
In realtà è vero che le norme del D. Lgs 152/2006 non prevedono espressamente la possibilità per l’amministrazione di ordinare al presunto debitore il rilascio di una fideiussione a garanzia dei danni o delle opere da eseguire in sostituzione del responsabile di violazioni di norme ambientali.
Tuttavia nulla vieta che l’amministrazione possa intimare, pur senza disporre di un effettivo potere coercitivo, il deposito, in via cautelare, di garanzie su somme che la stessa amministrazione ritiene di ascrivere al danno ambientale ovvero di dover essa stessa impiegare nell’esercizio del potere sanzionatorio o surrogatorio per gli interventi che la legge le impone di eseguire in danno del responsabile (nello specifico a seguito della violazione dell’art. 192 del D.Lgs 152/2006).
Ciò, beninteso, a condizione che il provvedimento cui inerisce la richiesta di garanzie fideiussorie preveda di porre a carico (o ponga a carico) del soggetto onerato la realizzazione di interventi previsti dalla legge a titolo di sanzione per la violazione delle norme ambientali e in particolare quando è previsto il potere di esecuzione in danno del responsabile, e sussista un ragionevole rapporto tra l’importo che l’amministrazione richiede e che è garantito dalla fideiussione e quello stimato dall’amministrazione come costo delle stesse operazioni o ovvero come misura del danno ambientale.
Rapporto che nella specie, all’evidenza sembra sussistere, giacchè la ditta ricorrente non solo non nega che il costo della rimozione dei rifiuti, o la messa in sicurezza del sito può raggiungere l’importo della fideiussione ma addirittura sostiene, per giustificare i provvedimenti cautelari, che gli interventi richiesti superebbero, come in effetti documentato nei motivi aggiunti, la misura delle somme oggetto della contestata fideiussione.
6. Infondato è anche il sesto motivo di ricorso con il quale la parte deduce la violazione degli artt. 7 e 8, l. n. 241 del 1990.
Sostiene, infatti, la ricorrente che il provvedimento impugnato sarebbe stato emanato nell'esercizio di un potere diverso da quello ipotizzato nella comunicazione di avvio del procedimento, e in particolare che nell’anzidetta comunicazione non sarebbe stato indicato , "l'oggetto del procedimento promosso" deducendone che l’amministrazione avrebbe dovuto dar corso all'avvio di un nuovo procedimento, contenente l’indicazione della finalità del procedimento stesso e del potere che essa intendeva esercitare.
In realtà tale motivo è, a giudizio del collegio, infondato in punto di fatto, poiché non solo la comunicazione di avvio del procedimento richiama espressamente il provvedimento alla cui adozione è preordinata la procedura ma è del tutto evidente, dagli atti del fascicolo, che la ricorrente ne conosceva chiaramente lo scopo avendo preso parte all’intero procedimento di contestazione relativo all’impiego di rifiuti pericolosi; procedimento che si è articolato in numerosi passaggi (incontri e conferenze di servizio) nel corso dei quali la ditta Benini ha potuto conoscere tempestivamente tutte le contestazioni alla stessa mosse e interloquire su di esse, presentando relazioni, anche tecniche e partecipando alle conferenze di servizi sia con propri esperti che con il proprio legale rappresentante.
Ne consegue che il motivo va respinto.
7. Infondata è infine anche l'ultima censura con cui la ditta Benini assume l’illegittimità del provvedimento impugnato per essere stato emanato in seguito ad una conferenza di servizi decisoria tenutasi in data 28 maggio 2007, espressamente indetta “al fine di procedere alle valutazioni conclusive ed emettere il provvedimento finale"; conferenza che si sarebbe conclusa senza l'emanazione di alcuna determinazione, lasciando al Comune di adottare i provvedimenti ritenuti più opportuni nell'ambito dei poteri conferitigli dalla legge.
In realtà, anche a prescindere dal fatto che la conferenza di servizio risulta essere stata indetta “ai fini dell’adozione di un provvedimento finale di competenza del Comune di Lavagno”, l’affermazione che la conferenza non abbia assunto alcuna determinazione non corrisponde ad una corretta lettura del relativo verbale, poiché, ferma restando la necessità di intervenire per rimuovere la condizione di pericolo di inquinamento creata dalla presenza del rifiuto inquinante, ciò che in conferenza è emerso –secondo parte ricorrente - come elemento di divisione e di incertezza, è stato unicamente un diverso orientamento sul provvedimento da proporre all’amministrazione comunale e precisamente se suggerire l’immediata rimozione del materiale classificato rifiuto ovvero ordinare la messa in sicurezza provvisoria del sito previa presentazione di un progetto da parte della ditta Benini, rinviando in tale ipotesi all’esito della prima operazione la rimozione del materiale inquinante e la successiva bonifica dei luoghi ove fosse accertato l’inquinamento delle matrici ambientali.
La scelta del Sindaco di Lavagno di assumere il provvedimento di messa in sicurezza di emergenza in attesa di esaminare in maniera più approfondita la situazione di inquinamento del sito, pertanto, non solo non è in contraddizione con la conferenza dei servizi, peraltro consultiva e non decisoria, ma ne costituisce, per le ragioni già spiegate una motivata e comunque coerente forma di attuazione di quanto in essa emerso.
Né d’altronde il Collegio ritiene che la ditta Benini possa dolersi della scelta operata dall’amministrazione comunale, che in definitiva costituisce un’opzione a favore di un provvedimento meno gravoso e certamente assai più prudente di quello alternativo, preso in considerazione dalla conferenza di servizio, dell’intervento di rimozione immediata del materiale risultato inquinante.
In ogni caso, dal verbale della conferenza risulta che nessuna delle amministrazioni partecipanti ha proposto di non avviare, nei confronti della ditta Benini, ovvero di archiviare la procedura d’infrazione di cui all’art. 192 del D. Lgs 152/2006.
La dichiarazione del rappresentante dell' ARPAV di non ritenere possibile o opportuno, al momento, l’adozione di un provvedimento di messa in sicurezza definitiva non implica, infatti, che il sito non fosse ritenuto inquinato (né tale poteva essere il senso del parere giacchè è proprio l’ARPAV ad aver rilevato il contrario in sede di controllo) ma che “solo dopo aver avuto certezza che la matrice ambientale è inquinata sarebbe stato possibile optare per la messa in sicurezza definitiva e non per la rimozione del materiale rifiuto”.
Ciò conferma, dunque, che il Sindaco ha adottato un provvedimento coerente e non in contrasto con il parere dell’ARPAV così come, nel complesso, con il risultato della conferenza di servizio.
Il ricorso principale è quindi infondato in tutti i suoi motivi e va respinto.
Quanto al ricorso per motivi aggiunti.
Con il primo motivo la ditta ricorrente contesta la competenza del Sindaco ad emanare l’ordinanza impugnata, assumendo che in base all’art. 107 del D.Lgs. 267/2000 tale attribuzione rientra nelle competenze dirigenziali e non in quelle del Sindaco.
Il motivo è infondato.
Invero, sul punto specifico il Tribunale si è già espresso (cfr. TAR Veneto sez. 3^ n. 49/2009) osservando che “in disparte la considerazione per la quale l’art. 192, comma 3, del D.lgs. n. 152 del 2006, che è norma speciale sopravvenuta rispetto all`art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267 del 2000, attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione e allo smaltimento dei rifiuti, nella specie, per il criterio della specialità e per quello cronologico la norma prevale sul disposto dell`art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267 del 2000 (cfr. Consiglio di Stato, Sez.V, 25 agosto 2008, n. 4061).
La censura va quindi disattesa.
Con il secondo motivo la ricorrente ripropone sostanzialmente la doglianza di violazione e falsa applicazione dell'art. 7 della legge 241/1990, di cui al terzo motivo del ricorso principale, assumendo di non essere mai stata notiziata dell’inizio del procedimento e del fatto che tale procedimento fosse finalizzato all’adozione di un provvedimento di rimozione del materiale considerato rifiuto; comunicazione che sarebbe stata assolutamente necessaria in quanto il procedimento, diversamente dal primo “era chiaramente indirizzato a questo risultato ".
Anche questo motivo è, a giudizio del Collegio, privo di fondamento poiché pur se è vero che la comunicazione di avvio del procedimento richiamata nel provvedimento impugnato è costituita dalla nota del 27 marzo 2007, che si riferisce al procedimento di messa in sicurezza di emergenza e all’ordine intervenuto in data 7 luglio 2007 impugnato con il ricorso principale, la stessa comunicazione avverte che il procedimento avviato dal Comune di Lavagno è finalizzato all’adozione del provvedimento di rimozione del materiale di rifiuto abbandonato nel piano di lottizzazione denominato “Lepia” e contiene le specifiche contestazioni mosse alla ditta Benini (superamento di alcuni dei parametri fissati dall’allegato 3 al D.M. 5/2/11998 sui campioni prelevati da ARPAV Verona in data 8/!!/2006 ed analizzati dall’ARPAV, dall’Università di Padova e dall’azienda Labo Consult di Milano) esattamente riprese nel provvedimento qui impugnato.
Inoltre, come risulta dagli atti di causa, e come già rilevato nell’omologo motivo, il procedimento di verifica del materiale, considerato rifiuto e sottoposto ad ulteriore attività istruttoria, nonché l’esecuzione di ulteriori campionamenti si sono svolte in contraddittorio con la ditta ricorrente, che ha partecipato sistematicamente a tutta l'attività istruttoria svolta dall’amministrazione, attraverso l'amministratore unico, che coadiuvato da consulenti, ha presentato documenti ed interloquito nel corso di tutte le riunioni, tra cui la conferenza di servizio del 25 giugno 2008, nel corso della quale l’amministrazione comunale ha preso atto delle risultanze istruttorie ed ha preannunciato l’emanazione del provvedimento, ritenuto urgente ed emesso il 27 giugno 2008.
La circostanza, quindi, che sia trascorso un lungo lasso di tempo dall'inizio del procedimento alla data di emanazione del provvedimento impugnato appare al Collegio ininfluente sulla legittimità del procedimento, poiché risulta evidente dagli atti di causa che nel periodo che intercorre tra i due provvedimenti impugnati l’attività istruttoria dell’amministrazione comunale non si è mai arrestata e che, in una prima fase, è stata valutata la possibilità di adottare una serie di determinazioni diverse, inclusa quella della messa in sicurezza permanente del sito inquinato, poi esclusa in seguito ai pareri negativi espressi sia dalla Provincia di Verona che dall’ARPAV di Verona, le quali hanno ritenuto prevalente il rischio di contaminazione delle matrici, rispetto a quello, fortemente condizionato dal costo economico dei lavori, rappresentato dal confinamento dei materiali inquinanti in loco in condizioni di assoluta sicurezza per le persone e per l’ambiente.
Le proposte presentate dalla ricorrente, in sede di conferenza di servizio per indurre l’amministrazione ad adottare soluzioni diverse dalla rimozione del materiale inquinante (l'ultimo progetto è del mese di maggio 2008) sono state infatti respinte dagli organi tecnici, che le hanno ritenute errate tecnicamente ancor prima che contrarie alle norme che disciplinano la materia.
E su questo punto la ricorrente sembra aver fatto acquiescenza , poiché pur avendo impugnato le note che contengono tali parere non ha dedotto alcuna specifica doglianza, a parte quella generica e comunque di non decisivo rilievo che le operazioni di rimozione del materiale inquinante avrebbero comportato, anch’esse, rischi di contaminazione ambientale, dei quali si sarebbe dovuto tener conto, come ha fatto l’amministrazione, nel bilanciamento degli interessi tra le due soluzioni.
In conclusione e salva la valutazione di altri profili di censura riferiti alla legittimità di tale opzione il motivo in esame è infondato e va respinto.
Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente contesta, sia la qualificazione del materiale (scorie di fonderia pretrattate e sottoposte a test di cessione) come rifiuto, sia il fatto che i prelievi effettuati dall’amministrazione sarebbero scarsamente significativi perché effettuati in soli tre punti dell'intera area, pari a 35.000 mq. e in violazione, tra l’altro, della norma UNI 10802.
Sennonché tale assunto è, a giudizio del Collegio, infondato in punto di fatto poiché, come dimostra l’amministrazione comunale i verbali dei prelievi effettuati sono stati, innanzitutto, assai più di tre (si veda la documentazione depositata con la prima memoria) e tutti riportano, inoltre, l'indicazione che è stato rispettato il disposto del citato D.M. n. 186 del 2006 e che sono stati eseguiti alla presenza anche di un rappresentante della ricorrente che, come indicato nei verbali dei prelievi stessi, ne ha condiviso la metodologia.
Peraltro, anche a prescindere dal fatto che, come eccepisce parte resistente, la censura sulla metodologia dei prelievi effettuati prima dell’adozione del primo dei provvedimenti impugnati avrebbe dovuto essere dedotta in tale ricorso, non trattandosi di circostanza nuova emersa dopo o in seguito al provvedimento di rimozione del materiale inquinante oggetto del secondo ricorso, resta il fatto che - salva la contestazione sulla mancanza di significatività statistica , riferita all’assunto che nella specie sarebbe occorso un c.d. campionamento sistematico (che su un volume totale di materiale pari a 5000 metri cubi avrebbe richiesto almeno 50 punti di prelievo) - quanto alla metodica di esecuzione della campionatura e quanto alla sua attendibilità tecnica non sono state dedotte, se non genericamente, censure apprezzabili sotto quel profilo, né sono state comprovate con altri referti le diverse risultanze (quanto a diversa presenza, inferiore ai limiti di legge, dei materiali inquinanti rilevati dall’amministrazione a seguito delle verifiche effettuate da soggetti diversi e tutti tecnicamente abilitati come l’ARPAV, l’Università di Padova e la struttura accreditata Control Lab) ottenute dalla ditta Benini, in esito ai propri test.
Il Collegio non rinviene, infatti, nella documentazione tecnica prodotta dalla ditta Benini, elementi idonei a confutare sia i risultati dei test eseguiti dall’amministrazione sulla natura dei materiali classificati da essa rifiuti sia, più in generale, la validità della tecnologia utilizzata per pervenire ai risultati da essa documentati.
Dunque il motivo va, sotto questo profilo, respinto.
Quanto alla necessità di una campionatura sistematica è certamente corretto, oltre che ovvio, assumere che solo un carotaggio sistematico avrebbe potuto dimostrare che l’intera area della lottizzazione ritenuta inquinata è effettivamente tale ma, a parte i costi di siffatta operazione resta il fatto che per stessa ammissione della Ditta Benini il materiale utilizzato come sottofondo stradale appartiene alla medesima tipologia e provenienza (si tratta di scorie di acciaierie provenienti dallo stesso impianto e tutte asseritamente sottoposte a test di cessione successivo al loro trattamento) e che il materiale è stato impiegato pressocchè uniformemente su tutta la lottizzazione.
Né risulta che la ditta ricorrente abbia fornito all’amministrazione una diversa mappatura delle zone, tale da escludere o restringere l’area di ricerca del materiale tipologicamente classificabile come rifiuto.
Ne consegue che, salvo quanto è emerso in concreto a seguito dell’ulteriore verifica disposta ai fini della domanda cautelare dal Tribunale (effettuata su quindici campioni di materiale prelevato in almeno tre diversi settori della lottizzazione) il test ha confermato, per due terzi dell’area, che il materiale in questione, sottoposto a verifica in contraddittorio e con procedure concordate è risultato contenere una concentrazione di cromo superiore, da uno a quattro volte, ai valori massimi previsti dalla tabella dell’allegato 3 al D.M. 186/06 per il cromo totale e (e ciò nei prelievi) e che anche il bario e il pH sono in taluni campioni fuori dai limiti di cui al D.M. citato con ciò confermando, piuttosto che smentendo la significatività statistica degli accertamenti compiuti dall’amministrazione.
Il motivo è quindi, quantomeno nella sua valenza generale, infondato e va respinto.
Con il motivo successivo parte ricorrente deduce la violazione del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa assumendo che la rimozione del materiale usato per il sottofondo stradale non rappresenta la soluzione più idonea e adeguata, né quella che comporta il minimo sacrificio possibile in relazione agli interessi coinvolti, giacchè oltre ad avere costi economici diretti insostenibili per la ditta Benini (stimabili nell’ordine di 4 e 5 milioni di euro) presenta costi indiretti altrettanto, se non ancora più insostenibili per il privato, tenuto conto che nella lottizzazione sono insediate circa trenta ditte e un centro commerciale per le quali l’esecuzione dell’intervento avrebbe effetti pregiudizievoli sulle relative attività; la soluzione della rimozione del materiale, peraltro, sarebbe, secondo parte ricorrente, inaccettabile anche dal punto di vista dell’impatto ambientale per i gravi danni che i lavori di rimozione potrebbe produrre all’ambiente e alla salute umana.
Sostiene inoltre la ditta Benini che la violazione del principio di proporzionalità è ancora più evidente nel fatto che ditta ricorrente è disposta, come ha già fatto, a proporre e ad effettuare ulteriori interventi di messa in sicurezza tali da neutralizzare il rischio di inquinamento paventato dalle amministrazioni intimate, e ciò pur senza rinunciare a contestare in radice i presupposti del provvedimento impugnato.
Sennonché ritiene il Collegio che questa censura non abbia fondamento, dal momento che la scelta di ordinare l’intervento di rimozione del materiale inquinante non è stata assunta dall’amministrazione comunale trascurando la necessaria valutazione del rapporto tra costi economici (estremamente rilevanti) e rischi che sono alla base dell’intervento stesso ma a seguito del diniego motivato da parte di ARPAV e da parte dell’amministrazione provinciale di approvare il progetto di messa in sicurezza definitiva proposto dalla ditta Benini perché il rischio di contaminazione di sorgenti secondarie (suolo superficiale, suolo profondo e falda ) da parte del materiale classificato rifiuto (ossia sorgente primaria di contaminazione) è tale – si legge nel parere dell’ARPAV - da non apparire superabile attraverso interventi provvisori o definitivi come quelli proposti dalla ditta Benini e comunque perché la rimozione del materiale inquinante, che costituisce un fattore di pericolo crescente anche in relazione all’uso ed all’usura del manto della strada di lottizzazione, è necessario per poter rilevare lo stato di contaminazione del suolo e della falda e per predisporre un eventuale intervento di bonifica.
E’ evidente quindi che alla luce di tale giudizio il principio di proporzionalità, riferibile anche alla prospettiva che i costi dell’operazione, per la loro consistenza, possano restare a carico, per la parte non recuperabile a carico dell’amministrazione pubblica, appare adeguatamente rispettato.
Anche il quinto motivo di ricorso va perciò respinto
Residua , a questo punto, l’ultimo motivo di ricorso aggiunto , proposto dopo il supplemento di istruttoria disposto dal TAR con l’ordinanza n. 695/2008 citata in premessa, con cui parte ricorrente ripropone la censura per cui la campionatura di pochi punti di prelievo su cui il comune di Lavagno ha fondato il provvedimento impugnato è “statisticamente inattendibile” deducendone che la contestazione di abbandono incontrollato di rifiuti sarebbe inconsistente, soprattutto allo scopo di ordinare un provvedimento di rimozione del materiale pretesamente inquinante su tutta l’area di lottizzazione.
E ciò a maggior ragione se si considera che, come emerso dai risultati dell’istruttoria ordinata dal TAR, in 5 settori dei 15 in cui è stata suddivisa l’area oggetto del provvedimento contestato (settori che rappresentano, secondo parte ricorrente, più di un terzo della superficie stradale della lottizzazione) non sono state rinvenute scorie di acciaieria e comunque non è stato rilevato il superamento dei valori di legge tale da implicare la classificazione del materiale impiegato come “rifiuto”.
A tale argomento l’amministrazione oppone che la difesa della ditta Benini è palesemente contraddittoria e illogica, risolvendosi nel totale fraintendimento e travisamento dei dati che sono emersi dalle analisi effettuate .
Ciò in quanto la ricorrente nega nell’odierno ricorso di aver utilizzato scorie di acciaieria in tutta l’area mentre in precedenza aveva sempre affermato il contrario e cioè di aver utilizzato le scorie di acciaieria su tutto il fondo stradale precisando che “il materiale usato per la sottofondazione della lottizzazione Lepia aveva una massa di oltre 5.000 metri cubi per una superficie di oltre35.000 metri quadrati (con uno spessore medio del materiale oggetto del recupero pari a 15 centimetri intercalato da strati di materiale vario).
Ne consegue, per l’amministrazione, che in ogni caso quand’anche (solo) in due terzi dell’area sottostante il fondo stradale fosse rilevata, come in effetti è stato, la presenza di scorie inquinanti costituenti rifiuto, questo sarebbe sufficiente a configurare la fattispecie dell’abbandono di rifiuti contestata alla ditta Benini, che oltretutto ben sapeva, secondo l’amministrazione, sin dall’atto del suo impiego che il materiale in questione era (a dir poco) a rischio di classificazione come rifiuto per la sua componente inquinante, siccome proveniente da un impianto per tale ragione era stato colpito da provvedimento di sospensione della gestione in forma semplificata con provvedimento impugnato davanti al TAR.
In realtà il Collegio non ritiene che l’affermazione della ditta Benini alla cui stregua il materiale scorie di acciaieria sarebbe stato impiegato su tutta la lottizzazione sia incompatibile con quella che solo parte di questo materiale sia presente con carattere di rifiuto sull’intera superficie della lottizzazione, posto che in effetti alcune delle campionature , effettuate in esecuzione dell’ordinanza del TAR, per settori (nella specie in 15 distinti settori) hanno dato (in tre casi e per lo stesso tipo di materiale) risultati negativi per tutte le componenti del materiale stesso (si vedano le prove dei test depositate con la relazione sull’esecuzione dell’ordinanza n. 695/2008).
Questo significa, o può significare che effettivamente nei cinque settori individuati ai fini della verifica istruttoria, nei quali il risultato del prelievo ha fornito risposte (tutte) negative sul superamento dei valori di legge per le sostanze di cui all’allegato 3 del D.M. 186/06, non è stato impiegato materiale qualitativamente o quantitativamente appartenente allo stesso tipo, classificato come rifiuto e quindi, salvo che l’amministrazione non intenda effettuare ulteriori verifiche nell’ambito di tali settori, che l’ordine di rimozione non è motivato né può essere giustificato dalla mera presunzione dell’appartenenza di quel materiale alla categoria scorie di acciaieria altrove utilizzato con caratteri diversi.
Per cui se è vero - ma l’amministrazione sul punto non ha fornito né dati quantitativi diversi né quel preciso dettaglio tra campioni (positivi o negativi) e settori di riferimento, richiesti in sede istruttoria- che l’area sulla quale non sono stati riscontrati campioni di materiale classificabile come rifiuto è pari a cinque dei settori analizzati e ad un terzo della superficie complessiva della lottizzazione è del pari evidente che l’ordine di rimozione del materiale inquinante non può riguardare anche tali settori e che l’intervento che l’amministrazione si è riservata di effettuare d’ufficio a spese della ditta Benini non può che essere riferito ai soli settori, prevedibilmente contigui - non essendo ragionevole presumere che la distribuzione del materiale sia avvenuta “a macchia di leopardo”, anche se nulla è stato precisato sul punto a seguito dell’istruttoria, .- nei quali la verifica ha confermato la presenza del materiale inquinante e pericoloso contro la cui permanenza nel sito si sono espressi gli organi tecnici di ARPAV e della Provincia di Verona.
Ne consegue che l’amministrazione, ove provveda d’ufficio, e per quanto ciò possa rendere più complessa l’operazione di rimozione del materiale inquinante, dovrà quindi scorporare dal provvedimento tutte le aree o settori (così determinati e qualificati in sede istruttoria) nei quali non è stata riscontrata traccia di collocazione del materiale inquinato da cromo, bario e/o valori di ph superiori ai limiti di legge.
Il ricorso va quindi accolto parzialmente nei limiti di cui in motivazione e respinto quanto al resto.
Le spese e le competenze di causa seguono la parziale soccombenza e, previa parziale compensazione, sono liquidate nella misura di cui al dispositivo.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, terza Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie parzialmente, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione e, per l'effetto, annulla in parte qua l’ordinanza n. 30 del 27 giugno 2008 del Sindaco di Lavagno.
Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore delle amministrazioni intimate, delle spese di lite, che previa compensazione per la metà liquida in € 2.000,00 (duemila/00) in favore del Comune di Lavagno, e in € 1500,00 (millecinquecento/00) ciascuno in favore della Provincia di Verona e dell’ARPAV di Verona per spese, diritti ed onorari, oltre i.v.a. e c.p.a.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2009 con l'intervento dei Signori:
Angelo De Zotti, Presidente, Estensore
Marco Buricelli, Consigliere
Stefano Mielli, Primo Referendario
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/12/2009