Cass. Sez. III n. 4877 del 31 gennaio 2019 (Ud 13 dic 2018)
Pres. Liberati Est. Corbetta Ric. Dusi
Caccia e animali.Specie particolarmente protette

Ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 30, comma primo, lett. b), legge n. 157 del 1992, rientrano tra le specie particolarmente protette ex art. 2, comma primo, lett. c) l. cit., gli esemplari di animali a rischio di estinzione inclusi nell'allegato II della Convenzione di Berna del 19 settembre 1979, recepita con legge 5 agosto 1981, n. 503


RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnata sentenza, il Tribunale di Brescia, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, condannava Angelo Dusi alla pena di 1.500 euro di ammenda, perché ritenuto responsabile del reato di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen., 30, comma 1, lett. b) e lett. e) l. n. 157 del 1992, perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, deteneva all’interno di una gabbia un esemplare di pettirosso – specie di cui è vietata la caccia ai sensi dell’art.  2 lett. c) della medesima legge - ed esercitava l’uccellagione mediante l’utilizzo di una rete a tramaglio, mezzo vietato dall’art. 21, comma 1, lett. u) della legge in esame.
 
2. Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
2.1. Con il primo motivo si eccepisce violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. denunciando contraddittorietà della motivazione rispetto a quanto riferito dall’imputato in sede di esame. Il ricorrente censura la sentenza impugnata laddove non ha dato credito alla versione dell’imputato, il quale avrebbe reso dichiarazioni logiche dal punto di vista temporale e consequenziale, riferendo: che né il pettirosso, né la rete, che aveva visto la settimana precedente al fatto,  fossero di sua proprietà; che la rete distava circa 200 metri dal capanno  di sua proprietà; che il 10 ottobre 2014 si era semplicemente recato al capanno, aveva dato il mangime agli uccelli di sua proprietà e aveva fatto una passeggiata nel bosco.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. denunciando contraddittorietà della motivazione rispetto a quanto riferito dal teste Cocca. Il ricorrente censura la sentenza impugnata, laddove ha ritenuto che il teste Cocca abbia smentito la versione dell’imputato, nella parte in cui ha riferito, da un lato, di non aver mai visto quella rete, in quanto il teste si sarebbe limitato a precisare che il 10 ottobre 2014 non si era recato in quei luoghi, e, dall’altro, che la rete non fosse visibile, ciò che era riferito alla visuale dalla strada e non dal sentiero percorso dall’imputato.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. per erronea applicazione dell’art. 30, comma 1, lett. b) l. n. 157 del 1992. Ad avviso del ricorrente, il Tribunale avrebbe superficialmente ritenuto che la semplice inclusione del pettirosso nell’elenco di cui all’Allegato II della Convenzione di Berna del 19 settembre 1979, recepita con l. 5 agosto 1981, n. 503, sia di per sé sufficiente per ritenere la specie in questione in via di estinzione, tali essendo, invece, solo quelle contemplate nelle Liste Rosse redatte dall’International Union for Conservation of Nature (IUCN), organizzazione non governativa con sede in Svizzera nonché osservatore in materia ambientale presso le Nazioni Unite; del resto, lo stesso art. 9 della Convenzione di Berna autorizza il prelievo delle specie contemplate dall’Allegato II, ciò che non sarebbe logicamente comprensibile se si trattasse effettivamente di specie in via di estinzione. Nel caso in esame, pertanto, sarebbe ravvisabile la meno grave ipotesi di cui alla lett. h) dell’art. 30, comma 1, l. n. 157 del 1992.  
2.4. Con il quarto motivo si eccepisce violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. per erronea applicazione dell’art. 30, comma 1, lett. e) l. n. 157 del 1992. Assume il ricorrente che il Tribunale avrebbe erroneamente ravvisato il reato in esame, non considerando che esso è configurabile solo se il mezzo usato è idoneo alla cattura di un numero indiscriminato di esemplari, situazione che non sarebbe ravvisabile nel caso di specie, considerando che la rete, pur posizionata da diversi giorni, non conteneva alcun esemplare di volatile.
2.5. Con il quinto motivo si censura violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. essendo la motivazione contraddittoria e manifestazione illogica in ordine all’inapplicabilità dell’art. 131 bis cod. pen. Secondo il ricorrente, il giudice avrebbe escluso la sussistenza dell’invocata causa di non punibilità sulla base di un illogico automatismo tra la detenzione in gabbia del pettirosso e verificarsi di una situazione di crudeltà, che potrebbe  essere ravvisata solo se il volatile fosse detenuto in cattive o inidonee condizioni.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e deve essere, di conseguenza, rigettato.

2. I primi due motivi, che possono essere trattati congiuntamente in quanto tendono a una rivalutazione degli elementi probatori, sono manifestamente infondati.
2.1. Va, in primo luogo, ribadito che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247). Si richiama, sul punto, il costante indirizzo di questa Corte, in forza del quale l'illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., è soltanto quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi; ciò in quanto l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo (Sez. U., n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074). In altri termini, il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene alla ricostruzione dei fatti, né all'apprezzamento del giudice di merito, ma è limitato alla verifica della rispondenza dell'atto impugnato a due requisiti, che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542; Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, dep. 4/1/2012, Siciliano, Rv, 251760).
Questa conclusione, peraltro, non muta a fronte del vigente testo dell'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., come modificato dalla l. 20 febbraio 2006 n. 46, che, invero, non ha trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, la quale che rimane giudice della motivazione, e non del fatto; la stessa, pertanto, non può procedere a una rinnovata valutazione dei fatti, ovvero a una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito. Del pari, il ricorrente non può limitarsi a fornire una versione alternativa del fatto, ma deve indicare specificamente quale sia il punto della motivazione che appare viziato dalla supposta manifesta illogicità e, in concreto, da cosa tale illogicità vada desunta. Al riguardo, l’aver introdotto la possibilità di valutare i vizi della motivazione anche attraverso gli "atti del processo" costituisce il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto "travisamento della prova", che è quel vizio in forza del quale il giudice di legittimità, lungi dal procedere a una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto è stato o meno trasfuso e valutato, senza travisamenti, all'interno della decisione.
In altri termini, vi è "travisamento della prova" quando il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste, o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale (alla disposta perizia è risultato che lo stupefacente non fosse tale ovvero che la firma apocrifa fosse dell'imputato); del pari, può essere valutato se vi erano altri elementi di prova inopinatamente o ingiustamente trascurati o fraintesi. In sintesi, il “travisamento della prova” è configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (Sez. 2, n. 47035 del 3/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 5, n. 18542 del 21/1/2011, Carone, Rv. 250168), fermo restando - occorre ancora ribadirlo – che non spetta comunque a questa Corte "rivalutare" il modo con cui lo specifico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di merito (in questi termini, tra le molte, Sez. 3, n. 5478 del 05/12/2013, Ferraris, Rv. 258693; Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, dep. 27/2/2013, Maggio, Rv. 255087).
2.2. Orbene, il ricorrente, con i primi due motivi di ricorso, propone una diversa lettura degli elementi probatori, che, per contro, sono stati valutati correttamente valutati dal Tribunale, il quale, con motivazione logica e aderente alle emergenze processuali, ha ritenuto la riconducibilità all’imputato sia della rete, sia del pettirosso, sulla base della deposizione del teste Basso, che dapprima, con il binocolo, vide l’imputato armeggiare nei pressi della rete, sotto la quale vi era la gabbia con il pettirosso, e poi lo raggiunse nei pressi dell’auto del Dusi, parcheggiata su una strada campestre a una distanza di circa 20-25 metri. Si tratta di una motivazione adeguata e immune da vizi logici che, quindi, non merita censure.

3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
3.1. Questa Corte ha già affermato il principio, che il Collegio condivide e a cui intende dare continuità, secondo cui ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 30, comma primo, lett. b), legge n. 157 del 1992, rientrano tra le specie particolarmente protette ex art. 2, comma primo, lett. c) l. cit., gli esemplari di animali a rischio di estinzione inclusi nell'allegato II della Convenzione di Berna del 19 settembre 1979, recepita con legge 5 agosto 1981, n. 503 (Sez. 3, n. 16441 del 16/03/2011 - dep. 27/04/2011, Feroldi, Rv. 249859: fattispecie di abbattimento di pettirosso, passera scopaiola e capinera, rientranti tra le specie di cui al predetto allegato II; Sez. 3, n. 23931 del 27/05/2010 - dep. 22/06/2010, Fatti, Rv. 247798).
Invero, la l. n. 157 del 1992, art. 30, comma 1, lett. b) sanziona, con pena alternativa, l'abbattimento la cattura e la detenzione di mammiferi ed uccelli appartenenti alle specie particolarmente protette dettagliatamente elencate nell'art. 2. Tale ultima disposizione, che individua l'oggetto della tutela assicurato dalla legge alla fauna selvatica, della quale fanno parte le specie di mammiferi e di uccelli di cui esistono popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente in stato di naturale libertà nel territorio nazionale, elenca alcune specie ritenute meritevoli di particolare protezione (art. 2, comma 1, lett. a) e b). Oltre all'elencazione specifica delle singole specie, la disposizione in esame contempla alla lett. c), tra le specie particolarmente protette, tutte le altre specie che le direttive comunitarie o le convenzioni internazionali o un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri indicano come minacciate di estinzione e, tra le convenzioni internazionali, rientra la Convenzione relativa alla conservazione della vita selvatica e dell'ambiente naturale in Europa del 19 settembre 1979, detta anche “Convenzione di Berna”, ratificata dall'Italia con la l. 5 agosto 1981, n. 503. La convenzione, come specificato nell'art. 1, si propone lo scopo di assicurare la conservazione della flora e della fauna selvatiche e dei loro habitat naturali con particolare attenzione alle specie, comprese quelle migratrici, minacciate di estinzione e vulnerabili. L'art. 6 impegna le parti contraenti ad adottare specifiche disposizioni normative finalizzate alla salvaguardia delle specie indicate nell'Allegato 2 (specie di fauna rigorosamente protette), prevedendo specifici divieti puntualmente enumerati, tra i quali, alla lett. a), quello relativo a qualsiasi forma di cattura intenzionale, di detenzione e di uccisione intenzionale.
Analogamente, l'art. 7 prevede l'adozione di opportuni presidi normativi per la protezione delle specie di fauna selvatica enumerate nell'Allegato 3 (specie di fauna protette) con specifica indicazione, al comma 2, di una necessaria regolamentazione di qualsiasi sfruttamento di tali specie in modo da non comprometterne la sopravvivenza, nonché di altre specifiche misure contemplate al comma 3. L'art. 9 stabilisce, a determinate condizioni, la possibilità di deroga ad alcune disposizioni, ivi comprese quelle indicate nei menzionati artt. 6 e 7, nonché al divieto di ricorso a mezzi non selettivi di cattura e di uccisione di cui tratta l'art. 8. Scopo dichiarato della Convenzione, dunque, è quello della conservazione della flora e della fauna, come chiaramente indicato anche nelle disposizioni generali, ove il riferimento alla particolare attenzione che gli Stati contraenti dovranno dedicare alle specie minacciate di estinzione e vulnerabili costituisce un’indicazione generica, volta a richiamare l'attenzione sulle specifiche esigenze di tutela delle specie maggiormente esposte a tale rischio. È infatti di tutta evidenza che se la Convenzione ha come finalità specifica quella della conservazione della flora e della fauna selvatiche e dei loro habitat naturali, è implicito l'intento di scongiurarne l'estinzione. Tale esigenza risulta particolarmente avvertita con riferimento alle specie indicate negli Allegati 2 e 3, che assicurano differenti livelli di protezione a specie specificamente indicate. Del resto, la stessa relazione illustrativa che accompagna la Convenzione evidenzia la necessità di predisporre un testo che tenga conto della diversa densità di presenza delle singole specie nei diversi paesi d'Europa fornendo, nel contempo, un valido strumento per un'azione congiunta che consenta, nel perseguimento si uno scopo comune, una certa flessibilità d'azione.
Con specifico riferimento alle specie indicate nell'Allegato 2, la menzionata relazione illustrativa evidenzia (punto 76) che si tratta di un elenco redatto tenendo conto delle liste di mammiferi, uccelli, anfibi e rettili minacciati di estinzione in Europa redatto dal Comitato Europeo per la Conservazione della Natura e delle Risorse Naturali ed oggetto di varie risoluzioni adottate dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa: Risoluzione (77) 7 sulla tutela dei mammiferi minacciati in Europa; Risoluzione (73) 31 sugli uccelli che necessitano di protezione speciale in Europa; Risoluzione (78) 22 sugli anfibi e rettili minacciati in Europa. L'inserimento di altre specie nell'Allegato 3 è, invece, giustificata dalla necessità di assicurarne la protezione prevedendo una possibilità di sfruttamento quando il livello di popolamento in una determinata zona lo consente.
Va poi osservato che l'esigenza di scongiurare il rischio di estinzione delle specie menzionate dalla Convenzione non si pone in contraddizione con la previsione delle deroghe indicate dall'art. 9 della Convenzione medesima.
Invero, lo stesso articolo specifica che dette deroghe sono consentite esclusivamente nel caso in cui non vi siano altre alternative e a condizione che la deroga non sia dannosa per la sopravvivenza delle specie. È inoltre chiaramente precisato che le deroghe possono essere adottate esclusivamente nell'interesse della protezione della flora e della fauna; per prevenire importanti danni a colture, bestiame, zone boschive, riserve di pesca, acque ed altre forme di proprietà; nell'interesse della salute e della sicurezza pubblica, della sicurezza aerea o di altri interessi pubblici prioritari; per fini di ricerca e educativi, per il ripopolamento, per la reintroduzione e per il necessario allevamento; per consentire, sotto stretto controllo, su base selettiva ed entro limiti precisati, la cattura, la detenzione o altro sfruttamento giudizioso di taluni animali e piante selvatiche in pochi esemplari. Si tratta, pertanto, di evenienze particolari rigorosamente disciplinate che non contrastano con le esigenze di tutela e conservazione di cui all'art. 2 come specificato anche nella già citata relazione illustrativa (punto 40).
3.2. Nel caso in esame, pertanto, rientrando la specie Erithacus rebula, cui appartiene il pettirosso, nell’allegato II della Convenzione di Berna, correttamente il Tribunale ha ravvisato il reato di cui all’art. 30, comma 1, lett. b), anziché la più lieve ipotesi di cui alla lett. h) della medesima disposizione.

4. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
4.1. Per costante giurisprudenza di questa Corte, il reato di uccellagione, previsto dall'art. 30, comma 1, lett. e), l. n. 157 del 1992, è modellato come fattispecie di pericolo a consumazione anticipata, per la cui integrazione è sufficiente qualsiasi atto diretto alla cattura di uccelli con mezzi diversi dalle armi da sparo e con potenzialità offensiva indeterminata, non essendo invece richiesta l'effettiva apprensione dei volatili (Sez. 3, n. 7861 del 12/01/2016 - dep. 26/02/2016, Vassalini, Rv. 266278). Si è inoltre chiarito che la linea di demarcazione tra l'uccellagione e la caccia con mezzi vietati è rappresentata dalla possibilità, insita solo nella prima, che si verifichi un indiscriminato depauperamento della fauna selvatica a cagione delle modalità dell'esercizio venatorio e in considerazione della particolarità dei mezzi adoperati (Sez. 3, n. 11350 del 10/02/2015 - dep. 18/03/2015, Ungaro, Rv. 262808); per contro, la caccia con mezzi vietati è diretta alla cattura di singoli e specifici esemplari (Sez. 3, n. 17272 del 21/03/2007 - dep. 07/05/2007, Del Pesce, Rv. 236497).
4.2. Nel caso in esame, il Tribunale si è attenuto ai principi ora richiamati, correttamente ritenendo che, in considerazione delle sue non modeste dimensioni (1,80 m. per 15 m.), la rete predisposta per la cattura fosse un mezzo idoneo a effettuare catture di massa e indiscriminate di volatili. Si tratta di una motivazione giuridicamente corretta e logicamente argomentata, che supera il vaglio di legittimità.

5. Il quinto motivo è manifestamente infondato.
5.1. Invero, la speciale causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis cod. pen. - applicabile ai i reati per i quali è prevista una pena detentiva non superiore, nel massimo, a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta - è configurabile, coma recita il comma 1, “quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”. Il comma 2, peraltro, pone un limite alla discrezionalità del giudizio,  escludendo alcune situazioni ritenute incompatibili con l'idea di speciale tenuità, tra cui, ai fini che qui rilevano, quando l’autore ha agito con crudeltà, anche in danno di animali, in tale locuzione dovendosi ricomprendere quelle condotte che, incidendo oggettivamente sul bene tutelato - e quindi sull’offesa - siano eccedenti rispetto alla normalità causale e determinino, in modo del tutto gratuito, sofferenze aggiuntive agli animali.
5.2. Nel caso in esame, il Tribunale ha fatto buon governo del principio ora affermato, correttamente osservando, da un lato, che la modalità di cattura con rete a tramaglio è fonte di particolare e prolungata sofferenza per l’esemplare di avifauna catturato a causa del tentativo di liberarsi, e, dall’altro, che l’utilizzo di uccelli da richiamo è preceduto dal periodo di “chiusa”, durante il quale i volatili vengono tenuti al buio per lunghi mesi al fine di falsare il loro ciclo annuale, di modo che, una volta riportati all’aperto nella stagione venatoria, convinti che sia giunta primavera, essi “richiamano” i loro simili, e ciò determina, all’evidenza, uno stravolgimento completo della fisiologia e dell’etologia dei volali sottoposti a tale pratica.

6. In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 13/12/2018.