Cass. Sez. III n, 23392 del 11 giugno 2024 (UP 23 apr 2024)
Pres. Andreazza Rel. Noviello Ric. Moretti
Caccia e animali.Elemento della crudeltà

L’elemento della crudeltà, quale possibile parte integrante del fatto tipico dell’art. 544 ter comma 1 c.p. (che punisce chi cagiona ad animali una lesione o li sottopone a sevizie o comportamenti o fatiche o lavori insopportabili  “per crudeltà o senza necessità”) si distingue dal diverso giudizio ostativo di crudeltà di cui all’art. 131 bis c.p., che può scaturire dalla complessiva e più ampia considerazione della intera vicenda, come emergente dalla istruttoria ovvero dagli atti disponibili ( a seconda del rito prescelto).  

RITENUTO IN FATTO 

    1. Con sentenza di cui in epigrafe, la Corte di appello di Genova, riformando parzialmente la sentenza del tribunale di Genova, dichiarava non doversi procedere nei confronti di Moretti Riccardo in ordine al reato ex art. 30 lett. h della L. 157/1992 perché estinto per prescrizione, rideterminando la pena finale in ordine al residuo reato ex art. 544 ter c.p., così confermando nel resto la sentenza. 

    2. Avverso la predetta sentenza Moretti Riccardo ha proposto ricorso per cassazione attraverso il rispettivo difensore, deducendo quattro motivi di impugnazione. 

    3. Con il primo motivo, ha dedotto vizi di violazione di legge rappresentando che, pur a fronte dell’avvenuto deposito presso la cancelleria della Corte di appello della nomina del nuovo difensore di fiducia dell’imputato, in data 7.11.2023, la Corte di appello di Genova, adita con impugnazione avverso la sentenza di primo grado inerente il presente procedimento, comunicava le conclusioni scritte redatte dal Procuratore Generale al solo difensore già revocato dal Moretti, il quale di seguito provvedeva all’inoltro delle stesse al nuovo difensore. Emergerebbe, quindi, la nullità per la mancata comunicazione delle predette conclusioni al nuovo e attuale difensore del ricorrente, eccepita dal difensore alla Corte di appello, in base al combinato disposto ex artt. 178  comma 1 lett. c) e 180 cod. proc. pen., emergendo la lesione del diritto di difesa, atteso che il giudizio cartolare di appello presuppone la conoscenza delle conclusioni della Pubblica Accusa. 

    4. Con il secondo motivo deduce il vizio di violazione di legge processuale, atteso che la Corte di appello, nonostante la eccepita violazione di cui al precedente motivo, avrebbe notificato il dispositivo di sentenza al primo difensore poi revocato. Così mettendo a rischio la conoscenza dei termini per la presentazione dei motivi di impugnazione, con violazione dell’art. 23 bis del D.L. 137/2000 convertito con L. 176/2020. Solo a seguito di accesso in cancelleria, del 27.12.2023, l’attuale difensore avrebbe avuto contezza del deposito della parte motiva della sentenza impugnata.

    5. Con il terzo motivo, deduce la violazione dell’art. 131 bis c.p., atteso che la Corte avrebbe escluso la fattispecie per la crudeltà manifestata, sebbene nel capo di imputazione non risulti contestata alcuna crudeltà. La Corte non avrebbe poi considerato la sussistenza di requisiti idonei a giustificare la fattispecie in esame. 

    6. Con il quarto motivo, deduce la violazione degli art. 62 bis c.p. e 133 c.p. e il vizio di mancanza di motivazione. Si rappresenta che la corte non avrebbe considerato, ai fini delle attenuanti generiche, l’avvenuto deposito di copia di un assegno circolare corrisposto a titolo di risarcimento della parte lesa, come quantificato dal primo giudice. 

CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Il primo motivo è inammissibile. Lo stesso ricorrente dà atto di avere avuto comunque cognizione delle conclusioni del Procuratore Generale,  seppure attraverso la collaborazione del precedente difensore, né deduce né una conoscenza delle stesse irrispettosa dei termini dettati dal legislatore al riguardo, né comunque alcuna specifica intervenuta lesione del diritto di difesa, posto che, anzi, aggiunge di avere depositato conclusioni scritte. Non si evidenzia, quindi, alcun vizio rilevante, posto che non trova in alcun modo concreta applicabilità nel caso in esame (per il quale, invero, non è dato sapere se la conoscenza delle conclusioni del Procuratore Generale sia intervenuta o meno tardivamente rispetto alla scansione legislativamente stabilita), il comunque ben delimitato principio secondo il quale, nel giudizio cartolare d'appello, celebrato secondo la disciplina emergenziale pandemica da Covid-19 ai sensi dell'art. 23-bis del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 176, il deposito tardivo (non emergente nel caso in esame), per via telematica, al difensore dell'imputato delle conclusioni scritte del procuratore generale, non integra, di per sé, una nullità di ordine generale per violazione del diritto di difesa, in quanto, stante il carattere tassativo delle nullità e l'assenza di una sanzione processuale per tale ipotesi, è necessario in ogni caso specificare il concreto pregiudizio derivatone alle ragioni della difesa, come - a titolo esemplificativo - la necessità di approfondimenti per la laboriosità delle imputazioni o per la complessità delle tesi avversarie. (Sez. 7 - , Ordinanza n. 32812 del 16/03/2023 Rv. 285331 – 01). 

    2. Inammissibile è anche il secondo motivo. Il ricorso risulta tempestivamente proposto né si allegano specifici pregiudizi defensionali conseguenti alla vicenda processuale come descritta, per la quale invero non si rinvengono specifiche e tassative ipotesi di nullità, emergendo al più una disfunzione informativa, cui ha ovviato la stessa diligenza del difensore dell’imputato. 

    3. Quanto al terzo motivo, anche esso è inammissibile. Il giudizio inerente la sussistenza di una condotta crudele, come tale ostativa alla applicazione della fattispecie invocata, rientra nel quadro della libera valutazione, affidata al giudice e non sindacabile in questa sede se non in termini di manifesti vizi di motivazione, della complessiva condotta come emergente dalla istruttoria dibattimentale; tanto si desume dalla espressa disposizione di cui all’art. 131 bis comma 2 prima parte c.p., ai sensi del quale “l’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quanto l’autore ha agito (..) con crudeltà, anche in danno di animali (…)”: con espressione che, quindi, trascende da qualsiasi delimitazione che possa essere segnata dal perimetro della formale contestazione, per rimandare, piuttosto, ad una valutazione che abbia riguardo a tutti gli elementi istruttori comunque emersi, in funzione della verifica del grado di offensività della condotta. In altri termini, il giudizio di crudeltà, espressamente esteso quale causa ostativa alla applicazione della fattispecie in parola, anche per reati commessi in danno di animali, non può essere impedito dalla mera circostanza per cui il profilo così valorizzato dal giudice non sarebbe stato oggetto del capo di imputazione, per il solo motivo per cui si procede alla contestazione di maltrattamenti senza necessità e non “per crudeltà”. 
Può conclusivamente evidenziarsi, quindi, che l’elemento della crudeltà, quale possibile parte integrante del fatto tipico dell’art. 544 ter comma 1 c.p. (che punisce chi cagiona ad animali una lesione o li sottopone a sevizie o comportamenti o fatiche o lavori insopportabili  “per crudeltà o senza necessità”) si distingue dal diverso giudizio ostativo di crudeltà di cui all’art. 131 bis c.p., che può scaturire dalla complessiva e più ampia considerazione della intera vicenda, come emergente dalla istruttoria ovvero dagli atti disponibili ( a seconda del rito prescelto).  

    4. Riguardo alle invocate generiche, si osserva che l’assegno citato in ricorso risulta allegato alle conclusioni scritte presentate in appello non solo senza rivendicarne la possibile valorizzazione ai fini in esame, ma innanzitutto quale adempimento, doveroso, correlato al pagamento della provvisionale immediatamente esecutiva, così che non può che riconoscersi la ragionevolezza delle esposte ragioni di esclusione delle attenuanti in parola. 

    5. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende

Così deciso, il 23/04/2024.