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Sez. 3, Sentenza n. 26127 del 19/05/2005 Ud. (dep. 15/07/2005 ) Rv. 231999
Presidente: Onorato P. Estensore: Squassoni C. Relatore: Squassoni C. Imputato: Allegri. P.M. Passacantando G. (Conf.)
(Dichiara inammissibile,Trib.Novara,s.d. Borgomanero, 30 Gennaio 2003)
PRODUZIONE, COMMERCIO E CONSUMO - IN GENERE - Detenzione di animali pericolosi per la salute e l'incolumità pubblica - Canguri - Sussistenza - Ragioni.

È vietata la detenzione di animali che costituiscano pericolo per la salute o la pubblica incolumità e tra essi sono contemplati i canguri, i quali sono stati inclusi dal D.M. 19 aprile 1996 nell'elenco di quelli da ritenere pericolosi, a prescindere da ogni valutazione sulla loro concreta nocività e sulle specifiche modalità della loro custodia.

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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. ONORATO Pierluigi - Presidente - del 19/05/2005
Dott. MANCINI Franco - Consigliere - SENTENZA
Dott. TARDINO Vincenzo - Consigliere - N. 1071
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - N. 016205/2003
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) ALLEGRI GIUSEPPE N. IL 07/05/1973;
avverso SENTENZA del 30/01/2003 TRIB. SEZ. DIST. di BORGOMANERO;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. SQUASSONI CLAUDIA;
udito il P.M. in persona del Dott. PASSACANTANDO Guglielmo che ha chiesto l'inammissibilità del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza 30.1.2003, il Tribunale di Novara sd Borgomanero ha ritenuto Allegri Giuseppe responsabile del reato previsto dall'art. 6 c. 4 L. 150/1992 (per avere detenuto un canguro, proveniente da riproduzione in cattività, rientrante nello elenco delle specie considerate pericolose per la salute e la incolumità pubblica) e lo ha condannato alla pena di euro quattromila di ammenda ordinando la confisca dello animale in sequestro.
Avverso la sentenza, l'imputato ha proposto appello che deve essere qualificato ricorso per Cassazione essendo la decisione del primo Giudice solo sindacabile a sensi dell'art. 593 uc c.p.p.. Nei motivi di impugnazione, Allegri deduce:
che il bene giuridico tutelato dalla L. 150/1992 non è mai stato posto in pericolo (in quanto l'animale era in un recinto ben determinato ed isolato dallo ambiente circostante) sicché la sua condotta manca della necessaria lesività;
che era meritevole del beneficio della non menzione;
che non si è data risposta alla sua richiesta che l'animale venisse affidato a terze persone in loco.
Il Collegio rileva che le deduzioni sono manifestamente infondate per cui il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma - che stima equo quantificare in euro cinquecento alla Cassa delle Ammende.
La L. 150/1992, all'art. 6 c. 1, vieta la detenzione di animali che "costituiscono pericolo per la salute e la incolumità pubblica";
tale requisito non costituisce un elemento integrativo della fattispecie che il Giudice deve valutare in concreto, in rapporto alle peculiarità del caso, al fine del perfezionamento del reato. Il pericolo in questione rappresenta il punto di riferimento per la emanazione del decreto previsto dall'art. 6 c. 2 (con il quale i Ministri competenti stabiliscono i criteri da applicare nella individuazione delle specie di cui vietare la detenzione) e per la predisposizione, di conseguenza, dell'elenco di tali esemplari. Il DM 19.4.1996, emanato in attuazione dell'art. 6 c. 2, ha inserito l'animale per cui è processo tra quelli da considerarsi pericolosi per cui la sua detenzione non era consentita a prescindere da ogni valutazione sulla sua concreta nocività e sulle sicure modalità della sua custodia; questa ultima circostanza può solo costituire un indice per determinare la non gravità della condotta dello imputato ai fini sanzionatori.
Per quanto concerne la non menzione della condanna nel certificato penale, si osserva che il beneficio non era stato chiesto nelle conclusioni dibattimentali per cui l'imputato non può dolersi del mancato esercizio, da parte del Giudice, di un potere discrezionale che non aveva sollecitato.
Relativamente alla ultima censura, è appena il caso di osservare come la confisca fosse obbligatoria a sensi dell'art. 240 c. 2 c.p. e la collocazione dell'esemplare, in esito alla misura di sicurezza, non fosse di competenza dell'imputato.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro cinquecento alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 19 maggio 2005.
Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2005

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica Dott. ONORATO Pierluigi - Presidente - del 19/05/2005 Dott. MANCINI Franco - Consigliere - SENTENZA Dott. TARDINO Vincenzo - Consigliere - N. 1071 Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - REGISTRO GENERALE Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - N. 016205/2003 ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: 1) ALLEGRI GIUSEPPE N. IL 07/05/1973; avverso SENTENZA del 30/01/2003 TRIB. SEZ. DIST. di BORGOMANERO; visti gli atti, la sentenza ed il procedimento; udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. SQUASSONI CLAUDIA; udito il P.M. in persona del Dott. PASSACANTANDO Guglielmo che ha chiesto l'inammissibilità del ricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE Con sentenza 30.1.2003, il Tribunale di Novara sd Borgomanero ha ritenuto Allegri Giuseppe responsabile del reato previsto dall'art. 6 c. 4 L. 150/1992 (per avere detenuto un canguro, proveniente da riproduzione in cattività, rientrante nello elenco delle specie considerate pericolose per la salute e la incolumità pubblica) e lo ha condannato alla pena di euro quattromila di ammenda ordinando la confisca dello animale in sequestro. Avverso la sentenza, l'imputato ha proposto appello che deve essere qualificato ricorso per Cassazione essendo la decisione del primo Giudice solo sindacabile a sensi dell'art. 593 uc c.p.p.. Nei motivi di impugnazione, Allegri deduce: che il bene giuridico tutelato dalla L. 150/1992 non è mai stato posto in pericolo (in quanto l'animale era in un recinto ben determinato ed isolato dallo ambiente circostante) sicché la sua condotta manca della necessaria lesività; che era meritevole del beneficio della non menzione; che non si è data risposta alla sua richiesta che l'animale venisse affidato a terze persone in loco. Il Collegio rileva che le deduzioni sono manifestamente infondate per cui il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma - che stima equo quantificare in euro cinquecento alla Cassa delle Ammende. La L. 150/1992, all'art. 6 c. 1, vieta la detenzione di animali che "costituiscono pericolo per la salute e la incolumità pubblica"; tale requisito non costituisce un elemento integrativo della fattispecie che il Giudice deve valutare in concreto, in rapporto alle peculiarità del caso, al fine del perfezionamento del reato. Il pericolo in questione rappresenta il punto di riferimento per la emanazione del decreto previsto dall'art. 6 c. 2 (con il quale i Ministri competenti stabiliscono i criteri da applicare nella individuazione delle specie di cui vietare la detenzione) e per la predisposizione, di conseguenza, dell'elenco di tali esemplari. Il DM 19.4.1996, emanato in attuazione dell'art. 6 c. 2, ha inserito l'animale per cui è processo tra quelli da considerarsi pericolosi per cui la sua detenzione non era consentita a prescindere da ogni valutazione sulla sua concreta nocività e sulle sicure modalità della sua custodia; questa ultima circostanza può solo costituire un indice per determinare la non gravità della condotta dello imputato ai fini sanzionatori. Per quanto concerne la non menzione della condanna nel certificato penale, si osserva che il beneficio non era stato chiesto nelle conclusioni dibattimentali per cui l'imputato non può dolersi del mancato esercizio, da parte del Giudice, di un potere discrezionale che non aveva sollecitato. Relativamente alla ultima censura, è appena il caso di osservare come la confisca fosse obbligatoria a sensi dell'art. 240 c. 2 c.p. e la collocazione dell'esemplare, in esito alla misura di sicurezza, non fosse di competenza dell'imputato. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro cinquecento alla Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma, il 19 maggio 2005. Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2005