GIP Tribunale Avellino decr. 2580 del 22 giugno 2012
Beni Culturali. Danneggiamento per omissione

L’evento lesivo dell’oggetto materiale, infatti, può verificarsi sia attraverso un solo atto, istantaneamente, sia attraverso un comportamento continuo e prolungato, attivo o inerte, come per esempio il persistente stato di abbandono, tale da lasciare il bene materiale privo di ogni cautela da aggressioni umane (c.d. vandalismo), dai fattori naturali (insetti o agenti atmosferici) o da elementi chimico-fisici (i fattori inquinanti)



Proc. pen. n. 2580/2012 R. GIP

Proc. pen. n. 2353/2012 RGNR

 

 

TRIBUNALE DI AVELLINO

Sezione dei Giudici per le indagini preliminari

 

DECRETO DI SEQUESTRO PREVENTIVO

(art. 321 c.p.p.)

 

 

Il Giudice per le indagini preliminari, dott. Giuseppe Riccardi

 

letta la richiesta del 24 maggio 2012 con la quale il P.M. in sede ha chiesto l’emissione di un decreto di sequestro preventivo, ai sensi dell’art. 321 co. 1 c.p.p., delle aree ubicate in Atripalda, località Civita (folio 1 part. 159, 161, 211, 212, 213);

letti gli atti del procedimento sopra indicato nei riguardi di XX, YY, KK, WW, sottoposti ad indagini in relazione al reato di danneggiamento al patrimonio archeologico nazionale (art. 733 c.p.);

ha emesso il seguente

 

DECRETO

 

Va preliminarmente osservato che secondo la condivisibile giurisprudenza di legittimità, “tra i presupposti di ammissibilità del sequestro, sia esso preventivo o probatorio, non è da includere la fondatezza dell’accusa e tantomeno la colpevolezza dell’imputato, bensì l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato, salvo che la sua infondatezza risulti del tutto manifesta” (Cass. pen., Sez. II, sentenza n. 22712 del 5-6-08).

Ebbene, alla stregua delle indagini espletate, deve ritenersi che ricorra il fumus commissi delicti –inteso come “astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito ad un soggetto in una determinata ipotesi di reato” (per tutte, Cass.pen., Sezioni Unite, 23 aprile 1993 n. 4, Gifuni)- del reato ipotizzato: invero, secondo quanto emerge dalle relazioni della Soprintendenza per i beni archeologici di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta, nonché dalla CNR del Comando CC Tutela patrimoniale e culturale, fin dal 1974 è stata rinvenuta, sulle aree di proprietà dei germani XX, una zona di rilevante interesse archeologico –la Civita di Atripalda-; nell’area sono state infatti rinvenute strutture significative e complessi monumentali risalenti all’antica colonia romana di Abellinum.

Con D.M. 14.2.1975 l’area è stata sottoposta a vincolo archeologico, successivamente e progressivamente esteso per gli ulteriori rinvenimenti effettuati (cinta muraria, domus signorile di stile pompeiano, ornata con pavimentazioni a mosaico e pitture parietali, complesso termale, strada lastricata –decumano-).

Peraltro, l’area archeologica in esame è stata oggetto di numerose controversie giudiziarie –relativamente ai decreti di occupazione temporanea, ai criteri di determinazione dell’indennità di occupazione, e poi del risarcimento per il mutamento di destinazione urbanistica-; nonostante la riscossione del risarcimento da parte dei germani XX, in seguito alla declaratoria di illegittimità costituzionale per eccesso di delega dell’art. 43 DPR 327/2001 che disciplinava la c.d. acquisizione ‘sanante’ (Corte Cost., 8.10.2010 n. 293), con la quale le aree erano state acquisite al patrimonio pubblico, veniva disposta, in sede di giudizio amministrativo, la restituzione delle aree agli originari proprietari (TAR Campania – Sezione Salerno, 16.1.2009), materialmente avvenuta il 17 maggio 2011 (cfr. verbale di immissione in possesso).

In data 2.8.2011 il TAR Salerno, in accoglimento dell’incidente di esecuzione promosso, ordinava la riconsegna delle aree alla Soprintendenza competente, al fine di consentire gli interventi di manutenzione e salvaguardia dei resti archeologici, ed evitare il degrado del sito; con decreto del 19.9.2011 la Soprintendenza ordinava l’esecuzione di interventi a tutela del sito (completamento dei lavori di copertura, posa in opera delle superfici vetrate, pulizia dei piani pavimentali a mosaico e degli intonaci parietali, in fase di scollamento e distacco), ai sensi dell’art. 33 D.lgs. 42/2004 (che disciplina gli “interventi conservativi imposti”), disponendo l’accesso al sito per il 3.10.2012, comunicato ai proprietari dell’area, i germani XX, ed al commissario ad acta; tuttavia, nella data prevista per l’accesso, i predetti germani non si presentavano, impedendo l’ingresso al sito, precluso dalla chiusura dell’area con un lucchetto.

Ulteriori convocazioni per la riconsegna delle aree e l’effettuazione degli interventi urgenti di ripristino e manutenzione del sito archeologico venivano fissate per il 7.12.2011, e poi per il 12.1.2012, ma comunque invano.

Nel frattempo, le abbondanti nevicate del febbraio 2012, in assenza di qualsivoglia intervento di manutenzione, aggravavano la situazione di degrado del sito, causando addirittura crolli delle coperture provvisorie della domus romana, di due colonne del peristilio, nonché il distacco degli intonaci parietali, il dilavamento delle superfici pittoriche, il sollevamento dei piani pavimentali e lo sfondamento dei containers adoperati per il deposito di materiali archeologici rinvenuti durante gli scavi (cfr. relazione Soprintendenza del 4.4.2012 e fascicolo fotografico in atti).

 

Alla stregua di tale ricostruzione dei fatti, va dunque affermata la sussistenza del fumus del reato di danneggiamento del patrimonio archeologico nazionale previsto dall’art. 733 c.p. .

Secondo l’interpretazione consolidatasi anche nella giurisprudenza di legittimità, la contravvenzione di cui all’art. 733 c.p. costituisce un “presidio esterno al sistema di tutela” (in tal senso, ex multis, Cass.pen., sez. III, 22.1.1999 n. 3624, Crabolu) apprestato per i beni culturali, prima dalla L. 1089/1938 (art. 59), poi dal D.lgs. 490/99 (art. 118), ed infine dal D.lgs. 42/2004 (c.d. Codice dei beni culturali ed ambientali); infatti, se la tutela interna delinea il reato di danneggiamento dei beni culturali (attuale art. 169 D.lgs. 42/2004), la cui culturalità risulti acclarata, la tutela codicistica è residuale, non avendo tra gli elementi costitutivi la preselezione da parte dell’autorità amministrativa competente del bene culturale; l’art. 733 c.p., infatti, costituendo una eccezione al danneggiamento comune, che non è configurabile quando abbia ad oggetto cosa propria dell’agente, richiede, tra gli elementi costitutivi della fattispecie penale, la mera conoscenza da parte dell’agente del rilevante pregio del bene (non della culturalità della cosa) ed il verificarsi della condizione obiettiva di punibilità costituita dal nocumento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale derivante dal fatto (cfr. ancora Cass.pen., sez. III, 22.1.1999 n. 3624, Crabolu).

Ebbene, nel caso di specie, ai germani XX era senz’altro noto non soltanto il rilevante pregio del sito archeologico rinvenuto nelle aree di loro proprietà, ma altresì la culturalità del bene, in ragione del vincolo archeologico imposto dalla Soprintendenza fin dal 1975.

Peraltro, la fattispecie concreta non appare allo stato ascrivibile al reato previsto dall’art. 169 D.lgs. 42/2004, che, configurando un reato di condotta consumato con la mera attività di demolizione, rimozione, modificazione, restaurazione o esecuzione di opere senza autorizzazione dell’amministrazione competente, sembra connotare la condotta tipica in termini esclusivamente attivi, bensì alla fattispecie di cui all’art. 733 c.p., che, configurando un reato di evento di danno, che si perfeziona allorquando la condotta dell’agente provochi la distruzione, il deterioramento o il danneggiamento di monumenti o altre cose di rilevante pregio (Cass.pen., sez. III, 29.4.1998 n. 7129, Salogni), connota la condotta dell’agente anche in termini omissivi.

 

Invero, nel caso del sito archeologico di Abellinum i germani XX, nonostante un’ordinanza di riconsegna delle aree per consentire gli interventi urgenti di manutenzione e ripristino, e ben tre convocazioni per consentire l’accesso al sito, precluso dall’apposizione di un lucchetto, hanno mantenuto una condotta di inerzia ostruzionistica.

Al riguardo, giova evidenziare che la configurabilità di un danneggiamento per omissione, pur revocata in dubbio da una autorevole, quanto isolata, dottrina, sulla base delle caratteristiche strutturali della fattispecie (dispersione, deterioramento e inservibilità quali modalità ‘vincolate’ di realizzazione del fatto legate ad una specifica forma di condotta) e della natura meramente patrimoniale del bene giuridico tutelato, è al contrario ammessa dalla unanime giurisprudenza (a proposito dell’art. 733 c.p., Cass.pen., sez. III, n. 195115 del 1993: “L’evento lesivo dell’oggetto materiale, infatti, può verificarsi sia attraverso un solo atto, istantaneamente, sia attraverso un comportamento continuo e prolungato, attivo o inerte, come per esempio il persistente stato di abbandono, tale da lasciare il bene materiale privo di ogni cautela da aggressioni umane (c.d. vandalismo), dai fattori naturali (insetti o agenti atmosferici) o da elementi chimico-fisici (i fattori inquinanti)”), e dalla dottrina assolutamente prevalente, sul rilievo che l’evento da impedire, ai fini dell’operatività della clausola di equivalenza prevista dall’art. 40 comma 2 c.p., può essere costituito da qualsiasi fatto rispetto al quale possa essere posto il problema della causalità omissiva.

In altri termini, i criteri ermeneutici di selezione, che restringerebbero l’operatività della clausola di equivalenza di cui all’art. 40 comma 2 c.p. ai soli reati ‘causali puri’ ed ai beni giuridici di più spiccata rilevanza costituzionale (vita e incolumità, individuale e collettiva), sarebbero artificiosi, e privi di ‘aggancio’ normativo

Tale seconda opinione merita condivisione, atteso che l’individuazione di limiti strutturali e funzionali alla configurabilità di reati omissivi impropri, pur esprimendo una spiccata sensibilità politico-criminale, appare maggiormente plausibile, in assenza di dati normativi, in una prospettiva de iure condendo, nel solco di un bilanciamento, espressivo di consapevoli scelte politico-criminali, tra la funzione di solidarietà sociale sottesa all’emersione dei reati omissivi, ed i limiti al carattere promozionale del diritto penale.

Alla stregua delle argomentazioni che precedono, dunque, va affermata la configurabilità di un danneggiamento per omissione: ciò che rileva, invero, è la fonte del comando, della posizione di garanzia alla base dell’obbligo di agire, che, nella fattispecie, va individuata negli obblighi di conservazione dei beni culturali imposti (anche) al privato proprietario dall’art. 30 del D.lgs. 42/2004 (“I privati proprietari, possessori o detentori di beni culturali sono tenuti a garantirne la conservazione”).

Tali obblighi di conservazione, dunque, delineano, in capo ai privati proprietari delle aree su cui insiste il sito archeologico, una posizione di garanzia generatrice dell’obbligo giuridico di impedire l’evento tipico, ovvero il danneggiamento dei rilevanti beni archeologici rinvenuti, determinato dalla condotta inerte ed ostruzionistica posta in essere per impedire alla Soprintendenza l’effettuazione degli urgenti interventi di manutenzione e restauro.

È pacifico che, trattandosi di una contravvenzione, è sufficiente ad integrare la c.d. tipicità soggettiva la mera colpa, senz’altro enucleabile nel comportamento inerte coscientemente mantenuto, nonostante la consapevolezza del rilevante pregio dei beni e del degrado al quale erano esposti in caso di prolungata omessa manutenzione, dagli indagati, ripetutamente convocati per consentire l’accesso al sito archeologico.

Va infine osservato, nei limiti della vicenda cautelare, che appare altresì integrato l’evento-condizione (art. 44 c.p.) costituito dal nocumento al patrimonio archeologico nazionale, che pure costituisce il proprium di una fattispecie penale incriminatrice di un danneggiamento di cosa propria.

Invero, il rilevante interesse archeologico del sito, acclarato già dai vincoli imposti dalla Soprintendenza fin dal 1975, è stato evidenziato sia da studiosi escussi nel procedimento (Prof. Francesco Barra, che ha sottolineato l’ “immenso interesse storico archeologico”), sia da pubblicazioni di rilievo scientifico, acquisite al fascicolo, che, nell’attestare la riconducibilità del sito di Abellinum agli insediamenti di epoca romana, lo inseriscono in un contesto di rilevanza nazionale, nel quale sono inserite anche le necropoli di Pompei ed Ercolano, suscettibile di attestare la civiltà nazionale nelle varie espressioni culturali di tutte le epoche.

La verificazione dell’evento-condizione del nocumento, dunque, si incentra sul grave stato di degrado nel quale versa ormai da oltre un anno il prezioso sito archeologico, connotato da crolli delle coperture provvisorie della domus romana, di due colonne del peristilio, nonché dal distacco degli intonaci parietali, dal dilavamento delle superfici pittoriche, dal sollevamento dei piani pavimentali e dallo sfondamento dei containers adoperati per il deposito di materiali archeologici rinvenuti durante gli scavi (cfr. relazione Soprintendenza del 4.4.2012 e fascicolo fotografico in atti).

 

Oltre alla confiscabilità delle aree sulle quali insiste il sito (ai sensi dell’art. 733 comma 2 c.p.), ricorre altresì il requisito del periculum in mora, atteso che, nelle more del procedimento di acquisizione definitiva delle aree da parte della P.A., la disponibilità delle stesse in capo agli indagati, in assenza di qualsivoglia condotta, pur doverosa, di conservazione e di cooperazione nella manutenzione del sito (nei limiti indicati in motivazione, e sulla base dei dicta giurisdizionali dell’A.G. competente), può determinare una situazione di ulteriore aggravamento o protrazione delle conseguenze del reato, atteso che il sito archeologico, in assenza di urgenti interventi di manutenzione e restauro, oltre ad essere sottratto alla fruizione da parte della collettività, è sottoposto ad un processo di irreversibile degrado.

 

Trattandosi di cose suscettibili di deterioramento, affida la custodia delle aree alla Soprintendenza per i beni archeologici di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta, affinché provveda, nei limiti e con le forme previste dalle norme vigenti in materia ambientale, agli interventi conservativi e manutentivi del sito archeologico.

 

P.Q.M.

 

letto l’art. 321 c.p.p., in accoglimento della richiesta del P.M., dispone il sequestro preventivo delle aree ubicate in Atripalda, località Civita (folio 1 part. 159, 161, 211, 212, 213), sulle quali insiste il sito archeologico Abellinum.

 

Affida la custodia delle aree in sequestro alla Soprintendenza per i beni archeologici di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta, affinché provveda, nei limiti e con le forme previste dalle norme vigenti in materia ambientale, agli interventi conservativi e manutentivi del sito archeologico

 

Manda la Cancelleria per l’immediata trasmissione, ex art. 104 e 92 disp. att. c.p.p., di duplice copia del presente decreto al Pubblico Ministero richiedente perché ne curi l’esecuzione e per gli altri adempimenti.

 

Avellino, 22 giugno 2012

 

Il Giudice per le indagini preliminari

dott. Giuseppe Riccardi