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Cons. Stato Sez. VI sent. 4579 del 22 agosto 2003
Autorizzazione paesistica. Annullamento

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 4001  del 1998 , proposto da CAIAZZO Raffaele , rappresentato e difeso  dagli avv.ti Vincenzo Napoli e Angelo Saturno , elettivamente domiciliato  presso il sig. Michele Russillo (Libreria Gulliver) in Roma, Via Tuscolana, n. 771;

contro

il Ministero dei Beni Culturali e Ambientali , in persona del Ministro pro-tempore, e la Sovrintendenza ai B.A.A.S. di Salerno e Avellino, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentati  e difesi  dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale sono per legge domiciliati, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

e nei confronti

del Comune di Camerota, non costituito;

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sede di Salerno,  n. 61  del 27 gennaio 1998 .

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Avvocatura dello Stato;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del 13 maggio 2003  il Cons. Giuseppe Minicone;

Uditi l’avv. Abbamonte, per delega dell’avv. Saturno,  e l’avv. dello Stato Pino ;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

Con ricorso notificato il 30 giugno 1990, il sig. Raffaele Caiazzo  impugnava, innanzi al Tribunale amministrativo regionale della Campania, Sede di Salerno,  il decreto ministeriale del 28 marzo 1990, recante l’annullamento dell’autorizzazione n. 16 del 16 gennaio 1990, con cui il Sindaco di Camerota aveva assentito la ristrutturazione ed ampliamento di un fabbricato sito alla via Bolivar.

Avverso detto provvedimento, nonché contro il D.M. 28 marzo 1985, anch’esso contestualmente impugnato, l’istante deduceva le seguenti censure:

1) violazione dell'art. 82 del DPR. n. 616/77 e successive modificazioni  ed eccesso di potere per arbitrarietà, in quanto il decreto ministeriale sarebbe stato notificato al ricorrente oltre il termine perentorio stabilito dalla legge;

2) violazione dell'art. 82 del DPR. n. 616/77 e dell'art. 1 della L. n. 431/85 e della C.M. n. 8/85 ed eccesso di potere per difetto del presupposto e contraddittorietà, in quanto il vincolo di inedificabilità sarebbe decaduto, essendo decorso il termine finale del 31 dicembre 1986;

3) e 4) violazione dell'art. 82 del DPR. n. 616/77 e dell'art. 7 L. n. 1497/39 e della LR. n. 10/82 ed eccesso di potere per difetto del presupposto, di istruttoria e di motivazione in quanto l’intervento progettato non provocherebbe nessuna alterazione ambientale;

5) violazione dell'art. 11 del R.D. 3 giugno 1940 n. 1357, dell'art. 1 L. n.  431/85 e degli artt. 1 e 2 del DM. 21 settembre 1984 ed eccesso di potere per difetto del presupposto, in quanto il decreto impositivo del vincolo sarebbe inefficace per mancata notifica al ricorrente.

Il giudice adito, con la sentenza in epigrafe, ha respinto il ricorso, affermando la legittimità dell’annullamento ministeriale, stante il difetto di motivazione del provvedimento comunale.

Avverso detta decisione ha proposto appello l’interessato, confutando le argomentazioni del primo giudice e riproponendo le censure svolte nell’atto introduttivo.

L’Amministrazione appellata si è difesa depositando la memoria già svolta in primo grado.

Il Comune di Camerota non si è costituito.

Alla pubblica udienza del 13 maggio 2003, l’appello è stato introitato per la decisione.

DIRITTO

1. Il sig. Raffaele Caiazzo appella la sentenza con la quale il Tribunale amministrativo regionale della Campania, Sede di Salerno, ha respinto il suo ricorso contro il decreto del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali del 28 marzo 1990, recante l’annullamento dell’autorizzazione n. 16 del 16 gennaio 1990, con cui il Sindaco di Camerota aveva assentito la ristrutturazione ed ampliamento di un fabbricato sito alla via Bolivar.

2. Con il primo motivo di gravame l’interessato sostiene, in contrasto con il primo giudice, la sufficienza della motivazione dell’atto annullato, in considerazione della circostanza che l’intervento edilizio ricadeva in area del tutto edificata ed urbanizzata, nella quale non vi sarebbe stato nessun valore naturalistico da proteggere, e che, anzi, essendo inserita nello strumento urbanistico come zona di completamento edilizio, era da considerarsi addirittura esente da vincolo paesaggistico per espressa previsione dell’art. 1, 2° comma, del D.L. 27 giugno 1985, n. 312, convertito in L. 8 agosto 1985, n. 431.

2.1. Al riguardo va, però, osservato che il provvedimento autorizzatorio comunale si sorregge sul mero richiamo al parere della Commissione edilizia, il quale, a sua volta, si risolve nella considerazione apodittica e già precostituita a stampa “che l’intervento non appare tale da risultare pregiudizievole per l’ambiente circostante, in (rectius: né) tale da incidere sostanzialmente sui valori paesistici”.

Trattasi, all’evidenza, di motivazione affatto generica e stereotipa, inidonea a dar conto dell’avvenuto apprezzamento di tutte le rilevanti circostanze di fatto e della non manifesta irragionevolezza della scelta del Comune di dare prevalenza all’interesse del privato rispetto a quello tutelato, in via primaria, attraverso l’imposizione del vincolo; apprezzamento pacificamente necessario, alla stregua della giurisprudenza consolidata (cfr., per tutte, Cons. St. Ad. Pl. 14 dicembre 2001, n. 9), alla cui carenza non può certo supplire la soggettiva valutazione dell’appellante circa l’assenza, nella specie, di valori da salvaguardare.

2.2. Quanto, poi, al rilievo, contenuto nello stesso motivo, secondo il quale l’area di insistenza dell’intervento, in quanto inclusa nello strumento urbanistico del Comune di Camerota, sarebbe addirittura esclusa dal vincolo paesaggistico, ai sensi dall’art. 1, comma 2, del citato D.L. n. 312/1985, lo stesso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto tenta di introdurre, in appello, una censura nuova rispetto al ricorso originario, attraverso la riproduzione di argomentazioni già, invero, dichiarate inammissibili dal T.A.R., perché svolte per la prima volta, a suo tempo, con memoria tardiva e non notificata.

3. Con il secondo motivo di appello l’istante sostiene che erroneamente il giudice di prime cure avrebbe affermato che egli non aveva sollevato alcuna doglianza per censurare il difetto di motivazione del decreto ministeriale di annullamento del nulla osta comunale, essendo stata una siffatta doglianza proposta con il punto 3 dell’atto introduttivo.

Sennonché, tale deduzione è frutto di evidente travisamento, giacché il T.A.R. ha, invece, affermato, nella sentenza impugnata, che il ricorrente non aveva addotto alcun argomento per confutare il difetto di motivazione del provvedimento sindacale, rilevato dal Ministero.

3.1. Con riguardo specifico al decreto ministeriale impugnato, l’istante deduce, attraverso due distinti profili di doglianza svolti nell’ambito del medesimo secondo motivo, l’insufficienza della motivazione, per essersi limitata l’Autorità statale ad utilizzare una formula stereotipa, identica per tutta una serie di provvedimenti di annullamento riguardanti lo stesso Comune.

Anche tale censura non merita, però, accoglimento, ove solo si consideri l’assoluta assenza di motivazione del provvedimento di autorizzazione, che non richiedeva, stante la sua evidenza, alcuna particolare argomentazione volta a sottolinearne più diffusamente l’esistenza, essendo tale vizio assorbente, per sua natura, di ogni altra considerazione.

3.2. Ugualmente infondato è il rilievo, secondo il quale non sarebbe sufficiente la carenza di motivazione del nulla osta sindacale ad integrare il vizio di legittimità richiesto dall’ordinamento per l’intervento ministeriale, essendo, invece, necessario che della motivazione offerta sia affermata l’erroneità.

E appena il caso di osservare, infatti, che, secondo i principi affermati dalla giurisprudenza in materia di esercizio del potere ministeriale di annullamento, l’insufficienza della motivazione è un vizio autonomo di legittimità del nulla osta, tale da giustificare l’intervento caducatorio.

3.3. Deduce, ancora, l’istante, sotto ulteriore profilo, che il Ministero, in considerazione della circostanza che l’intervento assentito non comportava soltanto una nuova edificazione, ma anche un recupero di pregresse strutture e una traslazione di corpi di fabbrica senza aumento di volumetria, avrebbe potuto disporre un annullamento parziale e la conformazione dell’intervento stesso.

3.3.1. L’assunto non può essere condiviso.

Il potere ministeriale di vigilanza sulle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dalla Regione (o dagli enti da essa delegati) ha per oggetto solo la conformità a legge di tali autorizzazioni e non consente, quindi, all’Autorità statale di modificare queste ultime o influire su ciò che possa o no essere realizzato, perché, in tal modo, si determinerebbe, come risultato finale, una modificazione dei luoghi in difformità delle valutazioni dell’Ente territoriale competente, il che il legislatore non ha ritenuto di consentire (cfr. Cons. St. Ad. Pl. n. 9/2001 cit.).

4. Con il terzo motivo di appello, l’interessato deduce l’erroneità del presupposto dell’inedificabilità dei luoghi, per essere il vincolo apposto con il D.M. 28 marzo 1985 ormai scaduto per l’inutile decorso del termine perentorio del 31 dicembre 1986, data entro la quale la Regione avrebbe dovuto adottare il piano paesistico.

4.1. L’assunto non può essere condiviso.

4.2. L'art. 1-quinquies del D.L. n. 312/1985 pone alla durata del divieto di edificazione nelle zone sottoposte a vincolo un termine finale incerto nel “quando”, coincidente con «l'adozione da parte delle regioni dei piani di cui all'art. 1-bis». Quest'ultima norma prevede, a sua volta, l'obbligo delle Regioni di approvare piani paesistici (o piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali) entro il 31 dicembre 1986 e contempla, nel caso di inutile decorso di tale termine, l'esercizio di poteri sostitutivi da parte del Ministro per i beni culturali e ambientali ai sensi degli artt. 4 e 82 D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.

Orbene, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza consolidata (cfr., da ultimo, Cons. St., VI Sez., n.  2130 del 9 aprile 2001), il termine del 31 dicembre 1986, previsto dall'art. 1 bis L. 8 agosto 1985 n. 431 per l'approvazione dei piani paesistici da parte delle Regioni, non ha carattere perentorio, ma solo ordinatorio; pertanto, la scadenza del predetto termine non implica l'estinzione del potere di approvazione, ma obbedisce alla funzione di stabilire il momento dopo il quale diviene legittimo il ricorso a misure sostitutive, con la conseguenza che le misure di salvaguardia di cui agli artt. 1 ter e quinquies permangono fino a quando non siano stati approvati i piani paesistici, o fino a quando non siano stati esercitati i relativi poteri sostitutivi.

5. Sostiene, ancora, l’appellante, con il quarto motivo, l’inefficacia del vincolo posto dal D.M. 28 marzo 1985, in quanto detto decreto non sarebbe stato a lui notificato e sarebbe stato adottato ben oltre i termini perentori di cui agli artt. 1 e 2 del D.M. 21 settembre 1984.

5.1. Entrambi i rilievi sono privi di pregio.

5.2. Il decreto di individuazione delle zone vincolate è stato notificato mediante pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, alla stregua della previsione dell’art. 2, comma 3, del D.M. 21 settembre 1984, che richiama le formalità indicate dalla legge 29 giugno 1939, n. 1497, e dal regolamento 3 giugno 1940, n. 1357.

5.3. Né l’art. 2 del citato decreto del 1984 reca termini perentori per l’emanazione dei decreti di vincolo, giacché esso si limita a fissare due termini endoprocedimentali, chiaramente ordinatori (il primo, di novanta giorni, da osservarsi dai competenti organi periferici del Ministero per i beni culturali e ambientali per l’individuazione delle aree da sottoporre a vincolo; il secondo, di trenta giorni per la trasmissione degli elenchi di tali aree al Ministero), mentre non fissa alcun ulteriore termine per l’approvazione degli elenchi stessi.

6. Infondato è, infine, anche il quinto motivo di gravame, volto a sostenere l’illegittimità del decreto ministeriale di annullamento, per essere stato lo stesso notificato oltre i sessanta giorni di cui all’art. 82 DPR 616/77.

Ed infatti, come è giurisprudenza consolidata, detto provvedimento non ha natura di atto recettizio e, quindi, il termine perentorio di sessanta giorni a tal fine previsto dal citato art. 82 attiene al solo esercizio del potere di annullamento da parte dell'Amministrazione statale e non anche alla sua comunicazione o notificazione ai destinatari (cfr. Cons. St., VI Sez., 13 febbraio 2001, n. 685).

7. In conclusione, l’appello deve essere respinto.

Motivi di equità inducono a disporre la compensazione delle spese e degli onorari del grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione VI), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe, come specificato in motivazione, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, addì 13 maggio 2003 , dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione VI) in Camera di Consiglio, con l’intervento dei Signori:

Giorgio GIOVANNINI                                  Presidente

Luigi MARUOTTI                                          Consigliere

Carmine VOLPE                                            Consigliere

Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI          Consigliere

Giuseppe MINICONE                                   Consigliere Est.