IL DIRITTO DI ACCESSO ALL’INFORMAZIONE AMBIENTALE
PREMESSA
Il miglioramento del rapporto tra la pubblica amministrazione e il cittadino, è conseguenza del superamento dell’antico principio della segretezza dell’azione amministrativa, sostituito dall’obbligo crescente di informazione, manifestatosi sotto le vesti del diritto di accesso e della comunicazione dell’avvio del procedimento[1].
Pur in assenza di un esplicito ancoraggio costituzionale, i cui riferimenti possono comunque essere desunti dagli artt. 21 e 97, l’ordinamento italiano ha disciplinato compiutamente le modalità di partecipazione al procedimento amministrativo, nel 1990 con la legge n. 241.
Nel 2005, la legge n. 15, si è preoccupata rispetto alla precedente, di meglio definire il diritto di accesso, ora chiaramente inteso come il diritto a prendere visione ed estrarre copia dei documenti amministrativi[2].
Tra gli istituti disciplinati dal testo di legge appena citato, il diritto di accesso, è stato certamente quello che più ha inciso nei rapporti tra l’amministrazione e il privato, consentendo il superamento del diritto alla riservatezza, in favore di un controllo sull’azione dei pubblici poteri[3].
Tale diritto, ad ogni modo, subisce delle limitazioni, ove si consideri che esso è riconosciuto solo a colui il quale abbia un interesse diretto, concreto ed attuale, e non alla generalità dei consociati, senza dimenticare i limiti oggettivi al suo esercizio contemplati dall’art. 24, cui aggiungere l’impossibilità di ottenere dati elaborati, non risultanti direttamente dal testo del documento[4].
In ragione di quanto appena affermato, il legislatore, ha predisposto una specifica disciplina, riguardante singole materie, per le quali si è avvertita la necessità di approntare una normativa peculiare, ancora più incisiva.
Uno di questi settori è proprio quello ambientale, per il quale la circolazione delle informazioni, ha assunto una importanza crescente, stante la rilevanza della protezione dell’ecosistema[5].
Obiettivo della diffusione delle informazioni è quello di favorire la conoscenza dello stato di salute dell’ambiente, in modo tale da consentire la maturazione di una maggiore consapevolezza nei comportamenti individuali e collettivi[6]
Non bisogna dimenticare che l’affermazione del diritto all’informazione ambientale, favorito dall’influenza della normativa comunitaria, ispirata, a sua volta, dalla pluralità delle convenzioni internazionali, è stato anche facilitato dal rilievo costituzionale attribuito all’ambiente, a seguito della riforma del Titolo V, il cui art. 117, assegna allo Stato, la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali[7].
LE FONTI DEL DIRITTO ALL’INFORMAZIONE AMBIENTALE
a) Il diritto internazionale
La necessità di fronteggiare le problematiche legate alla conservazione dell’ecosistema, richiede uno sforzo comune di tutti gli Stati, ragione per cui l’affermazione dei principi di accesso e di libera circolazione delle informazioni ambientali, è avvenuta, prima di tutto, nel diritto internazionale[8].
L’importanza dell’educazione ai problemi ambientali fu sancita per la prima volta nel 1972, con la cosiddetta Dichiarazione di Stoccolma, alla Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente Umano (UNCHE), il cui preambolo proclamò il diritto dell’uomo a vivere in un ambiente sano.
In base al primo principio, l’uomo ha il diritto fondamentale alla libertà, all’eguaglianza ed a condizioni di vita soddisfacenti in un ambiente di qualità tale da permettergli di vivere in dignità e benessere. Aggiunge il diciannovesimo principio, la necessità di un’educazione ai problemi ambientali attraverso il senso di responsabilità di singoli e collettività per la protezione e il miglioramento dell’ambiente nella sua piena dimensione umana allo scopo di garantire progresso e sviluppo anche alle generazioni future.
A distanza di quindici anni, nel rapporto Brundtland, anche soprannominato Our common future, la Commissione Mondiale Indipendente per l’Ambiente e lo Sviluppo (CMAS), delle Nazioni Unite, pose l’attenzione sull’importanza della partecipazione dei cittadini e delle ONG, ai processi decisionali, al fine di meglio garantire il raggiungimento di uno sviluppo sostenibile[9].
Anche la Carta africana dei Diritti dell’uomo e dei popoli, adottata il 28 giugno 1981 a Nairobi[10], nella Conferenza dei Capi di Stato e di Governo dell’organizzazione dell’Unità Africana, all’art. 9, menzionò il diritto dei singoli a partecipare liberamente alla direzione degli affari pubblici del proprio Paese.
L’anno successivo l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, adottò con la Risoluzione n. 37/7, la Carta mondiale della natura, secondo cui, le strategie di protezione dell’ambiente e le attività realizzate, devono essere conoscibili dal pubblico attraverso degli strumenti adeguati, in modo tale da permettere una opportuna circolazione delle informazioni[11]. In specie, secondo l’art. 23, tutti gli individui avranno la possibilità, in conformità con la legislazione del proprio paese, di partecipare individualmente, od in associazione con altri individui, all’elaborazione delle decisioni che riguardano direttamente il patrimonio ambientale e, nel caso di danno o di degradazione dell’ambiente stesso, essi dovranno avere accesso alle procedure dirette ad ottenere la riparazione del danno.
Il diritto all’informazione e alla partecipazione in materia ambientale, fu ribadito, nel 1989, dalla Carta europea dell’ambiente e della salute, adottata a Francoforte, dai Ministri dell’Ambiente e della Sanità degli Stati europei aderenti all’Organizzazione mondiale della Sanità, la quale dispose, oltre all’ovvio diritto alla salute e al benessere, quello ad essere informati e consultati, in modo da favorire una concreta partecipazione ai processi decisionali in materia ambientale.
Segue la Carta Europea di Parigi nel 1990, incentrata sull’impegno a rendere matura e consapevole l’opinione pubblica in merito all’ambiente, ripreso lo stesso anno a Siena dal Forum Internazionale dell’ambiente, nell’ambito del quale, non solo si sottolineò l’importanza della divulgazione delle informazioni, ma si aggiunse l’opportunità, o meglio la vera e propria necessità, di favorire lo sviluppo di una politica di istruzione ambientale, al fine di consentire una partecipazione effettiva[12].
Avvicinandoci ai giorni nostri, la Dichiarazione di Rio del 1992, ha individuato le modalità di partecipazione all’adozione delle decisioni pubbliche.
Secondo il principio n. 10, le questioni di carattere ambientale saranno meglio gestite tramite la partecipazione di tutti cittadini interessati ai vari livelli; a livello nazionale ogni individuo dovrà avere accesso appropriato alle informazioni di carattere ambientale detenute dai pubblici poteri, e gli Stati dovranno, inoltre, facilitare ed incoraggiare la partecipazione e la sensibilizzazione del pubblico mettendo ampiamente a disposizione le informazioni ambientali ed assicurando l’accesso effettivo ai procedimenti amministrativi e giudiziari.
Il principio della partecipazione dei cittadini è stato poi ripreso e definito dall’Agenda XXI. Il paragrafo 23.1 riconosce l’importanza dell’effettiva partecipazione dei gruppi sociali, che, secondo il successivo paragrafo 23.2, deve avvenire mediante la garanzia del diritto di accesso alle informazioni possedute dalle autorità nazionali, capaci di incidere sull’ambiente. Il paragrafo 36, individua, infine, quale opportuna strategia d’azione l’adeguamento dei programmi d’istruzione al fine di favorire la sensibilizzazione del pubblico, in modo tale da rendere effettiva la partecipazione dei singoli e dei gruppi, alla diffusione delle informazioni e ai processi decisionali pubblici[13].
In attuazione dell’art. 10 della Dichiarazione di Rio, la Terza Conferenza Europea dei Ministri dell’Ambiente, tenutasi a Sofia nel 1995, ha adottato le linee guida sull’accesso all’informazione ambientale e la partecipazione pubblica ai processi decisionali in materia ambientale, le quali pur non essendo giuridicamente vincolanti, si sforzano di fornire una regolamentazione delle modalità di accesso alle informazioni e di partecipazione ai processi decisionali.
In particolare, la sezione I, dedicata al diritto di accesso, dispone che qualsiasi persona, fisica o giuridica, dovrebbe avere libero accesso alle informazioni, indipendentemente dalla cittadinanza, nazionalità o domicilio e senza dover provare un interesse giuridico od altro interesse effettivo al dine del rilascio dei dati. Aggiunge la sezione II, che gli Stati hanno il dovere di garantire la partecipazione ai processi decisionali in materia ambientale. Infine, la sezione III, si preoccupa di sottolineare la necessità che, le norme disciplinanti i procedimenti amministrativi e giudiziari, siano giuste in modo tale che la partecipazione non sia eccessivamente onerosa per il ricorrente.[14]
Di pari passo, anche le convenzioni internazionali riguardanti specifici aspetti della tematica ambientale, hanno attribuito centralità al diritto di accesso e di partecipazione.
Una delle prime è stata la Convenzione di Espoo nel 1991, riguardante la valutazione dell’impatto ambientale transfrontaliero, secondo cui, le Parti sono chiamate a predisporre una procedura di valutazione di impatto ambientale atta a permettere la partecipazione del pubblico.
I problemi ambientali transfrontalieri sono stati l’occasione per tornare nuovamente sul tema nel 1992, con la Convenzione di Helsinki, riguardante, per l’appunto, gli effetti transfrontalieri degli incidenti industriali. L’art. 9 della suddetta Convenzione, si preoccupa di sottolineare la necessità della divulgazione delle informazioni, nelle aree ad alto rischio di incidente industriale, le quali devono essere comunicate attraverso i canali più opportuni. Quanto alle modalità di partecipazione del pubblico, la Parte deve, quando possibile ed opportuno, consentire la partecipazione alle relative procedure, allo scopo di rendere note le proprie considerazioni sulle misure di prevenzione e di preparazione, assicurando che l’opportunità riconosciuta al pubblico della parte colpita sia equivalente a quella data al pubblico della parte d’origine.
Sempre nel 1992, l’art. 9 della Convenzione di Parigi per la protezione dell’ambiente marino del Nord Est dell’Atlantico, ha conferito alle persone fisiche e giuridiche il diritto ad ottenere le informazioni, a prescindere da un concreto interesse del richiedente.
Giungiamo così alla Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione del 1994, che ha riconosciuto il diritto di accesso delle popolazioni locali alle informazioni, e la necessità di sviluppare metodi efficienti di raccolta e diffusione dei dati, mediante il collegamento dei sistemi informativi nazionali, regionali e sub-regionali, alle fonti di informazione internazionale[15].
Da quanto detto, si evince un intenso attivismo internazionale volto all’affermazione dell’importanza del diritto all’informazione ambientale.
Il superamento compiuto della regola della segretezza, lo si può far risalire al 1998, anno in cui è stata promossa una conferenza internazionale sulla libertà di informazione e sulla partecipazione in materia ambientale. La conseguente convenzione è stata firmata ad Aarhus, in Danimarca, ratificata in Italia con la legge 108/2001, ed entrata in vigore il 30 ottobre dello stesso anno, al momento del raggiungimento del numero minimo di ratifiche, ossia 39 aderenti all’UN/ECE (Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite).
L’art. 1 della Convenzione, sancisce il diritto della presente e delle future generazioni ad abitare in un ambiente adeguato alla salute e al benessere, garantendo i diritti di accesso all’informazione di carattere ambientale, di partecipazione pubblica al processo legislativo e di accesso alla giustizia.
L’accesso all’informazione ambientale è garantito mediante la risposta delle autorità alla richiesta di informazione, (fondamenti reattivi)[16], ma anche tramite la raccolta e la divulgazione volontaria di dati, (fondamenti attivi)[17].
La Convenzione disciplina, inoltre il diritto alla partecipazione del pubblico, il quale non è una novità, quanto meno per i paesi dell’Europa occidentale, certa è, tuttavia, la formalizzazione del diritto alla partecipazione ai procedimenti pubblici[18].
Inoltre, ove la richiesta di informazioni è ignorata o negata, senza giustificazioni, il soggetto è legittimato a ricorrere davanti all’autorità giudiziaria o altro organo imparziale individuato dalla legge.
La Convenzione di Aarhus può essere considerata il punto di arrivo di un lungo percorso iniziato negli anni ’70 del secolo scorso, volto a migliorare la circolazione delle informazioni ambientali, che ha contribuito al rafforzamento dei gruppi ambientalisti organizzati e non solo, apportando in tale modo, un contributo significativo allo sviluppo sostenibile[19].
b) La normativa comunitaria
La Convenzione di Aarhus, ha consentito l’adeguamento della normativa comunitaria, in materia di accesso, mediante l’emanazione della direttiva CE n. 2003/4.
Il miglioramento delle condizioni di accesso all’informazione ambientale, è però iniziato, molto prima, con il IV programma d’azione CEE del periodo 1987-1992, con cui sono stati invitati gli Stati membri a delineare i modi di accesso più agevoli da parte del pubblico alle informazioni in possesso dalle autorità ambientali.
Il V programma d’azione (1993-2000), è stato incentrato sul diritto dei cittadini a conoscere l’attività delle aziende, pubbliche e private, attraverso l’accesso alla documentazione relativa alle emissioni, agli scarichi e ai rifiuti, nonché ai controlli ambientali.
L’attuale VI programma (2001-2010), approvato con la decisione n. 1600/200, si occupa soprattutto della sensibilizzazione dell’accesso all’informazione ambientale[20].
Nell’ambito de IV programma d’azione, è stata approvata, nel 1988, una proposta di direttiva, sfociata nella n. 90/313 che ha avuto quale scopo, quello di garantire la libertà di accesso alle informazioni relative all’ambiente in possesso delle autorità pubbliche e la diffusione delle medesime. Il diritto di accesso è assicurato a qualsiasi persona, fisica o giuridica, che ne faccia richiesta, senza che questa debba dimostrare il proprio interesse.
La direttiva si compone di dieci articoli. Il primo, indica gli scopi; il secondo definisce le informazioni relative all’ambiente e l’autorità pubblica; il terzo riguarda la richiesta di accesso e i casi di esclusione; il quarto è dedicato ai mezzi di tutela; il quinto è incentrato sui costi della richiesta; il sesto e il settimo impongono la pubblicità agli Stati membri; mentre gli articoli otto e nove disciplinano la revisione e l’ultimo, ossia il decimo è meramente di chiusura.
Il cuore della novità della direttiva è individuabile nell’art. 3, che impone a tutti gli Stati membri l’obbligo di consentire l’accesso a chiunque, senza che sia necessario dimostrare alcun specifico interesse.
Il legislatore comunitario, ha considerato l’istituto dell’accesso come una sorta di strumento volto a garantire un controllo democratico sulle istituzioni in materia ambientale, mediante una partecipazione diffusa delle popolazioni[21].
L’importanza dell’affermazione del principio della libertà dell’accesso si coniuga, con altre nozioni assai ampie di istituti amministrativi contemplati dal testo normativo comunitario.
Difatti, la direttiva include nelle informazioni ambientali, ex art. 2, qualsiasi informazione disponibile in forma scritta, visiva sonora o contenuta nelle basi di dati avente in oggetto lo stato delle acque, dell’aria, del suolo, della fauna e flora, territorio e spazi naturale, e inoltre ogni misura capace di pregiudicare i succitati elementi, compresi le misure amministrative e i programmi di gestione dell’ambiente.
Come si evince, la nozione di informazione, in questo contesto è assai ampia, tanto da comprendervi le misure amministrative, il cui contenuto è stato disaminato dalla Corte di Giustizia, con la sentenza 17 giugno 1998[22], secondo cui, includono ogni forma di esercizio dell’attività amministrativa, ossia non solo il formale atto amministrativo, bensì qualsiasi attività capace di gravare sull’ambiente latamente inteso.
Il giudice comunitario si è posto sul solco tracciato dal legislatore, e pertanto ha confermato la scelta secondo la quale il largo accesso è uno strumento volto a meglio tutelare l’ecosistema. È poi ritornato nuovamente sul tema, il 26 giugno 2003, causa n. 233/00[23], riconoscendo il carattere meramente indicativo della elencazione contenuta del testo della direttiva succitata, atteso che l’informazione ambientale è una nozione tanto ampia da includervi ogni attività e misura capace di incidere negativamente sull’ambiente.
La direttiva di cui si discute, contempla anche dei casi di esclusione: 1) quando sia necessaria riservatezza delle deliberazioni delle autorità pubbliche; 2) per la tutela delle relazioni internazionali; 3) ai fini della sicurezza pubblica; 4) ove si tratti di questioni sottoposte ad inchiesta o investigazioni; 5) per garantire la riservatezza commerciale ed industriale; 6) ove abbia in oggetto materiale liberamente fornito da terzi; 7) ed infine, quando il materiale divulgato, potrebbe arrecare danno all’ambiente.
Ovviamente l’esclusione dal diritto di accesso, presuppone una congrua giustificazione, e se possibile deve, almeno, essere consentito un accesso parziale.
Se criticabile può apparire la genericità delle ipotesi di limitazione all’accesso, al contempo non bisogna trascurare, come ai sensi dell’ottavo Considerando, l’amministrazione, è tenuta a fornire comunque una risposta, positiva o negativa, celermente ed entro il limite temporale di due mesi.
Infine, la direttiva del ‘90, ha previsto la verifica nel tempo, della disciplina ivi contenuta, al fine di studiare l’eventuali modifiche da apportare, a seguito della pratica attuazione.
Sulla scorta della scelta, appena citata, trascorso un decennio, alla luce della Convenzione di Aarhus e della stessa Conferenza di Rio del ‘92, si è deciso di rafforzare la libertà di accesso alle informazioni ambientali, con la nuova direttiva comunitaria n. 2003/04, il cui primo Considerando, esplicita, in particolare, il collegamento tra il miglioramento dell’accesso alle informazioni ed il rafforzamento della protezione dell’ambiente.
Le direttiva ha confermato la scelta di garantire l’accesso a qualsiasi persona fisica e giuridica, senza che sia necessario dichiarare il proprio interesse, obbligando le autorità pubbliche a mettere a disposizione del richiedente l’informazione chiesta, mediante l’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili.
Per tale ragione, chiarisce meglio ed estende la nozione di informazione ambientale, in qualsiasi forma data, concernete lo stato dell’ambiente, i fattori, le misure o le attività che incidono o possono incidere sull’ambiente ovvero sono destinati a proteggerlo, le analisi costi-benefici e altre analisi economiche usate nell’ambito di tali misure e attività, nonché l’informazione sullo stato della salute e della sicurezza umana, compresa la contaminazione della catena alimentare, le condizioni della vita umana, i siti e gli edifici di interesse culturale, nella misura in cui essi siano o possano essere influenzati da qualsiasi di questi elementi.
La specificazione della nozione di informazione ambientale, cui si aggiunge la conferma del concetto di misura, è il sintomo non solo della approvazione della scelta già operata con la precedente direttiva, ma della volontà di allargare quanto più possibile la partecipazione democratica alla elaborazione delle decisioni pubbliche, mediante una titolarità indifferenziata.
Le scelte a cui si è fatto appena cenno, sono state ovviamente influenzate dalla Convenzione di Aarhus, tanto da intendere per l’autorità pubblica: a) il governo o ogni altra amministrazione pubblica a livello nazionale, regionale o locale; b) ogni persona fisica o giuridica svolgente funzioni di pubblica amministrazione ai sensi della legislazione nazionale, compresi incarichi attività o servizi specifici connessi all’ambiente; c) ogni persona fisica o giuridica avente responsabilità o funzioni pubbliche o che fornisca servizi pubblici connessi con l’ambiente; e sempre per tale ragione è contemplato il dovere specifico dei funzionari di assistere il richiedente, e renderlo edotto dei propri diritti.
Da quanto sopra, si intuisce che la probabilità di rigettare la richiesta, mediante notifica scritta o elettronica, è fortemente limitata, tanto da poter essere disposta, ex art. 4, quando le informazioni richieste non siano detenute dall’autorità pubblica interpellata, sempre che quest’ultima non sia a conoscenza dell’autorità che le possiede. E’ altresì legittimo il rigetto, se la richiesta è generica o se si tratti di materiale interno e in via di completamento. Infine, è consentito agli Stati membri di rigettare la richiesta, nel caso di potenziale pregiudizio alla proprietà industriale e commerciale, alla sicurezza pubblica, all’ambiente e a colui che abbia fornito specifiche informazioni.
E’ facile intendere, da quanto osservato, come la nuova normativa comunitaria, abbia elevato a regola generale, l’interpretazione restrittiva dei casi di rifiuto, i quali vanno valutati e comparati con l’interesse pubblico all’accesso. In questa direzione, è da ricondurre, la sostituzione del concetto di atti interni, dai contorni mutevoli, verso i quali è negato l’accesso, con quello più chiaro di comunicazione interne, consistenti nelle semplici comunicazioni tra apparati.
Anche l’obbligo di risposta entro un mese dall’inoltro della richiesta, prorogabile a due a causa del volume o della complessità di quanto chiesto, è sinonimo della volontà a rendere effettiva la partecipazione popolare.
Non poteva mancare, poi, al fine di suggellare la compiutezza del diritto di accesso, l’obbligo posto in capo ad ogni Stato membro, di introdurre procedure volte al riesame o al ricorso amministrativo, avverso il diniego illegittimo della amministrazione pubblica[24].
Pur della specificità di ognuna, tentando, una seppur breve, prima valutazione, entrambe le direttive, sembrano riconducibili al noto principio di prevenzione ex art. 130 R dell’Atto Unico europeo, il quale, nel caso di specie impone la tempestività della comunicazione ambientale, in modo tale che il richiedente possa utilizzare in tempi certi e celeri i dati richiesti[25].
c) La legislazione italiana
L’ordinamento italiano ha addirittura anticipato la normativa comunitaria in materia di accesso alle informazioni ambientali, con la legge n. 349 del 1986, istitutiva del Ministero dell’Ambiente[26].
Secondo l’art. 14, qualsiasi cittadino ha diritto di accesso alle informazioni sullo stato dell’ambiente disponibili, in conformità delle leggi vigenti, presso gli uffici della Pubblica Amministrazione può ottenere copia previo rimborso delle spese di riproduzione e delle spese effettive di ufficio, il cui importo è stabilito con atto dell’Amministrazione interessata.
La legge n. 349/1986, si è posta in anticipo, anche rispetto alla disciplina generale sulla partecipazione al procedimento amministrativo, prevedendo un novero maggiore di legittimati, al fine di favorire il diritto all’informazione, quale condizione necessaria per la tutela dell’ecosistema[27].
La legge del 1986, aveva configurato una partecipazione, seppur allo stato embrionale molto ampia, tanto da consentire il diritto all’accesso ad ogni cittadino, su qualunque atto e i documento[28].
La scelta compiuta, più di principio che programmatica[29], non va comunque sottovalutata, se è vero che ha consentito, prima ancora della legge generale sul procedimento e della coeva disciplinate gli enti locali, di aprire le porte a principi allora sconosciuti o poco considerati, quali erano quelli alla trasparenza, e alla partecipazione diffusa.
E non si compia l’errore di considerare l’art. 14 della legge del 1986, superato dai due successivi provvedimenti appena citati. In specie, l’art. 22 della legge n. 241, nella originaria versione, limitava l’accesso a coloro i quali avessero una posizione giuridicamente rilevante, tanto che, come successivamente si accerterà, la dottrina e la giurisprudenza hanno riconosciuto il carattere speciale e derogatorio, del diritto di accesso ambientale, così come introdotto e poi ampliato, nell’ordinamento italiano.
La specialità del diritto all’accesso ambientale, è stata confermata dal d.lgs n. 39/1997, il quale ha recepito, con sette anni di ritardo, la direttiva comunitaria n. 90/313[30].
Il decreto, ha attribuito a chiunque[31] la libertà di accesso, instaurando una sorta di controllo sociale diffuso sulla qualità del bene ambiente […] affermando un principio di accessibilità generale ed indifferenziata[32].
L’oggetto dell’accesso non è limitato al documento amministrativo, ma al contrario, è esteso a ogni informazione contenuta o meno in un atto, purché riconducibile ad una attività della amministrazione, capace di pregiudicare uno o più settori indicati dalla normativa[33].
Si evince un allargamento della libertà di accesso, consistente, come ammesso dalla giurisprudenza amministrativa con la sentenza del Tar Lazio n. 126/2003, in una vera e propria azione popolare, difatti, in base alla suddetta disciplina, di origine comunitaria, sarebbero venuti meno i limiti soggettivi ed oggettivi già previsti in materia di accesso dalla L. n. 241/90[34].
L’informazione ambientale[35], non è solo quella riconducibile al documento amministrativo, ma comprende ogni dato ed informazione, immanente all’attività formale ed informale della pubblica amministrazione, cui si aggiunge un rovesciamento del percorso logico da seguire: non è la sussistenza di una posizione qualificata a permettere e decretare l’esercizio del diritto, ma è l’inerenza del richiesta del campo ambientale a trascinare con sé il riconoscimento del relativo diritto all’informazione. In questo senso la norma ricollega la libertà di accesso unicamente al profilo puramente oggettivo[36]
Quest’impianto, aderente a quanto disposto dalla direttiva n. 90/13, ha introdotto una nozione ampia di autorità pubblica[37] comprendendovi, qualunque organismo dotato di responsabilità pubbliche, anche se, in verità, non include, ingiustificatamente, dei soggetti pubblici, si pensi alle società per azioni a partecipazione pubblica locale[38].
I casi di rifiuto, sono mutuati fedelmente dalla direttiva, in più il decreto n. 39, ha escluso l’accesso sic et sempliciter, nei casi contemplati dall’art. 4[39], ove la divulgazione arrechi un danno grave ed irreparabile all’ambiente.
Ulteriore differenza rispetto alla direttiva recepita, è l’ipotesi del differimento dell’accesso[40], ove possibile, in luogo del secco rifiuto, ponendosi in tal modo su un fronte più avanzato rispetto a quello comunitario.
Tale decreto è stato poi sostituito dal d.lgs n. 195/2005, in recepimento della direttiva n. 2003/4, il quale ha ridisegnato l’intero sistema delle garanzie partecipative e giustiziali del cittadino comunitario in materia, secondo lo schema dei tre pilastri cui si ispira la Convenzione di Aarhus[41].
Il succitato decreto, si compone di dodici articoli, i cui tratti salienti possono essere individuati nelle nozioni, di informazione ambientale[42], di autorità pubblica[43] e nella disciplina del diritto di accesso.
Concentrandoci su quest’ultimo aspetto, è confermata la scelta, ex art. 3, di consentire l’accesso chiunque ne faccia richiesta, a prescindere dallo specifico motivo, il quale potrà essere di studio, di ricerca, o di successiva partecipazione[44], a conferma del principio della trasparenza dell’azione amministrativa che permea questo aspetto della più ampia legislazione ambientale.
In specie, il d.lgs n. 195/2005 ha previsto, il termine di 30 giorni, entro cui l’autorità pubblica dovrà evadere la richiesta, ovvero entro 60 nel caso in cui la sua entità e la complessità non consentano di rispettare detta scadenza, previa notifica al richiedente della proroga e dei motivi. A differenza della precedente normativa che escludeva l’accesso nell’ipotesi di richiesta generica, ora in tal caso l’autorità pubblica interpellata, chiederà entro 30 giorni dalla data del ricevimento della richiesta stessa, di specificare i dati da mettere a disposizione, prestandogli, a tale scopo, la propria collaborazione, anche attraverso la fornitura di informazioni sull'uso dei cataloghi pubblici di cui all'articolo 4, comma 1, a meno che la richiesta sia eccessivamente generica.
Altra importante novità, ex art. 4, è l’istituzione oltre di cataloghi pubblici elencanti le informazioni ambientali possedute, di un vero e proprio obbligo assistenza in favore del cittadino richiedente, che dovrà essere edotto del proprio diritto di accesso.
A garanzia della effettiva partecipazione, è prevista anche la possibilità di ricorrere, avverso il supposto illegittimo diniego, al difensore civico o in alternativa al giudice, secondo le modalità previste dalla legge generale sul procedimento amministrativo[45].
Un aspetto importante, su cui si misura l’effettiva partecipazione, è ovviamente la disciplina dei casi di esclusione. Il d.lgs n. 195 ha escluso il diritto di accesso nel caso in cui a) l’autorità non detiene l’informazione richiesta, fermo restando l’obbligo di quest’ultima di inoltrarla a quella competente se conosciuta o di comunicarlo al richiedente; b) la richiesta è irragionevole; c) la richiesta è generica; d) la richiesta è rivolta a dati, documenti, o materiali, non ancora completi; e) la richiesta riguarda comunicazioni interne.
Inoltre l’accesso non è consentito nell’ipotesi in cui esso generi un pregiudizio a) alla riservatezza delle deliberazioni interne; b) alle relazioni internazionali, difesa nazionale, ordine e sicurezza pubblica; c) procedimenti giudiziari ed attività d’indagine; d) alla riservatezza commerciale o industriale; e) alla proprietà intellettuale; f) alla privacy secondo quanto disciplinato dalla legge n. 196/2003; g) alla tutela della persona che abbia fornito spontaneamente delle informazioni; h) alla tutela dell’ambiente e del paesaggio.
Rispetto alla versione precedente, che ad ogni modo garantiva un accesso soggettivo ed oggettivo allargato, il d.lgs 195, ha compiuto un ulteriore sforzo, includendo nelle informazioni accessibili, anche gli atti interni[46], elidendo così un limite che faceva apparire la normativa in questione più arretrata di quanto previsto dalla legge generale sul procedimento[47].
Rimane, ancora, il problema, della individuazione del giusto equilibrio, tra il diritto alla circolazione delle informazioni in genere, comprese quelle ambientali, e il diritto alla riservatezza, il primo ancorato all’art. 97 della Costituzione, e il secondo riconducibile all’art. 2, ossia ai diritti inviolabili della persona[48].
Il dibattito è iniziato con la prima legge a tutela della riservatezza, la n. 675/1996, ed è proseguito nel 2003 con il nuovo Codice sulla privacy, cui si è aggiunta nel 2005, la legge n. 15, che ha modificato, la n. 241, confermando il principio generale del diritto di accesso, in funzione della trasparenza e della partecipazione[49].
La giurisprudenza amministrativa, propende per la supremazia del diritto di accesso, il quale va sempre garantito, anche nel caso in cui si tratta di informazioni personali relative a terzi, purché la conoscenza sia rilevante ai fini della tutela della situazione giuridica che ha legittimato l’accesso[50]. Certa è la necessità di verificare nel tempo il comportamento non solo delle autorità, ma anche dei soggetti privati che potrebbero decelerare la circolazione dei dati, invocando la tutela della riservatezza, e soprattutto gli operatori economici, aggrappandosi a quella industriale e commerciale.
LA SPECIALITA’ DEL DIRITTO DI ACCESSO ALL’INFORMAZIONE AMBIENTALE
a)La natura del diritto di accesso
L’analisi della disciplina dell’accesso all’informazione ambientale, esige un attento raffronto con la legge generale sul procedimento amministrativo, al fine di verificarne le similitudini e le differenze, ad iniziare dall’interrogativo sulla differente natura giuridica del diritto all’accesso[51].
La desoggetivizzazione[52] del diritto di accesso, così come contemplato dall’art. 14 della legge n. 349/1986 e seguenti, ha indotto larga parte della dottrina[53] a sostenere la specialità della posizione giuridica dell’istante, costituente un vero e proprio diritto soggettivo[54], rispetto all’omologo ex lege n. 241, il quale altro non sarebbe che un interesse legittimo[55].
Una pronuncia risalente nel tempo ed antecedente al d.lgs n. 39/1997, del T.a.r. Sicilia, Catania, (Sez. II, sent. n. 118/1991) ha riconosciuto che, quando come in questo caso, direttamente e prevalentemente tutelato sia l’interesse del privato, il comportamento richiesto all’Amministrazione si qualific[hi] come obbligo e non come generico dovere, con correlativo sorgere in capo al privato destinatario del vantaggio, di una posizione di diritto soggettivo[56].
L’orientamento succitato, è stato confermato dal T.a.r. Emilia Romagna, Bologna, con la sent. n. 78/1992, che ha qualificato la richiesta del ricorrente come diritto soggettivo pubblico, finalizzato a soddisfare un interesse privato volto alla protezione dell’ecosistema[57].
Tanto non potrebbe affermarsi per il più generale diritto di accesso, disciplinato dalla legge sul procedimento, il quale sarebbe riconducibile alla figura dell’interesse legittimo, come sostenuto concordemente, da buona parte della dottrina[58] e della giurisprudenza[59].
Difatti, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 16/1999, ha confermato l’eccezionalità dell’attribuzione della giurisdizione sui diritti soggettivi al giudice amministrativo, richiedente all’uopo una esplicita previsione di legge, ex art. 24 della Costituzione[60].
Inoltre, ha argomentato il Consiglio di stato, la pubblica amministrazione, ha il potere discrezionale di limitare o differire l’accesso a tutela dell’interesse pubblico. Avverso tali determinazioni, ovviamente motivate, è garantito ricorso, entro un termine di decadenza, secondo un modello di giudizio tipicamente impugnatorio.
A chiusura del ragionamento, secondo i giudici di Palazzo Spada, l’utilizzo del termine diritto, avviene, sovente, in senso generico, comprendendo situazioni giuridiche, semplicemente di vantaggio, non riconducibili al diritto soggettivo, ad esempio il diritto di partecipazione al procedimento amministrativo, il diritto al lavoro[61].
L’orientamento consolidato, al quale si è fatto appena cenno, è stato posto in crisi nel solo trascorrere di un anno, dallo stesso Consiglio di Stato, che, tornato repentinamente sui suoi passi, con la sentenza n. 4092/2000 ha configurato l’accesso come diritto soggettivo perfetto e, successivamente, con la sentenza n. 2938/2003, ha motivato dettagliatamente il mutamento di orientamento, confermato poi nella successiva Adunanza Plenaria del 2006, secondo il ragionamento che qui segue[62].
Il Collegio, innanzitutto, ha ritenuto che la giurisdizione sui diritti a seguito della massiccia attribuzione, al giudice amministrativo, ad opera della legge n. 205/2000, non costituisca più un’eccezione: non occorre pertanto che la legge attesti espressamente che la materia rientr[i] nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Inoltre, l’Atto Senato n. 1281, al fine evidente di eliminare ogni dubbio sorto in passato ha esplicitamente inserito il diritto d’accesso tra i “diritti civili e sociali” di cui all’art. 117, lett. m) della Costituzione ed ha precisato che il giudice amministrativo giudica sulle controversie in materia di accesso in sede di giurisdizione esclusiva.
Quanto poi alla paventata prevalenza di interessi pubblici sul diritto di accesso, la valutazione è compiuta direttamente dal legislatore, sicché dalle determinazione adottate dall’amministrazione in ordine alle domande di accesso esula qualsiasi elemento di discrezionalità in senso proprio, e cioè nel senso di opportunità, potendo al più ipotizzarsi solo ristretti margini di discrezionalità tecnica, sottoposta al rigoroso vaglio del giudice amministrativo, e relativa sia alla circostanza che il documento concreto al quale si chiede di accedere rientri o meno nelle categorie astratte di documenti che la legge dichiara accessibili sia alla circostanza che esista la posizione legittimante costituita dalla necessità di “tutela di situazioni giuridicamente rilevanti”.
La conclusione di Palazzo Spada è che in ragione dell’attuale stato evolutivo dell’ordinamento il diritto d’accesso abbia natura di un vero e proprio diritto soggettivo: ciò sia perché inserito in una legge di settore che ne disciplina minutamente l’attribuzione e l’esercizio nell’esclusivo interesse del richiedente sia perché può trovare un limite solo in specifiche e tassative esigenze di riservatezza (dei terzi o dell’amministrazione stessa) stabilite dalla legge ma non anche in mere valutazioni di opportunità di chi detiene il documento.
Dalle argomentazioni che precedono, il diritto di accesso è generalmente considerato un diritto soggettivo, a prescindere se si tratti o meno di una richiesta di accesso all’informazione ambientale.
La differenza, semmai, è nella tempistica, atteso che come già visto, la giurisprudenza ha accolto fin dall’inizio la tesi del diritto soggettivo pubblico per l’informazione ambientale.
In conclusione la posizione giuridica dell’instante, è sempre qualificabile come diritto soggettivo, semmai, la differenza è riscontrabile nella funzione, dato che l’accesso all’informazione ambientale è uno strumento tendente a consentire l’adozione di iniziative pubbliche, volte ad elidere gli effetti di eventuali situazioni di pericolo […], e miranti a preservare la salute degli stessi interessati[63].
b) Profili soggettivi
La supposta specialità della normativa ambientatale, pare, al contrario, riscontrabile in riferimento alla titolarità del diritto azionabile.
Prima del generale intervento riformatore avutosi con l’emanazione della legge n. 241, il principio della riservatezza amministrativa evidenziava già la sua crisi a causa della normativa di settore, quale ad esempio il R. D. 3 marzo 1934, che riconosceva il diritto di prendere visione delle deliberazioni giuntali d’urgenza e comunali, ai contribuenti, o addirittura alla generalità dei cittadini come prescriveva, la più recente legge n. 765/1967, per le licenze edilizie[64].
In questo contesto è maturato l’art 14 della legge n. 349/1986, istitutiva del Ministero dell’Ambiente, che in ragione della materia trattata, ha previsto la titolarità del diritto di accesso in capo a qualunque cittadino.
Secondo l’art 14, qualsiasi cittadino ha diritto di accesso alle informazioni sullo stato dell’ambiente disponibili, in conformità delle leggi vigenti, presso gli uffici della P.A., e può ottenere copia previo rimborso delle spese di riproduzione e delle spese effettive d’ufficio il cui importo è stabilito con atto dell’amministrazione interessata.
Il superamento generale dell’archetipo amministrativo fino all’ora ancora esistente, è avvenuto successivamente con la legge n. 241 del 1990, depositaria del principio del libero accesso agli atti amministrativi.
Difatti, secondo il conseguente art. 25, al fine di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa e di favorire lo svolgimento imparziale è riconosciuto a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti il diritto di accesso ai documenti amministrativi, secondo le modalità stabilite dalla presente legge.
La disciplina del diritto di accesso contenuta nel nella legge n. 241/1990, è stata poi modificata con la legge n. 15/2006[65], alla quale è stata data attuazione con il D.P.R. n. 184/2006.
Secondo il succitato regolamento, ex art. 2, l’accesso può essere esercitato da chiunque abbia un interesse diretto, concreto ed attuale corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è richiesto l’accesso.
Il legislatore ha fatto proprio l’orientamento della giurisprudenza amministrativa[66], la quale, da tempo, ha posto quale unica condizione per l’esercizio del diritto di accesso, la sussistenza in capo all’istante, di una posizione soggettiva, meritevole di tutela
L’esistenza della disciplina generale sul procedimento amministrativo, accanto a quella riguardante l’accesso alle informazioni ambientali, ha fatto si che si avviasse un ampio dibattito volto a stabilire il rapporto, di specialità o meno, tra i due testi normativi.
La discussione era dovuta soprattutto alla genericità delle prescrizioni contenute nell’art. 14 della legge istitutiva del Ministero, per la cui corretta interpretazione, secondo parte della dottrina, sarebbe stato necessario fare riferimento a quanto previsto dalla legge generale sul procedimento amministrativo[67].
Per altra parte della dottrina, non sarebbe dirimente indagare sulla sussistenza o meno, del rapporto di specialità della normativa ambientale, dato che il diritto di accesso si eserciterebbe, per come previsto, in conformità alla normativa vigente, ossia la legge n. 241[68].
In entrambi i casi la conseguenza del ragionamento, era di interpretare il diritto di accesso secondo i canoni desumibili dalla n. 241, vale a dire di limitare il diritto di accesso ambientale, riconosciuto formalmente a chiunque, ai soli titolari di situazioni giuridicamente rilevanti per un interesse personale e concreto, nel rispetto di ogni limite normativo previsto, non da ultimo, la necessità della tutela del segreto industriale[69].
I dubbi sull’esatta interpretazione del diritto di accesso ambientale, sono stati fugati dal seguente decreto n. 39/1997, il quale ha introdotto una disciplina organica delle materia, in base a cui, la posizione soggettiva del richiedente non è rilevante, atteso che non deve essere portatore di status particolari o fare riferimento ad interessi specifici.
Traendo una prima conclusione, è emersa chiaramente la volontà del legislatore, spinto oltremodo dalla normativa comunitaria, di dedicare all’informazione ambientale una disciplina specifica differente e distinta dalla legge n. 241/1990, consentendo all’istante di non dover dimostrare alcun interesse qualificato, rectius, personale e concreto, al fine dell’esercizio del diritto[70].
La scelta operata nel 1997, è stata confermata dal recente d.lgs n. 195/2005 che, con l’obiettivo di assicurare a tutti la libertà di accesso alle informazioni relative all’ambiente, ha previsto, ex art. 3, in capo alle autorità pubbliche, l’obbligo di rendere disponibile l’informazione ambientale detenuta a chiunque ne faccia richiesta, senza che questi debba dichiarare il proprio interesse.
Il Parlamento, ha così ribadito la scelta di consentire un accesso desoggettivato, ampliandolo rispetto a quanto previsto dall’art. 14 della legge n. 349, poiché non è più limitato al cittadino, bensì recependo invece il peculiare carattere di diffusività spaziale e temporale del diritto dell’ambiente come diritto della persona umana[71] è garantito a chiunque ne faccia richiesta, comprese le associazioni ambientaliste quali centro naturale di richiesta di informazioni; dall’altra, non impone al richiedente di allegare uno specifico interesse all’acquisizione delle informazioni richieste, ritenendo che esso sia in re ipsia proprio perché ogni persona è titolare del diritto all’ambiente[72].
Per completezza sistematica, interessante appare la verifica della portata della legittimazione passiva prevista.
All’uopo, l’art. 2 lett. B del d.lgs n. 39, aveva compreso, le amministrazioni pubbliche statali, regionali, locali, le aziende autonome gli enti pubblici e i concessionari di pubblici servizi, con l’eccezione degli organi esercitanti funzioni giurisdizionali o legislative.
L’elencazione fornita dal testo, aveva suscitato un ampio dibattito in dottrina, in ragione della mancata menzione dell’attività di diritto privato delle autorità pubbliche e degli enti pubblici economici[73].
D’altra parte la giurisprudenza, già da tempo, per la stessa n. 241, aveva inteso superare l’idea che l’attività amministrativa potesse essere solo quella tipicamente autoritativa, comprendendovi anche quella tesa al perseguimento dell’intereresse pubblico, a prescindere dalla natura giuridica dell’atto prodotto, e quindi includente anche l’attività privatistica delle amministrazioni[74].
Le considerazioni giurisprudenziali sull’actio ad exhibendum ex lege n. 241, possono essere estese all’informazione ambientale, e per entrambe, ulteriormente ampliate ai gestori dei pubblici servizi, pur di natura giuridica privata[75], e agli organismi di diritto pubblico[76].
Tanto è vero che, in base all’art. 2, comma 1, del D.P.R. N. 1184/2006, attuativo della n. 241, l’accesso può essere esercitato nei confronti di tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse.
Analogamente, il decreto n. 195, ha incluso nella nuova nozione di autorità pubblica, il governo ed ogni altra amministrazione pubblica nazionale, regionale o locale, ma anche ad ogni persona fisica giuridica svolgente funzioni di pubblica amministrazione ai sensi della legislazione nazionale, o avente responsabilità o funzioni pubbliche o gestore di servizi pubblici connessi all’ambiente[77].
In definitiva è apprezzabile l’evoluzione della disciplina del diritto di accesso, generale ed ambientale, al contempo bisogna osservare che nel segmento ambientale, a chiunque è consentito l’accesso, ed inoltre l’autorità pubblica non è solo tenuta a mettere a disposizione, dati e documenti, nella maniera più ampia possibile, ma deve essere un centro di divulgazione e di informazione, anche grazie all’opportunità offerta dagli strumenti telematici.
c) Profili oggettivi
Il rapporto di specialità dell’informazione ambientale è rinvenibile anche nell’oggetto dell’accesso, ben più ampio di quello delineato dall’art. 22 della legge n. 241.
L’art. 2 lett. a), del d.lgs n. 39, ha incluso nel novero delle informazioni, quella disponibile in forma scritta, visiva, sonora, a cui ha aggiunto il successivo d.lgs n. 195, quella elettronica e in qualunque altra forma materiale, comprese le misure, anche, amministrative, riguardanti 1) aria; atmosfera; acqua; suolo; territorio; siti naturali, compresi gli igrotopi; le zone costiere e marine; la diversità biologica ed i suoli elementi costitutivi compresi gli organismi geneticamente modificati, e, inoltre le interazioni tra questi elementi; 2) fattori quali le sostanze, l’energia, il rumore; le radiazioni od i rifiuti, anche quelli radioattivi; le emissioni ed altri rilasci nell’ambiente che incidono o possono incidere sugli elementi dell’ambiente, individuati al n. 1.
L’oggetto del diritto di accesso previsto dalla lett. d) dell’art. 22, così come novellato dalla legge n. 15/2005, è al contrario, rappresentato dai soli documenti amministrativi definiti come ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti relativi ad un determinato procedimento detenuti dalla P.A.
Il d.lgs n. 39, prima, e il d.lgs n. 195, poi, si pongono ben oltre il perimetro di documento amministrativo rinvenibile dalla legge generale sul procedimento, giacché l’informazione ambientale è una nozione ben più ampia, comprendente non solo gli atti e i documenti, bensì ogni misura che possa incidere negativamente sull’ambiente, siano anche le misure amministrative e i programmi di gestione ambientale, comprese le attività informali[78].
Il legislatore, in tal modo, ha voluto estendere il più possibile la circolazione di dati in qualsiasi forma essi si presentino, al fine di consentire la tutela e il controllo del territorio, da parte di qualunque cittadino. Pur tuttavia, ciò ha imposto uno sforzo esegetico notevole alla giurisprudenza per chiarirne i confini, ad iniziare dal contenuto della nozione di misura amministrativa, definita dalla Corte di Giustizia, con la sentenza del 17 giugno 1998, causa C-321/1996[79].
Il giudice de quo ha voluto dare un contenuto ampio comprendente non solo gli atti materiali, ma anche i dati informali e le valutazioni rese dalla pubblica amministrazione.
Il percorso della giurisprudenza, ad ogni modo, non è stato affatto lineare, si pensi alla sentenza n. 816/2003 del Consiglio di Stato, con cui il giudice amministrativo ha escluso dalla nozione di informazione ambientale la trasformazione del territorio, poiché, così ragionando, sarebbe venuta meno la distinzione tra le materie[80].
La suddetta pronuncia, ad ogni buon conto, può ritenersi un caso isolato, tanto che alla dottrina è apparsa eccessivamente restrittiva e in controtendenza rispetto all’orientamento della stessa giustizia amministrativa che da sempre ha riconosciuto la connessione della tutela ambientale con quella del territorio, specie in relazione all’art. 117 della Costituzione [81].
Al di là di questa specifica questione, la disciplina speciale della libertà d'accesso alle informazioni ambientali risulta, quindi, preordinata, in coerenza con le finalità della direttiva comunitaria di cui costituisce attuazione, a garantire la massima trasparenza sulla situazione ambientale e a consentire un controllo diffuso sulla qualità ambientale[82], non limitata ai solo atti e documenti, ma a qualsiasi misura capace di incidere negativamente sull’habitat, comprese le attività informali e gli atti interni[83]. Tale esigenza viene, in particolare, realizzata mediante la deliberata eliminazione, resa palese dal tenore letterale dell'art. 3, di ogni ostacolo, soggettivo od oggettivo, al completo ed esauriente accesso alle informazioni sullo stato dell'ambiente[84].
L’accesso esteso ad ogni informazione ambientale in qualunque forma posseduta, è resa possibile, anche mediante l’adozione di un piano per rendere disponibile, mediante banche dati elettroniche, annualmente aggiornate, ogni sorta di informazione ambientale, non comparabile a quanto contemplato dell’art. 52 del Codice dell’amministrazione digitale, che consente l’accesso ai soli dati e documenti, previa specifica richiesta, senza che sia possibile accedere alle informazioni globalmente intese[85].
BREVE RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
La giurisprudenza amministrativa, dell’ultimo quindicennio, ha confermato la specialità del diritto di accesso all’informazione ambientale, rispetto all’omologo diritto disciplinato dalla legge n. 241, per come nelle precedenti pagine già verificato, soprattutto, in sede dottrinale.
Interessante è partire da una pronuncia del Consiglio di Stato, la sentenza n. 5795/2004, la quale ha affrontato i punti salienti della tematica trattata dall’odierno scritto[86].
La controversia ha avuto in oggetto, una richiesta, negata, avanzata dal Consiglio dell’Ordine degli Ingegneri di accedere alle informazioni in possesso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, relative agli studi e ai progetti riguardanti il Gran Sasso.
Quale conseguenza del silenzio serbato da parte del INFN, il suindicato ordine ha deciso di ricorrere al Tar del Lazio, il quale ha accolto la richiesta di accesso, ma solo in parte, atteso che ne ha riconosciuto la legittimazione oggettiva, alle sole informazioni ambientali, quali ad esempio l’aria, l’acqua, flora e fauna.
Della controversia, è stato investito il Consiglio di Stato, su ricorso dell’INFN, al fine della riforma della sentenza di primo grado, perché erronea, specie considerando, a giudizio dell’Istituto, l’assenza di relazione tra l’Ordine degli Ingegneri e la tutela dell’ambiente.
Difatti, ha sostenuto l’INFN, il d.lgs n. 39/1997, ha riconosciuto una legittimazione attiva in capo a chiunque, a condizione che si tratti di persona fisica, all’opposto per le persone giuridiche, è necessario che sussista un collegamento con i fini istituzionali perseguiti.
I giudici di Palazzo Spada, hanno rigettato l’insieme di considerazioni offerte dal ricorrente.
Secondo il Supremo Consesso, l’allora d.lgs n. 39, ha riconosciuto l’accesso a chiunque senza dimostrare un interesse particolare e qualificato. L’accesso è una posizione soggettiva autonoma, riconosciuta in capo ad ogni soggetto di diritto, anche alle persone giuridiche.
Aggiunge il Consiglio di Stato che, a differenza dell’istituto generale disciplinante l’accesso agli atti amministrativi, il d.lgs n. 39/1997, ha consentito all’istante la possibilità di presentare una richiesta generica, purché non indeterminata, e qualora le informazioni richiesta non siano raccolte e ordinate in un documento o in un altro supporto, l’amministrazione destinataria dell’istanza, è tenuta a raccoglierle, in ragione di un suo ruolo attivo, nella circolazione e diffusione delle informazioni ambientali.
Il ragionamento a cui si è fatto cenno, è stato ribadito dal giudice amministrativo, anche successivamente, all’entrata in vigore del d.lgs n. 195/2005.
Lo spunto è stato offerto dalla costruzione del metanodotto di Porto Viro, un progetto di collegamento terminal da Porto Levante fino alla stazione di Cavarzere[87].
Un Comitato locale ha avanzato un’istanza di accesso alla Regione Veneto, volta a verificare lo svolgimento della necessaria valutazione di incidenza, atteso che il progetto coinvolgeva anche una zona di protezione speciale, ZPS, e un sito di importanza comunitaria, SIC.
La Regione Veneto, ha fornito, in prima istanza, delle risposte evasive, tanto da spingere il Comitato a ricorrere al giudice amministrativo, al fine di ottenere le informazioni ambientali richieste.
Il Tar Veneto, innanzitutto ha richiamato la nozione ampia di informazione ambientale, contemplata dal decreto n. 195, aggiungendovi poi che tali informazioni possono essere chieste da chiunque, senza che l’istante debba dare prova di un interesse qualificato, legittimante l’accesso.
Alla luce di quanto sopra, ha ritenuto che la Regione Veneto, abbia dato delle risposte insufficienti ed incongrue [che] non si inquadrano in alcuna delle ipotesi il cui diniego di accesso è consentito, o quanto meno, non motivano adeguatamente il rifiuto con riferimento ai casi previsti dalla legge, risultando inadeguato il richiamo alla “complessità della materia” e a non meglio specificate “ragioni di opportunità”.
Il giudice amministrativo, ha argomentato, inoltre, che le informazioni di cui si discute sono cosa ulteriore e differente rispetto al semplice documento amministrativo, le quali devono essere fornite dall’autorità alla quale sono richieste, anche quando non trovino riscontro nella documentazione indicata.
In altri casi la giurisprudenza, ha incentrato i propri sforzi nella enucleazione del contenuto dell’informazione ambientale, è il caso della sentenza n. 450/2007[88].
Il ricorso è stato presentato da un cittadino di Pescara, il quale abita in prossimità di un luogo interessato da lavori di elettrificazione della linea dei trasporti pubblici.
Il cittadino in questione, lamentava il diniego della Società SGM, a concedere l’accesso oltre allo studio di fattibilità dell’opera ed il progetto esecutivo, anche altri atti attinenti alla fase procedimentale, quali il capitolato d’appalto, il bando e i verbali.
Il Tar abruzzese, ha legittimato l’operato della società resistente, poiché il d.lgs n. 195, pluricitato, consente l’accesso a qualsiasi in formazione riguardante l’ambiente, (aria, suolo, territorio, siti naturali, ecc,) nonché i fattori (sostanze, energia, rumore, radiazioni, emissioni ecc.) che possono incidere sull’ambiente. Nel caso in esame, quindi, quel che è essenziale è lo studio di fattibilità dell’opera, per il quale l’accesso è stato consentito, ed il progetto esecutivo, non ancora elaborato; gli altri atti (capitolato di gara, il bando e verbali) attengono al momento procedimentale – contrattuale di aggiudicazione dell’appalto, che non possono essere ricompresi nell’ambito dell’informazione ambientale.
In altri occasioni ancora, la giurisprudenza, ha ricondotto, secondo un iter logico – giuridico criticabile, l’accesso all’informazione ambientale, nei canoni propri della legge generale sul procedimento amministrativo.
E’ questa il caso della sentenza n. 5636/2006[89] del Consiglio di Stato, avente in oggetto il ricorso presentato da una associazione animalista, la quale aveva richiesto l’accesso al Ministero della Salute, alle domande volte ad ottenere l’autorizzazione alla sperimentazione sugli animali, nonché i relativi decreti di autorizzazione.
I giudici di Palazzo Spada, hanno dato ragione al Ministero ricorrente, rimasto soccombente in primo grado. Difatti, secondo i giudici, la richiesta è volta a consentire all’interessata di esperire un’attività di sostanziale controllo generalizzato sull’attività della pubblica amministrazione relativa al settore in questione; attività involgente, invero, tulle le iniziative, in materia, delle imprese o laboratori operanti nel settore stesso […], relativa ad un numero elevatissimo di pratiche […] e destinata anche a verificare la correttezza dell’attività posta in essere dalla P.A. in sede di rilascio dei domandati titoli autorizzatori.
Se la disciplina speciale dell’accesso di cui si discute, non ha inteso introdurre un controllo generalizzato sulla attività della pubblica amministrazione, certamente la necessità di una disciplina ad hoc, è conseguenza delle avvertito bisogno di porsi oltre la legge n. 241, ragione per cui non può essere condivisa l’argomentazione del Supremo Collegio, secondo cui la tutela del diritto all’informazione e alla conoscenza dei documenti della Pubblica Amministrazione assicurata dal legislatore con le norme sull’accesso non può dilatarsi al punto di imporre alla P.A. un vero e proprio facere, che esula completamente dal concetto di accesso configurato dalla legge, consistente soltanto in un pati, ossia nel lasciare prendere visione e al più in un facere meramente strumentale, vale a dire in quel minimo di attività materiale che occorre per estrarre i documenti indicati dal richiedente e metterli a sua disposizione.
Il Consiglio di Stato, con delle altre pronunce discutibili, si è cimentato nella delimitazione della nozione di informazione ambientale, rispetto a materie ritenute contigue, quali l’assetto del territorio.
Con la sentenza n. 816/2003[90], in vigenza del d.lgs n. 39/1997, considerata l’eccezionalità dell’accesso all’informazione ambientale, aveva ritenuto indiscutibile la necessità di una precisa delimitazione del campo di applicazione oggettivo della norma derogante, non solo per un’esigenza di teoria generale ma anche per individuare, con riferimento alle singole fattispecie concrete, la ragione di uno scostamento così radicale dalla regola generale.
La controversia era scaturita da un ricorso presentato da un Comune ligure, soccombente in primo grado, e pertanto obbligato all’esibizione di taluni atti, connessi dei permessi a dei costruire.
L’ente locale aveva sostenuto la distinzione della materia ambientale dalla nozione di territorio, che tanto ha suscitato discussione in dottrina[91].
I temi dell’informazione ambientale, sono stati oggetto di interesse anche da parte della giurisprudenza costituzionale, è il caso della sentenza n. 399/2006[92].
Il giudizio di legittimità ha riguardato un ricorso promosso dalla Regione Friuli – Venezia Giulia, avverso il d.lgs n. 195/2005, nella parte in cui consente l’accesso alle informazioni possedute oltre che dalla regione, dagli enti pararegionale e dagli enti locali, ossia in ambiti di competenza della suddetta regione, ex art. 117 quarto comma.
I Giudici delle Leggi, hanno del caso de quo, affermato che la disciplina delle informazioni in tema di ambiente non appartiene alla materia <>, di competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., ma si inserisce nel vasto ambito della tutela del diritto di accesso del pubblico ai documenti amministrativi. Ciò non vale tuttavia ad escludere la competenza legislativa dello Stato in materia, giacchè l’accesso ai documenti amministrativi attiene, di per sé, ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m) Cost. In questo senso si esprime l’art. 22, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n.241[…].
Giungendo a tracciare una prima valutazione dello stato dell’arte, dell’accesso alle informazioni connesse all’ambiente, possiamo affermare che la giurisprudenza, seppur con dei tentennamenti, in verità più sotto la vigenza del precedente d.lgs n. 39/1997, ha accolto i principi innovativi della normativa di settore, obbligando le autorità pubbliche, ma non solo, ad adeguarsi con il loro modus operandi, ad essi.
CONCLUSIONI
Il legislatore ha voluto, con la disciplina oggetto del presente studio, introdurre una normativa organica sul diritto all’accesso all’informazione ambientale, la quale fosse ben distinta dalla legge generale sul procedimento amministrativo.
Obiettivo, sostenuto dalla giurisprudenza e fatto proprio dal legislatore, è stato quello di esigere la massima trasparenza nel campo ambientale, attraverso un controllo diffuso, reso possibile dalla eliminazione di ogni barriera oggettiva e soggettiva all’accesso a tali informazioni, in modo tale da garantire una protezione dell’ecosistema, quanto più larga possibile[93].
Quest’ultima finalità può essere raggiunta solo mediante una partecipazione generalizzata dei privati e della società civile, atteso che l’obiettivo del legislatore è stato quello di garantire, una tutela ambientale quanto più allargata.
La partecipazione attiva dei cittadini, dalla fase programmazione sino alla determinazione, gradualmente ha comportato il superamento della logica unilaterale ed autoritativa, sostituita corresponsabilizzazione nelle scelte amministrative, specie alla luce del principio di sussidiarietà e delle spinte della normativa comunitaria[94]
Il diritto all’accesso ambientale, a buon conto, rappresenta l’ulteriore evoluzione dell’agire della pubblica amministrazione, in capo alla quale sussiste un obbligo positivo di elaborazione e trattamento di informazioni […], per renderle comprensibili ed intelligibili al cittadino o all’associazione interessata, costituisce pertanto l’ultima frontiera raggiunta dal diritto all’informazione nel nostro ordinamento[95].
Mario PRESTA
[1] I contributi sul diritto di accesso sono innumerevoli, a titolo indicativo si faccia riferimento a, M. CLARICH, Il diritto di accesso ai documenti amministrativi, 1995, o più recentemente, S. RUSSO, Oggetto e funzione dell’accesso agli atti dei poteri pubblici nella l. n. 15 del 2005, suoi limiti, sua reclamabilità, in www.giustamm.it.
[3] Il diritto di accesso è disciplinato dal capo V (art. 22-28), cui si aggiunge l’art. 10 dedicato alla partecipazione al procedimento amministrativo.
[5] B. DELFINO, L’<> in materia ambientale, in Foro Amm., pag. 1949, 1999. La sentenza della Corte Costituzionale, n. 183 del 22 maggio del 1987, richiamata da E. PELOSI, Rafforzamento dell’accesso all’informazione ambientale alla luce della direttiva 2003/4, in Foro Amm. Tar, pag. 71, 2004, ha individuato il contenuto della protezione dell’ambiente, in relazione all’assetto del territorio e dello sviluppo sociale e civile di esso, per un verso nel rispetto e nella valorizzazione delle peculiarità del territorio stesso e, per altro verso, nella preservazione della salubrità e delle condizioni oggettive del suolo dell’aria, e delle acque a fronte dell’inquinamento atmosferico, idrico, termico ed acustico.
[6] A. TORTORA, Informazione ambientale e diritto di accesso: normativa in ambito nazionale e comunitario, in www.filodiritto.it, pag. 1, 2007.
[7] Prima della riforma del Titolo V, la tutela dell’ambiente veniva ricondotta alla lettura combinata degli articoli 9 (tutela del paesaggio) e 32 (diritto alla salute) della Costituzione. Parte della dottrina aveva inteso il paesaggio come forma ed immagine dell’ambiente, ossia come ambiente visibile, ma inscindibile dal non visibile, A. PREDIERI, Paesaggio, in Enc. Dir., XXXI, pag. 503, 1981. Altre letture, individuavano nella tutela del paesaggio, il fondamento oltre che della disciplina dell’ambiente, anche di quella paesistica, urbanistica e dei beni culturali, B. CARAVITA, Diritto dell’ambiente, pag. 15, 2006.
[8] B. CARAVITA, Diritto dell’ambiente, cit., pag. 61.
[9] A. TORTORA, Informazione ambientale e diritto di accesso: normativa in ambito nazionale e comunitario, cit., pag. 2.
[10] Entrata in vigore il 21 ottobre 1986, quando 35 su 50 Stati membri dell’OUA l’hanno ratificata.
[11] M. CUTILLO FAGIOLI, Il diritto di accesso alle informazioni e la partecipazione del pubblico ai processi decisionali in materia ambientale nel diritto internazionale, in Riv. Giur. Amb., pag. 537, 1996.
[12] I. DALLA ROSA, Riflessioni sull’accesso all’informazione ambientale in ottica internazionale, europea e nazionale, in www.filodiritto.net, pag. 1, 2007.
[13] M. CUTILLO FAGIOLI, Il diritto di accesso alle informazioni e la partecipazione del pubblico ai processi decisionali in materia ambientale nel diritto internazionale, cit., pag. 540.
[14] M. CUTILLO FAGIOLI, Il diritto di accesso alle informazioni e la partecipazione del pubblico ai processi decisionali in materia ambientale nel diritto internazionale, cit., pag. 544.
[15] M. CUTILLO FAGIOLI, Il diritto di accesso alle informazioni e la partecipazione del pubblico ai processi decisionali in materia ambientale nel diritto internazionale, cit., pag. 546.
[16] L’autorità deve rendere accessibile al pubblico l’informazione ambientale, a prescindere dalla cittadinanza, nazionalità o domicilio del richiedente. Deve essere fornita nel modo in cui viene richiesta, a meno che sia stata resa già resa pubblica con un’altra modalità. L’informazione deve essere disponibile il prima possibile, e comunque nel massimo di due mesi, assicurandosi che colui il quale la richieda, non subisca penalizzazioni o molestie.
Ampio è il contenuto dell’informazione ambientale, che può essere così tripartito: a) lo stato dell’ambiente; b) i fattori ambientali; c) salute e sicurezza umana. La Convenzione si preoccupa di individuare minuziosamente i casi di esenzione, ai quali si rimanda per una opportuna lettura, i quali debbono essere interpretati restrittivamente, J. HARRISON, Legislazione ambientale europea e libertà di informazione: la Convenzione di Aarhus, in Riv. Giur. Amb., pag. 31, 2000.
[17] Le autorità debbono assicurare l’adozione delle misure necessarie al fine di rendere possibile la circolazione e l’aggiornamento dei dati, specie nel caso in cui sia in pericolo la salute umana o l’ambiente o se sia possibile mitigare il danno. J. HARRISON, Legislazione ambientale europea e libertà di informazione: la Convenzione di Aarhus, cit., pag. 31, 2000.
[18] E’ prevista la partecipazione del pubblico nel caso: a) di decisioni su attività specifiche; b) preparazioni di piani, programmi e politiche; c) regolamenti esecutivi e strumenti normativi vincolanti di applicazione generale, J. HARRISON, Legislazione ambientale europea e libertà di informazione: la Convenzione di Aarhus, cit., pag. 38.
[19] J. HARRISON, Legislazione ambientale europea e libertà di informazione: la Convenzione di Aarhus, cit., pag. 27.
[20] E. PELOSI, Rafforzamento dell’accesso all’informazione ambientale alla luce della direttiva 2003/4, cit., pag. 25.
[21] R. CARANTA, L’accesso alle informazioni in materia ambientale, in Giur. It., pag. 406, 2001.
[22] Corte di Giustizia Ce, VI, 17 giugno 1998, causa C-321/1996, in M. CIAMMOLA, Il diritto di accesso dalla legge istitutiva del Ministero dell’ambiente al d.lg. n. 195 del 2005 in Foro Amm. C.d.S., pag. 668, 2007.
[23] M. CIAMMOLA, Il diritto di accesso dalla legge istitutiva del Ministero dell’ambiente al d.lg. n. 195 del 2005 in Foro Amm. C.d.S., pag. 668, 2007.
[24] B. CARAVITA, Diritto dell’ambiente, cit., pag. 291.
[25] B. CARAVITA, Diritto dell’ambiente, cit., pag. 79.
[26] E’ il caso di notare come, la disciplina dell’informazione ambientale si sia affermata prima in ambito interno e poi comunitario. Un antecedente, ancora più remoto della legge 349/1986, può essere rinvenuto della legge urbanistica n. 1150/1942, il cui art. 31 comma 9, come modificato dalla legge 675/1967, concernete il diritto riconosciuto a chiunque di prendere visione presso gli uffici comunali della concessione edilizia, progetto e relativi atti. Più recentemente, alcune di-sposizioni della legge n. 833/1978, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, o ancora la legge n. 8/1983, sulla localizzazione degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati a combustibili differenti dagli idrocarburi. Segue la normativa regionale, come la legge regionale lombarda n. 48/1974, sull’inquinamento idrico, secondo la quale i cittadini avevano diritto a farsi rilasciare copia di specifici documenti, F. FONDERICO, Cenni alle vicende del diritto di acesso alle informazioni ambientali, in Giorn. Dir. Amm., pag. 1006, 1997.
[27] A. TORTORA, Informazione ambientale e diritto di accesso: normativa in ambito nazionale e comunitari, cit., pag. 4.
[28] R. MONTANARO, L’ambiente e i nuovi istituti della partecipazione, in Procedimento amministrativo e partecipazione – Problemi, prospettive ed esperienze, (a cura di) A. CROSETTI, F. FRACCHHIA, pag. 111, 2002.
[29] B. GAGLIARDI, Il diritto di accesso alle informazioni ambientali e nozione di <> ai sensi dell’art. 2 del d.lg. n.39 del 1997, in Foro Amm. C.d.S., pag. 1033, 2003. Secondo l’Autore il rinvio alle leggi vigenti, escludeva il carattere immediatamente precettivo della legge 349.
[30] Nelle more del recepimento della direttiva 90/313, prevista per il 31 dicembre 1992, la legislazione italiana di settore, aveva introdotto un diritto di accesso speciale, ad esempio la legge n. 36/1994, relativa all’informazione in materia di risorse idriche. Il legislatore si era preoccupato di porre in capo all’autorità, un obbligo di comunicazione, come per la legge n. 394/1991, sull’informazione alle popolazioni residenti nelle aree protette, o ancora la legge n. 23071995, sull’informazione alle popolazioni esposte a rischio da radiazioni ionizzanti, F. FONDERICO, Cenni alle vicende del diritto di acesso alle informazioni ambientali, cit., pag. 1007.
[31] E’ aumentato il novero dei soggetti legittimati, scompare il criterio della cittadinanza (art. 14, legge 349/19869), senza che vi sia alcuna distinzione tra persona fisica o giuridica, associazione, riconosciuta o meno, comitati
[32] G. LANDI, Informazione ambientale – Accesso all’informazione – Direttiva 313/1990/CEE – D.Lgs. 39/1997 di recepimento della direttiva – Interesse specifico del richiedente – Non occorre, in Riv. Giur. Amb., pag. 347, 2000.
[33] G. LANDI, Informazione ambientale – Accesso all’informazione – Direttiva 313/1990/CEE – D.Lgs. 39/1997 di recepimento della direttiva – Interesse specifico del richiedente – Non occorre, cit. 349.
[34] T.A.R. Lazio, sez. III, sentenza n. 126/2003, CIAMMOLA, Il diritto di accesso dalla legge istitutiva del Ministero dell’ambiente al d.lg. n. 195 del 2005, cit., pag. 672.
[35] Art. 2. Ai sensi del presente decreto si intende per:
a) "informazioni relative all'ambiente", qualsiasi informazione disponibile in forma scritta, visiva, sonora o contenuta nelle basi di dati riguardante lo stato delle acque, dell'aria, del suolo, della fauna, dalla flora, del territorio e degli spazi naturali, nonche' le attivita', comprese quelle nocive, o le misure che incidono o possono incidere negativamente sulle predette componenti ambientali e le attivita' o le misure destinate a tutelarle, ivi compresi le misure amministrative e i programmi di gestione dell'ambiente.
[36] M. CIAMMOLA, Il diritto di accesso dalla legge istitutiva del Ministero dell’ambiente al d.lg. n. 195 del 2005, cit., pag. 675.
[37] Art. 2. Ai sensi del presente decreto si intende per: "autorita' pubbliche"', tutte le amministrazioni pubbliche statali, regionali, locali, le aziende autonome, gli enti pubblici e i concessionari di pubblici servizi, con l'eccezione degli organi che esercitano competenze giurisdizionali o legislative.
[38] F. FONDERICO, Libertà di accesso alle informazioni ambientali, in Gior. Dir. Amm., 30, 1997.
[39] Art.4. Le Amministrazioni sottraggono all'accesso le informazioni relative all'ambiente qualora dalla loro divulgazione possano derivare danni all'ambiente stesso o quando sussiste l'esigenza di salvaguardare:
a) la riservatezza delle deliberazioni delle autorita' pubbliche, le relazioni internazionali e le attivita' necessarie alla difesa nazionale;
b) l'ordine e la sicurezza pubblici;c) questioni che sono in discussione, sotto inchiesta, ivi comprese le inchieste disciplinari, o oggetto di un'azione investigativa preliminare, o che lo siano state;
d) la riservatezza commerciale ed industriale, ivi compresa la proprieta' intellettuale;
e) la riservatezza dei dati o schedari personali;f) il materiale fornito da terzi senza che questi siano giuridicamente tenuti a fornirlo.
[40] Il differimento dell'accesso e' disposto esclusivamente quando e' necessario assicurare una temporanea tutela agli interessi di cui al comma 1. L'atto che dispone il differimento ne indica le specifiche motivazioni e la durata.
[41] F. FONDERICO, Il diritto di accesso all’informazione ambientale, in Gior. Dir. Amm., 676, 2006.
[42] Art. 2. Ai fini del presente decreto s'intende per:
a) «informazione ambientale»: qualsiasi informazione disponibile in forma scritta, visiva, sonora, elettronica od in qualunque altra forma materiale concernente:
1) lo stato degli elementi dell'ambiente, quali l'aria, l'atmosfera, l'acqua, il suolo, il territorio, i siti naturali, compresi gli igrotopi, le zone costiere e marine, la diversita' biologica ed i suoi elementi costitutivi, compresi gli organismi geneticamente modificati, e, inoltre, le interazioni tra questi elementi;
2) fattori quali le sostanze, l'energia, il rumore, le radiazioni od i rifiuti, anche quelli radioattivi, le emissioni, gli scarichi ed altri rilasci nell'ambiente, che incidono o possono incidere sugli elementi dell'ambiente, individuati al numero 1);
3) le misure, anche amministrative, quali le politiche, le disposizioni legislative, i piani, i programmi, gli accordi ambientali e ogni altro atto, anche di natura amministrativa, nonche' le attivita' che incidono o possono incidere sugli elementi e sui fattori dell'ambiente di cui ai numeri 1) e 2), e le misure o le attivita' finalizzate a proteggere i suddetti elementi;
4) le relazioni sull'attuazione della legislazione ambientale;5) le analisi costi-benefici ed altre analisi ed ipotesi economiche, usate nell'ambito delle misure e delle attivita' di cui al numero 3);
6) lo stato della salute e della sicurezza umana, compresa la contaminazione della catena alimentare, le condizioni della vita umana, il paesaggio, i siti e gli edifici d'interesse culturale, per quanto influenzabili dallo stato degli elementi dell'ambiente di cui al punto 1) o, attraverso tali elementi, da qualsiasi fattore di cui ai punti 2) e 3);
[43] b) «autorita' pubblica»: le amministrazioni pubbliche statali, regionali, locali, le aziende autonome e speciali, gli enti pubblici ed i concessionari di pubblici servizi, nonche' ogni persona fisica o giuridica che svolga funzioni pubbliche connesse alle tematiche ambientali o eserciti responsabilita' amministrative sotto il controllo di un organismo pubblico.
[44] M. CIAMMOLA, Il diritto di accesso dalla legge istitutiva del Ministero dell’ambiente al d.lg. n. 195 del 2005, cit., 692.
[45] V. SARCONE, La specialità del diritto all’informazione ambientale, in Foro Amm. Tar, 95, 2004.
[46] V. VITIELLO, Il diritto di accesso agli atti in materia ambientale alla luce del D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 195, in Riv. Giur. Amb., pag. 658, 2005.
[47] V. SARCONE, La specialità del diritto all’informazione ambientale,. cit., pag. 89.
[48] S. CIMINI, Diritto di accesso e riservatezza: il legislatore alla ricerca di nuovi equilibri, cit., pag. 2.
[49] S. CIMINI, Diritto di accesso e riservatezza: il legislatore alla ricerca di nuovi equilibri, cit., pag. 5.
[50] T.A.R. Lazio, sez. III, sent. n. 934/2004, F. FRANZOSO, Il diritto di accesso alle informazioni ambientali, in Riv. Giur. Amb., pag. 635, 2006.
[51] M. MONTINI, Il diritto di accesso all’informazione in materia ambientale: la mancata attuazione della direttiva CE 90/13, in Riv. Giur. Amb., pag. 331, 1997.
[52] G. LANDI, Informazione ambientale – Accesso all’informazione – Direttiva 313/1990/CEE – D.Lgs. 39/1997 di recepimento della direttiva – Interesse specifico del richiedente – Non occorre, cit., pag. 355.
[53] S. DELIPERI, Diritto all’informazione ambientale, un importante strumento per la difesa dell’ambiente, in Riv. Giur. Amb., 596, 2007. Contra, M. MONTINI, Il diritto di accesso all’informazione in materia ambientale: la mancata attuazione della direttiva CE 90/13, cit., secondo il quale, il diritto di accesso all’informazione ambientale dovrebbe esercitarsi in conformità a quanto previsto dalla legge n. 241/1990. Il diritto di accesso presupporrebbe sempre un interesse giuridicamente rilevante, di conseguenza l’art. 14 della legge n. 349/1986, non costituirebbe alcun diritto di accesso speciale.
[54] Il diritto soggettivo altro non è che, il potere di esigere un comportamento conforme a quanto previsto dall’ordinamento, W. CESARINI SFORZA, Diritto soggettivo, in Enc. Dir., pag. 3 ss, 1978. Il diritto soggettivo è definito come quella posizione giuridica di vantaggio che l’ordinamento giuridico conferisce ad un soggetto, riconoscendogli determinate utilità in ordine ad un bene, nonché la tutela degli interessi afferenti al bene stesso, in modo pieno ed immediato, F. CARINGELLA, L. DELPINO, F. del GIUDICE, Diritto amministrativo, pag. 79, 2005.
[55] L’interesse legittimo è definito come una posizione soggettiva di vantaggio, qualificata dall’ordinamento, che viene in evidenza in occasione dell’esercizio della potestà pubblica, generando nel suo titolare una serie di poteri che egli può attivare sia nel procedimento che nel processo, V. CAIANIELLO, Manuale di diritto processuale amministrativo, pag. 176, 1994.
[56] Il caso riguardava il rifiuto del comune di Librizzi di fornire le analisi della potabilità delle acque dell’acquedotto pubblico, T. E. FROSINI, Sul <> diritto all’informazione ambientale, in Giur. Cost., pag. 4463, 1992.
[57] Il caso riguardava il diniego del comune di Bologna a rilasciare informazioni sul ciclo produttivo di un impianto industriale, T. E. FROSINI, Sul <> diritto all’informazione ambientale, cit., pag. 4464.
[58] G. PALEOLOGO, La legge 1990, n. 241: procedimenti amministrativi ed accesso ai documenti dell’amministrazione, in Dir. Proc. Amm., 13, 1991; A. SANDULLI, L’accesso ai documenti amministrativi, in Giornale Dir. Amm., pag. 1066, 1995; M. A. SANDULLI, voce «Accesso alle notizie e ai documenti amministrativi», in Enc. Dir., Aggiornamento IV, pag. 1, 2000; MORBIDELLI, Il procedimento amministrativo, in Diritto amministrativo, a cura di L. MAZZAROLI, G. PERICU, A. ROMANO, F. A. ROVERSI MONACO, F. G. SCOCA, pag. 669, 2005.
[59] Cons. Stato, IV, 5 giugno 1995, n. 412, in Cons. St., pag. 654, I, 1995; Cons. Stato, V, 2 dicembre 1998, n. 1725, in Cons. St., pag. 1941, I,1998.
[60] F. FRANZOSO, Il diritto di accesso alle informazioni ambientali, cit., pag. 631.
[61] F. FRANZOSO, Il diritto di accesso alle informazioni ambientali, cit., pag. 632.
[62] F. FRANZOSO, Il diritto di accesso alle informazioni ambientali, cit., pag. 631.
[63] G. BUTTI, L. BUTTI, Il <> alle informazioni ambientali disponibili presso la pubblica amministrazione, in Riv. Giur. Amb., pag. 467.
[64] G. MORANDI, Informazione ambientale e accesso ai documenti amministrativi, in Riv. Giur. Amb., pag. 813, 1992.
[65] Per una analisi dettagliata del diritto di accesso, per come disciplinato dalla legge 241 del 1990 e successive modifiche, si veda, M. CIAMMOLA, La legittimazione ad accedere ai documenti amministrativi (prima e dopo la L. 11 febbraio 2005 n. 15), in Foro Amm. Tar, 2007.
[66] La casistica giurisprudenziale in merito è rinvenibile largamente, in F. CARINGELLA, R. GAROFOLI, M. T. SEMPREVIVA, L’accesso ai documenti amministrativi. Profili sostanziali e processuali, 1999.
[67] G. ARENA, L’accesso ai documenti amministrativi, pag. 293, 1992.
[68] P. LANDI, La tutela processuale dell’ambiente (art. 18 della legge 8 luglio 1986 n. 349), pag. 302, 1991.
[69] Sul rapporto tra il diritto di accesso e il diritto alla riservatezza si veda, S. CIMINI, Diritto di accesso e riservatezza: il legislatore alla ricerca di nuovi equilibri, in Tutela dei dati personali e strutture normative, V. CUFFARO, R. D’ORAZIO, V. RICCIUTO (a cura di), 2007.
[70] V. SARCONE, La specialità del diritto all’informazione ambientale, cit. pag. 82.
[71] V. FOX, Il diritto all’informazione ambientale, in www.ambintediritto.it, pag. 1, 2007.
[72] V. FOX, Il diritto all’informazione ambientale, cit., pag. 1.
[73] B. DELFINO, Il diritto di accesso alle informazioni ambientali secondo il d.lg. 24 febbraio 1997 n. 39. Confronto con la l. 7 agosto 1990 n. 241, in Cons. St., pag. 146, 1999.
[74] M. OCCHIENA, Il diritto di accesso, atti di diritto privato e tutela della riservatezza dopo la legge sulla privacy (il diritto di accesso e la riforma dell’organizzazione della p.a.), in Dir. Proc. Amm., pag. 376, 1998.
[75] L. IEVA, Il diritto di accesso agli <> dei gestori dei pubblici servizi, in Foro Amm. CdS, pag. 705, 2002.
[76] R. GAROFOLI, Organismo di diritto pubblico, criteri di identificazione e problemi di giurisdizione, in Ur. App., pag. 960, 1997.
[77] E. PELOSI, Rafforzamento dell’accesso all’informazione ambientale alla luce della direttiva 2003/4, cit., pag. 30.
[78] V. SARCONE, La specialità del diritto all’informazione ambientale, cit., pag. 87.
[79] F. FRANZOSO, Il diritto di accesso alle informazioni ambientali, cit., pag. 633.
[80] Sent. n. 816/2003, in Foro Amm. C.d.S., pag. 1031.
[81] B. GAGLIARDI, Il diritto di accesso alle informazioni ambientali e nozione di <> ai sensi dell’art. 2 del d.lg. n.39 del 1997, cit., pag. 1035.
[82] Sentenza n. 4767/2006, T.a.r. Veneto, Sez. III, in Riv. Giur. Amb., pag. 594, 2007.
[83] Sentenza n. 397/1997, T.a.r. Lombardia, Brescia, V. SARCONE, La specialità del diritto all’informazione ambientale, cit.,
[85] S. CACACE, Codice dell’amministrazione digitale, d.lg. n. 82 del 2005, e n. 159 del 2006, in www.giustizia-amministrativa.it
[86] Caso tratto da, M. CIAMMOLA, Il diritto di accesso dalla legge istitutiva del Ministero dell’ambiente al d.lg. n. 195 del 2005, cit., pag. 698.
[87] Caso tratto da S. DELIPERI, Diritto all’informazione ambientale, un importante strumento per la difesa dell’ambiente, in Riv. Giur. Amb., pag. 598, 2007.
[90] Caso tratto da L. AMENDOLA, L’orientamento del Consiglio di Stato in materia di informazione ambientale: il nuovo D.lgs. 195/2005 alimenta le critiche, in www.dirittoambiente.com
[91] Si veda, B. CARAVITA, L’ambiente e i suoi confini: governo del territorio, urbanistica, paesaggio, protezione della natura, tutela della salute, biotecnologie, in Diritto dell’Ambiente, cit. pag. 33.
[93] M. CIAMMOLA, Il diritto di accesso all’informazione ambientale: dalla legge istitutiva del Ministero dell’ambiente al D.lg. n. 195 del 2005, cit., pag. 708.
[95] M. CIAMMOLA, Il diritto di accesso all’informazione ambientale: dalla legge istitutiva del Ministero dell’ambiente al D.lg. n. 195 del 2005, cit., pag. 715.