Consiglio di Stato Sez. IV n. 1564 del 24 febbraio 2025
Ambiente in genere.Autorizzazione integrata ambientale
Le valutazioni sottese alla rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale e alle relative modifiche implicano il ricorso a nozioni tecnico scientifiche in materia ambientale, connotate da un’ampia discrezionalità in merito ai possibili effetti ambientali o sanitari della modifica proposta, sindacabili dalla giurisdizione amministrativa di legittimità nei soli casi di esiti abnormi o manifestamente illogici. La “fase della “valutazione del rischio” è caratterizzata prevalentemente (anche se non esclusivamente) dalla “scientificità” della valutazione, demandata pertanto ad un organo tecnico, mentre, le successive fasi della gestione del rischio e della decisione si connotano prevalentemente (anche se non esclusivamente) per la loro “politicità” e sono, pertanto, affidate ad un soggetto “ politico” in quanto implicanti decisioni ampiamente discrezionali”. Ne consegue, quindi, che anche il solo ragionevole e motivato dubbio di compatibilità del progetto alle condizioni astrattamente idonee all’aggiornamento dell’AIA legittima, in forza del principio di precauzione, l’imposizione da parte della P.A di un nuovo procedimento autorizzatorio. Il richiamato principio di precauzione consiste, come è noto, in un criterio di gestione del rischio in condizioni di incertezza scientifica. Esso risponde, dunque, alla necessità di fronteggiare e/o gestire i c.d. “rischi incerti” e si distingue dalla nozione di “prevenzione” in quanto mentre quest’ultima può entrare in gioco solo a fronte di “rischi certi”, ossia in presenza «di rischi scientificamente accertati e dimostrabili, ovverosia in presenza di rischi noti, misurabili e controllabili», la precauzione, al contrario, trova il proprio campo di applicazione allorché un determinato rischio risulti ancora caratterizzato da margini più o meno ampi di incertezza scientifica circa le sue cause o i suoi effetti. Ne consegue, quindi, che in nome del principio di precauzione, l’intervento preventivo non può attendere l’inconfutabile prova scientifica degli effetti dannosi, ma deve essere predisposto sulla base di attendibili valutazioni di semplice possibilità/probabilità del rischio, sulla base delle conoscenze scientifiche e tecniche “attualmente” e “progressivamente” disponibili.
Pubblicato il 24/02/2025
N. 01568/2025REG.PROV.COLL.
N. 04814/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4814 del 2024, proposto dalla società Recupero Ecologico Inerti s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Angelo Clarizia e Daniele Montinaro, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Provincia di Lecce, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Maria Giovanna Capoccia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Regione Puglia, Comune di Galatone e Comune di Nardò, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sezione staccata di Lecce, sezione seconda, n. 00655/2024, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Provincia di Lecce;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 novembre 2024 il Cons. Rosario Carrano e uditi per le parti gli avvocati come da verbale.
FATTO e DIRITTO
1. – Con il ricorso di primo grado, la società REI s.r.l. ha impugnato la determina dirigenziale n. 1301 del 4 agosto 2023 con cui la Provincia di Lecce, a conclusione della conferenza di servizi avente ad oggetto “riesame ex art. 29-octies del D.Lgs. n. 152/2006”, ha disposto “il diniego alla prosecuzione di attività per la discarica monomateriale rca” nei confronti della ricorrente, nonché i presupposti pareri negativi dei Comuni di Galatone e di Nardò e, in via subordinata, il piano regionale di gestione dei rifiuti speciali (d.g.r. n. 1023/2015, punto 16, par. 16.2).
2. – Con la sentenza impugnata, il T.a.r. ha respinto il ricorso, ritenendo correttamente individuate le posizioni prevalenti in sede di conferenza di servizi, in senso sfavorevole per la ricorrente, ed evidenziando altresì il carattere plurimotivato del provvedimento impugnato.
3. – Con atto di appello, la società ha impugnato la suddetta sentenza.
4. – Con apposita memoria, si è costituita l’amministrazione resistente, chiedendo il rigetto del ricorso.
5. – All’udienza pubblica del 28 novembre 2024, la causa è stata trattenuta per la decisione.
6. – L’appello è infondato.
7. – Innanzitutto, giova premettere che la controversia in esame si inserisce nell’ambito di una complessa vicenda caratterizzata da una articolata fase procedimentale relativa al riesame dell’autorizzazione integrata ambientale (di seguito, AIA) e da parallele vicende processuali, in relazione ad una attività di discarica di inerti e di amianto nella Provincia di Lecce.
Questi, in sintesi, i fatti rilevanti ai fini di causa:
- con determinazione dirigenziale n. 522 del 14 marzo 2013, la Provincia di Lecce, attraverso una procedura coordinata di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) e di A.I.A. ai sensi dell’art. 7, c. 2, della legge regionale n. 17 del 2007, ha aggiornato l’A.I.A. già rilasciata con la determina dirigenziale n. 83 del 2011 ai sensi dell’art. 29-nonies, d.lgs. n. 152/2006 (di seguito, cod. ambiente) approvando una variante dell’impianto (modifica sostanziale) richiesta dalla società R.E.I. con nota prot. 67891 del 26 giugno 2012, autorizzando due distinte sezioni della discarica con potenzialità di abbancamento dei rifiuti pressoché equivalenti (88.886 mc per il bacino di rifiuti inerti e 72.363 mc per il bacino di rifiuti contenenti amianto).
Nel 2017, nel corso di un sopralluogo della Polizia Provinciale, sono state accertate delle violazioni rispetto a quanto previsto dalla normativa vigente in materia, con particolare riguardo alle modalità di abbancamenti dei rifiuti contenenti amianto.
Pertanto, è stato aperto un procedimento penale nei confronti della società con sottoposizione della discarica a sequestro giudiziario, che si è protratto fino alla emanazione della sentenza del Tribunale di Lecce n. 35 del 13 gennaio 2021 con la quale è stato disposto il dissequestro dell’impianto a causa dell’estinzione del reato per intervenuta morte del legale rappresentante della società.
All’esito del dissequestro, con nota prot. n. 3415 del 26 gennaio 2021, la società R.E.I. ha presentato una proposta di modifica dell’A.I.A. (art. 29-nonies, cod. ambiente) al fine di superare le criticità rilevate dal consulente tecnico d’ufficio nominato dal Tribunale nell’ambito del suddetto procedimento penale.
In riscontro alla suddetta proposta, la Provincia con nota prot. 13271 del 26 marzo 2021, dopo aver rilevato che le modifiche proposte non erano idonee a superare le criticità riscontrate, ha diffidato la società ad adottare con urgenza tutte le azioni di messa in sicurezza della discarica, disponendo la sospensione dell’attività di ricezione di ulteriori carichi di rifiuti contenenti amianto e dando avvio al procedimento di revoca dell’autorizzazione rilasciata, relativamente alla sezione di discarica di rifiuti contenenti amianto.
Con nota prot. n. 21416 del 18 maggio 2021, la società ha presentato una seconda proposta di modifica dell’AIA (art. 29-nonies, cod. ambiente), esaminata nell’ambito di una apposita conferenza di servizi convocata dalla Provincia di Lecce, all’esito della quale è stato deliberato di valutare la proposta di modifica dell’AIA nell’ambito di un procedimento di riesame con valenza di rinnovo (art. 29-octies, cod. ambiente), ossia mediante un riesame complessivo dell’impianto con il rinnovo dei pareri e dei titoli autorizzativi necessari, tenendo conto anche delle sopravvenienze fattuali e normative.
Al termine della conferenza di servizi, la società è stata invitata a presentare l’istanza di riesame con valenza di rinnovo (art. 29-octies, cod. ambiente), con la precisazione che il procedimento avviato ai sensi dell’art. 29-nonies doveva intendersi concluso con diniego.
Dopo ulteriori contestazioni da parte della società, quest’ultima, con nota prot. 27901 del 13 luglio 2022, ha presentato la richiesta di rinnovo (art. 29-octies, cod. ambiente) a seguito della quale si è tenuta la conferenza di servizi dell’8 novembre 2022.
In tale conferenza, sono emerse le posizioni negative dei Comuni di Galatone e di Nardò, sotto i profili urbanistici, ambientali, paesaggistici e di tutela della salute pubblica.
Dopo ulteriori riunioni della conferenza di servizi e integrazioni progettuali da parte della società in riscontro ai rilievi di ARPA, condivisi anche dalla ASL, è stato emanato il preavviso di rigetto ex art. 10-bis, legge n. 241 del 1990 dell’istanza di rinnovo dell’AIA (art. 29-octies, cod. ambiente).
Con il provvedimento conclusivo oggetto di impugnazione (determina dirigenziale n. 1301 del 4 agosto 2023), la Provincia di Lecce ha disposto un parziale rigetto dell’istanza, mediante il diniego del rinnovo dell’AIA “limitatamente all’esercizio della discarica monomateriale di rifiuti contenenti amianto”, con conseguente inibizione dell’esercizio della suddetta discarica, nonché l’autorizzazione alla prosecuzione dell’esercizio per la sezione di discarica per rifiuti inerti, oltre a prescrivere alla medesima società “la messa in sicurezza della discarica monomateriale di RCA, realizzando da subito, per tale sezione di impianto, tutte le attività e le opere previste al paragrafo 5.3 dell’Allegato Tecnico alla Determinazione Dirigenziale n. 646 del 25.03.2013”.
In particolare, sulla base delle posizioni negative espresse dai Comuni di Galatone e di Nardò, ritenute prevalenti, la Provincia di Lecce ha motivato il suddetto diniego parziale in ragione del mancato rispetto sia delle distanze minime da luoghi sensibili previste dal sopravvenuto piano regionale amianto (d.g.r. n. 908 del 6 maggio 2015, di seguito anche piano amianto), che dei criteri localizzativi previsti dal vigente piano di gestione dei rifiuti speciali (d.g.r. n. 673 dell’11 maggio 2022, di seguito anche piano rifiuti), trattandosi di area soggetta a vincolo paesaggistico ai sensi del piano paesaggistico territoriale regionale.
Pertanto, in applicazione del principio di precauzione ambientale, ha ritenuto che “la vicinanza dell’impianto ai siti sensibili, pur con gli adeguamenti gestionali e impiantistici proposti, non può scongiurare del tutto l’evento accidentale del rilascio di fibre di amianto nell’aria” rappresentando un “un fattore che fa aumentare il rischio sia in termini di esposizione sia in termini di fragilità dei soggetti esposti”.
Inoltre, ha specificato che “la previsione di un monitoraggio delle fibre aerodisperse, con campionamento quindicinale dell’aria in 6 punti esterni all’impianto, non offre sufficienti garanzie in ordine alla possibilità di registrare un evento accidentale che seppur di breve durata possa comunque determinare una diffusione importante delle fibre nell’aria con i conseguenti noti effetti nocivi sulla salute umana”.
Pertanto, ha ritenuto che il posizionamento dell’impianto in questione “ad una congrua distanza di sicurezza dai centri abitati e dai recettori sensibili (con il rispetto delle distanze minime fissate nei Piani e nella Normativa di settore), rappresenta un modo più sicuro ed efficace di garantire la salute dei cittadini, e, in definitiva, di accertare la compatibilità dell’impianto con i principi stabiliti dall’art. 177, comma 4, del D. Lgs. 152/2006, di una gestione dei rifiuti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza pregiudizio all'ambiente”.
Infine, ha precisato che sebbene la delocalizzazione prevista nel piano regionale amianto per gli impianti che non rispettano i criteri localizzativi come quello in esame “allo stato, non è ipotizzabile per l’impianto R.E.I.”, tuttavia, ha evidenziato che è comunque possibile, in applicazione del principio di precauzione ambientale, “disporre la inibizione dell’esercizio della sola sezione monomateriale di RCA e la prosecuzione, invece, dell’esercizio per la sezione dei rifiuti di inerti”.
8. – Ciò premesso, la controversia in oggetto verte sull’impugnazione del diniego parziale di rinnovo dell’AIA (con conseguente inibizione alla prosecuzione dell’attività di discarica), limitatamente ai rifiuti contenenti amianto (r.c.a.) fondato sul mancato rispetto del vincolo escludente del piano di gestione dei rifiuti speciali della Puglia, nonché sulla violazione della fascia di rispetto prevista dal piano regionale amianto che prescrive una distanza minima da obiettivi sensibili (2.500 m da strutture sociosanitarie, scuole, asili) o da centri abitati (2.000 m) oppure, in alternativa, delle misure di mitigazione per gli impianti già esistenti.
9. – Con il primo motivo di appello (pag. 9-12), la società ha dedotto, da un lato, che vi sarebbe compatibilità con il piano rifiuti in quanto nel caso di specie non si tratterebbe né di una variante sostanziale e né di un ampliamento dell’impianto (e pertanto non si applicherebbero i relativi vincoli escludenti) e, dall’altro, che le misure di mitigazione prescritte da ARPA sarebbero state recepite dalla società; conseguentemente, vi sarebbe compatibilità anche con il piano amianto perché i vincoli coinciderebbero con quelli del piano rifiuti.
9.1. – Il motivo è infondato.
Invero, la censura muove dal presupposto secondo cui i vincoli escludenti previsti dal piano rifiuti e dal piano amianto non si applicherebbero all’impianto in questione, non venendo in rilievo nessuna delle relative fattispecie previste dai suddetti piani (nuovo impianto, ampliamento o variante sostanziale).
In subordine, ha impugnato le suddette previsioni del piano rifiuti ove ritenute applicabili all’impianto in questione.
Orbene, il piano regionale amianto (d.g.r. n. 908 del 6 maggio 2015) ha previsto dei vincoli escludenti per gli impianti di smaltimento di rifiuti contenenti amianto mediante la fissazione di una distanza minima da luoghi sensibili (2.500 m da strutture scolastiche, strutture sanitarie, case di riposo) e da centri e nuclei abitati (2.000 m).
Il medesimo piano regionale amianto, inoltre, dispone che i suddetti criteri di localizzazione “si applicano ai nuovi impianti, agli ampliamenti e alle varianti sostanziali proposte relative agli impianti esistenti. Per gli impianti esistenti che non rispettano tali criteri localizzativi, devono essere attivate procedure di delocalizzazione o devono essere previste idonee misure di mitigazione/compensazione”.
Nel caso di specie, come già accertato dal primo giudice con statuizione non oggetto di specifica impugnazione, l’impianto in questione non rispetta i suddetti criteri localizzativi “collocandosi la discarica monomateriale di amianto ad una distanza inferiore rispetto a quella statuita dalle previsioni di piano da strutture sociosanitarie, scuole ed asili siti nei comuni di Galatone e Nardò” (pag. 3 della sentenza impugnata).
Pertanto, trattandosi di un impianto esistente che non rispetta tali criteri, occorre attivare le procedure di delocalizzazione o, in alternativa, adottare idonee misure di mitigazione o compensazione.
Nel caso di specie, il provvedimento impugnato, nel dare atto della impossibilità di disporre una delocalizzazione, ha concluso per il diniego parziale del rinnovo dell’AIA con conseguente inibizione della relativa attività di discarica dei materiali contenenti amianto, in applicazione del principio di precauzione ambientale.
Il motivo di appello, quindi, risulta essere inconferente, in quanto l’impianto in questione è stato correttamente valutato dall’amministrazione alla stregua di un “impianto esistente” e non già di un “nuovo impianto”.
Esula invece dal thema decidendum, non essendovi una specifica censura sul punto, l’ulteriore e diversa questione relativa alla riconducibilità della misura adottata dall’amministrazione (inibizione dell’attività) alla categoria delle misure di mitigazione o compensazione, una volta esclusa la possibilità di una delocalizzazione.
9.2. – Analoghe considerazioni valgono anche con riferimento al piano di gestione dei rifiuti speciali (d.g.r. n. 673 dell’11 maggio 2022), il quale prevede un vincolo escludente per le aree tutelate paesaggisticamente, precisando che “Nel caso di impianti esistenti, che non rispettano il vincolo escludente, in fase di rinnovo di autorizzazione, dovranno essere privilegiate iniziative volte alla delocalizzazione”.
Nel caso di specie, come già accertato dal primo giudice con statuizione non oggetto di specifica impugnazione, l’impianto in questione non rispetta il suddetto vincolo escludente, essendo situato in area classificata ai sensi dell’art. 136, d.lgs. n. 42 del 2004 come “Immobili e aree di notevole interesse pubblico” (pag. 3 della sentenza impugnata).
Pertanto, non potendo essere disposta una delocalizzazione (quale misura da privilegiare), è stato negato il rinnovo dell’AIA (limitatamente alla discarica di amianto), con conseguente inibizione della relativa attività.
9.3. – Infine, non assume rilevanza nemmeno la censura secondo cui le misure di mitigazione prescritte da ARPA sarebbero state recepite dalla società.
Sul punto, infatti, il provvedimento impugnato è chiaro nel motivare il diniego dell’AIA e l’inibizione dell’attività di discarica anche in ragione del principio di precauzione ambientale, con una decisione caratterizzata da una ampia discrezionalità, insindacabile in sede giurisdizionale, non essendo stati travalicati i limiti della ragionevolezza.
Sul punto, giova richiamare l’orientamento di questa sezione in materia di AIA secondo cui le valutazioni sottese alla rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale e alle relative modifiche implicano il ricorso a nozioni tecnico scientifiche in materia ambientale, connotate da un’ampia discrezionalità in merito ai possibili effetti ambientali o sanitari della modifica proposta, sindacabili dalla giurisdizione amministrativa di legittimità nei soli casi di esiti abnormi o manifestamente illogici (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 5 settembre 2022, n.7706).
Inoltre, è stato precisato che la “fase della “valutazione del rischio” è caratterizzata prevalentemente (anche se non esclusivamente) dalla “scientificità” della valutazione, demandata pertanto ad un organo tecnico, mentre, le successive fas[i] della gestione del rischio e della decisione si connotano prevalentemente (anche se non esclusivamente) per la loro “politicità” e sono, pertanto, affidate ad un soggetto “ politico” in quanto implicanti decisioni ampiamente discrezionali” (Cons. Stato, sez. IV, 31 agosto 2023, n. 8094).
Ne consegue, quindi, che “anche il solo ragionevole e motivato dubbio di compatibilità del progetto alle condizioni astrattamente idonee all’aggiornamento dell’AIA legittima, in forza del principio di precauzione, l’imposizione da parte della P.A di un nuovo procedimento autorizzatorio” (Cons. Stato, sez. IV, 31 agosto 2023, n. 8094).
Il richiamato principio di precauzione consiste, come è noto, in un criterio di gestione del rischio in condizioni di incertezza scientifica.
Esso risponde, dunque, alla necessità di fronteggiare e/o gestire i c.d. “rischi incerti” e si distingue dalla nozione di “prevenzione” in quanto mentre quest’ultima può entrare in gioco solo a fronte di “rischi certi”, ossia in presenza «di rischi scientificamente accertati e dimostrabili, ovverosia in presenza di rischi noti, misurabili e controllabili», la precauzione, al contrario, trova il proprio campo di applicazione allorché un determinato rischio risulti ancora caratterizzato da margini più o meno ampi di incertezza scientifica circa le sue cause o i suoi effetti.
Ne consegue, quindi, che in nome del principio di precauzione, l’intervento preventivo non può attendere l’inconfutabile prova scientifica degli effetti dannosi, ma deve essere predisposto sulla base di attendibili valutazioni di semplice possibilità/probabilità del rischio, sulla base delle conoscenze scientifiche e tecniche “attualmente” e “progressivamente” disponibili.
Alla luce di tali considerazioni, quindi, le censure prospettate da parte appellante si configurano alla stregua di censure di merito finalizzate a contestare una scelta tecnica che, al più, può essere opinabile ma non anche, per le ragioni evidenziate, irragionevole.
10. – Con il secondo motivo di appello (pag. 13-15), la società ha dedotto un vizio di omessa pronuncia sulle censure di violazione della disciplina che presiede: i) alla procedura di riesame dell’AIA; ii) all’espletamento della conferenza di servizi; iii) agli adempimenti conseguenti all’originario provvedimento di approvazione della struttura della discarica e del relativo piano di coltivazione.
In particolare, ha dedotto che: a) il riesame con rinnovo dell’AIA (art. 29-octies, comma 3, lett. b), cod. ambiente) presuppone la validità ed efficacia dell’originario titolo autorizzativo ed è esclusivamente funzionale alla verifica di eventuali circostanze sopravvenute ostative alla prosecuzione dell’attività, a differenza della fattispecie relativa alle violazioni delle prescrizioni dell’AIA (art. 29-decies, comma 9, cod. ambiente), che invece comporta delle conseguente di tipo sanzionatorio, fino alla revoca della autorizzazione, mentre nella specie non vi sarebbe alcuna situazione di rischio di contaminazione ambientale (seguendo la tesi del T.a.r. si dovrebbe qualificare il diniego in questione come una revoca dell’autorizzazione in assenza dei relativi presupposti); b) il provvedimento impugnato non indica alcuna ipotesi di delocalizzazione della discarica, che sarebbe l’unica opzione prevista dal piano amianto e da quello rifiuti per gli impianti esistenti ed autorizzati; c) il principio di precauzione non si risolve nella inibizione assoluta della discarica;
10.1. – Il motivo, nelle sue plurime censure, è infondato.
Innanzitutto, occorre richiamare la normativa applicabile alla specie.
Il d.lgs. n. 152 del 2006 (cod. ambiente), al suo art. 29-octies (Rinnovo e riesame) prevede che “L’autorità competente riesamina periodicamente l’autorizzazione integrata ambientale, confermando o aggiornando le relative condizioni” (comma 1).
Il riesame tiene conto, tra le altre cose, “di eventuali nuovi elementi che possano condizionare l’esercizio dell’installazione” (comma 2).
Inoltre, il riesame con valenza di rinnovo dell’autorizzazione “è disposto sull’installazione nel suo complesso” (comma 3), al ricorrere di una serie di ipotesi, tra le quali viene annoverato anche il caso in cui “sono trascorsi 10 anni dal rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale o dall’ultimo riesame effettuato sull’installazione” (comma 3, lett. b).
10.2. – Nel caso di specie, è pacifico che il riesame con valenza di rinnovo è stato disposto sull’installazione nel suo complesso avendo dato atto del decorso dei dieci anni dal rilascio dell’AIA (art. 29-octies, comma 3, lett. b), cod. ambiente).
Pertanto, l’amministrazione ha dovuto tenere conto anche dei “nuovi elementi” nel frattempo intervenuti, costituiti dall’approvazione del piano amianto e del piano rifiuti.
Ed è proprio su tali normative sopravvenute che si fonda il diniego parziale.
Ne consegue, quindi, che non risulta pertinente il richiamo alla diversa fattispecie di cui all’art. 29-decies, comma 9, cod. ambiente, in quanto nessun procedimento sanzionatorio viene in rilievo nella controversia in esame, non essendo stato contestato l’esercizio della discarica in assenza di autorizzazione o l’inosservanza delle prescrizioni dell’AIA (art. 29-decies, comma 9, cod. ambiente).
Né il diniego parziale del rinnovo dell’AIA, con inibizione alla prosecuzione della relativa attività, può essere qualificato alla stregua della sanzione della “revoca dell’autorizzazione”, la quale presuppone il “mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida” o la sussistenza di “reiterate violazioni che determinano situazioni di pericolo o di danno per l’ambiente” (art. 29-decies, comma 9, lett. d), cod. ambiente).
Nel caso di specie, invece, ciò che viene in rilievo è un parziale diniego di rinnovo dell’AIA che è fattispecie diversa da quella relativa alla irrogazione della sanzione della “revoca dell’autorizzazione”.
10.3. – In secondo luogo, contrariamente a quanto asserito da parte appellante, la delocalizzazione della discarica non costituisce “l’unica opzione prevista” (pag. 15 dell’appello) dal piano rifiuti e dal piano amianto.
Invero, come già evidenziato in relazione al primo motivo di appello, per gli impianti esistenti come quello in esame, il piano amianto prevede l’adozione di “idonee misure di mitigazione/compensazione” in alternativa alla delocalizzazione, mentre il piano rifiuti si limita a prevedere che la delocalizzazione debba essere “privilegiata” rispetto ad altre misure.
Pertanto, è infondata la censura secondo cui il provvedimento impugnato non indica alcuna ipotesi di delocalizzazione della discarica, in quanto è lo stesso provvedimento ad escludere tale possibilità in base alla suddetta normativa.
Infine, la censura relativa al principio di precauzione deve ritenersi del tutto generica e apodittica, non essendo supportata da adeguata argomentazione.
11. – Con il terzo motivo di appello (pag. 15-19), ha dedotto l’errata individuazione delle posizioni prevalenti, in quanto il parere espresso dal Comune non potrebbe prevalere rispetto a quello di ARPA e ASL quali enti deputati alla tutela di interessi sensibili; inoltre, la posizione e la competenza della ASL non potrebbe essere sostituita o confusa con quella del Sindaco poiché né il Comune né il suo organo di vertice sarebbero specificatamente preposti alla tutela di interessi paesistico-ambientali o della salute nell’ambito della conferenza di servizi per il rilascio dell’AIA, oltre a non avere gli strumenti tecnici per poter accertare le condizioni sanitarie del progetto.
In particolare, riprendendo la censura sul principio di precauzione, ha dedotto che tale principio non implicherebbe affatto l’inibizione della discarica, ma coinciderebbe con la “congrua verifica della sussistenza di tutte le condizioni di sicurezza e tutela ambientale; verifica rispetto alla quale, in ogni caso, è illegittima, ed evidentemente irragionevole, una considerazione assolutamente prevalente del parere espresso dal Comune rispetto a quello motivatamente espresso, per i profili ambientali e sanitari, da ARPA ed ASL” (pag. 17 dell’appello).
11.1. – Il motivo è inammissibile oltre che infondato.
Invero, il primo giudice, con statuizione rimasta non impugnata, ha evidenziato che “la posizione prevalente in termini di diniego è da individuarsi tanto in quella delle amministrazioni comunali preposte al governo del territorio, ovvero alla cura degli interessi urbanistici - la cui tutela è funzionale peraltro a garantire la salubrità degli insediamenti abitativi – che in quella dall’amministrazione provinciale domina del procedimento in qualità di ente preposto alla cura degli interessi ambientali” (pag. 4 della sentenza impugnata).
La parte appellante, quindi, non ha contestato tale statuizione nella parte in cui ha individuato la posizione prevalente non solo con riferimento ai pareri sfavorevoli dei Comuni interessati, ma anche (e soprattutto) con riferimento alla stessa amministrazione provinciale.
La censura, pertanto, risulta essere inammissibile per difetto di interesse.
11.2. – In ogni caso, è anche infondata, in quanto, la suddetta prevalenza delle posizioni viene motivata in ragione della pacifica violazione delle sopravvenute prescrizioni del piano amianto e del piano rifiuti, a cui si aggiunge la suddetta considerazione in ordine al principio di precauzione ambientale, per cui nessun profilo di irragionevolezza sussiste in rapporto al parere dell’ARPA e dell’ASL, per i profili di propria competenza.
12. – In conclusione, quindi, l’appello deve essere rigettato.
13. – Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Condanna la parte appellante al pagamento delle spese di lite nei confronti della Provincia di Lecce, che si liquidano in € 5.000,00, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, di IVA e di CPA.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 novembre 2024 con l'intervento dei magistrati:
Vincenzo Lopilato, Presidente FF
Francesco Gambato Spisani, Consigliere
Silvia Martino, Consigliere
Emanuela Loria, Consigliere
Rosario Carrano, Consigliere, Estensore