Cass. Sez. III n. 9429 del 7 marzo 2025 (CC 13 feb 2025)
Pres. Ramacci Est. Scarcella Ric. Quintana
Ambiente in genere.Reato di abusiva occupazione di spazio demaniale marittimo

In tema di tutela del demanio, per la configurabilità del reato di abusiva occupazione di spazio demaniale marittimo non è necessaria la preventiva emanazione dell'ordinanza di sgombero da parte della competente autorità, poiché il reato è integrato dalla mera occupazione dello spazio demaniale in difetto di titolo concessorio. Il reato di abusiva occupazione di spazio demaniale di cui all'art. 1161 cod. nav. è configurabile indipendentemente dalla emanazione, da parte dell'autorità competente, dell'ingiunzione di rimessione in pristino di cui all'art. 54 cod. nav. che costituisce mero "post factum" la cui violazione integra il diverso reato previsto dall'art. 1164 cod. nav. 

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 6 settembre 2024, il Tribunale del riesame di Lecce confermava il decreto di sequestro preventivo disposto dal GIP del tribunale di Lecce nei confronti di Roberto Quintana, avente ad oggetto un manufatto edilizio, denominato box n. 12, nel plesso demaniale marittimo sito in Gallipoli (Mercato ittico al dettaglio) adibito per la vendita di prodotti ittici e di souvenir e chincaglierie marine, sottoposto a tale misura cautelare per i reati di cui agli artt. 54 e 1161 cod. nav.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia dell’indagato, deducendo tre distinti motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173, disp. Att., cod. proc. pen. 
2.1. Deduce, con un primo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 125, cod. proc. pen. e con riferimento agli artt. 324, 325 e 309, cod. proc. pen. sotto il profilo dell’inesistente o apparente motivazione con conseguente error in iudicando sulla valutazione della condotta criminosa al confronto con la fattispecie legale ipotizzata di cui agli artt. 54 e 1161, cod.nav. 
In sintesi, con il primo motivo, si sostiene che la decisione dei giudici del riesame sarebbe affetta dal denunciato vizio di assenza o apparenza motivazionale, anche per aver malinteso le tesi difensive per la superficiale ricognizione del contenzioso pendente, in particolare con riferimento ai provvedimenti emessi dai giudici amministrativi (segnatamente, il riferimento è all’ordinanza TAR-Lecce n. 14/2023, all’ordinanza CdS n. 1478/2024 ed alla sentenza TAR-Lecce n. 965/2023, allegate al ricorso), che avrebbero in maniera chiara evidenziato l’illegittimità dell’ordinanza di sgombero del box in sequestro. Suscita, pertanto, perplessità la pretesa di conferire rilevanza penale alla condotta tenuta dall’indagato in conseguenza della notifica dell’ordinanza di sgombero dichiarata illegittima dai giudici amministrativi, illegittimità che attrae altresì la comunicazione/diffida che l’ha preceduta, avendo lo stesso identico contenuto. I residui argomenti utilizzati dai giudici del riesame per confermare il provvedimento del GIP (segnatamente, il tema del rapporto ente comunale e Capitaneria di porto e la conseguente attribuzione del bene in concessione a terzi; il richiamo al Regolamento del mercato ittico del 2018; la circostanza che l’intervenuta effettuazione dei lavori su altri box non poteva che confermare la necessità di eseguirli anche sul box dell’indagato) non avrebbero alcun rilievo ai fini della configurabilità dell’ipotesi di reato oggetto di contestazione, a fronte del chiaro contenuto dei provvedimenti adottati dai giudici amministrativi. 
2.2. Deduce, con un secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 125, cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 324, 325 e 309, cod. proc. pen. sotto il profilo dell’inesistente motivazione con conseguente error in iudicando sulla ritenuta non necessarietà dell’indagine afferente all’elemento soggettivo del reato ipotizzato di cui agli artt. 54 e 1161, cod. nav., e comunque sotto il profilo dell’apparente motivazione sul punto perché ritenuta assorbita dal presupposto del periculum in mora; violazione dell’art. 125, cod. proc. pen. in relazione agli artt. 54 e 1161 cod. nav., nonché in relazione agli artt. 324, 325 e 309, cod proc. pen. per essere l’ordinanza impugnata corredata da inesistente motivazione o apparente motivazione sul punto del periculum in mora. 
In sintesi, si sostiene che quanto avvenuto per gli occupanti di altri box non potrebbe riguardare l’indagato, che avrebbe sempre esercitato l’attività di semplice rivendita di prodotti ittici con le modalità da sempre autorizzate. I giudici del riesame, anziché vagliare le doglianze sull’insussistenza del periculum in mora, lo avrebbero valutato snaturando la funzione del sequestro, attraverso la stabilizzazione di una misura destinata ad essere provvisoria giustificandone il mantenimento al fine di consentire l’adozione di misure amministrative, dunque per fini non consentiti. Censurabile sarebbe, infine, la motivazione laddove ritiene non necessario approfondire la questione afferente alla sussistenza dell’elemento volitivo, laddove si consideri che il reato per cui si procede ha natura tipicamente dolosa, e che rientra nell’ipotesi di illiceità speciale stante la presenza dell’avverbio “arbitrariamente”. 
2.3. Deduce, con un terzo ed ultimo motivo, il vizio di violazione di lege in relazione all’art. 125, cod. proc. pen., con riferimento agli artt. 324, 325 e 309, cod. proc. pen. sotto il profilo dell’inesistente motivazione e l’omessa pronuncia sulla nullità del decreto del GIP per difetto di autonoma valutazione ai sensi del combinato disposto degli artt. 292, comma 2, lett. c), e c-bis), cod. proc. pen., dell’art. 324, comma 7 e dell’art. 309, comma 9, cod. proc. pen. come modificato dall’art. 11, comma 3, l. n. 47 del 2015. 
In sintesi, si eccepisce il difetto di autonoma valutazione da parte del GIP degli elementi rappresentati dal PM, su cui il primo si sarebbe sostanzialmente appiattito, risultando quale unico elemento di novità oggetto di valutazione quello relativo alla circostanza che i lavori edilizi comunali avrebbero formato oggetto di ordinanza di sgombero, circostanza peraltro erroneamente richiamata perché mai venuta a manifestazione. In definitiva, il GIP avrebbe attuato una prassi di automatico recepimento delle tesi del PM richiedente né al riguardo si registrano interventi surrogatori del tribunale del riesame. 

3. In data 27 gennaio 2025 sono state trasmesse le conclusioni scritte del Procuratore generale, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. 
In particolare, sostiene il PG: 1) che il primo motivo è manifestamente infondato, in quanto ripropone la questione della legittimità dell’occupazione a seguito dell’annullamento dell’ordinanza di sgombero, già risolta dal Tribunale del riesame rilevando come oggetto della decisione del giudice amministrativo fosse il distinto profilo dell’incompetenza del Comune a procedere in autotutela allo sgombero, ferma l’assenza di titolo per l’occupazione del suolo pubblico; 2) che il secondo motivo non si confronta con la permanenza del reato di abusiva occupazione di spazio demaniale, presupposto logico-giuridico del rischio per l’incolumità e la salute pubblica che deriverebbe dalla libera disponibilità dell’area valorizzato dal giudice di merito per giustificare il periculum e contestato con argomentazioni di merito ed all’evidenza irrilevanti nella parte in cui richiamano la titolarità di autorizzazione sanitaria, riguardando la stessa le modalità di gestione dell’attività commerciale, profilo distinto da quello dell’occupazione senza titolo del box; 3) che il terzo motivo non è autosufficiente nel proporre la questione del mancato esame della questione del difetto di autonoma valutazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso, trattato cartolarmente in assenza di richiesta di discussione orale, è inammissibile.

2. I primi due motivi meritano congiunto in esame, atteso l’intima connessione dei profili di doglianza ad essi sottesi. Gli stessi si appalesano all’evidenza inammissibili per genericità, in quanto mostrano di non confrontarsi adeguatamente con il contenuto del provvedimento impugnato che, a dispetto delle censure di apparenza o inesistenza motivazionale, ha esaminato i profili di doglianza sollevati in sede di riesame. 
2.1. Quanto alla configurabilità del fumus del reato ipotizzato (art. 54 e 1161, cod. nav.) i giudici del riesame ricostruiscono per sintesi la vicenda fattuale che è alla base del provvedimento di sequestro, evidenziando come l’area del mercato ittico in questione, sulla cui demanialità non vi è contestazione, fosse stata affidata in concessione al Comune di Gallipoli con atto di sottomissione e licenza di subingresso risalenti al 2004, area poi sottratta dal Comune all’affidamento ai privati con regolamento del 2018, mediante esclusione del tacito rinnovo della assegnazioni in scadenza, poi prorogate nel 2020 per fronteggiare economicamente le conseguenze dell’epidemia da Covid-19, infine sottratte al godimento privato al termine dello stato di emergenza pandemica con conseguente diffida a tutti gli occupanti, ivi compreso l’attuale ricorrente, al rilascio di tutti i box ancora attivi. Il Comune aveva provveduto alla diffida nel settembre 2022, ingiungendo poi lo sgombero nel successivo mese di novembre, con invito agli occupanti al rilascio per necessità di lavori di ristrutturazione nell’agosto 2023. Tale occupazione, peraltro, si era protratta sino alla data del sequestro, intervenuta nella notte tra il 26 ed il 27 luglio 2024. 
2.2. Tanto premesso, i giudici del riesame, difformemente da quanto sostenuto dal ricorrente, non hanno trascurato né erroneamente valutato i provvedimenti dei giudici amministrativi susseguitisi con riferimento all’impugnativa dell’ordinanza di sgombero, evidenziando come dalla loro lettura fosse evidente che l’oggetto del contenzioso in questione, non concerneva l’esistenza o meno del titolo di occupazione abusiva del box in capo all’indagato, bensì la sola competenza e potestà del Comune a procedere in autotutela allo sgombero dei box abusivamente occupati, impregiudicata rimanendo la loro natura demaniale e l’assenza di titolo per la loro occupazione. 
2.3. A fronte di tale affermazione, perdono quindi di spessore argomentativo le doglianze difensive riguardanti l’elemento oggettivo del reato in esame, rispetto al quale l’annullamento dell’ordinanza di sgombero, di cui il giudice amministrativo ha rilevato l’illegittimità, non refluisce sulla configurabilità dell’illecito penale di cui all’art. 54 e 1161 cod. nav. 
Trattasi, del resto, di conclusione che si pone perfettamente in linea con quanto già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, la quale ha già avuto modo di chiarire che in tema di tutela del demanio, per la configurabilità del reato di abusiva occupazione di spazio demaniale marittimo non è necessaria la preventiva emanazione dell'ordinanza di sgombero da parte della competente autorità, poiché il reato è integrato dalla mera occupazione dello spazio demaniale in difetto di titolo concessorio (Sez. 3, n. 21809 del 18/04/2007, Rv. 236681 – 01), essendosi, poi, ulteriormente chiarito che il reato di abusiva occupazione di spazio demaniale di cui all'art. 1161 cod. nav. è configurabile indipendentemente dalla emanazione, da parte dell'autorità competente, dell'ingiunzione di rimessione in pristino di cui all'art. 54 cod. nav. che costituisce mero "post factum" la cui violazione integra il diverso reato previsto dall'art. 1164 cod. nav. (Sez. 3, n. 15981 del 30/04/2020, Rv. 278913 – 01). 
2.4. Quanto, poi, alla questione afferente alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato per cui si procede, risulta, all’evidenza, priva di pregio la doglianza difensiva, avendo infatti i giudici del riesame compiutamente esaminato le censure difensive riguardanti l’elemento soggettivo del reato in esame, specificandosi chiaramente (v. pag. 3) come, nel caso di specie, l’elemento psicologico non potesse essere seriamente messo in discussione a fronte della “surriportata vasta messe di avvisi e diffide comunali, rimasti inascoltati per mesi ed anni, dalla scadenza dei titoli sino addirittura all’estate 2024”. 
Peraltro, merita, a tal proposito, di essere ricordato che in tema di tutela del demanio, deve escludersi l'elemento psicologico del reato di occupazione abusiva di spazio demaniale quando la condotta dell'agente non sia conseguenza della ignoranza della legge penale, ma riveli una volontà contraria alla violazione di legge e l'agente abbia assolto all'onere della prova di aver fatto tutto il possibile per uniformarvisi (Sez. 3, n. 31134 del 29/05/2008, Rv. 240823 – 01, pronunciata in relazione ad una fattispecie nella quale la Corte ha escluso che fosse ravvisabile la colpa, intesa quale conoscenza dell'arbitrarietà dell'occupazione, nel fatto – assimilabile a quello qui in discussione - di essersi il ricorrente difeso contro un'ordinanza di ingiunzione a demolire le opere abusive, peraltro cautelarmente sospesa dal giudice amministrativo essendo incerta la natura demaniale dell'area). 
2.5. Quanto, infine, alla questione afferente alla configurabilità del periculum in mora che, secondo il ricorrente, non sarebbe stato adeguatamente affrontato dai giudici del riesame, anche sotto tale profilo il percorso argomentativo del tribunale, lungi dall’essere affetto dal denunciato vizio di apparenza o inesistenza motivazionale, risulta del tutto coerente con le emergenze processuali e assistito da stringente logica valutativa, laddove richiama il rischio per l’incolumità e la salute pubblica rappresentato dal protrarsi dell’attività di somministrazione di pesce e pescato in acclarate condizioni di fatiscenza strutturale ed igienica, dovute all’impossibilità per il Comune di ristrutturare i box in pendenza dell’occupazione abusiva degli stessi, nonostante i ripetuti inviti a lasciare la disponibilità degli immobili per i doverosi interventi edilizi comunali (laddove il riferimento al danno per la pubblica economia e la libera concorrenza costituisce un “quid pluris” argomentativo che non riveste valenza centrale nell’economia motivazionale del provvedimento impugnato). 
E’ agevole dalla struttura della motivazione così illustrata rilevare la corretta indicazione di una motivazione sul periculum, in quanto, trattandosi di sequestro impeditivo, la sottrazione della libera disponibilità della res è funzionale ad evitare che tale libera disponibilità possa non solo aggravare o protrarre le conseguenze di esso, ma anche “agevolare la commissione di altri reati”, nella specie ricollegabili al rischio per l’incolumità e la salute pubblica rappresentato dal protrarsi dell’attività di somministrazione di pesce e pescato in acclarate condizioni di fatiscenza strutturale ed igienica. Anche sotto tale profilo, dunque, l’ordinanza non merita censura alcuna. 

3. Anche il terzo motivo è inammissibile. 
È stato infatti già affermato da questa Corte che in tema di motivazione delle ordinanze cautelari, il requisito dell'autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, previsto espressamente dall'art. 292, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., così come modificato dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, deve riferirsi alla motivazione del provvedimento nel suo complesso e non a ciascuna contestazione e ad ogni singolo indagato, poiché con esso si esprime l'esito finale della verifica compiuta dal giudice sulla richiesta cautelare (Sez. 5, n. 11985 del 07/12/2017, dep.  2018, Rv. 272939 – 01 in cui la Corte ha ritenuto sussistente l'autonoma valutazione da parte del giudice delle indagini preliminari in relazione ad una misura cautelare reale di sequestro preventivo, rilevando che questi si era discostato dalle richieste del pubblico ministero per tre significativi aspetti, dei quali aveva dato adeguatamente ragione, condividendo nel resto le richieste). 
3.1. Nel caso sottoposto all’esame di questa Corte, del resto, è lo stesso ricorrente che, nell’articolare il relativo motivo, dà atto dell’esistenza di un motivo di novità dedotto dal GIP riguardante la circostanza che i lavori edilizi comunali avevano formato oggetto di ordinanza di sgombero, non rilevando il fatto – contestato dalla difesa del ricorrente – che non si trattasse di circostanza valutativa, essendo infatti il richiamo ad un argomento fattuale dimostrativo dell’ampliamento della riflessione sul materiale indiziario sottoposto all’attenzione del giudice da parte del pubblico ministero e, dunque, indice di un’autonoma valutazione. 
Il requisito dell'autonoma valutazione del giudice cautelare, di cui all'art. 292, comma 2, lett. c) bis cod. proc. pen., è, del resto, compatibile con la redazione dell'ordinanza con la tecnica c.d. dell'"incorporazione" quando dal contenuto complessivo del provvedimento emerga la conoscenza degli atti del procedimento, e, ove necessaria, la rielaborazione critica degli elementi sottoposti al vaglio del riesame, giacché la valutazione autonoma non necessariamente comporta la valutazione difforme (Sez. 5, n. 1304 del 24/09/2018, Rv. 275339 – 01).

4. Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella sua proposizione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 13/02/2025