TAR Toscana, Sez. III, n. 1262, del 17 settembre 2013
Urbanistica.Definizione di ristrutturazione edilizia

Secondo la giurisprudenza un intervento edilizio ricade nella definizione di “ristrutturazione edilizia”, se il manufatto sul quale si svolgono gli interventi rimane il medesimo per forma, volume, superficie ed altezza. Il risultato della ristrutturazione può ben essere un “organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”, purchè tuttavia la diversità sia dovuta a interventi comprendenti il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi del manufatto, ovvero l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti, senza variazioni del volume, dell’altezza o della sagoma dell’edificio. Ove così non fosse, l’intervento si qualifica come nuova costruzione. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 01262/2013 REG.PROV.COLL.

N. 03941/1996 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3941 del 1996, proposto da: 
Soc. Principessa di Monteriolo S.a.s., rappresentata e difesa dall'avv. Francesco Massimo Pozzi, ed elettivamente domiciliata presso lo stesso in Firenze, lungarno A. Vespucci n. 20;

contro

Comune di Impruneta, in persona del Sindaco p.t., costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall'avv. Giulio Padoa, ed elettivamente domiciliato presso lo stesso in Firenze, via dei Rondinelli n. 2;

per l'annullamento

dell'ordinanza sindacale prot. 18291 del 16 luglio 1996 (notificata il successivo 1° agosto 1996) con il quale il Sindaco del Comune di Impruneta ha ingiunto la demolizione e la remissione in pristino di alcuni manufatti ed opere realizzate abusivamente; nonché per l'annullamento di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguente;



Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Impruneta;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 novembre 2012 il dott. Eleonora Di Santo e uditi per le parti i difensori F. Gesess delegato da F.M. Pozzi e D. Iaria delegato da G. Padoa;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

1. Con il ricorso in esame, la società ricorrente rappresenta di essere proprietaria di una azienda agricola ubicata nel Comune di Impruneta costituita da un complesso immobiliare e svariati appezzamenti di terreno agricolo.

Aggiunge di aver realizzato, per esigenze inerenti alla coltivazione di tali fondi, e più in generale per lo svolgimento di attività agricole e nella previsione di uno sviluppo dell'azienda anche attraverso l’attività di agriturismo, alcuni manufatti ad uso agricolo ed opere sempre funzionalmente utili alla coltivazione del terreno per le quali il Comune ha emesso l'ingiunzione a demolire oggetto del ricorso in esame.

L’ordine di demolizione impugnato veniva emesso in relazione ai seguenti abusi, quali risultano dai verbali di accertamento della Polizia Municipale n. 86 del 29 marzo 1996 prot. 541/PM e n. 105 del 13 aprile 1996 prot. 643/PM espressamente richiamati nel provvedimento, indicati nelle premesse dell’ordine in questione:

“1) costruzione di un loggiato delle dimensioni di m. 10, 60 per 2,40 con altezza variabile da m. 2,20 a 3,10 utilizzando materiale edile di recupero con copertura di coppi e tegoli. e travi di legno;

2) ampliamento del volume di circa 22 mc. nella parte dell'edificio posta a destra del loggiato descritto al punto precedente. Tale intervento è derivato dalla modifica della linea di gronda la quale risulta rialzata di circa m. 2;

3) al piano terreno dello stesso corpo di fabbrica è stata chiusa una porta e realizzata una finestra delle dimensioni di m. 0, 90 x 1,10;

4) parte dell'edificio posta lateralmente a quella descritta precedentemente è stata anch'essa ampliata determinando un incremento di volume di circa 187 mc. che si sviluppa su due piani di cui il piano terreno utilizzato come cantina/magazzino ed il piano primo ad uso abitativo.

Conseguentemente al suddetto intervento sono state aperte al piano terreno tre nuove finestre ed una al piano primo;

5) sul prolungamento del corpo di fabbrica sopra descritto ed in sostituzione di alcune strutture precarie anch'esse comunque non legittimate, è stato realizzato un nuovo fabbricato in muratura con copertura a terrazza a cui si accede con apposita scala determinando un incremento di volume di circa 200 mc. che si sviluppa su di un unico piano fuori terra e senza una destinazione precisa in quanto i lavori all'interno non sono ancora ultimati;

6) intorno al manufatto ex stalla ubicato nelle vicinanze dell'edificio suddetto è stato realizzato uno sbancamento di terreno che ha interessato una superficie di circa 20 m x 4,50 con altezza media di circa 2 m.;

7) sulla porzione di immobile dove risulta presentata "denuncia di attività edilizia" ai sensi dell'art. 19 della L. 241/90 modificato con L. 537/93 per il restauro della copertura, sono state rilevate opere in totale difformità da tale comunicazione edilizia ed in particolare:

a) rialzamento del tetto in corrispondenza del fronte principale di circa 60 cm. mentre nella parte tergale, avendo cambiato pendenza alla copertura, il rialzamento risulta di circa m. 1,50;

b) a seguito di questo intervento all'interno è stato realizzato un nuovo solaio determinando quindi la creazione di un nuovo piano di calpestio, ambiente che risulta illuminato dall'apertura di due nuove finestre;

c) modifica del prospetto principale con trasformazione di porta in finestra e viceversa. Demolizione della scala esterna che consentiva l'accesso all'edificio e successiva ricostruzione di nuovi scalini in corrispondenza della nuova porta di accesso ai locali al fine di superare il dislivello esterno/interno;

d) apertura di nuova finestra, allineata a quella posta in corrispondenza del piano terra, prima a destra guardando le facciate;

e) il prospetto laterale è stato modificato, tramite l'apertura di una nuova porta, la realizzazione di una nuova scala in muratura di pietrame e l'apertura di una nuova finestra;

7) opere interne di varia natura;

8) ampliamento nella parte tergale dell'edificio di alcune volumetrie esistenti e utilizzate come locali accessori.

L'intervento ha determinato un aumento di volume di circa 160 mc. Una parte delle volumetrie esistenti inoltre è stata ristrutturata completamente determinando un corpo edilizio sostanzialmente diverso da quello preesistente.

In particolare risulta realizzata una scala in muratura necessaria per accedere ad una terrazza realizzata a copertura dei locali sopra descritti e da questa all'unità abitativa già presente all'interno dell'edificio. Chiusura con setto murario di una porzione del fabbricato accessorio esistente ".

Sulla scorta di tali rilievi il Sindaco – dopo aver premesso che l’esecuzione dei suddetti lavori, comportando trasformazione urbanistica ed edilizia, era subordinata al preventivo rilascio della concessione edilizia, ai sensi dell’art. 6 del regolamento edilizio - emetteva il provvedimento impugnato con il quale, ai sensi degli artt. 7 e 8 della Legge 28.2.1985, n. 47 e successive modificazioni, ingiungeva al Sig. Ugolini Leonello, in qualità di Amministratore unico della s. a. s. PRINCIPESSA DI MONTEORIOLO di Ugolini Leonello, di provvedere entro e non oltre 90 (novanta) giorni dalla notifica del provvedimento alla demolizione di tutte le opere indicate in premessa con il conseguente obbligo di rimessa in pristino dei luoghi, avvertendo che in caso di mancata ottemperanza si sarebbe dato luogo all’esecuzione d’ufficio ai sensi dell’art. 7, commi 4 e sgg. della legge n. 47/85.

Questi i motivi di doglianza dedotti a sostegno del gravame:

1) “Eccesso di potere per difetto di istruttoria ed errore sui presupposti. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 della legge 47/85 e successive modificazioni ed integrazioni. Eccesso di potere per genericità e perplessità”, in quanto il Sindaco avrebbe dovuto distinguere le varie categorie di opere realizzate dalla ricorrente, applicando una sanzione pecuniaria, ai sensi del D.L. 22 luglio 1996 n. 388 e successive reiterazioni, giacchè quella della demolizione prevista dall’art. 7 della legge n. 47/1985 “non poteva essere applicata a nessuna delle opere realizzate in quanto esse possono configurare al massimo interventi edilizi di restauro e risanamento conservativo”; nella denegata ipotesi che, comunque, una parte degli interventi edilizi potesse essere qualificata come ristrutturazione edilizia, anche in questo caso la sanzione prevista dall’art. 7 sarebbe stata illegittimamente irrogata, dovendo trovare applicazione l’art. 9 della stessa legge n. 47/1985 concernente, appunto, gli interventi definiti dall’art. 31, primo comma, lettera d), della legge n. 457/1978; inoltre, il provvedimento impugnato sarebbe censurabile anche per difetto di istruttoria, in quanto il preteso aumento di volumetria di alcuni interventi non risulterebbe in alcun modo esistente, quale, ad esempio, il volume di cui al punto 5 delle premesse del provvedimento impugnato, così come non si sarebbe tenuto conto che l’intera volumetria di cui al punto 6 delle medesime premesse sarebbe già stata oggetto di istanza di condono edilizio sulla quale il Comune avrebbe dovuto pronunciarsi prima di emettere qualsiasi sanzione;

2) “Ulteriore violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 della legge 47/85 e successive modificazioni ed integrazioni. Eccesso di potere per genericità e perplessità”, in quanto nel provvedimento impugnato si sarebbe fatto erroneo riferimento all’art. 7 della legge n. 47/1985, anziché a quanto previsto dal D.L. n. 388/1996, e vi sarebbe solo una generica indicazione della futura sanzione; più precisamente, il D.L. n. 388/1996 (vigente al momento dell’emissione dell’ordinanza impugnata) all’art. 8, comma 3, prevede che dopo il comma 5 dell’art. 7 della legge n. 47/1985 sia inserito il seguente: “In caso di opere in ampliamento o sopraelevazione di fabbricati esistenti, si procede alla sola demolizione, a spese dei responsabili delle opere abusive” e, quindi, alla sola demolizione senza acquisizione al patrimonio comunale dell’area di sedime in caso di mancata ottemperanza nel termine di 90 giorni; pertanto, il generico richiamo contenuto nelle premesse del provvedimento impugnato all’art. 7 della legge n. 47/1985, unitamente all’avvertenza che in caso di mancata ottemperanza si sarebbe proceduto all’esecuzione d’ufficio ai sensi dell’art. 7, commi 4 e sgg, della legge n. 47/1985, determinerebbe una assoluta incertezza sulla sanzione irrogata, in quanto i commi 4 e sgg. contemplano sia la semplice demolizione d’ufficio sia l’acquisizione; inoltre, ove il Comune avesse inteso prevedere anche l’acquisizione, l’ingiunzione sarebbe illegittima in quanto non contiene l’indicazione esatta e puntuale del terreno che sarebbe stato acquisito dal Comune in caso di mancata demolizione;

3) “Violazione, per disapplicazione, dell’art. 7 della legge 7.8.1990 n. 241. Eccesso di potere per violazione del giusto procedimento”, in quanto sarebbe stata omessa la comunicazione di avvio del procedimento;

4) “Eccesso di potere per violazione del giusto procedimento: mancata acquisizione del parere della Commissione Edilizia. Eccesso di potere per difetto di istruttoria”, in quanto il Sindaco avrebbe dovuto acquisire il preventivo parere della Commissione Edilizia.

Si è costituito in giudizio il Comune di Impruneta.

2. Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto.

Gli abusi oggetto dell’impugnato ordine di demolizione consistono, come si è visto, principalmente: nella realizzazione di un importante loggiato, in un nuovo volume pari a 22 mc., nell’apertura di nuove porte e finestre che aumentano di 187 mq. il volume abitativo dell’edificio, nella realizzazione di un volume aggiuntivo di 200 mc. in sostituzione di precedenti strutture precarie, nella costruzione di scale esterne in pietra, in un importante sbancamento del terreno.

Tali interventi sono riconducibili ad un disegno unitario, trattandosi di elementi costitutivi di uno stesso insediamento, funzionale alle esigenze abitative e agricole di uno stesso soggetto e, pertanto, la valutazione di compatibilità con la sanzione demolitoria e con l’ordine di messa in pristino deve essere effettuata in relazione alla complessiva trasformazione della zona.

Infatti, la giurisprudenza amministrativa è assolutamente univoca nel ritenere che “la valutazione dell’abuso presuppone una visione complessiva e non atomistica delle opere realizzate: non è dato scomporne una parte per negare l’assoggettabilità alla sanzione demolitoria, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva non da ciascun intervento a sé stante, ma dall’insieme delle opere nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni” (TAR Toscana, III, 30 gennaio 2012, n. 180).

Occorre, pertanto, accedere ad una valutazione complessiva delle opere di cui si discute.

Ciò premesso, gli interventi per cui è causa, implicando modifiche tali da alterare i volumi dei manufatti preesistenti, non rientrano nel concetto di ristrutturazione edilizia, di cui alla lettera d) dell’art. 31 della legge n. 457/1978, né, a maggior ragione, nel concetto di manutenzione ordinaria, straordinaria o di restauro e di risanamento conservativo, di cui, rispettivamente, alle lettere a), b) e c) della medesima legge – le cui definizioni sono riprodotte nell’allegato della L.R. n.. 59/1980 - bensì nel concetto di nuova edificazione.

A riguardo va, infatti, rilevato che l’art. 31, lett. d), della legge n. 457/78, cui occorre fare riferimento ratione temporis, definisce gli interventi di“ristrutturazione edilizia” come quelli “rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, la eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti”.

Secondo la giurisprudenza formatasi sulla suindicata definizione (cfr., ex multis, Cons. di Stato, sez. V, 9 ottobre 2002 n. 5410), un intervento edilizio ricade nella definizione di “ristrutturazione edilizia”, se il manufatto sul quale si svolgono gli interventi rimane il medesimo per forma, volume, superficie ed altezza. Il risultato della ristrutturazione può ben essere un “organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”, purchè tuttavia la diversità sia dovuta a interventi comprendenti il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi del manufatto, ovvero l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti, senza variazioni del volume, dell’altezza o della sagoma dell’edificio. Ove così non fosse, l’intervento si qualifica come nuova costruzione.

Ad analoghe conclusioni si perviene anche facendo riferimento alla legge regionale 21 maggio 1980 n. 59, atteso che il concetto di ristrutturazione edilizia che si desume dalla stessa, è conforme, come si è detto, a quello contenuto nell’art. 31 della L. n. 457/1978, richiamato nell’allegato della suddetta legge regionale (cfr., Cons. Stato, sez. V, n. 1259 del 6.12.1993).

E, pertanto, nel caso di specie, deve ritenersi che il coacervo delle opere contestate si traduca non in una mera ristrutturazione ma in una nuova costruzione, soggetta al rilascio della concessione edilizia, con conseguente applicabilità, in assenza della stessa, del disposto di cui all’art. 7 della legge n. 47/1985, che prevede l’adozione dell’ordine di demolizione delle opere abusive, quale atto dovuto (cfr., ex multis, TAR Campania, Napoli, sez. IV, 21.2.2006, n. 2194; 13.4.2007, n. 3565; TAR Toscana, sez. II, 15.1.2007, n. 6), mentre la possibilità di non procedere alla rimozione delle parti abusive, quando ciò sia di pregiudizio alle parti legittime, costituisce una eventualità della fase esecutiva, subordinata alla circostanza della impossibilità di ripristino dello stato dei luoghi (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 21.5.1999, n. 587).

Da ciò consegue che, accertata l’esecuzione di opere le quali, attesa la loro natura, avrebbero richiesto il rilascio della concessione edilizia, l’emanazione dell’ordine di demolizione rappresenta la conseguenza dovuta ed inevitabile dell’accertata abusività delle opere (cfr., Cons. Stato, n. 587/1999 cit.).

Quanto, poi, alla omessa precisazione delle conseguenze connesse alla mancata ottemperanza all’ordine di demolizione, va precisato che queste attengono alla fase successiva all’adozione dell’ordine di demolire e, quindi, non possono incidere sulla validità dell’atto impugnato, il cui contenuto ha lo scopo di porre in condizione il destinatario di eliminare le opere abusive, scopo che nel caso di specie è stato raggiunto con la puntuale descrizione dei manufatti realizzati senza titolo (cfr., Cons. Stato, V, 6 settembre 1999, n. 1015; TAR Toscana, III, 20 gennaio 2009, n. 24; idem, 6 febbraio 2008, n. 117; TAR Campania, Napoli, III, 17 dicembre 2007, n. 16311).

Né la ricorrente, che con il primo motivo deduce anche il difetto di istruttoria, ha fornito prova contraria a quanto risultante nell’impugnata ordinanza e negli atti presupposti; si tratta, infatti, di affermazioni non assistite da alcun principio di prova, a fronte degli accertamenti, muniti di fede privilegiata, contenuti nei richiamati verbali dei vigili urbani.

Pertanto, in assenza di documenti idonei a dimostrare che la situazione di fatto era diversa da quella cristallizzata nel provvedimento impugnato, nessun travisamento o errore può essere censurato nei confronti del Comune. Ciò in quanto qualora, come nella fattispecie in esame, siano nella piena disponibilità della parte interessata gli elementi atti a sostenere la fondatezza della pretesa azionata, la regola generale dell’onere della prova trova integrale applicazione anche nel processo amministrativo (cfr., ex multis, TAR Campania, Napoli, IV, 13 maggio 2008, n. 4256; idem, VI, 11 aprile 2006, n. 3529).

A tale proposito, con specifico riguardo alla domanda di condono che la ricorrente asserisce (pg. 7 del ricorso) di aver presentato per le opere descritte al punto 6 del provvedimento impugnato ( “intorno al manufatto ex stalla ubicato nelle vicinanze dell'edificio suddetto è stato realizzato uno sbancamento di terreno che ha interessato una superficie di circa 20 m x 4,50 con altezza media di circa 2 m.”), e di cui lamenta l’omessa definizione prima della irrogazione della sanzione demolitoria, va rilevato che nel rapporto della Polizia Municipale n. 86 del 29 marzo 1996 prot. 541/PM, espressamente richiamato nel suindicato provvedimento, si afferma che l’amministratore unico della società ricorrente “si è limitato a presentare, ai sensi dell’art. 13 L. 47/85, domanda di sanatoria in data 26.2.96 (prot. 5232), per i lavori inerenti i muri realizzati con lo sbancamento ed indicati nell’annotazione n. 8 del 7.1.95” e cioè “sbancamento del terreno in aderenza all’abitazione sul lato destro per una profondità mediamente di m. 1,20 realizzando così un ampio piazzale ed una strada di m. 3,50 di larghezza e lunga circa m. 100 ad un lato della quale è stata eseguita una fondazione in cemento armato attualmente non sporgente dal suolo; tali lavori consentono così di accedere anche ad una tinaia, che rimaneva in parte interrata, agevolmente rimanendo la medesima alla quota del piazzale avendo ampliato l’ingresso mediante abbattimento del muro”.

A fronte di tale discrasia, deve, quindi, ritenersi che l’amministrazione non abbia ingiunto la demolizione di opere oggetto dell’istanza di condono, ma di opere successivamente realizzate; le volumetrie oggetto dell’istanza di sanatoria sono state, cioè, successivamente trasformate creando un “quid novi” autonomamente sanzionabile.

D’altra parte, va precisato che l’ordinanza impugnata è stata preceduta da complessi, ripetuti accertamenti, resisi necessari da una serie di abusi edilizi, di diversa tipologia e conformazione, che si sono succeduti nel tempo e che hanno costretto il Comune ad aggiornare, di volta in volta, le precedenti verifiche.

In particolare, già con ordinanza 24 febbraio 1995 n. 31, il Sindaco di Impruneta era stato costretto a sospendere lavori abusivi realizzati dalla odierna ricorrente nella proprietà per cui è causa, tra cui quelli concernenti le opere oggetto della suindicata domanda di sanatoria del 26 febbraio 1996.

In data 15-23 giugno 1995, l’interessata presentava denunzia (ai sensi dell’allora vigente art. 8 del D.L. n. 193/1995) per lavori di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo.

Peraltro, con verbale 26 marzo 1996, i Vigili Urbani rilevavano che non solo che i lavori erano proseguiti ma anche che avevano avuto consistenza ben più ampia di quella come detto denunziata.

Ne conseguiva un primo rapporto alla Procura della Repubblica (e per conoscenza al Sindaco) del 26 marzo 1996 ed un accertamento integrativo, alla presenza anche del tecnico comunale, in data 29 marzo 1996, seguito dal definitivo rapporto del 29 marzo successivo, posto a fondamento del provvedimento impugnato.

Dalle considerazioni che precedono emerge, quindi, l’infondatezza delle censure di cui al primo e al secondo motivo di ricorso.

Quanto alla omessa comunicazione di avvio del procedimento, di cui al terzo motivo, è sufficiente rilevare che è ius receptum che i provvedimenti repressivi di abusi edilizi non soggiacciono all’onere procedimentale fissato dall’art. 7 della legge n. 241/90, trattandosi di provvedimenti a carattere strettamente vincolato sul cui contenuto non può in alcun modo incidere l’apporto partecipativo del destinatario dell’atto (cfr., ex multis, TAR Toscana, III, 16 ottobre 2012, n. 1616; Cons. St., VI, 24 settembre 2010 n. 7129).

Peraltro, la ricorrente ha avuto comunque modo di partecipare al procedimento culminato nell’impugnato ordine di demolizione, come dimostrano l’avvenuta notifica alla società ricorrente dell’ordine di sospensione dei lavori del 24 febbraio 1995, in cui si fa espresso riferimento al verbale di sopralluogo effettuato dalla Polizia Municipale il 26 marzo 1996 alla presenza della ricorrente, e preceduto dal sopralluogo del 4 gennaio 1995, effettuato anch’esso alla presenza della ricorrente.

Quest’ultima, quindi, è stata posta in condizione di interloquire con l’amministrazione e di produrre le proprie osservazioni circa la situazione di fatto posta poi a fondamento della contestata ordinanza, risultando così soddisfatta la finalità di salvaguardia del contraddittorio perseguita dagli art. 7 e sgg. della legge n. 241/1990.

Quanto, infine, al quarto motivo di ricorso, lo stesso è manifestamente infondato, in quanto la Commissione Edilizia deve essere interpellata solo in sede di esame dei progetti, e non anche di repressione degli abusi.

3. Quanto alle spese di giudizio, le stesse seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte ricorrente a rifondere all’amministrazione resistente le spese di lite, che liquida nella complessiva somma di euro 2.000,00 (duemila/00), oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 22 novembre 2012 con l'intervento dei magistrati:

Eleonora Di Santo, Presidente FF, Estensore

Gianluca Bellucci, Consigliere

Silvio Lomazzi, Primo Referendario

 

 

 

 

 

 

IL PRESIDENTE, ESTENSORE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 17/09/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)