TAR Friuli VG Sez.I n. 308 del 5 luglio 2022
Urbanistica.Impianti fotovoltaici

L’art. 6, comma 9 bis del d.lgs. n. 28/2011 va interpretato nel senso di consentire la realizzazione diretta dell’impianto fotovoltaico anche qualora la pianificazione urbanistica richieda, a monte della procedura per il rilascio del titolo, la predisposizione di piani attuativi per l’edificazione (non ancora predisposti). Ciò, tuttavia non comporta affatto che l’impianto possa essere realizzato in patente contrasto o in difformità rispetto ad un piano attuativo già esistente, efficace o spiegante anche soli effetti conformativi.

Pubblicato il 05/07/2022

N. 00308/2022 REG.PROV.COLL.

N. 00064/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 64 del 2022, proposto dalla Era s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Luca De Pauli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di San Giovanni al Natisone, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Annamaria Iervolino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Regione Friuli Venezia Giulia, non costituita in giudizio;

per l'annullamento

a) della nota prot. 0001462/P del Comune di San Giovanni al Natisone dell’8 febbraio 2022 avente ad oggetto la “Richiesta di parere preventivo per realizzazione di un impianto fotovoltaico a terra. Foglio di mappa n. 15 Mappali n. 27, 32, 33, 35, 82, 85, 86, 258 e 283. Determinazioni”;

b) di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di San Giovanni al Natisone;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1° luglio 2022 il dott. Daniele Busico e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;


1. Con ricorso notificato il 15 febbraio 2022 e depositato il giorno successivo la società ricorrente ha impugnato la nota in epigrafe con la quale il Comune di San Giovanni al Natisone ha fornito un parere preventivo sull’istanza della ricorrente del 21 dicembre 2021, relativa alla realizzazione di un impianto fotovoltaico su alcuni fondi nella sua disponibilità (e catastalmente identificati al Foglio di Mappa 15 Mappali n. 27, 32, 33, 35, 82, 85, 86, 258 e 283).

Il parere fornito dall’amministrazione comunale - ritenuto dalla società ricorrente ostativo (o comunque lesivo) alla concretizzazione del progetto edilizio che ha in animo di realizzare - poggia sul rilievo di fondo che l’edificazione di impianti fotovoltaici, come quello di causa, doveva comunque essere conforme a quanto previsto nella pianificazione attuativa (P.R.P.C. di iniziativa privata della zona D1 di Medeuzza denominato “D1(E)”, approvato con delibera di Consiglio Comunale n. 70 del 13 ottobre 2003) che doveva quindi essere preventivamente realizzata.

La ricorrente ha dedotto le seguenti censure:

1) violazione dell’art. 6, comma 9 bis, del d.lgs. n. 28/2011, inserito dall’art. 31, comma 2 del d.l. n. 77/2021, sul rilievo che è stata ora riconosciuta la possibilità di “edificazione diretta degli impianti fotovoltaici anche qualora la pianificazione urbanistica richieda piani attuativi per l'edificazione”;

2) violazione dell’art. 3 l. n. 241/1990, illogicità e difetto di motivazione sul rilievo che in base a concordi elementi, sembra emergere che il Comune non sia interessato in alcun modo a dare una nuova disciplina ad aree pur aventi destinazione D1, determinando di fatto la paralisi totale di qualsivoglia iniziativa privata;

3) violazione dell’art. 3. l. n. 241/1990, illogicità e difetto di motivazione, violazione del principio di proporzionalità e del minimo mezzo sul rilievo che l’impianto fotovoltaico è una struttura mobile, che dunque ben potrebbe essere riconfigurata all’interno del comparto, in coerenza con una diversa perimetrazione concordata per i lotti.

2. L’Amministrazione comunale si è costituita in giudizio in resistenza al ricorso.

3. All’udienza pubblica del giorno 1° luglio 2022 la causa è passata in decisione.

4. Il ricorso è infondato.

4.1. Introduttivamente occorre rilevare che il provvedimento impugnato costituisce a tutti gli effetti un parere preventivo rilasciato dal Comune ai sensi del combinato disposto dell’art. 34 della l.r. FVG 19/2009 e dell’art. 39 del Regolamento comunale.

Tale qualificazione è stata fornita dallo stesso Comune ed emerge con evidenza anche dal semplice esame del dato testuale del provvedimento impugnato che, appunto, assume esplicitamente una determinazione definitiva (e non meramente interlocutoria) proprio in ordine alla richiesta della ricorrente di parere preventivo per realizzazione di un impianto fotovoltaico a terra.

Non può pertanto condividersi l’impostazione della difesa comunale secondo la quale la nota impugnata nemmeno costituirebbe un parere ai sensi dell’art. 34 della l. r. cit e dell’art. 39 del Regolamento comunale sul rilievo, non valorizzato nel provvedimento impugnato, che la relativa istanza del privato non conteneva in realtà specifici elaborati progettuali.

D’altra parte, se l’istanza fosse stata effettivamente carente di elementi indispensabili, il Comune avrebbe dovuto, diversamente da quanto fatto, indicare analiticamente la documentazione necessaria per il rilascio del parere richiesto, attraverso una specifica e puntuale nota interlocutoria, riservando l’adozione del parare finale all’esito dell’integrazione.

4.2. Va pure preliminarmente affermata la diretta impugnabilità del parere impugnato perché per il suo contenuto esso è idoneo a determinare (o comunque indirizzare) non solo la successiva attività provvedimentale dell’Amministrazione in sede di rilascio del titolo, ma anche ad orientare le specifiche scelte del privato in ordine alla redazione del progetto e alle condizioni per il corretto avvio della procedura per il rilascio del titolo.

Sotto questo profilo, quindi, il parere assume efficacia immediatamente lesiva della posizione giuridica dell’istante e, anche in relazione alla sua natura e alla ratio sottesa alla sua previsione (consistente appunto nel far conoscere ex ante al privato gli orientamenti comunali relativi all’assetto del territorio e ai vincoli ivi insistenti prima della presentazione di un progetto edilizio compiuto e dettagliato), deve ritenersi immediatamente impugnabile.

D’altra parte, si tratta di una conclusione (come già chiarito da questo T.A.R. nella pronuncia n. 278/2011) che obbedisce anche ad una chiara logica deflattiva e di economicità essendo “poco ragionevole pretendere che un soggetto che ha richiesto il parere preventivo in merito ad un’opera edilizia sul quale la competente Commissione Edilizia si è espressa negativamente, debba comunque presentare la domanda di titolo (il cui esito, ragionevolmente, coinciderà col parere negativo) senza poter contestare il parere stesso che, pur non concludendo il procedimento (per vero non ancora iniziato) di rilascio del titolo, quanto meno costituisce un arresto procedimentale. In altre parole, il Collegio ritiene che l’interessato, nella evidenziata situazione, pur se non ha l’obbligo (a pena di inammissibilità del ricorso avverso il diniego di titolo) di impugnare il parere preventivo di segno negativo, ne abbia tuttavia la facoltà”.

4.3. Da ciò consegue l’immediata impugnabilità del provvedimento impugnato e, quindi, l’ammissibilità del ricorso; ciò consente di passare all’esame del merito delle censure.

5. Il primo motivo di ricorso è infondato.

A sostegno della propria tesi la ricorrente invoca infondatamente l’art. 6, comma 9 bis del d.lgs. n. 28/2011, come di recente modificato, che prevede che “Per l'attività di costruzione ed esercizio di impianti fotovoltaici di potenza sino a 20 MW connessi alla rete elettrica di media tensione e localizzati in area a destinazione industriale, produttiva o commerciale nonché in discariche o lotti di discarica chiusi e ripristinati ovvero in cave o lotti di cave non suscettibili di ulteriore sfruttamento, per i quali l'autorità competente al rilascio dell'autorizzazione abbia attestato l'avvenuto completamento delle attività di recupero e di ripristino ambientale previste nel titolo autorizzatorio nel rispetto delle norme regionali vigenti, si applicano le disposizioni di cui al comma 1. Le soglie di cui all'Allegato IV, punto 2, lettera b), alla Parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, per la procedura di verifica di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale di cui all'articolo 19 del medesimo decreto, si intendono per questa tipologia di impianti elevate a 10 MW purché il proponente alleghi alla dichiarazione di cui al comma 2 una autodichiarazione dalla quale risulti che l'impianto non si trova all'interno di aree fra quelle specificamente elencate e individuate dall'Allegato 3, lettera f), al decreto del Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 219 del 18 settembre 2010. Si potrà procedere a seguito della procedura di cui sopra con edificazione diretta degli impianti fotovoltaici anche qualora la pianificazione urbanistica richieda piani attuativi per l'edificazione”.

L’ultimo periodo della norma invocata, che la ricorrente ritiene essere la base legittimante del proprio intervento a prescindere dall’esistenza del P.R.P.C. di iniziativa privata della zona D1 di Medeuzza denominato “D1(E)”, non può trovare applicazione nel caso di specie.

Ciò perché la norma stessa riguarda la diversa ipotesi in cui non sia stato adottato alcun piano attuativo e questo sia invece previsto, come passaggio ineludibile per l’edificazione, dalla pianificazione urbanistica generale.

La norma va infatti interpretata nel senso di consentire la realizzazione diretta dell’impianto fotovoltaico anche qualora la pianificazione urbanistica richieda, a monte della procedura per il rilascio del titolo, la predisposizione di piani attuativi per l’edificazione (non ancora predisposti).

Ciò, tuttavia, diversamente da quanto si determinerebbe seguendo l’impostazione errata della ricorrente, non comporta affatto che l’impianto possa essere realizzato in patente contrasto o in difformità rispetto ad un piano attuativo già esistente, efficace o spiegante anche soli effetti conformativi.

Nel caso di specie, infatti, il piano attuativo esiste pacificamente, con la conseguenza che la norma appena richiamata non risulta applicabile.

6. D’altra parte, venendo anche all’esame del secondo mezzo di gravame, occorre puntualizzare che non è fondatamente contestato che le previsioni del P.R.P.C. di iniziativa privata della zona D1 di Medeuzza che vengono in rilievo nel parere impugnato abbiano effetto conformativo (e non espropriativo) e siano perciò solo ancora efficaci, nonostante il lungo tempo trascorso dall’approvazione del piano (2003).

È noto infatti il principio secondo il quale “le previsioni dello strumento attuativo comportano la concreta e dettagliata conformazione della proprietà privata, con specificazione nel dettaglio delle regole di conformazione disposte dal piano regolatore generale, ai sensi dell’art. 869 del codice civile; in linea di principio, le medesime previsioni rimangono efficaci a tempo indeterminato, nel senso che costituiscono le regole determinative del contenuto della proprietà delle aree incluse nel piano attuativo; in aggiunta, il decorso del termine di dieci anni comporta l’inefficacia unicamente delle previsioni del piano attuativo che non abbiano avuto concreta attuazione, nel senso che non è più consentita la sua ulteriore esecuzione, salva la possibilità di ulteriori costruzioni coerenti con le vigenti previsioni del piano regolatore generale e con quelle del piano attuativo (anche sugli allineamenti), aventi per questa parte efficacia ultrattiva […] Sicché si ritiene che, alla scadenza del termine di efficacia, sopravvivono la destinazione di zona, la destinazione ad uso pubblico di un bene privato, gli allineamenti, le prescrizioni di ordine generale e quant’altro attenga all’armonico assetto del territorio, trattandosi di misure che devono rimanere inalterate fino all’intervento di una nuova pianificazione, non essendo la stessa condizionata all’eventuale scadenza di vincoli espropriativi o di altra natura (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 18 maggio 2018, n. 3002; Id., sez. IV, 22 ottobre 2018, n. 5994)” (Cons. di Stato n. 7253/2020).

In base al principio generale contenuto nell’art. 17, comma 1, della legge n. 1150 del 1942 (per il quale, “decorso il termine stabilito per l’esecuzione del piano particolareggiato, questo diventa inefficace per la parte in cui non abbia avuto attuazione, rimanendo soltanto fermo a tempo indeterminato l’obbligo di osservare, nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti, gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso”) la giurisprudenza amministrativa ha infatti ormai più volte ribadito l’orientamento secondo cui, fino all’approvazione di un nuovo strumento attuativo che disciplini le aree in essi incluse, deve riconoscersi efficacia “ultrattiva” ai piani attuativi scaduti (ex plurimis, cfr. Cons. di Stato, n. 2768/2009, n. 6170/2007 e n. 4018/2005).

È stato infatti osservato che l’imposizione del termine di attuazione del piano va inteso nel senso che le attività dirette alla realizzazione dello strumento urbanistico, sia convenzionale che autoritativo, non possono essere attuate ai sensi di legge oltre un certo termine, scaduto il quale l’autorità competente riacquista il potere-dovere di dare un nuovo assetto urbanistico alle parti non realizzate (cfr. Cons. di Stato n. 3909/2020).

Ma, fino al momento in cui tale potere non viene esercitato, l’assetto urbanistico dell’area rimane definito nei termini di cui alla convenzione di lottizzazione o del diverso strumento attuativo.

“E ciò, in quanto il richiamato art. 17 si ispira al principio secondo cui:

- mentre le previsioni del piano regolatore rientrano in una prospettiva dinamica della utilizzazione dei suoli (e determinano ciò che è consentito e ciò che è vietato nel territorio comunale sotto il profilo urbanistico ed edilizio, con la devoluzione al piano attuativo delle determinazioni sulle specifiche conformazioni delle proprietà),

- le previsioni dello strumento attuativo hanno carattere di tendenziale stabilità (perché specificano in dettaglio le consentite modifiche del territorio, in una prospettiva in cui l’attuazione del piano esecutivo esaurisce la fase della pianificazione, determina l’assetto definitivo della parte del territorio in considerazione e inserisce gli edifici in un contesto compiutamente definito).

Ne consegue che il termine di efficacia degli strumenti di pianificazione attuativa opera rispetto alle (eventuali) sole disposizioni di contenuto espropriativo; e non anche con riferimento alle prescrizioni urbanistiche di piano, che rimangono pienamente operanti e vincolanti senza limiti di tempo, fino all'eventuale approvazione di un nuovo strumento urbanistico attuativo” (Cons. di Stato n.3909/2020, cit.).

Né la scelta comunale di non implementare una nuova pianificazione attuativa dell’area può essere reputata contraddittoria o ingiustamente abdicativa perché determinante “la paralisi totale di qualsivoglia iniziativa privata”. Ciò sul rilievo che il P.R.P.C. contestato ha più semplicemente impresso una certa conformazione all’area prevedendo determinate modalità di sviluppo del territorio alle quali la successiva attività, lungi dall’essere inibita integralmente, deve solo uniformarsi in virtù del su richiamato principio di stabilità dell’efficacia conformativa dei piani attuativi.

7. Anche il terzo motivo di ricorso è infondato.

La circostanza che l’Amministrazione non abbia allo stato e già in questa fase preliminare valutato la possibilità di individuare soluzioni alternative “idonee a far salvi i diritti e le prerogative di tutti i soggetti interessati” è del tutto giustificata dallo stadio assai embrionale nel quale si trova la procedura di esame del progetto edilizio che la ricorrente ha in animo di presentare all’Amministrazione.

D’altra parte, come correttamente rilevato dalla difesa comunale, la richiesta di parere era stata formulata, proprio in considerazione della sua funzione assolutamente preventiva e informativa, in termini assolutamente generici sicché la proposta avanzata dalla ricorrente non poteva essere oggetto di alcuna più specifica e puntuale valutazione.

8. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

Il Collegio ritiene infine di puntualizzare che la posizione comunale trasfusa nel provvedimento impugnato non potrà in ogni caso che essere rivalutata alla luce della sopravvenuta normativa di settore, ulteriormente incentivante e semplificatoria, di cui al d.l. 17/2022 recante “misure urgenti per il contenimento dei costi dell'energia elettrica e del gas naturale, per lo sviluppo delle energie rinnovabili e per il rilancio delle politiche industriali” con la quale il legislatore, in ragione dell’attuale momento di crisi energetica, ha previsto ulteriori e significative misure strutturali e di semplificazione.

Le spese di lite, in ragione della peculiarità della presente vertenza, possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 1 luglio 2022 con l'intervento dei magistrati:

Oria Settesoldi, Presidente

Manuela Sinigoi, Consigliere

Daniele Busico, Referendario, Estensore