LE ZONE URBANISTICHE PAESAGGISTICAMENTE VINCOLATE
(commento alla sentenza n. 1739 della Suprema Corte di Cassazione penale, Sez. III, registrata al n. 1262/2013)

di Massimo GRISANTI

 

Sulla rivista web Lexambiente è stata resa nota, in data odierna (28/01/2013 – vedi qui ), la sentenza della III^ sezione penale della Suprema Corte di Cassazione rubricata al n. 1262/2013, che tratta la materia delle zone urbanistiche paesaggisticamente vincolate ai sensi della legge n. 431/1985.

 

Senza entrare nel merito della vicenda, è sicuramente di generale interesse il passo in cui:

  • la difesa dei ricorrenti afferma che non era esistente il vincolo paesaggistico (entro la fascia di 150 metri dal Fiume Elsa) perché la zona, seppur classificata D1 nello strumento urbanistico vigente al 6/9/1985 (data di entrata in vigore della legge n. 431/1985), era oggettivamente da classificarsi come zona territoriale omogenea di tipo B ai sensi dell’art. 2 del D.M. n. 1444/68;

  • il Tribunale del Riesame di Siena ammette l’astratta possibilità che aree territoriali, pur classificate come zone omogenee D, possano essere accertate come non vincolate ai sensi della legge n. 431/1985 (facendo retroagire, così, ex ante gli effetti dell’accertamento) perché sussumibili tra le zone A oppure B e cioè quelle espressamente escluse dal vincolo paesaggistico se così qualificate negli strumenti urbanistici generali alla data del 6/9/1985.

 

E’ manifesta la non conoscenza (senza voler credere che si sia voluta operare una disconoscenza) del D.M. n. 1444/68 e della legge n. 431/1985, nonché degli approdi giurisprudenziali in tema di doverosità della tutela paesistica.

 

*

 

Infatti, mentre le definizioni operate dal legislatore statale per le zone territoriali omogenee B o C sono esclusivamente legate a requisiti oggettivi che devono essere presenti in fatto (dal ché ne discende la possibilità di un accertamento incidentale del Giudice ordinario), le definizioni delle zone territoriali omogenee D, E ed F non sono legate a requisiti oggettivi bensì a intenzioni pianificatorie della pubblica Amministrazione comunale.

Parimenti, la zona A è legata da un giudizio preliminare di accertamento della sussistenza dei caratteri storico, artistico e particolare pregio ambientale (valutazione a discrezionalità mista, amministrativa-tecnica, che non può formare oggetto di accertamento da parte del Giudice ordinario se non per manifesta illogicità).

 

Invero, recita l’art. 2 del D.M. n. 1444/68:

 

Art. 2 - Zone territoriali omogenee.

Sono considerate zone territoriali omogenee, ai sensi e per gli effetti dell'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765:

A) le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestano carattere storico, artistico e di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi;

B) le parti del territorio totalmente o parzialmente edificate, diverse dalle zone A): si considerano parzialmente edificate le zone in cui la superficie coperta degli edifici esistenti non sia inferiore al 12,5% (un ottavo) della superficie fondiaria della zona e nelle quali la densità territoriale sia superiore ad 1,5 mc/mq;

C) le parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che risultino inedificate o nelle quali l'edificazione preesistente non raggiunga i limiti di superficie e densità di cui alla precedente lettera B);

D) le parti del territorio destinate a nuovi insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati;

E) le parti del territorio destinate ad usi agricoli, escluse quelle in cui - fermo restando il carattere agricolo delle stesse - il frazionamento delle proprietà richieda insediamenti da considerare come zone C);

F) le parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale

 

Come è chiaramente evincibile, le zone A, D, E ed F non sono classificabili mediante parametri oggettivi (superficie coperta degli edifici, indice di edificabilità) dai quali ben possono prescindere.

 

Con la conformazione di alcune parti del territorio a zone A, D. E ed F il Comune esercita scelte pianificatorie discrezionali non accertabili incidentalmente, specie a posteriori, né dal Giudice ordinario, né dagli Organi della stessa P.A.

 

Diversamente l’Agente finisce per operare, in manifesto difetto di attribuzione, una sanatoria paesaggistica fuori dai casi strettamente previsti dal legislatore ex art. 146, comma 4, del D. Lgs. n. 42/2004.

 

Pertanto, sostenere (come ha fatto la difesa dei Ricorrenti) od astrattamente ammettere (come ha fatto il Tribunale del Riesame di Siena) che una zona urbanistica già qualificata dal Comune di tipo D ai sensi del D.M. n. 1444/68 nello strumento urbanistico generale vigente al 6/9/1985 possa, oggi, essere qualificata diversamente (dal Comune o dal Giudice) con effetto ex ante è, a tacer d’altro, un vero e proprio totale travisamento della legge.

 

Non si dimentichi, inoltre, che la Corte costituzionale, con sentenza n. 66 del 23/3/2012 ha statuito che:

“3.— Questa Corte ha avuto modo di affermare come la stessa qualificazione di «norma di grande riforma economico-sociale» – che già designava il sistema vincolistico in materia di paesaggio introdotto dalla cosiddetta “legge Galasso” – dovesse essere mantenuta in riferimento, proprio, all’art. 142 del d.lgs. n. 42 del 2004, la cui elencazione delle aree vincolate per legge rappresentava nella sostanza un continuum rispetto alla precedente disciplina (sentenza n. 164 del 2009). Per altro verso, a sottolineare l’assoluta centralità di tale disciplina – ed il risalto che, sul piano costituzionale, ad essa deve essere effettivamente riconosciuto –, sta anche l’osservazione per la quale, attraverso le disposizioni dettate dal codice dei beni culturali e del paesaggio, proprio laddove hanno reintrodotto la tipologia dei beni paesaggistici e ne hanno operato la relativa ricognizione, si è inteso dare «attuazione al disposto del (citato) articolo 9 della Costituzione, poiché la prima disciplina che esige il principio fondamentale della tutela del paesaggio è quella che concerne la conservazione della morfologia del territorio e dei suoi essenziali contenuti ambientali» (sentenza n. 367 del 2007). Ci si muove, dunque, nell’ambito di una rigorosa tipizzazione di tassative ipotesi vincolistiche, alla quale corrisponde una altrettanto dettagliata previsione di casi, ugualmente nominati e tassativi, di deroga.

Ebbene, nel caso di specie, la normativa regionale impugnata opera una modifica sostanziale del regime delle esclusioni dalla tutela prevista dal codice dei beni culturali e del paesaggio, attraverso una “assimilazione” fra aree individuate dalla legislazione statale come sottratte al regime vincolistico e aree che, pur con denominazioni diverse rispetto a quelle indicate nel decreto ministeriale n. 1444 del 1968, presenterebbero, rispetto alle prime, caratteristiche similari, sia pure per relationem. Si tratta, dunque, di una operazione normativa da ritenersi in sé non consentita, in quanto direttamente incidente su materia riservata alla legislazione statale, rispetto alla quale la legislazione regionale può solo fungere da strumento di ampliamento del livello della tutela del bene protetto e non – all’inverso, come nel caso qui in esame – quale espediente dichiaratamente volto ad introdurre una restrizione dell’ambito della tutela, attraverso l’incremento della tipologia delle aree cui il regime vincolistico non si applica.

Non è, infatti, senza significato rammentare, sul punto, come questa Corte, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale proprio dell’art. 40 della legge urbanistica della Regione Veneto (legge n. 11 del 2004) – ora, tra l’altro, modificato dalla disposizione oggetto di impugnativa – ne abbia escluso il contrasto con la normativa statale in tema di tutela dei beni culturali in quanto, appunto, funzionale alla tutela non già sostitutiva di quella statale, bensì aggiuntiva, nella disciplina del governo del territorio (sentenza n. 232 del 2005).

D’altra parte, anche ove si ritenesse di annettere, come la difesa della Regione sembra prospettare, una portata restrittiva al concetto di “assimilazione” utilizzato dalla disposizione denunciata, resterebbe il fatto che un simile procedimento, ancorché apparentemente ricognitivo, e tuttavia ampliativo, della deroga (trattandosi di identificare “ora per allora” le caratteristiche di omogeneità fra le aree), potrebbe essere previsto e disciplinato soltanto da una legge statale, avuto riguardo, fra l’altro, alla esigenza di attribuire ad una siffatta previsione una portata generale e uniforme, valida, cioè, per tutto il territorio nazionale.

Né può tacersi come, attraverso la previsione normativa oggetto di censura, la Regione Veneto sia giunta a prevedere una sostanziale “delegificazione” della materia, risultando in concreto demandata all’autorità amministrativa l’individuazione dei territori che presentavano, alla data del 6 settembre 1985, caratteristiche analoghe a quelle inserite nelle zone “A” e “B” degli strumenti urbanistici generali.

Sicché, mentre in riferimento ad alcune aree la deroga al vincolo risulta “cristallizzata” dalla legislazione statale, con efficacia erga omnes e con un vincolo di intangibilità che scaturisce dalla legge, in riferimento ad altre aree, secondo la norma censurata, la deroga finirebbe per essere direttamente determinata dall’amministrazione locale, senza che – per di più – lo Stato risulti in alcun modo chiamato a partecipare al relativo procedimento.

 

Inoltre, la giurisprudenza del supremo consesso amministrativo (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 1/4/2011 n. 2015; Consiglio di Stato, sez. VI, 22/4/2004, n. 2332; Consiglio di Stato, sez. VI, 4/12/1996, n. 1679) si è soffermata sul fatto che:

“L’art. 1, comma 2, della legge n. 431/1985 stabilisce che “Il vincolo di cui al precedente comma non si applica alle zone A, B e -- limitatamente alle parti ricomprese nei piani pluriennali di attuazione -- alle altre zone, come delimitate negli strumenti urbanistici ai sensi del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, e, nei comuni sprovvisti di tali strumenti, ai centri edificati perimetrati ai sensi dell'art. 18 della legge 22 ottobre 1971, n. 865”. Secondo la giurisprudenza, la possibilità di deroga al vincolo paesaggistico riguarda soltanto le aree comprese in previsioni urbanistiche già approvate alla data di entrata in vigore della legge

e non può essere estesa ai successivi atti programmatori (Consiglio Stato , sez. VI, 4 dicembre 1996, n. 1679; sez. VI, 22 aprile 2004 , n. 2332, secondo cui la disciplina statale ancora l'esclusione dal vincolo paesaggistico predisposto per legge alla delimitazione dei terreni negli strumenti urbanistici come zone A e B ad una data determinata, e cioè al 6 settembre 1985, epoca di entrata in vigore della l. n. 431 del 1985).”.

 

Le ragioni di siffatte statuizioni giurisprudenziali trovano l’indiscutibile fondamento nella necessità, di diretta derivazione ex art. 9 Cost., di dover assicurare all’ambiente e al paesaggio una stringente ed una effettiva tutela, imponendosi l’assoggettamento ope legis a vincolo anche per le zone A e B allorquando con una nuova strumentazione pianificatoria e programmatoria viene riconsiderato tutto il territorio comunale.

 

Invero, una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni dell’art. 142 del D. Lgs. n. 42/2004 (già legge n. 431/1985) porta a dover ritenere decaduto il vincolo di intangibilità della deroga vincolistica (come recita la Consulta) all’indomani dell’approvazione del nuovo strumento urbanistico generale comunale, in quanto, diversamente, lo Stato avrebbe rinunciato sine die a recuperare paesisticamente zone ambientali degradate, a cui il legislatore ha attribuito ope legis rilievo costituzionale, senza preventivamente operare la modifica dell’art. 9 Cost.

 

***

 

In conclusione, lo Scrivente è dell’avviso che né i Comuni, né i Giudici possono operare un accertamento oggettivo delle zone territoriali omogenee D, E ed F, in quanto tale classificazione è prevista dal legislatore statale non per qualità oggettive, ma in funzione delle scelte pianificatorie (come tali non sindacabili se non per illogicità manifesta).

Così come lo Scrivente è di pari avviso che all’indomani della redazione ed approvazione di uno strumento urbanistico generale che sostituisce quello vigente al 6/9/1985 NON è più applicabile alcuna deroga vincolistica in funzione della zonizzazione urbanistica.

 

 

 

Scritto il 28 gennaio 2013