Lo stato legittimo dell’immobile
di Nicola DURANTE
Pubblicazione dell'Ufficio Studi della Giustizia amministrativa
Il presupposto fondamentale di ogni intervento edilizio è la coincidenza dello stato di fatto dell’immobile o dell’unità immobiliare, con lo stato legittimo.
Lo stato legittimo non è un titolo, ma una condizione permanente dell’immobile (Cons. Stato n. 8339/2023), disciplinata dall’art. 9-bis, d.P.R. n. 380/2001, recentemente modificato col decreto legge n. 69 del 2024, c.d. “Salva Casa”, convertito dalla legge n. 105 del 2024.
Ciascun immobile e ciascuna unità immobiliare hanno un proprio stato di fatto, corrispondente al fabbricato com’esso è in natura, ed un proprio stato legittimo (o stato di diritto), corrispondente a come il fabbricato dev’essere in base ai titoli presupposti.
Le discrasie tra stato di fatto e stato legittimo configurano altrettanti “abusi” e sono sanzionati dall’ordinamento in forma demolitoria o pecuniaria.
La definizione dello stato legittimo costituisce un principio fondamentale della materia del governo del territorio e “richiede una disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale” , non ammettendosi modifiche o integrazioni mediante previsioni regionali difformi, anche se relative ad ambiti ed interessi diversi a quello urbanistico-edilizio sia pure eventualmente connessi ad esso, come quello paesaggistico (C. cost. n. 217/2022).
In prima battuta, lo stato legittimo dell’immobile e dell’unità immobiliare si determina sulla base del titolo abilitativo che ne ha previsto, o ne ha legittimato (es. silenzio-assenso), la costruzione, integrato con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali.
Rispetto alla definizione antecedente, il decreto “Salva Casa” ha espressamente ricompreso tra i titoli legittimanti lo stato dell’immobile anche le varie ipotesi di tolleranza edilizia, sanatoria e fiscalizzazione previste dall’ordinamento, previo pagamento delle relative oblazioni o sanzioni pecuniarie, ove previste.
Viceversa, prima della modifica, nelle ipotesi di fiscalizzazione, la conversione della sanzione demolitoria in sanzione pecuniaria non produceva alcun effetto sullo stato di diritto dell’immobile, che restava illegittimo. Questo, a differenza delle tolleranze costruttive e delle sanatorie, che sortivano l’effetto di legittimare lo stato di fatto esistente.
Nei casi di fiscalizzazione, infatti, il pagamento della sanzione serviva solo ad impedire che le opere edilizie abusive dovessero essere demolite, ma non ne rimuoveva il carattere antigiuridico , impedendo, ad esempio, successivi interventi edilizi sull’immobile, che restava privo di stato legittimo (Cons. Stato n. 5412/2011; Cass. pen., n. 3579/2021).
La novella, invece, ha qualificato come titoli idonei a determinare lo stato legittimo di un immobile anche quelli conseguenti alle seguenti disposizioni del d.P.R. n. 380/2001, previo pagamento delle eventuali sanzioni o oblazioni:
- artt. 33 e 34, sulla fiscalizzazione delle parziali difformità non rimovibili;
- art. 34-ter, sulle parziali difformità realizzate prima della legge n. 10/1977;
- art. 34-bis, sulle tolleranze costruttive;
- artt. 36 e 36-bis, sull’accertamento di conformità;
- art. 37, sulla sanatoria per mancanza o difformità da SCIA;
- art. 38, sulla fiscalizzazione a seguito di annullamento del permesso di costruire.
La norma non richiama le ipotesi di intervento della regione di cui agli artt. 39 (“Annullamento del permesso di costruire da parte della regione”) e 40 (“Sospensione o demolizione di interventi abusivi da parte della regione”), che però devono intendersi ricomprese, stante la natura surrogatoria – e, quindi, non autonoma – del potere regionale di autotutela sanzionatoria.
In alternativa ai titoli “iniziali”, lo stato legittimo può essere ricavato dal titolo “finale”, ossia quello “rilasciato o assentito, che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o l’intera unità immobiliare, a condizione che l’amministrazione competente, in sede di rilascio del medesimo, abbia verificato la legittimità dei titoli pregressi”.
La disposizione, introdotta nel 2024, intende garantire certezza alla circolazione dei diritti sui beni immobili, prevedendo che il punto “zero” dello stato legittimo dell’immobile possa ricavarsi dall’ultima pratica edilizia generale approvata.
Ciò nondimeno, essa pone più dubbi esegetici, primo tra tutti quello riguardante il significato dell’espressione “titolo … rilasciato o assentito, che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio … a condizione che l’amministrazione competente, in sede di rilascio del medesimo, abbia verificato la legittimità dei titoli pregressi”.
Invero, a voler seguire un’interpretazione strettamente letterale, all’ultimo titolo edilizio generale può attribuirsi valore abilitante soltanto quando sia stato:
- “rilasciato o assentito”;
- preceduto da un’istruttoria che abbia verificato “la legittimità”, e non solo l’esistenza, dei titoli precedenti.
Si pone, dunque, un dubbio sulla sussumibilità, o meno, nel dettato normativo, dei titoli a formazione tacita, che si consolidano col decorso del tempo: silenzio assenso, SCIA (ordinaria ed alternativa), DIA, CILA e CILAS.
Per vero, anche a qualificare tali fattispecie a formazione complessa come titoli edilizi (del resto, esse sono già configurabili come titoli “iniziali” o “integrativi” dello stato legittimo dell’immobile), solo in via eventuale le stesse sono in concreto precedute da un’istruttoria sulla legittimità dello stato anteatto.
Altro punto critico riguarda il rapporto esistente tra l’ultimo titolo e quello iniziale.
In altre parole, il ricorso all’ultimo titolo vale anche quando lo stato legittimo di partenza ivi descritto è in contrasto con quello del titolo inziale?
Il rapporto di alternatività tra le due modalità di accertamento dello stato legittimo, introdotto nel 2024 con la sostituzione della parola “e” con la parola “o”, dovrebbe far propendere per una risposta positiva, fatta salva la possibilità per l’amministrazione di annullare in autotutela l’ultimo titolo generale, ricorrendo i presupposti dell’art. 21- nonies della legge n. 241/1990.
L’art. 9, comma 1- bis individua due ipotesi di chiusura del sistema, caratterizzate dal fatto che il titolo abilitante:
- manca, perché l’immobile risale ad un periodo storico in cui non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio (es. ante 1942 o ante 1967);
- non è reperibile, ma sussistono principi di prova circa la sua esistenza.
In entrambi i casi, lo stato legittimo può essere dimostrato in via indiziaria, attraverso le informazioni catastali di primo impianto ed altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d’archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, integrato con eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali.
Altra novità di rilievo introdotta nel 2024 concerne l’indifferenza degli abusi condominiali sullo stato legittimo delle singole unità immobiliari e viceversa.
Infatti, in base al comma 1-ter:
- ai fini della dimostrazione dello stato legittimo delle singole unità immobiliari, non rilevano le difformità insistenti sulle parti comuni dell’edificio (cioè, tutte quelle parti che sono indispensabili all’uso comune, le aree destinate a parcheggio, i locali per i servizi in comune, le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all’uso comune);
- ai fini della dimostrazione dello stato legittimo dell’edificio, non rilevano le difformità insistenti sulle singole unità immobiliari.
Per la determinazione dello stato legittimo acquista importanza l’autorizzazione paesaggistica, che costituisce un titolo abilitativo ulteriore rispetto a quello edilizio (che, per altro, potrebbe non essere richiesto), come si ricava dall’art. 146, comma 4, d.lgs. n. 42/2004, che recita: “l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio” .
Questo accade perché le valutazioni sull’interesse paesaggistico, sia pur collegate da un rapporto di presupposizione ed interdipendenza, sono autonome da quelle urbanistico-edilizie.
Pertanto, il fatto che siano stati rilasciati i titoli edilizi in assenza dell’autorizzazione paesaggistica non può legittimare l’opera anche sotto il profilo paesaggistico, poiché ciò sarebbe in contrasto col principio costituzionale per cui l’interesse paesaggistico deve sempre essere valutato espressamente anche nell’ambito del bilanciamento con altri interessi pubblici, come affermato da Corte cost. n. 196/2004 ( Cons. Stato n. 3446/2022).
Su identiche conclusioni si attesta la giurisprudenza penale, secondo cui: a) i reati edilizi e urbanistici sono autonomi da quelli in materia di paesaggio e ambiente perché è diversa la disciplina del governo del territorio rispetto a tali ambiti; b) l’autonomia dei beni giuridici protetti dalle norme penali incriminatrici nelle materie in esame si riflette anche sull’autonomia delle cause estintive dei rispettivi reati; c) tra i reati previsti dall’art. 44, d.P.R. n. 380/2001 e dall’art. 181, d.lgs. n. 42/2004 vi è concorso e non assorbimento (Cass. pen. n. 1436/2016 e n. 3952/2021).
Con riguardo agli effetti della mancata preventiva acquisizione della autorizzazione paesaggistica, si registrano due orientamenti in giurisprudenza.
Uno, minoritario, secondo cui l’autorizzazione paesaggistica è condizione di validità del titolo edilizio, il quale non può essere adottato in assenza del previo conseguimento del titolo di compatibilità paesaggistica (Cons. Stato n. 521/2016 e n. 8260/2010).
L’altro, maggioritario, secondo cui l’autorizzazione paesaggistica è condizione di efficacia del titolo edilizio, che può ben essere rilasciato anche in mancanza della prima, fermo restando che esso resta inefficace e i lavori non possono essere iniziati (Cons. Stato n. 3952/2021 e n. 1436/2016).
La scelta dell’orientamento da seguire non è priva di conseguenze pratiche ai fini dell’individuazione dello stato legittimo.
Infatti:
-
se si accede alla tesi per cui il titolo edilizio è inefficace, allora esso è inidoneo a fondare lo stato legittimo del bene;
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se si accede alla tesi per cui il titolo edilizio è invalido, allora esso è idoneo a fondare lo stato legittimo del bene, salvo che non venga annullato dal giudice o dalla P.A.