Ancora sulla doverosità del rilascio della preventiva autorizzazione ex art. 94 T.U.E. per costruire in tutte le zone sismiche
(Nota a Corte Costituzionale, n. 121/2014 – Nota a TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, n. 2396/2013)

di Massimo GRISANTI

Le pronunce del Giudice delle Leggi (n. 121/2014) e del TAR Campania (Na, n. 2396/2013), riportate in appendice, sono l’occasione per tornare sull’argomento dell’indefettibilità dell’autorizzazione sismica da rilasciarsi, da parte degli Uffici tecnici regionali, per interventi da realizzarsi in TUTTE le zone sismiche.

 

Prima di analizzare le sentenze è indispensabile far notare le differenze che passano tra le disposizioni degli articoli 3 e 18 della Legge 2 febbraio 1974, n. 64 “Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche”1 e quelle, apparentemente riproduttive, degli articoli 83 e 94 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 “Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”2.

 

All’indomani del trasferimento di funzioni e compiti amministrativi in materia di individuazione delle zone sismiche, lo Stato ha mantenuto le funzioni relative ai criteri generali tale azione di individuazione e alle norme tecniche per le costruzioni nelle medesime zone (art. 93, comma 1, lettera g, del D.Lgs. n. 112/1998).

 

L’art. 83 T.U.E. prevede due tipi di decreti:

  • quelli statali, con i quali vengono ordinariamente approvate le norme tecniche antisismiche (la cui determinazione è espressione della potestà legislativa esclusiva dello Stato ex art. 117, comma 2, lettera h, della Costituzione);

  • quelli regionali, con i quali viene operata la classificazione sismica dei rispettivi territori.

 

Quando l’art. 94 T.U.E. si riferisce ai decreti dell’art. 83 (quindi, sia a quelli statali che a quelli regionali) per l’operatività dell’eccezione al principio dell’autorizzazione sismica preventiva per tutte le zone sismiche, prescrive la necessità di un’intesa forte Stato-Regioni per rendere applicativa la deroga, se del caso anche condizionandola.

 

Ecco che le disposizioni dell’art. 94 T.U.E.:

  • sono sostanzialmente diverse da quelle dell’art. 18 L. 64/1974, le quali si riferivano, per l’operatività della deroga, solamente ai decreti di classificazione delle zone sismiche (ex art. 3, comma secondo, L. 64/1974);

  • non sono meramente riproduttive3 di altre già vigenti, ma hanno un contenuto necessitato dall’intervenuto trasferimento di funzioni e compiti dallo Stato alle Regioni con il D. Lgs. 112/1998 e dalla consequenziale doverosità di ribadire il riparto di competenze legislative operato dall’art. 117 Cost. in materia di “Governo del territorio” e di “Protezione civile” (a cui fa capo la pubblica incolumità), in forza del quale spetta unicamente allo Stato la fissazione dei titoli abilitativi quale espressione di principi fondamentali (cfr. Corte Costituzionale, n. 303/2003, i cui concetti sono stati ribaditi dalla qui annotata sentenza n. 121 depositata il 9/5/2014).

 

Come già detto altre volte nei miei scritti ospitati dalla rivista Lexambiente.it – già sotto il mero profilo di interpretazione letterale dell’art. 94 T.U.E. – con l’istituzione da parte dello Stato4 di una nuova zona sismica (“classe 4”) ecco che sorge la necessità (“… ad eccezione di quelle a bassa sismicità all'uopo indicate nei decreti di cui all'articolo 83 …”) di una previsione espressa, da obbligatoriamente contenersi nei decreti statali di approvazione delle norme tecniche antisismiche ex art. 83 T.U.E., per poter azionare5 la deroga all’obbligo dell’autorizzazione sismica per iniziare i lavori. Solamente il soggetto titolare del potere di determinazione dei titoli abilitativi (ovverosia lo Stato) può derogare alla loro imposizione.

 

Si consideri, inoltre, che l’eccezione al principio fondamentale di munirsi di autorizzazione preventiva in tutte le zone sismiche, ivi contenuta, è chiaramente ascrivibile all’esclusiva competenza statale di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni in ambito delle procedure amministrative [v. Corte Costituzionale n. 164/2012, ribadita con sentenza n. 121/2014 qui annotata, con le quali il Giudice delle Leggi, decidendo in ordine alla legittimità costituzionale dell’art. 49, comma 4-ter, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, ha riconosciuto esatta la qualificazione di “livelli essenziali delle prestazioni” data dal legislatore statale alle disposizioni degli articoli 19 e 20 della L. 241/1990 a mezzo dell’art. 29, comma 2-ter, della stessa legge sul procedimento amministrativo]. L’esercizio di siffatta competenza porta lo Stato a coniare nuovi titoli abilitativi (vedi DIA) in materia di competenza concorrente come il “Governo del territorio” (v. Corte Costituzionale, n. 303/2003).

 

Pertanto, poiché lo Stato all’indomani delle modifiche apportate agli articoli 19 e 20 della L. 241/1990 con il D.L. 35/2005, convertito con modificazioni dalla L. 80/2005, ha deciso che non è più consentito né operare con DIA (oggi anche SCIA) – a cui la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 182/2006, equiparò il deposito-progetto ex art. 93 T.U.E. – né applicare l’istituto del silenzio assenso agli atti delle Amministrazioni preposte alla tutela della pubblica incolumità, ecco che solamente la previsione derogatoria espressa contenuta nel decreto statale ex art. 83 T.U.E. di approvazione delle norme tecniche antisismiche può far sì che sia possibile, nelle zone di bassa sismicità, iniziare le opere con la mera denuncia ex art. 93 T.U.E.

 

Infine, si evidenzia che quanto stabilito dal TAR Campania, sede di Napoli, nella sentenza n. 2396/2013, ovverosia che l’autorizzazione sismica ex art. 94 T.U.E. non deve intervenire prima del rilascio del permesso di costruire, ma solamente prima dell’inizio dei lavori, non è più valevole – dal 12/2/2013 (sei mesi dall’entrata in vigore della L. 134/2012, v. art. 13, comma 2-bis del D.L. n. 83/2012) – all’indomani delle modifiche apportate dal legislatore statale all’art. 5 T.U.E. a mezzo dell’art. 13, comma 2, punto 2) del D.L. n. 83/2012.

 

Infatti, il terzo comma del novellato art. 5 T.U.E. stabilisce che l’acquisizione dell’autorizzazione sismica è preliminare al rilascio del permesso di costruire.

 

La modifica legislativa è chiaramente volta tanto ad accertare che l’opera progettata sotto il profilo architettonico sia effettivamente realizzabile (quindi, il progetto architettonico sia eseguibile), quanto ad evitare che vengano depositati agli uffici regionali del Genio Civile progetti strutturali non coerenti con il progetto architettonico.

____________________________________________________________

 

Scritto il 10/05/2014

 

 

APPENDICE

 

 

Sentenza 121/2014

Giudizio

Presidente SILVESTRI - Redattore CRISCUOLO

Udienza Pubblica del 25/03/2014 Decisione del 05/05/2014

Deposito del 09/05/2014 Pubblicazione in G. U.

Norme impugnate: Art. 49, c. 4° ter, del decreto legge 31/05/2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dall'art. 1. c. 1°, della legge 30/07/2010, n. 122.

Massime:

Atti decisi: ric. 99/2010

 

SENTENZA N. 121

 

ANNO 2014

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori: Presidente: Gaetano SILVESTRI; Giudici : Luigi MAZZELLA, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 49, comma 4-ter, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, promosso dalla Provincia autonoma di Bolzano con ricorso notificato il 28 settembre 2010, depositato in cancelleria il 5 ottobre 2010 ed iscritto al n. 99 del registro ricorsi 2010.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 25 marzo 2014 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;

uditi gli avvocati Giuseppe Franco Ferrari e Roland Riz per la Provincia autonoma di Bolzano e

l’avvocato dello Stato Antonio Tallarida per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 28 settembre 2010 e depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il successivo 5 ottobre (reg. ric. n. 99 del 2010), la Provincia autonoma di Bolzano ha promosso, in via principale, questione di legittimità costituzionale, tra gli altri, dell’art. 49, comma 4-ter, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, nella parte in cui – se e in quanto riferito anche alla Provincia autonoma di Bolzano – qualifica la disciplina sulla «segnalazione certificata di inizio attività» (SCIA), come attinente alla tutela della concorrenza, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, ne ribadisce la qualificazione come livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., e dispone che la disciplina sulla SCIA sostituisca direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 78 del 2010, quella della «dichiarazione di inizio attività» (DIA), recata da ogni normativa statale e regionale.

2.– La ricorrente afferma che, se riferita alle Province autonome di Trento e Bolzano, la citata disciplina statale si porrebbe in contrasto con la vigente normativa provinciale, nelle specifiche materie di competenza statutaria di cui agli artt. 8 (in particolare, nelle materie di cui al numero 5 «urbanistica e piani regolatori») e 9 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige).

Sul punto essa richiama la sentenza n. 145 del 2005 e, in particolare, il paragrafo in cui si afferma che «La tesi del Governo, secondo la quale la diretta applicabilità della citata legge alla Provincia deriverebbe dalla competenza esclusiva dello Stato in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, di cui al nuovo art. 117, terzo comma, lettera m), della Costituzione, è poi priva di fondamento. Senza entrare nella valutazione di tale tesi, è sufficiente rilevare che le disposizioni della legge costituzionale n. 3 del 2001, modificativa del Titolo V della Costituzione, si applicano alle Province autonome, ai sensi dell’art. 10 della stessa legge costituzionale, solo “per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite”. Sicché, deve necessariamente escludersi che le disposizioni della suddetta legge costituzionale possano comportare limitazioni alla sfera di competenza legislativa già attribuita alla Provincia ricorrente per effetto dello statuto di autonomia. Fermo restando, ricorrendone i presupposti, l’obbligo di adeguamento, imposto dall’art. 2, comma 1, del decreto legislativo n. 266 del 1992 ai principi e alle norme costituenti limiti indicati dagli artt. 4 e 5 dello stesso statuto». La Provincia autonoma aggiunge che, in ogni caso, un eventuale adeguamento dovrebbe avvenire nelle forme e con le modalità di cui al menzionato art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento).

3.– Con atto depositato in data 4 novembre 2010, si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo alla Corte di dichiarare l’inammissibilità o la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale.

Nel merito, con specifico riferimento al comma 4-ter dell’art. 49 del d.l. citato, essa osserva come detta norma sia volta a sostituire la disciplina in materia di dichiarazione di inizio attività con quella di segnalazione certificata di inizio attività e individua nella normativa statale la sola fonte competente ad intervenire in materia; inoltre, la difesa dello Stato pone in evidenza come la norma in questione sia diretta a favorire la ripresa e lo sviluppo del sistema produttivo in un’ottica di maggior competitività delle imprese.

Pertanto, data la necessità di un tempestivo intervento diretto a fronteggiare l’attuale situazione di crisi economico-finanziaria internazionale, tali disposizioni non potevano che avere effetto immediato.

Peraltro, come rileva la stessa ricorrente, l’istituto non è nuovo, ma costituisce la modifica e la semplificazione di altro analogo, la DIA, già previsto dall’ordinamento e già positivamente scrutinato dalla Corte, nella sentenza n. 303 del 2003, nel senso che esso integra un principio fondamentale del governo del territorio, alternativo alla licenza o concessione edilizia, applicabile anche alle Province autonome.

Ad avviso della difesa statale, dunque, anche la norma censurata, da una parte, continua ad integrare un principio fondamentale e dall’altra – nelle sue modifiche e semplificazioni – si ispira alla tutela della concorrenza, incrementando ed agevolando le attività edilizie, per quanto riguarda gli operatori del settore, e ai livelli essenziali delle prestazioni per i cittadini interessati ad una sollecita risposta e allo svolgimento di tali attività, materie queste di esclusiva competenza statale.

4.– Il 3 maggio 2011, in vista dell’udienza pubblica dell’8 giugno 2011, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria con la quale ha sottolineato come tutte le disposizioni censurate singolarmente appartengano ad una manovra complessiva di riequilibrio e contenimento finanziario, di tutela del bilancio dello Stato e di supporto all’economia del Paese, e ha chiesto che siano esaminate e valutate in relazione a questo preminente aspetto.

Dopo aver precisato che il d.l. n. 78 del 2010 è stato adottato nel pieno di una grave crisi economica internazionale, per assicurare stabilità economica e finanziaria al Paese, con specifico riferimento alle censure concernenti il comma 4-ter dell’art. 49 del d.l. citato, osserva come la SCIA consenta di iniziare le attività economiche immediatamente, senza attendere la scadenza di alcun termine, attraverso una semplice segnalazione all’autorità competente.

Essa, pertanto, costituisce uno strumento di liberalizzazione che si traduce in una sostanziale accelerazione e semplificazione rispetto alla precedente disciplina contenuta nell’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi).

Inoltre, le Regioni ben potrebbero esercitare la loro potestà legislativa alla luce del combinato disposto dei commi 2-ter e 2-quater dell’art. 29 della legge n. 241 del 1990; dette disposizioni, infatti, riconoscono alle Regioni la possibilità di individuare casi ulteriori di non applicazione della normativa statale e di prevedere livelli ulteriori di tutela rispetto a quelli garantiti dalle disposizioni statali attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni.

Si osserva, ancora, per quanto concerne il comma 4-ter dell’art. 49 del d.l. citato, che già la legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), aveva evidenziato l’attinenza dell’istituto della DIA alle materie rientranti nella competenza statale, ed in particolare a quella in materia di determinazione dei livelli essenziali, modificando l’art. 29, comma 2-ter, della legge n. 241 del 1990; detta disposizione non è stata oggetto di impugnazione.

Pertanto, l’art. 49, comma 4-ter, del d.l. citato, si limita a sostituire il termine DIA con SCIA, e ciò non può rimettere in discussione l’intero istituto. La norma, peraltro, opera nell’ambito delle competenze statali come sarebbe reso evidente dal richiamo alle disposizioni della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa).

5.– Con memoria del 17 maggio 2011, la Provincia autonoma di Bolzano ha chiesto alla Corte di dichiarare non fondata l’eccezione, sollevata dalla Avvocatura generale dello Stato, in ordine alla asserita tardività del ricorso, in quanto proposto avverso disposizioni non modificate dalla legge di conversione, quindi immediatamente lesive e, pertanto, suscettibili di autonoma impugnazione.

La ricorrente, a tal fine, invoca le sentenze n. 286 del 2004 e n. 25 del 1996. In particolare, poi, osserva che la legge di conversione è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 30 luglio 2010 e che il ricorso è stato notificato il 28 settembre 2010; pertanto la tempestività della impugnazione sarebbe evidente.

Quanto al merito, e con specifico riferimento alle censure mosse in relazione all’art. 49, comma 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010, la ricorrente, dopo avere richiamato la sentenza n. 145 del 2005, sostiene che le argomentazioni dell’Avvocatura – secondo cui, rientrando la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni nell’ambito della competenza esclusiva dello Stato, spetterebbe a quest’ultimo individuare gli interessi meritevoli di tutela anche in modo trasversale rispetto alle competenze legislative regionali – se possono valere per le Regioni a statuto ordinario non sarebbero applicabili alla Provincia autonoma di Bolzano, per la quale vige il peculiare regime di autonomia, confermato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).

Peraltro, sussisterebbe l’impossibilità di qualificare la norma in esame come destinata ad individuare “livelli di prestazione”, in quanto volta unicamente a delineare un diverso percorso per la formazione del titolo legittimante l’attività edilizia.

Inoltre, nemmeno sarebbero condivisibili le argomentazioni dell’Avvocatura in ordine alla riconducibilità della disciplina in esame alla materia «governo del territorio»; alla Provincia autonoma, infatti, spetta, la competenza legislativa esclusiva in materia urbanistica, in cui confluiscono anche i titoli edificatori e, come noto, le disposizioni della legge cost. n. 3 del 2001 si applicano alle Province autonome, ai sensi dell’art. 10 della medesima legge, solo «per le parti in cui prevedono forme di autonomie più ampie rispetto a quelle già attribuite».

6.– In data 19 maggio 2011, le parti hanno proposto istanza congiunta di rinvio dell’udienza di discussione del ricorso in questione, fissata per l’8 giugno 2011, in considerazione della esistenza di trattative finalizzate ad un componimento delle opposte posizioni. La trattazione, tra gli altri, del presente ricorso è stata fissata per l’udienza del 23 novembre 2011.

7.– Il 17 ottobre 2011, in prossimità dell’udienza del 23 novembre 2011, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria nella quale ha ribadito che la disposizione censurata non introduce un nuovo istituto, ma costituisce lo sviluppo di un altro, appunto la DIA, già positivamente esaminato dalla Corte nella sentenza n. 303 del 2003.

Per conseguenza, anche la norma in questione da una parte integrerebbe un principio fondamentale in materia di «governo del territorio», dall’altra sarebbe da ascrivere alla «tutela della concorrenza» (per quanto riguarda gli operatori del settore), dall’altra ancora garantirebbe i diritti civili dei cittadini ed assicurerebbe i «livelli essenziali delle prestazioni» a coloro che sono interessati allo svolgimento delle attività programmate. Pertanto, nei confronti della disciplina integrativa regionale, essa avrebbe una funzione cedevole, necessaria per colmare il vuoto derivante dalla abolizione del precedente istituto della DIA.

8.– Con memoria depositata in data 28 ottobre 2011, la Provincia autonoma di Bolzano, dopo aver ribadito quanto già affermato in sede di ricorso, con specifico riferimento all’art. 49, comma 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010, afferma che le argomentazioni dell’Avvocatura non colgono nel segno.

In primo luogo, osserva come la sentenza n. 303 del 2003 abbia affermato la legittimità costituzionale della DIA, disattendendo le censure mosse da Regioni a statuto ordinario (Umbria, Toscana ed Emilia-Romagna), sulla base dell’argomento per cui la materia dei titoli edilizi appartiene storicamente all’urbanistica, fatta confluire, in esito alla riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, nella materia, di competenza legislativa concorrente, del «governo del territorio». Escluso che la normativa in questione possa essere qualificata come di dettaglio, la Corte ha ritenuto che la questione di legittimità avanzata dalle Regioni fosse non fondata. Ciò posto, la ricorrente ritiene evidente che le dette argomentazioni non possono trovare applicazioni con riferimento alla peculiare posizione della Provincia autonoma di Bolzano che, per esplicita previsione statutaria (art. 8, primo comma, numero 5), ha nella materia «urbanistica» competenza legislativa esclusiva.

La ricorrente, poi, osserva come il richiamo al decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno), sia del tutto inconferente; tale decreto legislativo, infatti, reca una clausola di cedevolezza (art. 84), mentre la disposizione censurata trova diretta applicazione, andando a sostituire automaticamente la disciplina in materia di DIA recata da leggi statali e regionali, con inevitabile compressione delle prerogative provinciali nelle materie di propria competenza, esclusiva o concorrente. Parimenti non conferente sarebbe, poi, il richiamo all’art. 29, commi 2-ter e 2-quater, della legge n. 241 del 1990, in quanto la possibilità di individuare materie sottratte alla disciplina statale in commento interviene a posteriori, non rimuovendo la lesione conseguente all’automatismo descritto.

9.– In data 7 novembre 2011, il Presidente del Consiglio dei ministri e la Provincia ricorrente hanno depositato nuova istanza di rinvio dell’udienza di discussione, fissata per il 23 novembre 2011. La nuova udienza è stata fissata per l’8 maggio 2012.

10.– Con memoria del 17 aprile 2012, la Provincia autonoma di Bolzano, con specifico riferimento all’art. 49, comma 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010, ha ribadito le argomentazioni precedentemente svolte in ordine alla lesione delle competenze statutarie proprie della Provincia in materia urbanistica.

La palese violazione del riparto di competenze non potrebbe essere superata mediante il richiamo alla «tutela della concorrenza» e neppure ai «livelli essenziali delle prestazioni». Nemmeno la circostanza che, a giudizio dell’Avvocatura, la disposizione censurata si qualifichi come principio fondamentale in relazione al «governo del territorio» potrebbe assumere rilevanza in quanto, come chiarito dalla Corte, la materia afferente ai titoli edilizi è l’urbanistica, nell’ambito della quale la Provincia di Bolzano gode di potestà legislativa esclusiva.

11.– Con memoria del 17 aprile 2012, l’Avvocatura generale dello Stato ha ribadito le argomentazioni in precedenza svolte.

12.– In data 3 maggio 2012, le difese delle parti del presente giudizio hanno presentato istanza congiunta di rinvio della trattazione del ricorso fissata per l’udienza dell’8 maggio 2012, in quanto la Provincia autonoma di Bolzano ha deliberato di autorizzare il Presidente della Giunta provinciale alla sottoscrizione di un accordo idoneo a definire l’assetto dei rapporti tra le parti. La trattazione del ricorso è stata, poi, fissata per l’udienza del 3 luglio 2012.

Anche in relazione a tale data le parti hanno presentato istanza congiunta di rinvio.

13.– In data 1° ottobre 2013, la difesa della Provincia autonoma di Bolzano, in considerazione del mancato raggiungimento dell’accordo, ha formulato istanza di trattazione del ricorso in questione.

La nuova udienza è stata fissata per il 25 marzo 2014.

14.– Con memoria depositata il 4 febbraio 2014, la difesa dello Stato, dopo aver ribadito le argomentazioni contenute nell’atto di costituzione, sottolinea l’esigenza di contestualizzare l’esame della normativa in questione con il grave momento storico che attraversa il Paese, il quale giustifica l’adozione di norme restrittive volte a tutelare l’equilibrio finanziario e di bilancio dello Stato. A tal proposito è richiamata la recente sentenza n. 310 del 2013.

Ciò posto, con specifico riferimento all’art. 49, comma 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010, l’Avvocatura osserva che la Corte costituzionale si è già pronunciata sulla legittimità costituzionale della citata disposizione con le sentenze n. 203 e n. 164 del 2012, di cui riporta ampi brani.

15.– Con memoria depositata il 3 marzo 2014, la Provincia autonoma di Bolzano ha ribadito le precedenti argomentazioni specificando quanto segue.

In primo luogo, deduce la non fondatezza dell’eccezione relativa al presunto carattere tardivo del ricorso, in quanto la disposizione censurata è stata introdotta dalla legge di conversione. Quanto alle sentenze n. 203 e n. 164 del 2012 ed alla conseguente riconducibilità della disposizione censurata all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., la difesa provinciale osserva che detta conclusione non può condurre ad escludere la fondatezza dei profili di illegittimità costituzionale già rilevati, in quanto pure in presenza di una norma riferibile alla suddetta materia, in capo alla Provincia può sorgere soltanto l’obbligo di adeguamento, imposto dall’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 266 del 1992, ai principi ed alle norme costituenti limiti indicati dagli artt. 4 e 5 dello statuto speciale, con esclusione di ogni ipotesi di sostituzione automatica delle disposizioni provinciali “incompatibili” con quelle statali.

 

Considerato in diritto

1.– Con ricorso notificato il 28 settembre 2010 e depositato nella cancelleria della Corte il successivo 5 ottobre (reg. ric. n. 99 del 2010), la Provincia autonoma di Bolzano ha promosso, in via principale, questione di legittimità costituzionale, tra le altre disposizioni pure impugnate, dell’art. 49, comma 4-ter, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, nella parte in cui – se ed in quanto riferito alla Provincia autonoma di Bolzano – qualifica la disciplina sulla «segnalazione certificata di inizio attività» (SCIA) come attinente alla tutela della concorrenza ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, ne ribadisce la qualificazione come livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., e dispone che la disciplina sulla SCIA sostituisca direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 78 del 2010, quella della «dichiarazione di inizio attività» (DIA), recata da ogni normativa statale e regionale, in riferimento agli artt. 8, primo comma, numero 5, e 9 del decreto del Presidente della Repubblica del 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino Alto-Adige), nonché all’art. 2, comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino Alto-Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento).

Ad avviso della ricorrente, la normativa censurata – se riferita alla Provincia autonoma di Bolzano – si porrebbe in contrasto con la vigente disciplina provinciale, nelle specifiche materie di competenza statutaria di cui agli artt. 8 (in particolare, con riguardo alle materie previste al numero 5 «urbanistica e piani regolatori») e 9 del d.P.R. n. 670 del 1972. Sul punto è richiamata la sentenza di questa Corte n. 145 del 2005.

Inoltre, qualora fossero ravvisati i presupposti per rendere operativo l’obbligo di adeguamento stabilito dall’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 266 del 1992, ciò dovrebbe, comunque, avvenire nelle forme e con le modalità di cui allo stesso art. 2, ora citato, con esclusione di ogni ipotesi di sostituzione automatica delle disposizioni provinciali “incompatibili” con quelle statali.

2.– Riservata a separate pronunce la decisione sulle impugnazioni delle altre norme contenute nel suddetto d.l. n. 78 del 2010, proposte dalla ricorrente, viene qui in esame la questione di legittimità costituzionale relativa al citato art. 49, comma 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dalla legge di conversione n. 122 del 2010. Invero, come si evince dall’epigrafe e dal dispositivo del ricorso, e come si desume dal contesto dell’apparato argomentativo che lo sorregge, a tale disposizione, in parte qua, fanno riferimento le censure mosse dalla Provincia autonoma di Bolzano.

3.– In via preliminare, la difesa dello Stato, nell’atto di costituzione, ha eccepito il carattere tardivo del ricorso e, perciò, l’inammissibilità dello stesso, in quanto «proposto avverso norme del decreto-legge non modificate in sede di conversione e quindi, in ipotesi, immediatamente lesive».

L’eccezione non è fondata.

A prescindere dal rilievo che il comma 4-ter del citato art. 49 risulta aggiunto dalla legge di conversione, è vero che l’efficacia immediata, propria del decreto-legge, e il conseguente carattere lesivo che esso può assumere, lo rendono impugnabile in via immediata da parte delle Regioni. È pur vero, però, che soltanto con la legge di conversione il detto provvedimento legislativo assume stabilità (art. 77, terzo comma, Cost.). In tale contesto, come questa Corte ha più volte affermato, la Regione può, a sua scelta, impugnare tanto il solo decreto-legge, quanto la sola legge di conversione, quanto entrambi (ex plurimis, sentenze n. 203 del 2012, n. 298 del 2009, n. 443 del 2007, n. 407 del 2005 e n. 25 del 1996).

Da ciò deriva la non fondatezza dell’eccezione, perché il ricorso della Provincia autonoma di Bolzano risulta tempestivamente proposto avverso la legge di conversione con atto notificato il 28 settembre 2010.

4.– Sempre in via preliminare, la Corte osserva che i giudizi avverso il d.l. 78 del 2010, sono stati promossi dalla detta Provincia autonoma sulla base di una delibera adottata in via d’urgenza dalla Giunta, ai sensi dell’art. 44, numero 5, dello statuto speciale. In tali casi, l’atto di ratifica del Consiglio deve intervenire ed essere prodotto in giudizio non oltre il termine di costituzione della parte ricorrente (sentenza n. 142 del 2012).

Nel caso di specie non rileva la tempestività di siffatta ratifica e del relativo deposito, in quanto questa Corte ha più volte ribadito che, per i ricorsi promossi prima della sentenza ora citata, sussistono gli estremi dell’errore scusabile già riconosciuto in ipotesi del tutto analoghe, in ragione del fatto che tale profilo di inammissibilità a lungo non è stato rilevato, così da ingenerare l’affidamento nelle parti in ordine ad una interpretazione loro favorevole (sentenze n. 203, n. 202, n. 178 e n. 142 del 2012).

Pertanto, il ricorso è, sotto tale aspetto, ammissibile.

5.– Nel merito, la questione non è fondata.

L’art. 49, comma 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 122 del 2010, così dispone: «Il comma 4-bis attiene alla tutela della concorrenza ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, e costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi della lettera m) del medesimo comma. Le espressioni “segnalazione certificata di inizio attività” e “Scia” sostituiscono, rispettivamente, quelle di “dichiarazione di inizio attività” e “Dia”, ovunque ricorrano, anche come parte di una espressione più ampia, e la disciplina di cui al comma 4-bis sostituisce direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, quella della dichiarazione di inizio attività recata da ogni normativa statale e regionale».

Ad avviso della ricorrente, tale disciplina si porrebbe in contrasto con la vigente normativa provinciale, anche nelle specifiche materie di competenza statutaria di cui agli artt. 8 (in particolare, nelle materie di cui al numero 5: «urbanistica e piani regolatori») e 9 dello statuto speciale (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 145 del 2005). E, ove pur si dovesse ravvisare un eventuale obbligo di adeguamento, imposto dall’art. 2, comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino Alto-Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), tale adeguamento dovrebbe comunque avvenire nelle forme e con le modalità di cui al citato art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992.

Orbene, si deve osservare che la disposizione censurata è già stata oggetto di scrutinio da parte di questa Corte nella sentenza n. 164 del 2012, in relazione a censure promosse da alcune Regioni a statuto ordinario e dalla Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, nonché nella sentenza n. 203 del 2012, con riferimento a censure mosse dalla Provincia autonoma di Trento.

In particolare, con quest’ultima sentenza, la Corte ha così argomentato:

«“La segnalazione certificata d’inizio attività” (d’ora in avanti, SCIA) si pone in rapporto di continuità con l’istituto della DIA, che dalla prima è stato sostituito. La DIA “denuncia di inizio attività” fu introdotta nell’ordinamento italiano con l’art. 19 della legge n. 241 del 1990, inserito nel Capo IV di detta legge, dedicato alla “Semplificazione dell’azione amministrativa”. Successivamente, con l’entrata in vigore del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35 (Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato, nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, essa assunse la denominazione di “dichiarazione di inizio attività”.

Scopo dell’istituto era quello di rendere più semplici le procedure amministrative indicate nella norma, alleggerendo il carico di adempimenti gravanti sul cittadino. In questo quadro si iscrive anche la SCIA, del pari finalizzata alla semplificazione dei procedimenti di abilitazione all’esercizio di attività per le quali sia necessario un controllo della pubblica amministrazione.

Il principio di semplificazione, ormai da gran tempo radicato nell’ordinamento italiano, è altresì di diretta derivazione comunitaria (Direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno, attuata nell’ordinamento italiano con decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59). Esso, dunque, va senza dubbio catalogato nel novero dei principi fondamentali dell’azione amministrativa (sentenze n. 282 del 2009 e n. 336 del 2005)».

La citata sentenza n. 203 del 2012 così prosegue:

«Nella giurisprudenza di questa Corte si è più volte affermato che, ai fini del giudizio di legittimità costituzionale, la qualificazione legislativa non vale ad attribuire alle norme una natura diversa da quella ad esse propria, quale risulta dalla loro oggettiva sostanza. Per individuare la materia alla quale devono essere ascritte le disposizioni oggetto di censura, non assume rilievo la qualificazione che di esse dà il legislatore, ma occorre fare riferimento all’oggetto e alla disciplina delle medesime, tenendo conto della loro ratio e tralasciando gli effetti marginali e riflessi, in guisa da identificare correttamente anche l’interesse tutelato (ex plurimis: sentenze n. 207 del 2010; n. 1 del 2008; n. 169 del 2007; n. 447 del 2006; n. 406 e n. 29 del 1995).

In questo quadro, il richiamo alla tutela della concorrenza, effettuato dal citato art. 49, comma 4-ter, oltre ad essere privo di efficacia vincolante, è anche inappropriato. Infatti, la disciplina della SCIA, con il principio di semplificazione ad essa sotteso, si riferisce ad “ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale, il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale”, e per il quale “non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale”.

Detta disciplina, dunque, ha un ambito applicativo diretto alla generalità dei cittadini e perciò va oltre la materia della concorrenza, anche se è ben possibile che vi siano casi nei quali quella materia venga in rilievo. Ma si tratta, per l’appunto, di fattispecie da verificare in concreto (per esempio, in relazione all’esigenza di eliminare barriere all’entrata nel mercato).

Invece, a diverse conclusioni deve pervenirsi con riferimento all’altro parametro evocato dall’art. 49, comma 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010, poi convertito in legge.

Detta norma stabilisce che la disciplina della SCIA, di cui al precedente comma 4-bis, costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. Analogo principio, con riferimento alla DIA, era stato affermato dall’art. 29, comma 2-ter, della legge n. 241 del 1990, come modificato dall’art. 10, comma 1, lettera b), della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), poi ancora modificato dall’art. 49, comma 4, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito in legge.

Tale autoqualificazione, benché priva di efficacia vincolante per quanto prima rilevato, si rivela corretta.

Al riguardo, va rimarcato che l’affidamento in via esclusiva alla competenza legislativa statale della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni è previsto in relazione ai “diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. Esso, dunque, si collega al fondamentale principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. La suddetta determinazione è strumento indispensabile per realizzare quella garanzia.

In questo quadro, si deve ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “l’attribuzione allo Stato della competenza esclusiva e trasversale di cui alla citata disposizione costituzionale si riferisce alla determinazione degli standard strutturali e qualitativi di prestazioni che, concernendo il soddisfacimento di diritti civili e sociali, devono essere garantiti, con carattere di generalità, a tutti gli aventi diritto” (sentenze n. 322 del 2009; n. 168 e 50 del 2008; n. 387 del 2007).

Questo titolo di legittimazione dell’intervento statale è invocabile “in relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione” (sentenza n. 322 del 2009, citata; e sentenze n. 328 del 2006; n. 285 e n. 120 del 2005), e con esso è stato attribuito “al legislatore statale un fondamentale strumento per garantire il mantenimento di una adeguata uniformità di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato da un livello di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto” (sentenze n. 10 del 2010 e n. 134 del 2006).

Si tratta, quindi, come questa Corte ha precisato, non tanto di una “materia” in senso stretto, quanto di una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, in relazione alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare in modo generalizzato sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle (sentenze n. 322 del 2009 e n. 282 del 2002).

Alla stregua di tali principi, la disciplina della SCIA ben si presta ad essere ricondotta al parametro di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. Tale parametro permette una restrizione dell’autonomia legislativa delle Regioni, giustificata dallo scopo di assicurare un livello uniforme di godimento dei diritti civili e sociali tutelati dalla stessa Costituzione. In particolare, “la ratio di tale titolo di competenza e l’esigenza di tutela dei diritti primari che è destinato a soddisfare consentono di ritenere che esso può rappresentare la base giuridica anche della previsione e della diretta erogazione di una determinata provvidenza, oltre che della fissazione del livello strutturale e qualitativo di una data prestazione, al fine di assicurare più compiutamente il soddisfacimento dell’interesse ritenuto meritevole di tutela (sentenze n. 248 del 2006, n. 383 e n. 285 del 2005), quando ciò sia reso imprescindibile, come nella specie, da peculiari circostanze e situazioni, quale una fase di congiuntura economica eccezionalmente negativa” (sentenza n. 10 del 2010, punto 6.3 del Considerato in diritto).

Orbene – premesso che l’attività amministrativa può assurgere alla qualifica di “prestazione”, della quale lo Stato è competente a fissare un livello essenziale a fronte di uno specifico diritto di individui, imprese, operatori economici e, in genere, soggetti privati – la normativa qui censurata prevede che gli interessati, in condizioni di parità su tutto il territorio nazionale, possano iniziare una determinata attività (rientrante nell’ambito del citato comma 4-bis), previa segnalazione all’amministrazione competente. Con la presentazione di tale segnalazione, il soggetto può dare inizio all’attività, mentre l’amministrazione, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti legittimanti, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione (trenta giorni nel caso di SCIA in materia edilizia), adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salva la possibilità che l’interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall’amministrazione.

Al soggetto interessato, dunque, si riconosce la possibilità di dare immediato inizio all’attività (è questo il principale novum della disciplina in questione), fermo restando l’esercizio dei poteri inibitori da parte della pubblica amministrazione, ricorrendone gli estremi. Inoltre, è fatto salvo il potere della stessa pubblica amministrazione di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241 del 1990.

Si tratta di una prestazione specifica, circoscritta all’inizio della fase procedimentale strutturata secondo un modello ad efficacia legittimante immediata, che attiene al principio di semplificazione dell’azione amministrativa ed è finalizzata ad agevolare l’iniziativa economica (art. 41, primo comma, Cost.), tutelando il diritto dell’interessato ad un sollecito esame, da parte della pubblica amministrazione competente, dei presupposti di diritto e di fatto che autorizzano l’iniziativa medesima».

6.– Il richiamo all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), non è pertinente.

Anche a tal riguardo la citata sentenza n. 203 del 2012 ha così argomentato:

«Infatti, è vero che, in base al dettato di tale norma, “Sino all’adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite”. Tuttavia, nel caso in esame viene in rilievo un parametro costituzionale, cioè l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., che, come ora si è visto, postula tutele necessariamente uniformi su tutto il territorio nazionale e tale risultato non può essere assicurato dalla Regione, ancorché ad autonomia differenziata, la cui potestà legislativa è pur sempre circoscritta all’ambito territoriale dell’ente (nelle cui competenze legislative, peraltro, non risulta presente una materia riconducibile a quella prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.)».

Conclusivamente, la riconduzione della disciplina in esame al parametro costituzionale ora indicato comporta la non fondatezza delle questioni sollevate sotto tutti i profili, in quanto la normativa censurata rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Provincia autonoma di Bolzano, con il ricorso indicato in epigrafe, nei confronti del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 49, comma 4-ter, del citato d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, promosse dalla ricorrente in riferimento all’art. 8, primo comma, numero 5, e all’art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino Alto Adige), in relazione all’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 maggio 2014.

 

F.to:

Gaetano SILVESTRI, Presidente

Alessandro CRISCUOLO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 9 maggio 2014.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Gabriella MELATTI

 

 

*** *** ***

 

N. 02396/2013 REG.PROV.COLL.

N. 05781/2011 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Ottava)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale 5781 del 2011, proposto da:

Garofano Angela, Garofano Stefania, rappresentate e difese dall'avv. Pietro Mauro Piccirillo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Loredana Avino, in Napoli, via F. Cilea, 39;

contro

Comune di Guardia Sanframondi, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Raffaele Del Vecchio, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Pasquale Del Vecchio, in Napoli, via N. Nisco, 11;

nei confronti di

Pigna Giovanna, rappresentata e difesa dall'avv. Oreste Di Giacomo, con domicilio eletto presso l’avv. Vincenzo Prisco (studio legale Soprano), in Napoli, via Toledo, 156;

per l'annullamento

- del permesso di costruire n. 13 del 28 giugno 2011;

- degli atti connessi e conseguenti, ivi compresi la nota n. 6956 del 27 settembre 2011 recante revoca della sospensione in autotutela del permesso di costruire n. 13/2011.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Guardia Sanframondi e di Pigna Giovanna;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 aprile 2013 il dott. Gianluca Di Vita e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

 

Con ricorso notificato il 3 novembre e depositato il 18 novembre 2011 le Sig.re Angela e Stefania Garofano impugnano, chiedendone l’annullamento, il permesso di costruire n. 13 rilasciato in data 28 giugno 2011 dal Comune di Guardia Sanframondi (BN) in favore della Sig.ra Giovanna Pigna - proprietaria di un immobile sito alla via Ortolago - per la realizzazione di una tettoia per il ricovero di autovettura e per la sistemazione esterna con recinzione del lotto di proprietà.

Rappresentano che, in seguito ad un esposto inoltrato al Comune, quest’ultimo ordinava dapprima la sospensione del titolo edilizio con provvedimento prot. n. 5774 del 5 agosto 2011 onde procedere al riesame degli atti progettuali e, successivamente, disponeva la revoca della predetta sospensione con atto recante prot. n. 6956 del 27 settembre 2011, autorizzando pertanto l’inizio dei lavori.

Avverso il citato permesso di costruire n. 13/2011 e la nota n. 6956/2011 insorgono le deducenti lamentando i profili di illegittimità di seguito rubricati: violazione ed erronea applicazione del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 e del vigente strumento urbanistico, violazione della L. 24 marzo 1989 n. 122 e della L. Reg. 28 novembre 2001 n. 19, violazione della L. 7 agosto 1990 n. 241, violazione del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, violazione dei principi generali in tema di atto e procedimento amministrativo, violazione degli artt. 42 e 97 della Costituzione, eccesso di potere, difetto di istruttoria, difetto di motivazione, contraddittorietà e sviamento, violazione delle Norme di Attuazione del Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico 2006 dell’Autorità di Bacino dei Fiumi Liri, Garigliano e Volturno.

Concludono con la richiesta di accoglimento del gravame e di annullamento dei provvedimenti impugnati.

Resiste in giudizio l’intimata amministrazione locale che controdeduce nel

merito.

Si è altresì costituita la controinteressata che eccepisce in limine l’inammissibilità del ricorso per mancata esplicitazione da parte delle ricorrenti dell’interesse concreto ed attuale all’annullamento del titolo edilizio e per difetto della “vicinitas” (in quanto le istanti non risulterebbero residenti nell’unità abitativa di loro proprietà). Nel merito, la Sig.ra Pigna chiede la reiezione del gravame.

Il T.A.R. ha respinto la domanda cautelare con ordinanza n. 1968 del 15 dicembre 2011 per difetto del periculum in mora.

Alla pubblica udienza del 24 aprile 2013 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

In via preliminare, è destituita di fondamento l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa della controinteressata.

Sul punto, non vi è ragione per discostarsi dal consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui l’interesse a ricorrere del terzo avverso il permesso di costruire trova piena giustificazione quando esiste una situazione soggettiva ed oggettiva di stabile collegamento con l’area coinvolta da una costruzione che, se illegittimamente assentita, è idonea ad arrecare un pregiudizio ai valori urbanistici della zona medesima; pertanto, nel caso in esame, la qualifica giuridica di proprietario di un bene immobile confinante deve di per sé ritenersi idonea a creare la legittimazione e l'interesse al ricorso, non occorrendo altresì la verifica della concreta lesione di un qualsiasi altro interesse di rilevanza giuridica, riferibile a norme di diritto privato o di diritto pubblico (Consiglio di Stato, Sez. IV, 31 maggio 2007 n. 2849; 5 gennaio 2011 n. 18).

Passando al merito, con il primo motivo di diritto parte ricorrente premette che la tettoia con funzione di parcheggio pertinenziale è stata assentita dal Comune ai sensi dell’art. 6, primo comma, della L. 19/2001 secondo cui “1. La realizzazione di parcheggi, da destinare a pertinenze di unità immobiliare e da realizzare nel sottosuolo del lotto su cui insistono gli edifici, se conformi agli strumenti urbanistici vigenti, è soggetta a semplice denuncia di inizio attività. 2. La realizzazione di parcheggi in aree libere, anche non di pertinenza del lotto dove insistono gli edifici, ovvero nel sottosuolo di fabbricati o al pianterreno di essi, è soggetta a permesso di costruire non oneroso, anche in deroga agli strumenti urbanistici vigenti”.

Tuttavia, proseguono le ricorrenti, tale disposizione non sarebbe applicabile al caso in esame, non ricorrendo alcuna delle condizioni ivi contemplate (parcheggi realizzati nel sottosuolo ovvero nei locali siti al piano terreno di fabbricati già esistenti) con la conseguenza che, nel caso in esame, non si poteva derogare allo strumento urbanistico generale.

La censura non merita condivisione.

Sotto un primo profilo, mette conto evidenziare che l’argomentazione si fonda sull’asserito contrasto del manufatto assentito con il P.R.G. che, tuttavia, non viene in alcun modo specificato e circostanziato, con la conseguenza che la deduzione si appalesa del tutto generica, inammissibile e comunque infondata. A tale riguardo, si consideri infatti che il vigente strumento urbanistico espressamente attribuisce ai titolari di porzioni immobiliari siti in zona “B” - residenziale di completamento – il diritto di eseguire gli interventi edilizi coerenti con la destinazione d’uso residenziale impressa all’area dallo strumento urbanistico comunale (cfr. art. 18 delle Norme di Attuazione al P.R.G.), tra i quali va certamente annoverata la realizzazione di una tettoia infissa al muro del fabbricato, di modesta entità e minimo impatto urbanistico.

Più in generale deve poi rammentarsi che sia la disciplina dettata a livello nazionale dall’art. 9 della L. 24 marzo 1989 n. 122 che quella vigente sul territorio campano per effetto della L. Reg. 28 novembre 2001 n. 19 sono improntate ad un particolare favore in funzione del decongestionamento delle aree urbane e, comunque, della razionalizzazione della viabilità e della sosta.

Ciò comporta che, alla stregua della prima delle norme evocate, “i proprietari di immobili possono realizzare nel sottosuolo degli stessi ovvero nei locali siti al piano terreno dei fabbricati parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti” (art. 9 L.122/1989); analogamente, la seconda disposizione prevede al secondo comma che “La realizzazione di parcheggi in aree libere, anche non di pertinenza del lotto dove insistono gli edifici, ovvero nel sottosuolo di fabbricati o al pianterreno di essi, è soggetta a permesso di costruire non oneroso, anche in deroga agli strumenti urbanistici vigenti” (art. 6 L. Reg. 19/2001).

Sulla scorta di tali previsioni si è osservato (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 14 gennaio 2011 n. 181, 7 maggio 2010 n. 3082) che, nella legislazione regionale che disciplina la realizzazione di parcheggi pertinenziali, quest'ultima non è soggetta ad oneri, senza distinzione tra oneri di costruzione ed oneri di urbanizzazione. L'esonero dal pagamento del contributo relativo agli oneri di urbanizzazione comprova, in maniera indiretta ma nondimeno inequivoca, che nella Regione Campania i parcheggi pertinenziali non sono considerati idonei ad aggravare il carico urbanistico, non dando vita ad una nuova costruzione, tanto da risultare compatibili anche con la legislazione rigoristica che, per le zone bianche, detta disposizioni volte appunto ad evitare la compromissione del territorio mediante la realizzazione di costruzioni che possano vanificare la futura programmazione urbanistica dell’area.

Con il secondo motivo di diritto, la ricorrente lamenta la violazione delle distanze legali tra costruzioni prescritte dall’art. 18 delle Norme di Attuazione del vigente P.R.G. e, altresì, la violazione dell’art. 9 D.M.

1444/1968 che, per gli edifici ricadenti in zona “B” residenziale di completamento, prescrive la distanza minima di mt 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.

La censura è priva di pregio.

E’ errato il presupposto logico – giuridico sul quale si fonda il costrutto argomentativo delle ricorrenti, secondo cui la realizzazione della tettoia in esame darebbe luogo ad una “nuova costruzione”, come tale assoggettata al rispetto delle prescrizioni sulle distanze minime.

In senso contrario, le caratteristiche del manufatto (tettoia con struttura portante in ferro e legno, bullonata al muro dell’abitazione, senza pilastri di sostegno ed interamente aperta su tre lati) e la sua destinazione al servizio dell’abitazione principale portano ad escludere che essa dia luogo ad una autonoma costruzione e a nuovo volume edilizio.

In proposito, deve infatti richiamarsi l’indirizzo espresso da questa Sezione (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 7 febbraio 2013 n. 789) secondo cui, in materia urbanistico – edilizia, il presupposto per l'esistenza di un volume edilizio è costituito dalla costruzione di almeno un piano di base coperto e due superfici verticali contigue, e tale presupposto non si riscontra nel caso di una tettoia aperta su tutti i lati.

Né la ricorrente può trarre utili elementi a sostegno della propria tesi difensiva dall’orientamento della Corte di Cassazione (Sez. VI, 2 ottobre 2012 n. 1676), secondo cui la realizzazione di una struttura con tettoia è da considerarsi come una costruzione ai fini della misurazione delle distanze legali tra edifici. In realtà, la ricorrente trascura di considerare che, nel precedente citato, si controverteva di un manufatto (struttura metallica con tettoia realizzata in violazione delle distanze legali) idoneo a determinare autonoma volumetria, circostanza che non ricorre nella fattispecie in esame nella quale, come si è visto, si è in presenza di una struttura completamente aperta su tre lati sprovvista di pilastri ed infissa al muro perimetrale del fabbricato.

Neppure può ritenersi che tale tettoia sia destinata ad estendere ed ampliare la consistenza dell’edificio al quale accede, tenuto conto della indiscutibile sussistenza di un rapporto di pertinenzialità del bene con l’abitazione della controinteressata. In argomento, si è difatti affermato che le tettoie aperte su tre lati ed addossate ad un edificio principale, se di dimensioni e caratteristiche costruttive non particolarmente impattanti, costituiscono pertinenze dell'edificio cui accedono (T.A.R. Lazio Latina, 3 marzo 2010 n. 205; T.A.R. Piemonte, 12 giugno 2002 n. 1205 e 21 dicembre 2002 n. 2155) pur richiedendo il previo rilascio del permesso di costruire qualora esse attuino una trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio e siano preordinate a soddisfare esigenze non precarie del costruttore.

Le considerazioni svolte consentono di superare anche la terza doglianza con la quale parte ricorrente censura la violazione dell’art. 17 delle Norme di Attuazione del Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico 2006 dell’Autorità di Bacino dei Fiumi Liri, Garigliano e Volturno: ciò in quanto, trattandosi di costruzione realizzata in area definita a “rischio idrogeologico medio” il relativo progetto edilizio doveva essere corredato dallo studio di compatibilità idrogeologica (SCI) che, nel caso in esame, sarebbe stato omesso.

Invero, deve escludersi per le ragioni illustrate che il progetto edilizio de quo possa qualificarsi come “nuova costruzione”, come tale assoggettata alle prescrizioni contenute nelle Norme di Attuazione del Piano Stralcio, tenuto anche conto della modesta entità ed incidenza urbanistica del manufatto, non infisso al suolo ed avvinto da nesso di pertinenzialità all’edificio principale.

Con il quarto motivo di diritto le ricorrenti censurano il difetto di motivazione relativamente al provvedimento prot. n. 6956/2011 con cui il Comune di Guardia Sanframondi revocava il pregresso ordine di sospensione prot. n. 5774/2011.

Può prescindersi dall’eccezione di inammissibilità sollevata in parte qua dalle parti resistenti (secondo cui trattasi di atto non autonomamente pregiudizievole) in ragione della manifesta infondatezza della censura.

Invero, l’argomentazione si infrange contro il granitico orientamento giurisprudenziale secondo cui non sussiste alcun obbligo per l'amministrazione di pronunciarsi motivatamente su istanze volte a provocare interventi autoritativi in autotutela, trattandosi di poteri discrezionali attivabili d'ufficio e non su istanza di parte, aventi valore di mera sollecitazione (ex multis, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 3 aprile 2012 n. 1558).

Infine, non coglie nel segno l’ultimo motivo di diritto con cui le ricorrenti contestano l’illegittimità dei provvedimenti impugnati per violazione dell’art. 2 L. Reg. 7 gennaio 1983 n. 9 (obbligo di deposito del progetto esecutivo presso l’Ufficio Provinciale del Genio Civile, da effettuare prima dell’inizio dei lavori) e per il mancato previo rilascio delle autorizzazioni occorrenti per i fabbricati da realizzare in zone sismiche.

Invero, dalla lettura dell’art. 94 D.P.R. 380/2001 (rubricato “Autorizzazione per l'inizio dei lavori”) si evince agevolmente che l’autorizzazione sismica è necessaria per l’inizio dei lavori e non costituisce viceversa un presupposto per il rilascio del permesso di costruire.

Tanto si ricava dall’esame della disposizione contenuta nel T.U. Edilizia, condotto secondo il criterio ermeneutico imposto dall’art. 12 delle preleggi al codice civile: vi si prevede infatti che “Fermo restando l'obbligo del titolo abilitativo all'intervento edilizio, nelle località sismiche, ad eccezione di quelle a bassa sismicità all'uopo indicate nei decreti di cui all'articolo 83, non si possono iniziare lavori senza preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della regione”.

In ogni caso, si abbia presente che, come documentato in atti, prima dell’inizio dei lavori la controinteressata ha conseguito l’autorizzazione n. 1742 del 28 dicembre 2011 ai sensi del citato art. 94 D.P.R. 380/2001 e dell’art. 2 L. Reg. 7 gennaio 1983 n. 9, con successivo rilascio del certificato di collaudo tecnico – amministrativo depositato presso l’Ufficio del Genio Civile di Benevento in data 14 giugno 2012 (cfr. documenti depositati il 1 marzo 2013).

Le svolte considerazioni conducono alla reiezione del ricorso, con le conseguenze di legge in ordine alla regolazione di spese ed onorari di giudizio, nella misura specificata in dispositivo.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Ottava), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in epigrafe.

Condanna Garofano Angela e Garofano Stefania, in solido tra loro, al pagamento delle spese ed onorari di giudizio che liquida in euro 1.500,00 (millecinquecento/00) in favore del Comune di Guardia Sanframondi.

Condanna altresì Garofano Angela e Garofano Stefania, in solido tra loro, al pagamento delle spese ed onorari di giudizio che liquida in euro 1.500,00 (millecinquecento/00) in favore di Pigna Giovanna.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 24 aprile 2013 con l'intervento dei magistrati:

Antonino Savo Amodio, Presidente

Gianluca Di Vita, Primo Referendario, Estensore

Olindo Di Popolo, Primo Referendario

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 09/05/2013

 

 

 

1 Legge 2 febbraio 1974, n. 64:

“Art. 3 – Opere disciplinate e gradi di sismicità

Tutte le costruzioni la cui sicurezza possa comunque interessare la pubblica incolumità, da realizzarsi in zone dichiarate sismiche ai sensi del secondo comma lettera a) del presente articolo, sono disciplinate, oltre che dalle norme di cui al precedente art. 1, da specifiche norme tecniche che verranno emanate con successivi decreti dal Ministro per i lavori pubblici, di concerto col Ministro per l'interno, sentito il consiglio superiore dei lavori pubblici, che si avvarrà anche della collaborazione del consiglio nazionale delle ricerche, entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge ed aggiornate con la medesima procedura ogni qualvolta occorra in relazione al progredire delle conoscenze dei fenomeni sismici.

Con decreti del Ministro per i lavori pubblici emanati di concerto con il Ministro per l'interno, sentiti il consiglio superiore dei lavori pubblici e le regioni interessate, sulla base di comprovate motivazioni tecniche, si provvede:

  • all'aggiornamento degli elenchi delle zone dichiarate sismiche agli effetti della presente legge e delle disposizioni precedentemente emanate;

  • ad attribuire alle zone sismiche valori differenziati del grado di sismicità da prendere a base per la determinazione delle azioni sismiche e di quant'altro specificato dalle norme tecniche; c) all'eventuale necessario aggiornamento successivo degli elenchi delle zone sismiche e dei valori attribuiti ai gradi di sismicità.

I decreti di cui alle lettere a) e b) del precedente comma saranno emanati entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge.

 

Art. 18 - Autorizzazioni per l'inizio dei lavori

Fermo restando l'obbligo della licenza di costruzione prevista dalla vigente legge urbanistica, nelle località sismiche, ad eccezione di quelle a bassa sismicità all'uopo indicate nei decreti di cui al secondo comma del precedente art. 3, non si possono iniziare lavori senza preventiva autorizzazione scritta dell'ufficio tecnico della regione o dell'ufficio del genio civile secondo le competenze vigenti.

Per i manufatti da realizzarsi da parte dell'azienda autonoma delle ferrovie dello Stato non è richiesta l'autorizzazione di cui al precedente comma.

L'autorizzazione viene comunicata, subito dopo il rilascio, al comune per i provvedimenti di sua competenza.

Avverso il provvedimento relativo alla domanda di autorizzazione è ammesso ricorso al presidente della giunta regionale o al provveditore regionale alle opere pubbliche, che decidono con provvedimento definitivo.

I lavori devono essere diretti da un ingegnere, architetto, geometra o perito edile iscritto nell'albo, nei limiti delle rispettive competenze.”.

 

2

 

 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380:

 

“Art. 83 (L) - Opere disciplinate e gradi di sismicità (legge 3 febbraio 1974, n. 64, art. 3; articoli 54, comma 1, lettera c), 93, comma 1, lettera g), e comma 4 del decreto legislativo n. 112 del 1998)

1. Tutte le costruzioni la cui sicurezza possa comunque interessare la pubblica incolumità, da realizzarsi in zone dichiarate sismiche ai sensi dei commi 2 e 3 del presente articolo, sono disciplinate, oltre che dalle disposizioni di cui all'articolo 52, da specifiche norme tecniche emanate, anche per i loro aggiornamenti, con decreti del Ministro per le infrastrutture ed i trasporti, di concerto con il Ministro per l'interno, sentiti il Consiglio superiore dei lavori pubblici, il Consiglio nazionale delle ricerche e la Conferenza unificata.

2. Con decreto del Ministro per le infrastrutture ed i trasporti, di concerto con il Ministro per l'interno, sentiti il Consiglio superiore dei lavori pubblici, il Consiglio nazionale delle ricerche e la Conferenza unificata, sono definiti i criteri generali per l'individuazione delle zone sismiche e dei relativi valori differenziati del grado di sismicità da prendere a base per la determinazione delle azioni sismiche e di quant'altro specificato dalle norme tecniche.

3. Le regioni, sentite le province e i comuni interessati, provvedono alla individuazione delle zone dichiarate sismiche agli effetti del presente capo, alla formazione e all'aggiornamento degli elenchi delle medesime zone e dei valori attribuiti ai gradi di sismicità, nel rispetto dei criteri generali di cui al comma 2.

 

Art. 94 (L) - Autorizzazione per l'inizio dei lavori (legge 3 febbraio 1974, n. 64, art. 18)

1. Fermo restando l'obbligo del titolo abilitativo all'intervento edilizio, nelle località sismiche, ad eccezione di quelle a bassa sismicità all'uopo indicate nei decreti di cui all'articolo 83, non si possono iniziare lavori senza preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della regione.

2. L'autorizzazione e' rilasciata entro sessanta giorni dalla richiesta e viene comunicata al comune, subito dopo il rilascio, per i provvedimenti di sua competenza.

3. Avverso il provvedimento relativo alla domanda di autorizzazione, o nei confronti del mancato rilascio entro il termine di cui al comma 2, e' ammesso ricorso al presidente della giunta regionale che decide con provvedimento definitivo.

4. I lavori devono essere diretti da un ingegnere, architetto, geometra o perito edile iscritto nell'albo, nei limiti delle rispettive competenze.

3 La natura di Testo Unico innovativo e non meramente riproduttivo di disposizioni previgenti è stata riconosciuta dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 1466/2010:

 

“(…) 7.1.2.2. Contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante deve ritenersi che il t.u. ed. non appartenga al genus dei testi unici compilativi meramente ricognitivi.

I testi unici compilativi, come noto, a differenza di quelli che innovando la fonte la attualizzano, costituiscono soltanto una fonte di cognizione (tanto che in caso di contrasto fra le disposizioni in essi contenute e quelle originarie sono queste ultime a prevalere). Nel caso di specie, già sul piano formale, deve negarsi la natura compilativa del t.u. ed. essendo stato esternato da un decreto legislativo (6 giugno 2001, n. 278 recante disposizioni legislative in materia edilizia – testo B –).

Questo dato, unitamente all’individuazione dell’art. 20, l. n. 57 del 1997 quale base normativa implicita della delega – che a sua volta affida al legislatore delegato gli incisivi poteri del riassetto normativo - è stato di recente valorizzato dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato per escludere profili di contrasto di una diversa disposizione del t.u. ed. (l’art. 12), con i parametri sanciti dagli artt. 117 e 76 Cost. e dichiarare manifestamente infondati i relativi dubbi di costituzionalità.

La sezione, non intendendo discostarsi dalle conclusioni raggiunte dall’Adunanza plenaria, si limita a rinviare ad esse a mente dell’art. 9, l. n. 205 del 2000.

7.1.2.3. Il collegio, sollecitato dall’ampiezza delle argomentazione difensive dell’appellante, rileva, per completezza, che a non diverse conclusioni si giungerebbe anche analizzando la norma delegante in un’ottica minimalista.

L’art. 7 cit., attribuisce al legislatore delegato il potere di effettuare il coordinamento formale delle disposizioni vigenti apportando le modifiche necessarie ad assicurare la coerenza logica e sistematica.

E’ assodato che il coordinamento formale implichi l’accorpamento coerente delle disposizioni vigenti in un unico testo, nel significato risultante dal c.d. diritto vivente, ossia cristallizzando l’interpretazione consolidata delle giurisdizioni superiori (cfr. Cons. St. ad. gen. 29 marzo 2001, n. 4/01, parere reso in sede di redazione del testo unico delle espropriazioni).

L’obbiettivo di garantire l’armonia logica, e soprattutto sistematica, deve ritenersi che attribuisca, coerentemente, al legislatore delegato il potere di innovare l’ordinamento; a tal fine, ove manchi un autentico diritto vivente, il delegato potrà ricucire le disposizioni vigenti in un trama unitaria, scegliendo, inesorabilmente, fra le diverse soluzioni possibili che si erano affacciate nel dibattito dottrinario e giurisprudenziale (cfr. Corte cost., 28 gennaio 2005, nn. 52 e 53, rese sul D.P.R. 30 maggio 2003, n. 115 fondato sulla medesima base normativa, ovvero l’art. 7, l. n. 50 cit). (…).

In tale contesto, giova sottolineare alcune considerazioni generali sul tipo di vaglio che deve essere compiuto dal giudice chiamato a delibare il vizio di eccesso di delega.

La Corte costituzionale sottolinea come la valutazione circa la sussistenza del vizio di eccesso di delega deve essere svolta tenendo conto anche delle finalità ispiratrici della delega, in ciò ritenendo significativi anche gli sviluppi normativi successivi all’emanazione delle disposizioni impugnate (Corte cost. 14 luglio 2006, n. 285).

In relazione alla riserva costituzionale della sfera regionale nelle materia di competenza concorrente, si esclude che l’uso in sé della delegazione leda i parametri individuati dall’art. 76 cit., tranne il caso in cui il legislatore delegato introduca disposizioni di dettaglio ovvero esorbiti dall’oggetto della delega, circostanza questa che non si verifica, sebbene in presenza di una delega <<minimale>>, allorquando si effettui la semplice ricognizione di principi fondamentali già esistenti nell’ordinamento (Corte cost. 28

gennaio 2005, n. 50; 28 luglio 2004, n. 280).(…)”.

 

4 Vedi l’O.P.C.M. n. 3274/2003.

5

 Almeno per le zone sismiche di “classe 3” che non possono icto oculi qualificarsi di bassa sismicità stante l’esistenza dell’inferiore “classe 4”.