Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 650, del 4 febbraio 2013
Urbanistica.Obblighi per lottizzazione edilizia già attuata
In relazione alle lottizzazioni e sopravvenute modifiche degli strumenti urbanistici generali, la giurisprudenza di questo consesso ha stabilito che la scadenza d'una convenzione di lottizzazione edilizia già attuata non fa venir meno gli obblighi da essa scaturenti, con riguardo al mantenimento anche per il futuro della sistemazione edilizia prevista per l'area lottizzata. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 00650/2013REG.PROV.COLL.
N. 09111/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9111 del 2011, proposto da:
Futura S.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. Saverio Profeta, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2;
contro
Comune di Bari, rappresentato e difeso dall'avv. Augusto Farnelli, con domicilio eletto presso Roberto Ciociola in Roma, via Bertoloni, 37;
per la riforma
della sentenza del CONSIGLIO DI STATO - SEZ. IV n. 02232/2011, resa tra le parti, concernente concessione edilizia – prg.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Bari;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 gennaio 2013 il Cons. Sergio De Felice e uditi per le parti gli avvocati F. Paoletti (su delega di Saverio Profeta) e Alberto Angeletti (su delega di Augusto Farnelli);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso per revocazione della sentenza di questa sezione n.2232 del 2011 la ricorrente fa presente che con sentenza del Tar Puglia, sezione di Bari era stato respinto un primo ricorso diretto avverso il diniego di concessione edilizia, motivato, tra l’altro, sul rilievo che il progetto edilizio ricadeva su un’area destinata a verde pubblico a tempo indeterminato, in base ad una convenzione di lottizzazione totalmente eseguita; era stato dichiarato inammissibile un secondo gravame, diretto avverso un atto meramente confermativo del precedente diniego.
Il provvedimento di diniego impugnato era affidato dal Comune di Bari alle motivazioni per cui:
-- la sopravvenuta variante generale di PRG - la quale ha classificato la zona in parte “a completamento” ed in parte a “terziario direzionale”, con indice di fabbricabilità di 5 mc/mq superiore ai precedenti 3 mc/mq - non avrebbe potuto incidere sulla convenzione di lottizzazione del 1967, ormai esaurita, che aveva definitivamente impresso all’area la destinazione a giardini e parcheggi, pertinenziali alla villa adiacente;
-- il vincolo conformativo ne avrebbe ormai connotata l’utilizzazione a giardini, a nulla rilevando poi che tale destinazione in origine fosse stata unilateralmente fissata a fini fiscali in base all’art. 15, lett. f), della legge 5 marzo 1963 n. 246, per cui, a tutto voler concedere, sarebbe stato possibile superare l’attuale tipizzazione del suolo, ostativa all’intervento edilizio controverso, solamente con un nuovo strumento attuativo.
Con l’appello deciso con sentenza impugnata per revocazione, la società interessata deduceva l’erroneità e l’ingiustizia della sentenza gravata in relazione agli artt. 39 e 58 delle NTA e riproponendo le doglianze già introdotte, e disattese, innanzi al TAR.
Con sentenza interlocutoria del 13/10/2010 n. 7474, debitamente adempiuta, la Sezione ordinava al Dirigente della Ripartizione Territorio e Qualità Edilizia del resistente Comune di Bari di depositare, tra l’altro, la documentazione tecnica, le planimetrie complessive, e la normativa specifica inerente alla lottizzazione del 1967; e altresì l’art. 39 delle NTA relative alla variante di PRG in esame.
La società appellante lamentava con l’appello l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui avrebbe erroneamente ritenuto, in base dell’art. 17 della L. n.1150/1942, la permanente efficacia degli strumenti attuativi, dei Piani particolareggiati, e dei Piani di lottizzazione, che invece non sarebbero operanti a fronte di una sopravvenuta disciplina urbanistica generale. Essendo ormai scaduti i vincoli unilateralmente assunti dal lottizzante a fini fiscali, le prescrizioni inerenti al PdL del 1967 non avrebbero affatto potuto sorreggere l’impugnato diniego di intervento diretto, richiesto in base alla sopravvenuta nuova variante generale del PRG.
Inoltre, come affermato anche dal Consiglio di Stato (sent. n.1743/2005), il decorso del decennio di validità del Piano di lottizzazione produrrebbe effetti sia sul piano pretensivo che oppositivo, per cui le nuove scelte avrebbero dovuto ritenersi prevalenti, quando, come nel caso, il PRG non recepisce il P.d.L. In base alla disciplina, ad opera della variante al PRG, degli altri interventi individuali previsti in Zona B, non sussisterebbe alcuna disomogeneità tale da implicare la necessità di una nuova lottizzazione per una volumetria che riguarda la residua proprietà della società appellante.
Con altri motivi di appello si sosteneva l’inidoneità, di un atto unilaterale di impegno a fini fiscali, a fondare un vincolo a giardino e parcheggio e l’inconferenza del precedente (CdS Sez. V, n.1509/2000) richiamato nel provvedimento di diniego impugnato; la PA avrebbe dovuto comunque rilevare la sostanziale inutilità di un ulteriore piano di lottizzazione, in quanto l’area è integralmente di proprietà della ricorrente, per cui non sarebbero prefigurabili rischi di intervento disomogeneo; si assumeva anche che, nell’istanza di permesso, l’interessata aveva richiesto un indice volumetrico pari alla differenza tra l’indice dell’originario PdL (inferiore) e quello del PRG (superiore).
Il giudice di appello con la su indicata sentenza rigettava l’impugnazione, osservando che in linea generale le previsioni degli strumenti attuativi, che specificano in dettaglio le modifiche del territorio consentite - una volta che siano realizzati gli interventi - determinano l'assetto definitivo della parte del territorio sul quale l’edificazione ha avuto luogo.
Il giudice di appello affermava quindi il principio di diritto secondo cui, a differenza delle norme di piano regolatore generale, che hanno carattere programmatorio, quelle dei piani di lottizzazione, una volta eseguiti, acquistano un carattere di stabilità e, rilevano strutturalmente a tempo tendenzialmente indeterminato, proprio al fine di regolare, in via definitiva e con efficacia erga omnes, l’assetto urbanistico ed edilizio della porzione di territorio interessata dall’intervento considerato.
Secondo la prospettazione del ricorso per revocazione, tale affermazione di insegnamenti giurisprudenziali, giusta in astratto, con riferimento alla durata degli effetti del piano di lottizzazione, è in concreto errata, perché, nella specie, la questione principale sarebbe quella delle sorti del piano di lottizzazione confliggente con sopraggiunte diverse e dettagliate previsioni di un nuovo piano regolatore; in tal senso, secondo il ricorso, la sentenza sarebbe caduta in errore di fatto revocatorio.
A tal fine il ricorso invoca l’art. 58 nta, che regola in concreto la fattispecie e che stabilisce che i piani di lottizzazione già vigenti rispetto al PRG sopravvenuto conservano efficacia solo limitatamente al decennio (comma 19) e comunque, se convenzionati prima del 2 dicembre 1996, non oltre dieci anni da questa data (comma 2); il thema decidendum quindi non erano le sorti del PDL nel periodo ultradecennale, ma le sorti dello strumento attuativo al sopravvenire di un nuovo strumento urbanistico generale che rechi previsioni contrastanti con esso.
Per la parte rescissoria, il ricorso sostiene, ribadendo quanto sopra affermato sul principio generale, che, mentre il PDL prevedeva la destinazione a giardino e parcheggi per i suoli di sua proprietà, il successivo piano regolatore ha destinato il suolo a zona B3 e zona terziaria direzionale. Il ricorrente osserva come non possa negarsi che, se il PdL produce effetti sino a nuovo PdL o sua variante, non può non venire meno quando entra in vigore nuovo piano sovraordinato.
Si è costituito il Comune di Bari, deducendo che l’area era destinata a verde secondo la lottizzazione convenzionata al fine di tutelare un parco e ciò anche a seguito dell’impegno unilaterale del proprietario dell’epoca di mantenere detta destinazione; la scadenza della convenzione di lottizzazione non determina la decadenza degli obblighi derivanti dalla convenzione stessa.
Alla udienza pubblica dell’8 gennaio 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Come già riferito, il giudice di appello con la su indicata sentenza rigettava l’appello osservando che “in linea generale le previsioni degli strumenti attuativi, che specificano in dettaglio le modifiche del territorio consentite -- una volta che siano realizzati gli interventi -- determinano l'assetto definitivo della parte del territorio sul quale l’edificazione ha avuto luogo.
Pertanto - a differenza di quelle del p.r.g. che hanno carattere programmatorio -- le norme dei Piani di lottizzazione, una volta eseguiti, acquistano un carattere di stabilità e, rilevano strutturalmente a tempo tendenzialmente indeterminato, proprio al fine di regolare, in via definitiva e con efficacia ‘erga omnes’, l'assetto urbanistico ed edilizio della porzione di territorio comunale interessata dall'intervento considerato”.
La situazione reale del comparto realizzato costituisce la “forma permanente del territorio” (per usare l’espressione di un urbanista statunitense), nel quale le aree verdi ed i parcheggi risultanti non sono né “lotti interclusi” né “zone bianche”, ma sono una componente ineliminabile dei servizi a supporto del comparto, ai quali non può applicarsi nessun indice di fabbricazione: né quello originariamente previsto del PdL (che presumibilmente è già esaurito); e neppure quello del nuovo PRG; se così non fosse, si finirebbe per saturare ogni centimetro quadrato di verde e di servizi.
Pertanto anche i principi, astrattamente condivisibili, in materia di scadenza del decennio delle lottizzazioni sono inconferenti, in quanto tale regola concerne gli strumenti attuativi non completamente realizzati .
Secondo il giudice di appello, quindi la vicenda deve essere inquadrata nella prospettiva per cui l'attuazione completata della convenzione di lottizzazione del 1967 aveva del tutto esaurito la fase della pianificazione.
Il vincolo di destinazione urbanistica “a verde” dell’area in questione, ed il conseguente divieto di edificazione sulla stessa, è sancito esplicitamente, e senza possibilità di equivoci, dalla clausola di cui al punto 4 della convenzione del 4/7/1967 con numero di repertorio n. 42659, per cui: "Le aree scoperte dovranno essere sistemate a giardino e a parcheggio come da progetto di lottizzazione oggetto della convenzione".
Tale disposizione della Convenzione aveva una valenza sia pianificatoria, sia negoziale, in quanto era diretta a garantire a tutti i proprietari degli immobili facenti parte dell’originaria lottizzazione che non sarebbe comunque stato successivamente modificato l’originario contesto urbano, architettonico e ambientale del progetto di lottizzazione.
Una volta realizzati gli edifici in un contesto compiutamente definito, in base all’unica disciplina della lottizzazione, l’area ha ormai complessivamente esaurito la propria destinazione edificatoria, per cui non possono ritenersi ammissibili interventi edificatori singoli.
Il giudice di appello ha al proposito, nel merito, richiamato l’orientamento del Consiglio di Stato (cfr. V Sez n. 1509/2000; n. 486/1990 e n. 860/1996), il quale proprio “…con riferimento alla variante di PRG del Comune di Bari adottata nel 1976 ha affermato che la scadenza della convenzione di una lottizzazione già attuata non fa venir meno gli obblighi nascenti dalla convenzione con riferimento al mantenimento anche per il futuro della sistemazione edilizia prevista per l'area lottizzata. Né la variante di PRG ha determinato la caducazione della lottizzazione, innovandola o sostituendola con le sue previsioni".
Venivano pertanto ritenuti infondati i motivi secondo cui le norme del nuovo PRG, che prevedevano indici di fabbricazione più favorevoli della zona, non comportando l’inefficacia dei piani attuativi preesistenti.
Alla luce dell’esame effettuato, in fatto e in diritto, dal giudice di appello sull’oggetto della controversia, il ricorso per revocazione è nella specie inammissibile.
Per costante giurisprudenza, l'errore di fatto, che può dar luogo alla revocazione, si sostanzia in una falsa percezione da parte del giudice della realtà risultante dagli atti di causa, consistente in una svista materiale che lo abbia indotto ad affermare l'esistenza di un fatto incontestatamente inesistente, oppure a considerare inesistente un fatto la cui verità risulti, al contrario, positivamente accertata; peraltro, in entrambi i casi ciò vale solo se il fatto (erroneo) sia stato un elemento decisivo della pronuncia revocanda e sempre che non attenga ad un punto controverso sul quale la sentenza abbia pronunciato, perché in tale caso sussisterebbe, semmai, un errore di diritto; inoltre l'errore deve apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche; pertanto non può consistere in un preteso, inesatto o incompleto apprezzamento di risultanze e documenti processuali, ovvero in un'anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, vertendosi, in questo caso, in un'ipotesi di errore di giudizio attinente all'attività valutativa del giudice, che come tale esula dall'ambito della revocazione, pena la trasformazione dello strumento revocatorio in un inammissibile terzo grado di giudizio (ex plurimis, Consiglio di Stato sez. V 26 marzo 2012 n. 1725).
Si può aggiungere, per rendere ancora più incontrovertibile la soluzione di inammissibilità qui individuata, il richiamo ai seguenti “arresti” di questo Consiglio di Stato
L'errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi dell'art. 81 n. 4, r.d. 17 agosto 1907 n. 642 e dell'art. 395 n. 4, c.p.c., deve rispondere a tre distinti requisiti, consistenti: a) nel derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l'organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo, cioè, ritenere esistente un fatto documentalmente escluso o inesistente un fatto documentalmente provato; b) nell'attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato; infine, c) nell’essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, nel senso che senza l’errore l’esito sarebbe stato diverso (Consiglio Stato sez. IV, 23 settembre 2008, n. 4607).
L' errore di fatto idoneo, ex art. 395 c.p.c., a costituire motivo di revocazione della sentenza, deve consistere nella affermazione o supposizione dell'esistenza o inesistenza di un fatto la cui verità risulti indiscutibilmente esclusa o accertata in base al tenore degli atti o documenti di causa, essere decisivo, non cadere su un punto controverso sul quale il giudice si è pronunciato e presentare il carattere dell'evidenza e dell'obiettività (Consiglio Stato sez. IV, 27 giugno 2007, n. 3750).
Nella specie, come si è visto riportando i passaggi della sentenza della sezione n. 2232 del 2011, la questione del rapporto tra l’efficacia dei piani di lottizzazione rispetto alla sopravvenienza di piani regolatori generali divergenti - su cui, secondo la revocazione, sarebbe caduto l’errore revocatorio - è stata pienamente affrontata nella sentenza oggetto del rimedio straordinario, sicché, da un lato, non sussiste alcun travisamento dei fatti e, dall’altro, il fatto asseritamente travisato costituisce proprio il punto decisivo e controverso su cui vi è stata espressa pronuncia e presa di posizione valutativa del giudice di appello.
Ora l’errore di fatto che consente di mettere in discussione il decisum del giudice con il rimedio straordinario della revocazione ex art. 395 n. 4, c.p.c. è solo quello che non coinvolge l'attività valutativa dell'organo decidente, come invece nella specie, ma tende ad eliminare l'ostacolo materiale frapposto fra la realtà del processo e la percezione che di questa il giudice abbia avuto, ostacolo promanante da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, sempre che il fatto oggetto dell'asserito errore, si ripete, non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza impugnata per revocazione abbia pronunciato, dovendosi escludere che il giudizio revocatorio, in quanto rimedio eccezionale, possa essere trasformato in un ulteriore grado di giudizio.
In particolare, l' errore di fatto revocatorio consiste in una falsa percezione della realtà processuale, ossia in una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile che abbia portato ad affermare o soltanto a supporre (purché tale supposizione non sia implicita, ma sia espressa e risulti dalla motivazione), l'esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti di causa ovvero l'inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti risulti invece positivamente accertato.
E qui questa svista non vi è stata.
Occorre, in ogni caso, che tale fatto non abbia costituito un punto controverso sul quale sia intervenuta la pronuncia del giudice – proprio come invece, lo si ribadisce, è avvenuto nella fattispecie in ordine al rapporto tra piani di lottizzazione, loro efficacia e resistenza al sopravvenire di piani regolatori generali divergenti - perché in tal caso sussisterebbe semmai un errore di giudizio, che l’azione di revocazione, se per assurdo dovesse ammettersi, finirebbe in sostanza con il censurare, traducendosi nella critica all'inesatto apprezzamento, in fatto e/o in diritto, delle risultanze processuali.
trattarsi nel caso, inoltre, certo, non si verifica il rilievo di un errore di fatto concretamente rilevabile con immediatezza ex actis, legato da un nesso di causalità di carattere logico-giuridico con la pronuncia asseritamente inficiata da tale vizio, nel senso che, eliminando quest'ultimo, cade il presupposto su cui si fonda la decisione (così, Consiglio di Stato sez. VI, 16 settembre 2011, n. 5162).
Proprio al contrario di quanto asserisce la società ricorrente, insomma, lungi dall’impingere su risultanze di fatto, il giudizio di appello qui contestato – lo si nota a chiusura e per completezza -
si è limitato ad affermare principi giurisprudenziali pacifici e reiterati riguardanti la questione di diritto ad esso sottoposta.
Il giudice di appello, espressamente soffermandosi sulla questione centrale della causa (ossia la questione riproposta, ma in senso contrario, con il rimedio straordinario della revocazione) ha affermato il principio di diritto secondo cui, a differenza delle norme di piano regolatore generale, che hanno carattere programmatorio, quelle dei piani di lottizzazione, una volta questi eseguiti, acquistano un carattere di stabilità e, rilevano strutturalmente a tempo tendenzialmente indeterminato, proprio al fine di regolare, in via definitiva e con efficacia erga omnes, l’assetto urbanistico ed edilizio della porzione di territorio interessata dall’intervento considerato.
Difatti, proprio in relazione alle lottizzazioni e sopravvenute modifiche degli strumenti urbanistici generali, la giurisprudenza di questo consesso ha stabilito che la scadenza d'una convenzione di lottizzazione edilizia già attuata non fa venir meno gli obblighi da essa scaturenti, con riguardo al mantenimento anche per il futuro della sistemazione edilizia prevista per l'area lottizzata (così tra tante, Consiglio Stato sez. V, 20 marzo 2000, n. 1509).
In tale vicenda, laddove, similmente all’appello definito con la sentenza impugnata per revocazione, si deduceva come erroneamente nel provvedimento impugnato si era sostenuto che la variante al P.R.G., approvata nel 1976, non aveva valore di atto sostitutivo o innovativo della convenzione di lottizzazione già interamente realizzata: il P.R.G. ha per sua natura valore innovativo della precedente normativa e quindi anche delle lottizzazioni convenzionate ed eseguite precedentemente alla sua approvazione. Questo era l’argomento del contendere, che qui in ammissibilmente si tentde a ripetere.
Senonché, l'area cui si riferisce la domanda di concessione edilizia respinta con il provvedimento impugnato ha concorso insieme ad altre a formare la volumetria della lottizzazione a suo tempo attuata, esprimendo tutta la suscettibilità edificatoria; ed in misura ben maggiore di quella consentita dallo strumento urbanistico in vigore nel 1991.
Si torna a rammentare che proprio con riferimento alla variante al P.R.G. del Comune di Bari adottata nel 1976, la Sezione ha avuto occasione di affermare (citate decisioni n.ri 486/1990 e 860/1996, ribadendolo nella sentenza impugnata con revocazione) che la scadenza della convenzione di una lottizzazione già attuata non fa venir meno gli obblighi nascenti dalla convenzione con riferimento al mantenimento anche per il futuro della sistemazione edilizia prevista per l'area lottizzata e interamente realizzata..
Non ha senso invocare, come fa il ricorrente, l’art. 58 NTA del PRG, cui non avrebbe fatto riferimento la sezione, in quanto, come il ricorso stesso osserva, la questione giuridica non è in sé la valenza ultradecennale dei piani di lottizzazione, ma la resistenza di essi al sopravvenire di nuovi strumenti urbanistici generali recanti previsioni contrastanti.
In definitiva, come detto, in più pronunce, compresa quella da ultimo impugnata con revocazione, la sezione ha stabilito che se le previsioni dello strumento attuativo convenzionato sono state integralmente attuate (e non già rimaste inattuate totalmente o parzialmente), esse non vengono certo meno. Il principio è fermo e non vi è alcun luogo ad inutili proposte revocatorie, processualmente e perfino sostanzialmente prive di ogni forza persuasiva.
Per tutto quanto sopra considerato, in forma volutamente e intensamente reiterata e chiarificatrice, il ricorso per revocazione deve essere dichiarato inammissibile.
La condanna alle spese della presente fase di giudizio segue il principio della soccombenza; le spese sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), dichiara l’inammissibilità del ricorso per revocazione. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese della presente fase di giudizio, liquidandole in complessivi euro tremila, di cui mille per spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 gennaio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere, Estensore
Fabio Taormina, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere
Fulvio Rocco, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/02/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)