Consiglio di Stato, Sez. V, n. 4386, del 27 agosto 2014
Urbanistica.Interventi di consolidamento e continuità tra vecchia e nuova costruzione

La normativa sul condono postula la permanenza dell'immobile da regolarizzare e non ammette, in pendenza del procedimento, la demolizione e l'impiego di materiali di costruzione diversi da quelli originari: la diversità del materiale costruttivo impiegato comporta la qualificazione dell'intervento come sostituzione edilizia, mancando la continuità tra vecchia e nuova costruzione, che caratterizza gli interventi di consolidamento, e la attuale riconoscibilità del manufatto originario oggetto dell'istanza di condono. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).

N. 04386/2014REG.PROV.COLL.

N. 02910/2003 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2910 del 2003, proposto dal Comune di Quattro Castella, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ermes Coffrini e Massimo Colarizi, con domicilio eletto presso lo studio del secondo, in Roma, viale Bruno Buozzi, n. 87;

contro

La signora Tarantola Antonietta, rappresentata e difesa dall'avvocato Guglielmo Saporito, con domicilio eletto presso lo studio del dott. Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, n. 2;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Emilia-Romagna - Sezione Staccata di Parma, n. 901/2002, resa tra le parti, di accoglimento del ricorso proposto per l’annullamento del provvedimento n. 58 del 5 ottobre 1999, del Sindaco del Comune di Quattro Castella, di diniego di concessione edilizia in sanatoria, richiesta ex art. 35 della L. n. 47 del 1985;



Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della signora Antonietta Tarantola;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 aprile 2014 il Cons. Antonio Amicuzzi e uditi per le parti l’avvocato Mozzillo, per delega dell’avvocato Colarizi, e l’avvocato Saporito;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:



FATTO e DIRITTO

1.- Con il ricorso di primo grado n. 499 del 1999, la signora Antonietta Tarantola ha impugnato presso il T.A.R. Emilia-Romagna, Sezione Staccata di Parma, il provvedimento del Sindaco del Comune di Quattro Castella n. 58 del 5 ottobre 1999, di reiezione della domanda di concessione edilizia in sanatoria ex art. 35 della l. n. 47 del 1985, presentata in data 28 marzo 1987 relativamente alla realizzazione di un manufatto di 32,24 mq. destinato a deposito attrezzature agricole.

2.- Il T.A.R. ha accolto il ricorso, annullando il provvedimento impugnato, rilevando che il Comune di cui trattasi aveva esaminato la domanda di condono edilizio prescindendo da quanto stabilito con precedenti sentenze, nonché che non vi era una specifica motivazione in ordine alle ragioni per le quali il manufatto sarebbe stato incompatibile con il vincolo paesaggistico riguardante la fascia di rispetto dei corsi d’acqua.

3.- Con il ricorso in appello in esame, il Comune di Quattro Castella ha chiesto l’annullamento o la riforma di detta sentenza deducendo i seguenti motivi:

a) Violazione ed erronea applicazione delle norme e principi in tema di ammissibilità dei ricorsi giurisdizionali, falso presupposto, travisamento, illogicità, difetto di motivazione su un punto essenziale ai fini della decisione.

Non solo il T.A.R. avrebbe travisato le ragioni del diniego di sanatoria, ma la stessa ricorrente avrebbe riservato la sua attenzione esclusivamente alla necessità di non tener conto del vincolo paesaggistico, per essere l’abuso anteriore alla sua imposizione, senza riferimento alla più articolata problematica affrontata dal provvedimento di diniego, non essendo stato fatto riferimento alla demolizione totale del manufatto oggetto di condono e alla procedibilità della relativa domanda dopo l’avvenuta demolizione, né essendo stato contestato il fondamento dell’addebito.

Non sarebbe stato tenuto conto del principio per il quale, allorché il provvedimento impugnato è fondato su più motivi ragioni giustificative, la ravvisata legittimità di una sola di esse comporta la inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, perché l’eventuale riconoscimento della fondatezza delle censure formulate contro di esso non esclude la esistenza della rilevata ragione giustificativa dell'atto.

Il T.A.R. avrebbe dunque dovuto respingere il ricorso per inammissibilità.

b) Violazione ed erronea applicazione delle norme e principi, in tema di corrispondenza tra richiesto e giudicato, vizio di extra ed ultra petita, travisamento, illogicità, falso presupposto.

Il ricorso di primo grado aveva proposto come unico motivo quello della non necessità della valutazione ambientale per i fabbricati costruiti prima della imposizione del relativo vincolo, ma il T.A.R. non si sarebbe occupato di tale problematica (peraltro risolta in senso contrario a quanto sostenuto dalla appellata dal Consiglio di Stato, con sentenza della Ad. Plen. n. 20 del 22 luglio 1999).

In sentenza è infatti affermato che il Comune aveva esaminato la domanda di condono prescindendo totalmente da quanto stabilito con la sentenza n. 434 del 1999 riguardo alla ubicazione e alla consistenza del manufatto e alla sua identità rispetto a quello oggetto della domanda di condono presentata nell’anno 1987.

Ma tale censura sarebbe stata esaminata d’ufficio dal primo giudice, non essendo essa contenuta nel ricorso di primo grado, che non avrebbe affatto introdotto la tematica del rispetto delle statuizioni contenute nelle precedenti sentenze del T.A.R..

Infatti nell’epigrafe del ricorso sarebbe stato solo fatto cenno alla “violazione del dictum delle sentenze TAR Parma nn. 434 e 435/99 rese inter partes”, senza indicazione e dimostrazione della violazione del giudicato.

Il T.A.R. avrebbe quindi integrato il ricorso di primo grado, con vizio di extra o ultrapetita, e avrebbe affrontato aspetti della vicenda sui quali la ricorrente non avrebbe mostrato di avere interesse, invece di prendere posizione sul motivo effettivamente dedotto.

Il ricorso avrebbe infatti prospettato solo la censura di non valutabilità del vincolo, a parte generici ed indimostrati richiami a violazioni di leggi e di sentenze del T.A.R., senza che sia stata quindi affrontata dalla ricorrente e dal giudice di primo grado la principale ragione posta a base del diniego.

All’addebito di aver demolito l’edificio per il quale era stato chiesto il condono, sarebbe stato infatti opposto solo che la appellata si era limitata a sostituire alcuni elementi strutturali esistenti, senza spiegare la diversa ubicazione del manufatto; nulla sarebbe stato poi obiettato all’addebito di aver realizzato una platea in calcestruzzo armato e di aver avviato la costruzione sopra di essa di un fabbricato in muratura nuovo.

Pur presupponendo la realizzazione di detta platea la completa demolizione del preesistente manufatto, la sentenza, in assenza di puntuale censura nel ricorso introduttivo del giudizio, ha affermato che il Comune avrebbe illegittimamente svolto il suo esame, prescindendo da quanto stabilito con la sentenza n. 434 del 1994, senza considerare che il verbale di sopralluogo del 21 aprile 1999 renderebbe palese che quanto indicato in sede di domanda di condono era stato nel tempo stravolto, con la realizzazione di un corpo di fabbrica nuovo e diverso e con impossibilità di condonare ciò che non esisteva più.

Con l’impugnata sentenza, invece di dare risposte al riguardo, è stata sostenuta la necessità di un onere di motivare sulla non compatibilità dell’opera con il vincolo, che non sarebbe stata nemmeno dedotta da controparte.

4.- Con memoria depositata l’8 luglio 2003, si è costituita in giudizio la signora Antonietta Tarantola, che ha dedotto l’infondatezza dell’appello, concludendo per la reiezione.

5.- Con memoria depositata il 19 marzo 2014 l’appellante Comune ha sostanzialmente ribadito le proprie tesi e le formulate richieste.

6.- Con memoria depositata l’8 aprile 2014, la parte appellata ha, in particolare, affermato che la consistenza del manufatto di cui trattasi era mutata solo marginalmente, come accertato da due sentenza coperte da giudicato, e che l’abuso era antecedente al vincolo introdotto dalla l. n. 431 del 1985.

7.- Alla pubblica udienza del 29 aprile 2014 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti, come da verbale di causa agli atti del giudizio.

8.- Osserva in punto di fatto la Sezione che - dopo che con sentenza n. 434 del 1999 il T.A.R. Emilia Romagna, Sezione staccata di Parma, aveva annullato l’ordinanza comunale n. 51 del 31 maggio 1990, di demolizione di un manufatto di proprietà della signora Tarantola (perché era stato accertato che al riguardo essa aveva presentato, in data 28 marzo 1987, istanza di concessione edilizia in sanatoria ex art. 31 della L. n. 47 del 1985) - il medesimo T.A.R., con la sentenza n. 435 del 1999, aveva annullato un diniego di sanatoria adottato dal Comune di Quattro Castella su domanda di concessione edilizia in sanatoria per un fabbricato destinato a deposito di attrezzi agricoli, poiché l’Amministrazione avrebbe dovuto prioritariamente esaminare la precedente domanda di condono edilizio presentata nell’anno 1987.

9.- Ritiene la Sezione di poter prescindere dal verificare la fondatezza o meno del motivo d’appello con il quale è stata dedotta l’assenza di una puntuale censura nei medesimi termini riportati nella impugnata sentenza nel ricorso introduttivo del giudizio - con il quale era stata, sia pure succintamente, dedotta la violazione del dictum delle sentenze citate n. 434 e 435 perché il provvedimento impugnato era errato nei presupposti“(rilevanza delle murature sostituite, come accertato nella sentenza 434/99)” -, dal momento che risultano fondati gli ulteriori, sostanziali, motivi di gravame.

In particolare, va accolta la censura di cui al primo motivo di gravame del Comune, con la quale è stata rilevata la mancata contestazione con il ricorso introduttivo del giudizio della più articolata problematica affrontata dal provvedimento di diniego (non essendo stato fatto riferimento alla demolizione totale del manufatto oggetto di condono e alla procedibilità della domanda di condono dopo l’avvenuta demolizione, né essendo stato contestato il fondamento dell’addebito), in violazione del principio per il quale, allorché il provvedimento impugnato è fondato su più ragioni tra di loro autonome, la effettiva sussistenza di una solo di esse comporta la inammissibilità del ricorso per difetto di interesse.

Pure fondata è la censura di cui al secondo motivo d’appello, con cui è stato affermato che il T.A.R. non ha tenuto conto della circostanza che il verbale di sopralluogo del 21 aprile 1999 rendeva palese che quanto indicato in sede di domanda di condono era stato nel tempo stravolto, poiché dopo la sua proposizione è stato realizzato un corpo di fabbrica nuovo e diverso, con impossibilità di condonare ciò che non esisteva più.

10.- Invero il T.A.R. ha dato atto che era stato dedotto dal Comune che i tecnici comunali avevano rilevato che il manufatto esistente – e preso in considerazione del provvedimento impugnato in primo grado - non coincideva “né sotto il profilo planimetrico né sotto quello strutturale alla costruzione per la quale era stato richiesto il condono”.

Osserva la Sezione che evidentemente, dopo aver realizzato gli abusi edilizi per i quali è stata presentata la domanda di sanatoria del 28 marzo 1987, n. 2343, l’appellata ha poi effettuato ulteriori lavori, accertati con il verbale di sopralluogo del 30 maggio 1990, prot. n. 2753.

Da tale sopralluogo , emerge che: a) era stata rilevata nel terreno di proprietà della signora Tarantola l’avvenuta demolizione di un edificio destinato a ricovero attrezzi agricoli, posto su terreno nudo; b) in loco era posizionata una “baracca deteriorata in lamiera, sul terreno, destinata a deposito attrezzi”; c) era stata creata una platea in calcestruzzo armato con il posizionamento di un vagone di legno destinato a deposito attrezzi; d) in aderenza erano in corso lavori di nuova costruzione di un fabbricato in muratura “a non chiara destinazione futura”, riguardo ai quali era stata emanata l’ordinanza di demolizione ed il diniego di sanatoria oggetto delle due sentenze sopra citate.

Ha in prosieguo osservato il primo giudice che - con la propria precedente sentenza n. 434 del 1999 - era stata annullata l’ordinanza comunale di demolizione del manufatto (n. 51 del 12 settembre 1990), a seguito dell’accertamento, mediante verifiche effettuate in loco dai tecnici della stessa Amministrazione Comunale resistente in data 19 gennaio 1998, in esecuzione di incombenti istruttori, che “1) - il manufatto di cui è causa è lo stesso per il quale la ricorrente, in data 28/3/1987, ha presentato al Comune istanza di concessione edilizia in sanatoria ex art. 31 della L. n. 47 del 1985. 2) Il manufatto di cui è causa, pur risultando delle stesse dimensioni di quello oggetto di istanza di condono edilizio ed essendo posizionato nello stesso sito, differisce da quello per i materiali in cui consiste, essendo state realizzate tre pareti in muratura al posto delle originarie pareti in lamiera. Da quanto sopra emerge sostanzialmente l’identità, salvo che nella consistenza dei materiali, tra manufatto oggetto di concessione edilizia in sanatoria nel 1987 e manufatto oggetto di ordinanza di demolizione…”.

Tanto premesso il T.A.R. ha ritenuto che il Comune – pur esaminando la domanda di condono edilizio presentata dalla ricorrente nel 1987, come imposto dal Tribunale stesso con la precedente sentenza n. 435 del 1999 – non avrebbe tenuto conto di quanto stabilito con la sentenza n. 434 del 1999 riguardo all’ubicazione, alla consistenza del manufatto nonché all’identità dello stesso rispetto a quello oggetto della domanda di condono presentata dalla ricorrente nel 1987.

11.- Ritiene la Sezione che il T.A.R. abbia erroneamente ritenuto che detta circostanza comportasse l’annullamento del provvedimento impugnato con il ricorso oggetto della sentenza appellata (cioè il diniego adottato con provvedimento n. 58 del 5 ottobre 1999 con riguardo alla domanda di sanatoria presentata nell’anno 1987).

11.1. Infatti, il contestato diniego si è legittimamente basato in primo luogo sull’osservazione che con la deliberazione n. 117 del 25 settembre 1990 il C.C. aveva preso atto che, a seguito di demolizione da parte della proprietaria del manufatto oggetto della domanda di condono presentata nell’anno 1987, era venuta meno la materia del contendere.

L’Amministrazione ha così correttamente rilevato come l’originaria istanza era divenuta sostanzialmente irrilevante: preso atto delle risultanze del verbale di sopralluogo n. 1826 del 27 aprile 1999 (da cui si rileva che, ad eccezione del locale WC, il restante corpo edilizio esistente sull’area di cui al mapp. 221 del f. 38 era stato oggetto di una trasformazione sostanziale sia sotto il profilo planimetrico, che strutturale rispetto alla costruzione per la quale era stato chiesto il condono, che era priva di murature laterizie), l’originaria istanza è diventata non più accoglibile e dunque improcedibile, a seguito del venir meno del suo oggetto.

Va al riguardo richiamato il principio per il quale l’istanza di condono va esaminata, qualora alla data di emanazione del provvedimento esista ancora l’immobile che ne è risultato oggetto.

Se invece l’immobile abusivo non è meramente integrato, ma è sostituito da un altro edificio, l’istanza di condono già proposta va dichiarata improcedibile per inesistenza dell’oggetto e l’Amministrazione deve emanare il provvedimento di demolizione del nuovo immobile, costruito abusivamente in luogo di quello già realizzato sine titulo.

La circostanza che la costruzione avesse subito una trasformazione sostanziale (ammessa anche dal T.A.R. che ha fatto riferimento all’accertata non identità della consistenza dei materiali con i quali erano stati realizzati i manufatti oggetto delle due domande di concessione edilizia in sanatoria), comporta dunque la conseguenza che il manufatto oggetto della domanda di concessione del 1987 era stato demolito e ricostruito con materiali diversi, costituendo così un manufatto nuovo rispetto al precedente.

Pertanto legittimamente il Comune di Quattro Castella, nell’esaminare domanda di condono presentata dalla signora Tarantola nell’anno 1987, aveva dichiarato l’improcedibilità della stessa perché relativa alla costruzione ormai demolita, anche se ricostruita in un secondo tempo con materiali diversi, non esistendo ormai più la precedente opera edilizia, a prescindere dalla coincidenza o meno sotto il profilo planimetrico, nonché strutturale, con la costruzione per la quale era stato chiesto il condono.

Invero, in pendenza di procedimento di condono di un manufatto, gli unici interventi edilizi consentiti su di esso sono quelli diretti a garantirne l'integrità e la conservazione; tali interventi, quindi, di regola non possono spingersi sino alla demolizione e ricostruzione (né totale né parziale), salvo che essi risultino in qualche modo indispensabili (previa, in tal caso, necessaria preventiva interlocuzione con l'Amministrazione al fine di consentire a quest'ultima di stabilire quali siano i caratteri e le esatte dimensioni del manufatto abusivo per verificarne la condonabilità ed accertare che la successiva ricostruzione sia effettivamente fedele al manufatto abusivo preesistente).

La normativa sul condono postula la permanenza dell'immobile da regolarizzare e non ammette, in pendenza del procedimento, la demolizione e l'impiego di materiali di costruzione diversi da quelli originari: la diversità del materiale costruttivo impiegato comporta la qualificazione dell'intervento come sostituzione edilizia, mancando la continuità tra vecchia e nuova costruzione, che caratterizza gli interventi di consolidamento, e la attuale riconoscibilità del manufatto originario oggetto dell'istanza di condono (Cass. pen., sez. III, 15 luglio 2005, n. 26162).

E’ quindi legittima l’archiviazione della domanda di condono relativa ad un primo fabbricato quando sia effettivamente venuta meno l’opera per cui si riferiva la richiesta (Consiglio di Stato, sez. IV, 24 dicembre 2008, n. 6550), soprattutto se la ricostruzione sia successiva alla data di sbarramento fissata all'1 ottobre 1983 dalla l. n. 47 del 1985.

11.2. Per di più, il provvedimento impugnato in primo grado si è basato anche su una ulteriore ragione giustificativa, costituita dall’incompatibilità del manufatto oggetto di condono con esigenze di tutela paesaggistica e rispetto dei corsi d’acqua.

Sotto tale aspetto, al di là delle questioni di ordine processuale emerse nel corso del giudizio, rileva la Sezione che del tutto legittimamente l’Amministrazione ha attribuito rilevanza al vincolo paesaggistico imposto sull’area, poiché – come ha chiarito l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio n. 20 del 1999 – il provvedimento di condono o di sanatoria di un immobile abusivo va emesso tenendo conto della situazione di fatto e di diritto esistente alla data della sua emanazione, sicché rileva anche il vincolo paesaggistico imposto dopo la data di commissione dell’abuso.

E’ pertanto irrilevante verificare se il medesimo vincolo sia stato imposto anteriormente o meno al periodo nel corso del quale sono stati commessi gli abusi presi in considerazione nel provvedimento impugnato in primo grado.

12.- In conclusione, per le ragioni in precedenza esposte, l’appello va accolto e per l’effetto va riformata la prima decisione, con la reiezione del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

13.- Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo, accoglie l’appello in esame n. 2910 del 2003 e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, respinge il ricorso originario n. 499 del 1999 proposto dinanzi al T.A.R..

Pone a carico dell’appellata signora Antonietta Tarantola le spese del doppio grado, liquidate a favore del Comune di Quattro Castella nella complessiva misura di € 5.000,00 (cinquemila/00), oltre ai dovuti accessori di legge, fermo restando l’obbligo dell’appellata di rimborsare al Comune appellante il contributo unificato effettivamente versato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 aprile 2014 con l'intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Carlo Saltelli, Consigliere

Antonio Amicuzzi, Consigliere, Estensore

Nicola Gaviano, Consigliere

Fabio Franconiero, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 27/08/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)