Cons.Stato, Sez. IV, n. 4307 del 30 luglio 2012
Urbanistica.Inammissibile sanatoria già rigettata.

E’ inammissibile la domanda di sanatoria presentata ex art. 13 della legge n. 47 del 1985 per essere stata rigettata, precedentemente, domanda di condono, ex art. 39 della legge n. 724 del 1994, avente identico contenuto e presupposti essenziali, quale, nella specie, la mancanza del necessario parere di compatibilità ambientale dell’intervento edilizio, sempre per gli stessi manufatti. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 04307/2012REG.PROV.COLL.

N. 00742/2005 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 742 del 2005, proposto da:

Salcri S.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. Alfredo Zaza D'Aulisio, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Giulio Lais, in Roma, via C. Monteverdi, n. 20;

contro

Comune di Gaeta, rappresentato e difeso dall'avv. Enzo Cardi, con domicilio eletto presso lo studio del predetto difensore, in Roma, viale Bruno Buozzi n.51;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Lazio - sede distaccata di Latina - n. 1032 del 3 dicembre 2003, resa tra le parti, concernente concessione edilizia in sanatoria;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive prodotte da entrambe le parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 aprile 2012 il Cons. Guido Romano e uditi per le parti gli avvocati Alfredo Zaza D'Aulisio e Marcello Cardi, su delega di Enzo Cardi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. - La Salcri S.r.l. (di seguito, per brevità : la Società) impugnava con due ricorsi innanzi al TAR del Lazio, sede distaccata di Latina, i seguenti provvedimenti del Comune di Gaeta:

- con il primo gravame (n. 683 del 20009, il provvedimento n. 43311 del 29 novembre 1999 di reiezione delle istanze di concessione edilizia in sanatoria proposte, ex art. 39 della legge n. 724 del 1994, con riguardo ad un complesso immobiliare costituito da quattro edifici realizzati in località “Monte Orlando” di detto Comune, nonché il provvedimento di acquisizione gratuita la patrimonio del Comune dei relativi manufatti ed area di sedime;

- con il secondo gravame (n. 1586 del 2000), l’ordinanza comunale n. 198 del 28 giugno 2000 di revoca del provvedimento di acquisizione citato e di ingiunzione della demolizione dei manufatti in questione, poi seguito da tre ulteriori ricorsi per motivi aggiunti con i quali sono stati impugnati anche l’atto di accertamento dell’inottemperanza (n. 4825 del 2000) all’indicata ingiunzione a demolire, la nota di notifica di detto accertamento (n. 32361 del 2000), la nota n. 35170 del 14 novembre 2000 che ha dichiarato inammissibile la sanatoria prodotta ex art. 13 della legge n. 47 del 1985 e le note n. 936 del 15 febbraio 2011 di nuovo accertamento dell’inottemperanza alla ingiunta demolizione, nonché di notificazione di detto accertamento (n. 11140 del 20 febbraio 2011).

2. - Con sentenza n. 1032 del 3 dicembre 2003 il Giudice territoriale adito, previa riunione per connessione dei due giudizi e previa declaratoria di improcedibilità dell’impugnazione della nota n. 32361 del 17 ottobre 2000, per sopravvenuta carenza di interesse alla sua decisione, in conseguenza del nuovo provvedimento n. 11140 del 20 febbraio 2001 dello stesso Comune, ha rigettato il gravame avverso l’ordinanza di demolizione n. 198 del 2000, nonché le impugnazioni concernenti i provvedimenti di acquisizione al patrimonio comunale dei manufatti abusivi e tutti gli altri atti contestati con i motivi aggiunti.

3. - Con l’appello in epigrafe la Società ha impugnato, come dalla stessa espressamente precisato a pag. 7 di detto appello, la sentenza in epigrafe nella (sola) parte in cui ha rigettato le impugnazioni specificamente proposte per l’annullamento dell’ordinanza di demolizione n. 198 del 28 giugno 2000, “…anziché rilevarne l’improcedibilità a seguito della sopravvenuta presentazione in data 25 settembre 2000 dell’istanza di sanatoria edilizia ex art. 13 della legge n. 48 del 1985…”, nonché per l’annullamento dei provvedimenti “…adottati dall’Amministrazione Civica successivamente alla presentazione da parte dell’appellante della predetta istanza di sanatoria…”.

Al riguardo, ha proposto i seguenti motivi di diritto:

i)- eccesso di potere e violazione di legge per illegittimità della disposta acquisizione e demolizione in difetto di una nuova ordinanza di demolizione a seguito dell’intervenuta presentazione e reiezione dell’istanza di sanatoria edilizia ex art. 13 della legge n. 47 del 1985;

ii)- violazione di legge ed eccesso di potere in relazione alla presunta inammissibilità dell’istanza di sanatoria ex art. 13 della legge n. 47 del 1985.

4. - Si è costituito in giudizio il Comune di Gaeta che con controricorso, dopo avere ricordato tutti i giudicati precedentemente formatisi in relazione alla vicenda sostanziale in esame, ha argomentato in ordine alla palese infondatezza dell’appello del quale ha chiesto la reiezione.

5. - Con successive memorie entrambe le parti hanno ulteriormente illustrato le rispettive tesi difensive.

6. - All’udienza pubblica del 24 aprile 2012 l’appello è stato assegnato in decisione.

7. - Preliminarmente deve il Collegio dare atto che, sulla scorta di espressa dichiarazione effettuata dalla Società nell’atto di appello (cfr. pag. 6 : “…con la sentenza epigrafata il TAR Lazio… (omissis) …ha (giustamente) dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse l’impugnazione proposta avverso la nota n. 32361 del 17/10/2000…”), si è formato il giudicato sulla parte di sentenza che ha dichiarato improcedibile l’impugnazione di primo grado attinente il provvedimento comunale che ha rilevato l’inottemperanza all’ordinanza di demolizione n. 198 del 2000.

Altrettanto preliminarmente il Collegio deve prendere atto che la stessa Società, in ragione di quanto da essa dichiarato a pag. 7 dell’appello circa l’effettivo perimetro delle critiche rivolte contro la decisione del primo Giudice, ha prestato (sostanziale) acquiescenza anche alla parte di sentenza che ha ritenuto essere infondate tutte le censure proposte con il ricorso n. 683 del 2000 e cioè, al netto della già citata declaratoria di improcedibilità dell’atto di acquisizione gratuita n. 313 del 1990, pure quelle rivolte contro il provvedimento comunale n. 43311 del 29 novembre 1999 di rigetto delle istanze di condono edilizio presentate, ex art. 39 della legge n. 724 del 1994, per i quattro manufatti abusivi in questione.

8. - Nel merito, l’appello è infondato.

8.1 - Prima di procedere allo scrutinio dei due motivi di impugnazione proposti dalla Società, ritiene il Collegio che sia opportuno riassumere brevemente, in punto di fatto, le vicende procedimentali e processuali cui sono connessi gli atti impugnati in primo grado.

Nel 1968 venivano assentite al dante causa della Società quattro licenze edilizie per l’edificazione di altrettanti villini residenziali in zona “Monte Orlando”, già vincolata sotto il profilo ambientale per effetto del D.M. 17 maggio 1956, emanato ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497.

In ragione di difformità nell’esecuzione delle opere, i lavori venivano sospesi e veniva interessata nuovamente la Soprintendenza competente alla tutela del predetto vincolo.

Nel 1968 il dante causa della Società presentava plurime istanze di condono ex art. 31 della legge n. 47 del 1985 e successivamente (1987) alienava detti manufatti alla Società.

Il successivo nulla osta a fini ambientali, rilasciato nel 1990 dalla Regione Lazio, veniva annullato con provvedimento ministeriale che veniva impugnato dalla Società innanzi al TAR Lazio che con sentenza n. 1705 del 1991 accoglieva il relativo ricorso.

Il Consiglio di Stato con decisione n. 1370 del 16 settembre 1994 riformava totalmente detta sentenza, respingendo conclusivamente il ricorso di primo grado.

La Società, in conseguenza dell’esito finale di detto giudizio, proponeva, allora, domande di condono ex art. 39 del 1994 e rinnovava la richiesta di nulla-osta alla Soprintendenza per i beni ambientali del Lazio che lo rilasciava con atto del 21 febbraio 1997.

Con sentenza n. 72 del 9 febbraio 1998 il TAR del Lazio, sede di Latina, annullava detto nulla-osta su ricorso del Comune di Gaeta per difetto di motivazione.

Successivamente a tale sentenza la citata Soprintendenza, previa allegazione della richiesta motivazione, reiterava il nulla-osta che veniva impugnato dal citato Comune con ricorso accolto nuovamente dal TAR Lazio, sede di Latina, con sentenza n. 530 del 7 luglio 1999, confermata in grado di appello dal Consiglio di Stato con decisione n. 6210 del 11 dicembre 2001.

Seguivano i contestati provvedimenti comunali di rigetto delle istanze di condono, prodotte dalla Società ex art. 39 della legge n. 724 del 1994, e di acquisizione dei manufatti abusivi in questione al patrimonio del Comune, oltre gli altri atti successivamente adottati dallo stesso Ente, tutti impugnati con i due ricorsi decisi con la sentenza gravata nella presente sede.

8.2 - Ciò precisato in punto di fatto, può ora darsi ingresso all’esame dell’appello.

8.2.1 - Preliminarmente osserva il Collegio che, in ragione dell’acquiescenza prestata dalla società alla parte di decisione del primo Giudice che ha rigettato tutte le doglianze del ricorso di primo grado concernenti il provvedimento comunale di reiezione delle istanze di condono edilizio presentate ex art. 39 della legge n. 724 del 1994, così come accertata nel capo di motivazione che precede n. 7, non possono non ritenersi inammissibili le critiche mosse al provvedimento di demolizione n. 198 del 28 giugno 2000 ed ai provvedimenti successivi alla presentazione dell’istanza di sanatoria ex art. 13 della legge n. 47 del 1985, nonché alle correlative decisioni assunte dal TAR, laddove esse si pongono in contrasto con l’accertata abusività dei quattro immobili abusivamente realizzati e la non sanabilità degli stessi, anche sulla base dei parametri individuati dalla citata legge di condono edilizio n. 724 del 1994.

8.2.2 - Peraltro, le stesse critiche ed ogni altra deduzione proposta al riguardo dalla Società con le memorie prodotte nel presente giudizio (in particolare con le memorie depositate il 23 marzo ed il 3 aprile 2012) sono, comunque, infondate nel merito per le ragioni che di seguito saranno indicate, in disparte l’inammissibilità di tutte quelle altre deduzioni pure formulate (in dette memorie) in sostanziale allargamento del perimetro della domanda giudiziale (come definito nel già citato capo di motivazione che precede n. 7), in particolare della prospettazione concernente l’asserita acquisizione postuma di parere paesaggistico favorevole alla sanatoria, quale sarebbe l’atto della Direzione Regionale dei beni culturali del Lazio del 29 marzo 2010.

A tal ultimo riguardo, il Collegio non può, infatti, non rilevare come la questione del contrasto dei manufatti abusivi in questione con il sussistente vincolo ambientale e della conseguente non sanabilità dei manufatti stessi non possa più ritenersi controvertibile, sia per le ragioni preclusive già più innanzi indicate, sia perché la loro insanabilità è ormai coperta dai giudicati formatisi a seguito di plurime sentenze di questo Consiglio di Stato emanate, sia in sede di appello, quali quelle già indicate nel capo di motivazione n. 8.1) che precede, sia in sede di revocazione, su ricorso sempre della Società (cfr. sentenze n. 569 del 1996 e n. 234 del 2008).

Inoltre, il Collegio non può non condividere il rilievo che il citato atto del 29 marzo 2010 della Direzione Regionale dei Beni Culturali del Lazio non ha, a ben vedere, natura provvedi mentale (peraltro, non è stato mai inviato al Comune) perché avente un contenuto meramente riassuntivo dei pareri espressi in passato sulla compatibilità ambientale dei manufatti, tutti annullati con sentenze passate in cosa giudicata, e volto soltanto a partecipare al suo (unico) destinatario (la Società) una sorta di giustificazione del comportamento tenuto riguardo negli anni.

Identico rilievo negativo va, poi, formulato anche con riguardo alla documentazione invocata dalla Società nelle indicate memorie difensive sol che si tengano presenti i documenti e gli atti già valutati in sede revocatoria dalle sentenze di questa Sezione più innanzi citate e le giuste contestazioni al riguardo sollevate dall’appellato Comune.

Infine, giova precisare che, in ogni caso, alcun rilievo sostanziale nell’economia del presente giudizio può avere un parere, quale quello del 29 marzo 2010 della Direzione Regionale dei Beni Culturali, in virtù del quale sarebbe intervenuto a dire della Società un postumo nulla-osta alla sanatoria, atteso che il relativo atto ha un contenuto evidentemente virtuale, tenuto conto che i manufatti abusivi in questione, in esecuzione dei giudicati sopracitati, sono stati demoliti in data antecedente di molti anni -cioè il 24 aprile 2001- come dichiarato dal Comune appellato e non è stato smentito dalla Società.

8.2.3 - Ciò precisato, rileva il Collegio che con il primo motivo di impugnazione la Società premette che, in difetto di una nuova ordinanza di demolizione, resa necessaria dall’intervenuta presentazione di istanza di sanatoria ex art. 13 della legge n. 47 del 1985, che desse alla Società stessa “…la facoltà di demolire volontariamente, con ciò evitando l’effetto acquisitivo e la demolizione coatta…”, permarrebbe il proprio interesse alla decisione favorevole del ricorso di prime cure in quanto dall’annullamento degli atti impugnati deriverebbe : “…a)- l’obbligo del Comune di restituire le aree di sedime illegittimamente acquisite; b)- il diritto della ricorrente a non corrispondere le spese di demolizione coattiva e di avanzare pretese risarcitorie, ciò anche a mente del recente d.l. 30 settembre 2003, n. 269; c)- et cetera…”.

Sostiene, quindi, che sarebbe evidente, sotto un primo profilo, che, in carenza di un nuovo provvedimento ingiuntivo della (volontaria) demolizione, successivo all’istanza di sanatoria edilizia ex art. 13 della legge n. 47 del 1985, il Comune di Gaeta “…non poteva giammai procedere ad alcuna acquisizione…” ; sotto un secondo profilo, che neppure la predicata “inammissibilità” della predetta istanza di sanatoria sarebbe utile a sostenere la decisione del primo Giudice in quanto, comunque, non potrebbe far considerare la relativa istanza come tamquam non esset, non discendendo detta inammissibilità da alcuna norma di legge e, dunque, equivalendo essa “…in tutto e per tutto ad un diniego espresso…” in relazione “..ad una facoltà espressamente riconosciutale dall’ordinamento…”; sotto un terzo profilo, che sarebbe del tutto inidonea a sostenere la legittimità del comportamento tenuto nella specie dal Comune il fatto che nel provvedimento di acquisizione del 2000 sia stato precisato che “…restano fermi gli effetti ed i termini dell’ordinanza di demolizione n. 198 del 28 giugno 2000…”, tenuto conto che, o l’ordinanza aveva perduto efficacia a seguito dell’istanza di sanatoria ex art. 13 della legge n. 47 del 1985, ovvero la determinazione contestata si pone in contrasto con la pacifica giurisprudenza sul punto.

Tutte dette critiche non sono fondate poiché ben può essere condivisa la tesi comunale che è inammissibile la domanda di sanatoria presentata ex art. 13 della legge n. 47 del 1985 per essere stata rigettata , precedentemente, domanda di condono, ex art. 39 della legge n. 724 del 1994, avente identico contenuto e presupposti (essenziali) sempre per gli stessi manufatti.

Ed invero, non può il Collegio non rilevare come l’insanabilità dei manufatti in questione sia questione già decisa e come, conseguentemente, sia preclusa sul punto ogni nuova statuizione, in disparte ogni valutazione, per un verso, circa la ripetibilità o meno di domande aventi la stessa finalità e carenti dello stesso presupposto essenziale, allorquando già la prima di esse sia stata motivatamente rigettata proprio per la carenza di detto presupposto essenziale, quale, nella specie, la mancanza del necessario parere di compatibilità ambientale dell’intervento edilizio e, per altro verso, circa la natura di atto sostanzialmente confermativo del primo diniego, essendo già stato legittimamente denegato, per la stessa ragione, il condono ex lege n. 724 del 1994.

Inoltre, parte appellante erra nel ritenere:

- da un lato,che non sia possibile una declaratoria di inammissibilità della sanatoria allorquando, come nella specie, difetti comunque il presupposto necessario in entrambe le ipotesi (cd. sanatoria ordinaria ex art. 13 citato, ovvero condono) e cioè l’assenso dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo, nella specie ambientale;

- dall’altro, a non riconoscere l’effetto costitutivo proprio del giudicato, nel caso di specie ancor più incidente proprio perché è insussistente il presupposto essenziale richiesto, di conformità delle opere edilizie abusive al vincolo ambientale invece esistente,

- dall’altro, ancora, l’inammissibilità in radice di ogni forma di sanatoria, non essendo quest’ultima legittimamente invocabile, alla luce delle norme di tutela del vincolo ambientale (DM 17 maggio 1956, emanato ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497), stante che sono consentiti esclusivamente il recupero conservativo degli edifici già esistenti, nonché l’ordinaria e straordinaria manutenzione degli stessi, nel necessario presupposto che gli immobili da recuperare e/o manutenere siano stati ovviamente edificati in conformità alle specifiche previsioni degli strumenti urbanistici e delle leggi vigenti in materia, ipotesi che, nella specie, non sono sussistenti trattandosi d nuove edificazioni abusive.

Consegue alle considerazioni esposte che non v’era alcuna necessità di emettere un nuovo provvedimento ingiuntivo della demolizione dei manufatti abusivi in questione poiché, diversamente da quanto ritenuto dall’appellante, il Comune poteva ognora procedere di ufficio sulla base dei precedenti provvedimenti adottati, stante la definitività dell’accertamento di insanabilità ambientale dei manufatti, e la Società ben poteva, qualora lo avesse effettivamente voluto, procedere allo spontaneo abbattimento dei manufatti abusivi, senza che vi fosse bisogno di un nuovo provvedimentio ingiuntivo, incombendole soltanto l’obbligo di preavvertire il Comune della propria intenzione, onde evitare inutili aggravi procedimentali ed oneri finanziari al Comune stesso, stante il suo iniziale inadempimento nei termini allo scopo concessi.

8.2.4 - Infine, non può essere condiviso neppure il secondo motivo di appello tenuto conto che, a sostegno della legittimità del provvedimento di acquisizione di cui alla nota comunale n. 936 del 15 febbraio 2001, ben possono militare le ragioni già indicate nel capo di motivazione che precede, sia circa la permanente validità degli atti comunali adottati precedentemente alla presentazione della domanda ex art. 13 della legge n. 47 del 1985, stante l’inammissibilità di quest’ultima, sia circa la condizione di insuperabile insanabilità dei manufatti in questione, siccome coperta la relativa questione da precedenti giudicati già formatisi sul punto specifico, con conseguente possibilità di ritenere pure meramente confermativa la declaratoria resa con il predetto atto di acquisizione.

Ciò a maggior ragione dopo che questa Sezione, in altro giudizio sempre intentato dalla Società per lo stessa sostanziale vicenda, con sentenza n. 1757 del 26 marzo 2012 ha respinto l’appello della stessa Società volto alla riforma integrale della sentenza del TAR Lazio n. 282 del 2011 che aveva rigettato il gravame presentato contro il silenzio serbato dal Comune sull’istanza di condono presentata nel 1986 dal dante causa dell’attuale appellante ex art. 31 della legge n. 47 del 1985.

8.3 - In conclusione, sono infondate tutte le deduzioni svolte con l’esaminato appello e con le successive memorie prodotte per cui l’appello non può non essere rigettato

9. - Quanto alle spese del presente grado di giudizio, infine, ritiene il Collegio che l’onere delle stesse debba essere posto, in applicazione dell’art. 26 del C.P.A., a carico della soccombente Società, nella misura indicata in dispositivo.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello n. 742 del 2005, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la Salcri S.r.l., in persona del suo legale rappresentante in carica, al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida, in favore del Comune di Gaeta, in euro 4.000,00 (euro quattromila/00), oltre competenze tutte di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 aprile 2012 con l'intervento dei magistrati:

Giorgio Giaccardi, Presidente

Raffaele Greco, Consigliere

Guido Romano, Consigliere, Estensore

Andrea Migliozzi, Consigliere

Umberto Realfonzo, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 30/07/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)