Consiglio di Stato Sez. VI  n. 6021 del 23 agosto 2021
Urbanistica.Sequestro e demolizione

Il sequestro dell’opera edilizia abusiva comporta non l’impossibilità di eseguirne la demolizione, ma l’onere, per il soggetto che vi è tenuto, di chiedere all’Autorità Giudiziaria che lo ha disposto l’autorizzazione a procedervi.

Pubblicato il 23/08/2021

N. 06021/2021REG.PROV.COLL.

N. 01498/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1498 del 2015, proposto dal signor Antonio Apuzzo, rappresentato e difeso dall'avvocato Ennio Esposito, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Paola Tortora in Roma, via Silvestro II, n. 21;

contro

il Comune di Vico Equense, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Maurizio Pasetto, domiciliato presso la Segreteria della Sezione in Roma, piazza Capo di Ferro, n. 13;

per la riforma, previa sospensione

della sentenza TAR per la Campania, sede di Napoli, sez. VI, 28 luglio 2014, n. 4350, che ha respinto il ricorso n. 6422/2007, proposto per l’annullamento del provvedimento 18 luglio 2007, n. 20001, notificato il giorno 20 luglio 2007, con il quale il Responsabile del Servizio urbanistica del Comune di Vico Equense ha disposto la conclusione del procedimento di acquisizione al patrimonio comunale delle opere abusive eseguite in via Fontanette 7 sulla proprietà di Antonio Apuzzo e costituite da un manufatto di due piani in lapilcemento con muratura di tamponamento, delle dimensioni complessive di 10 x 6,90 metri in pianta e 2,90 metri circa a piano;

e di tutti gli atti preordinati, presupposti, collegati, connessi, coordinati e conseguenti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Vico Equense;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza del giorno 14 luglio 2021 il Cons. Francesco Gambato Spisani e dato atto che nessuno per le parti è presente e che l’udienza si svolge ai sensi dell’art. 4, comma 1, del decreto legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, e dell’art. 25 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto dalla circolare del Segretario generale della Giustizia Amministrativa 13 marzo 2020, n. 6305.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il personale tecnico del Comune di Vico Equense, attraverso una serie di sopralluoghi ha accertato che sul terreno di proprietà dell’appellante, in via Fontanelle 7, erano state eseguite opere edilizie senza alcun titolo che le legittimasse. Risulta in particolare, dai sopralluoghi 14 aprile e 1° giugno 2006, che le opere consistessero in un manufatto di due piani, delle dimensioni complessive di 10 x 6,90 metri in pianta e 2,90 metri circa a piano, con struttura di cemento e muratura di tompagno, in quel momento privo di aperture. Nel sopralluogo 12 luglio 2006, il manufatto risultava poi completato e aveva assunto l’aspetto di una villetta a due piani, con porte e finestre dotate di infissi, interni rifiniti con pavimento e intonaci e servizi igienici (doc. ti 3 e 6 in primo grado del Comune, verbali di accesso).

2. In conseguenza di ciò, il Comune ha emesso l’ordinanza di demolizione 8 giugno 2006, n. 192, a carico dell’appellante come proprietario (doc. 4 in primo grado dell’appellante); questi non vi ha ottemperato e la ha impugnata con il ricorso n. 6135/2005 R.G. TAR per la Campania, sede di Napoli. Il ricorso in questione è stato respinto con la sentenza di quel Giudice sez. II, 28 dicembre 2006, n. 10746, passata in giudicato, dato che l’appello n. 3152/2007 R.G. di questo Consiglio è stato a sua volta respinto con la sentenza sez. IV, 28 settembre 2017, n. 4533.

3. Con il provvedimento 18 luglio 2007, n. 20001, di cui in epigrafe, parallelamente, il Comune ha disposto la conclusione del procedimento volto all’acquisizione al patrimonio comunale delle opere abusive, identificate con rinvio all’ordinanza di demolizione e all’accertamento tecnico 3 giugno 2005 di descrizione dell’abuso (doc. 1 in primo grado del ricorrente, ordinanza impugnata).

A sua volta, l’accertamento di data 3 giugno 2005 è la relazione che dà conto del sopralluogo del 1° giugno 2005 e appunto descrive le opere riscontrate (doc. 3 in primo grado del Comune, cit.).

4. Con la sentenza indicata in epigrafe, il TAR ha respinto il ricorso proposto dal proprietario contro quest’ultimo provvedimento di acquisizione.

5. Contro questa sentenza, il ricorrente in primo grado ha proposto impugnazione, con appello che contiene quattro motivi, di riproposizione di quelli dedotti in primo grado e di critica alla sentenza impugnata per non averli accolti, così come segue:

- con il primo di essi, deduce violazione degli artt. 27 e 31 del T.U. 6 giugno 2001, n. 380, e sostiene che la violazione contestata non sarebbe sanzionabile con l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale. A suo avviso, infatti, il Comune, trattandosi di intervento su area vincolata ai sensi del d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, avrebbe dovuto sanzionarlo ai sensi dell’art. 27 citato, che appunto non prevede la sanzione ablatoria;

- con il secondo motivo, deduce la violazione dell’art. 31 del T.U. 380/2001 citato e sostiene che il bene di cui è stata disposta l’acquisizione non sarebbe stato esattamente identificato. Si sostiene infatti, sulla base di una relazione tecnica depositata in primo grado, che del bene stesso sarebbe incerta l’identificazione catastale. In particolare, l’ordinanza di demolizione si riferirebbe a beni realizzati su una particella 534, mentre il provvedimento impugnato si riferirebbe alla diversa particella 846, e nessuna di esse, in realtà, sarebbe quella realmente edificata. L’appellante sostiene poi che non si otterrebbero elementi identificativi del bene nemmeno da altri atti richiamati, in particolare dall’accertamento di inottemperanza 21 dicembre 2005 e dall’accertamento 20 luglio 2006, descrittivo del sopralluogo 12 luglio 2006 di cui si è detto;

- con il terzo motivo, deduce l’ulteriore violazione dell’art. 31 T.U. 380/2001 e sostiene che la sua inottemperanza all’ordine di demolizione sarebbe incolpevole, dato che contro l’ordinanza di demolizione egli ha proposto ricorso e che il bene comunque era sotto sequestro;

- con il quarto motivo, deduce infine la violazione dell’art. 7 della l. 7 agosto 1990, n. 241, per non essere mai stata coinvolta nel procedimento la propria moglie, che del bene sarebbe comproprietaria.

6. Il Comune ha resistito, con memoria 17 aprile 2015, ed ha chiesto che l’appello sia respinto, per inammissibilità del ricorso di primo grado, perché a suo avviso diretto contro un provvedimento soltanto dichiarativo di un effetto di legge, e comunque per sua infondatezza nel merito.

7. Con l’ordinanza 22 aprile 2016, n.1449, la Sezione ha dato atto della carenza di interesse alla decisione della domanda cautelare, per cui il ricorrente appellante aveva depositato un’irrituale domanda di cancellazione dal ruolo.

8. Con memoria 9 giugno 2021, l’appellante ha ribadito le sue asserite ragioni; in particolare ha sostenuto che l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado di cui si è detto sarebbe nuova, e quindi non ammissibile in questa sede.

9. All’udienza del 14 luglio 2021, la Sezione ha quindi trattenuto il ricorso in decisione.

10. In via preliminare, va respinta l’eccezione preliminare di inammissibilità dedotta dal Comune.

10.1 Essa è astrattamente ammissibile, perché come da pacifica giurisprudenza, che come tale non richiede puntuali citazioni, l’inammissibilità del ricorso, sulla quale come nella specie, non si sia formato un giudicato a seguito della sentenza di primo grado, è rilevabile d’ufficio anche in grado di appello. Nulla impedisce quindi che l’esercizio del relativo potere sia sollecitato dalla parte che vi abbia interesse.

10.2 L’eccezione però in questo caso non è fondata, perché un provvedimento come quello impugnato, di acquisizione gratuita al patrimonio comunale, anche se dichiarativo di un effetto di legge, rimane impugnabile per vizi propri, quali sono in astratto quelli dedotti dall’appellante.

Questi infatti contesta, in sintesi estrema, in primo luogo che del provvedimento sussistano effettivamente i presupposti, e poi che i beni cui esso si riferisce siano stati individuati in modo preciso, e questi vizi, se sussistenti, sarebbero appunto propri del provvedimento impugnato.

11. Ciò posto, l’appello nel merito è infondato e va respinto, per le ragioni di seguito esposte.

12. È infondato il primo motivo di appello, centrato sulla dedotta inapplicabilità al caso di specie dell’acquisizione gratuita, che si basa su un’errata lettura degli artt. 27 e 31 del T.U. 380/2001.

12.1 Il comma 2 dell’art. 27 in questione prevede infatti, in via generale, che siano soggette alla demolizione con ripristino dello stato dei luoghi tutte le opere abusive eseguite in zona vincolata, ma ovviamente non esclude che siano applicabili anche le ulteriori sanzioni previste per la specifica tipologia di abuso commesso. Pertanto, ove l’abuso, come nel caso presente, sia stato realizzato in zona vincolata e consista in concreto nella realizzazione senza permesso di costruire di un’opera che lo richiederebbe, alla sanzione della demolizione si cumula la sanzione ulteriore dell’acquisizione gratuita, specificamente prevista dal successivo art. 31.

12.2 Se così non fosse, si osserva, si giungerebbe al paradossale risultato per cui una costruzione realizzata senza permesso di costruire in una zona non vincolata, e quindi un illecito di minor disvalore, sarebbe soggetto ad un trattamento sanzionatorio più severo rispetto all’identico abuso commesso in zona vincolata, ovvero rispetto ad una lesione di portata maggiore al territorio, il che all’evidenza sarebbe insostenibile.

13. È a sua volta infondato il secondo motivo di appello, centrato sulla lamentata non identificazione del bene acquisito al patrimonio comunale.

Sul punto, va premesso che per disporre questo effetto l’art. 31, comma 3, del T.U. non richiede un’identificazione con modalità tassative: se ne deve quindi concludere che è sufficiente che il bene sia individuato in modo chiaro e non equivoco, in modo che non vi sia possibilità di sanzionare terzi incolpevoli o lo stesso destinatario dell’atto con riferimento ad un bene diverso.

Ciò posto, anche se l’appellante sostiene il contrario, la relazione istruttoria 3 giugno 2005 consente di individuare senza equivoci il bene di interesse: non consta che siano mai sorti dubbi in proposito, e in particolare che vi sia stato anche solo il rischio di confusione con altri beni di proprietà di terzi estranei all’abuso o dello stesso destinatario dell’atto.

14. Va respinto anche il terzo motivo di appello, secondo il quale, in sintesi, l’ordinanza di demolizione sarebbe stata ineseguibile.

In primo luogo, la circostanza che essa sia stata a suo tempo impugnata non ha fatto venir meno il dovere di eseguirla, per la perduranza della sua efficacia.

In secondo luogo, l’eventuale sequestro dell’opera abusiva comporta non l’impossibilità di eseguirne la demolizione, ma l’onere – nella specie non rispettato- per il soggetto che vi è tenuto di chiedere all’Autorità giudiziaria che lo ha disposto l’autorizzazione a procedervi: così la costante giurisprudenza di questo Consiglio e per tutte le sentenze sez. VI, 7 luglio 2020, n. 4354, e sez. IV, 6 marzo 2012, n. 1260.

15. Infine, va respinto anche l’ultimo motivo, centrato sull’asserita mancanza dell’avviso di inizio del procedimento nei confronti della comproprietaria. La mancanza sarebbe comunque irrilevante ai sensi dell’art. 21 octies, comma 2, seconda parte, della l. 7 agosto 1990, n. 241. L’acquisizione gratuita del bene, nel caso di specie, a fronte della mancata demolizione era infatti dovuta, e quindi il provvedimento finale non sarebbe potuto essere diverso.

Inoltre, la mancata notifica dell’avviso di inizio del procedimento ad un comproprietario dell’immobile abusivo non è comunque vizio del provvedimento repressivo dell’abuso, ma può solo incidere sulla decorrenza del termine per impugnarlo da parte del soggetto che non ne sia ancora venuto a conoscenza (cfr., in tal senso, la costante giurisprudenza di questo Consiglio, e per tutte le sentenze sez. IV, 3 ottobre 2014, n. 4936, e sez. V, 6 settembre 1990, n. 1018).

16. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto.

Le spese del secondo grado seguono la soccombenza e si liquidano così come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto (ricorso n.1498/2015), lo respinge.

Condanna l’appellante a rifondere al Comune intimato appellato le spese di questo grado di giudizio, spese che liquida in € 5.000 (cinquemila/00), oltre accessori di legge, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 luglio 2021 con l'intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Oreste Mario Caputo, Consigliere

Francesco Gambato Spisani, Consigliere, Estensore

Giovanni Sabbato, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere