Cass. Sez. III n. 27262 del 10 luglio 2012 (Ud.11 gen. 2012)
Pres.Mannino Est.Rosi Ric. Ferrante
Urbanistica.Sostituzione di lastrico solare con tetto a falde

Integra il reato previsto dall'art. 44 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 la copertura del lastrico solare con un tetto a falde, che richiede il preventivo rilascio del permesso di costruire, in quanto comporta la realizzazione di un aumento di volume e, quindi, di una sopraelevazione.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. MANNINO Saverio F. - Presidente - del 11/01/2012
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - ORDINANZA
Dott. MARINI Luigi - Consigliere - N. 40
Dott. ROSI Elisabetta - rel. Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ANDRONIO Alessandro - Consigliere - N. 22384/2011
ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) FERRANTE DIEGA N. IL 10/11/1938;
avverso la sentenza n. 1605/2010 CORTE APPELLO di PALERMO, del 23/02/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/01/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ELISABETTA ROSI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Delehaye Enrico, che ha concluso per il rigetto;
udito il difensore avv. Laurenti Francesca che insiste per l'accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 23 febbraio 2011, la Corte di Appello di Palermo, confermando la sentenza emessa dal Tribunale di Agrigento, ha condannato Ferrante Diega alla pena di giorni trenta di arresto ed Euro 25.000 di ammenda, per i reati di cui all'art. 110 c.p. e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. c), art. 110 c.p. e art. 61 c.p., n. 2 e D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 93 e 95, art. 110 c.p., art. 61 c.p., n. 2, D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 94 e 95 e art. 110 c.p., D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, per aver realizzato, nella qualità di usufruttuaria e committente dei lavori, in concorso con ignoti esecutori, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico ex L. n. 431 del 1985, in un fabbricato preesistente, oggetto di condono edilizio, in assenza del necessario permesso di costruire ed in difformità dal nulla osta rilasciato dalla Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali, le seguenti opere: 1) l'altezza ai colmo del tetto di copertura risultava essere di metri 2,50 al posto di metri 1,90 consentiti 2) nelle previste terrazze del lato sud erano state collocate travi in legno per la posa della copertura, nel lato ovest era stata prolungata la falda di circa 2,50 metri con collocazioni di travi e tavole in legno, realizzando tali opere edilizie in zona sismica, in assenza della prescritta autorizzazione del competente ufficio del genio civile, e senza l'autorizzazione della soprintendenza ai beni culturali, fatto commesso in Agrigento, in epoca antecedente e prossima al 2 settembre 2007.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputata, tramite il proprio difensore, chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi:
1) Inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità (art. 606 c.p.p., lett. e) in relazione all'art. 178 c.p.p., lett. c), artt. 179, 429 e 601 c.p.p. La ricorrente ha eccepito la nullità della notificazione del decreto di citazione a giudizio, perché effettuata nelle mani della sorella dell'imputata. Quest'ultima, pur risultando quale convivente nella relata di notifica, non lo era in fatto, in quanto l'imputata ha sempre vissuto da sola presso la propria abitazione.
2) Inosservanza o erronea applicazione della legge penale. Mancanza e manifesta illogicità della motivazione in tema di intervento edilizio in assenza di concessione edilizia e di tutela del vincolo paesaggistico. La sentenza dovrebbe essere annullata poiché il fatto non costituirebbe reato, in quanto, le opere realizzate non integrerebbero una trasformazione del territorio e pertanto non sarebbe stato necessario il rilascio del permesso di costruire. I giudici di merito avrebbero invece accolto apoditticamente le conclusioni cui è pervenuto il giudice di prime cure, perché, per un verso, non è stato considerato che, al momento del sopralluogo, la ricorrente era provvista di regolare autorizzazione edilizia per la manutenzione straordinaria, e la trasformazione del tetto di copertura da piano a falde inclinate per un'altezza al colmo pari ad 1,90 metri e che, di fatto, la divergenza dell'altezza rilevata rispetto a quella autorizzata, pari a 60 cm, era irrilevante;
dall'altro, in contrasto con i rilievi fotografici, si è ritenuto erroneamente che la collocazione di travi in legno costituisse un indizio della volontà di chiudere le terrazze. Inoltre, la sentenza impugnata non ha tenuto conto dell'ordinanza emessa dal Dirigente del settore urbanistica del Comune di Agrigento, con la quale era stata applicata una sanzione pecuniaria pari ad Euro 1.032. Quindi, anche ad ammettere la sussistenza della difformità dell'intervento edilizio, trattandosi di opera sottoposta al regime dell'autorizzazione edilizia di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 10, il fatto integrerebbe al più un illecito amministrativo, ma non un illecito penale.
3) Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale. Mancanza di motivazione in ordine alla concessione della sospensione condizionale della pena subordinata alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi. I giudici di appello avrebbero omesso di motivare in ordine al rigetto della richiesta della ricorrente di ottenere il beneficio della sospensione condizionale della pena. Ricorrerebbero da un lato, i presupposti di legge per la concessione di tale beneficio, poiché l'imputata è incensurata; dall'altro, tale beneficio non potrebbe essere subordinato alla gravosa condizione della demolizione del manufatto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è infondato. In materia di notificazione di atti processuali, secondo la giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, Sez. 4, ordinanza n. 27549 del 04/06/2008, Mattei, Rv. 240893), "l'attestazione dell'ufficiale giudiziario, contenuta nella relata di notifica, circa il rapporto di convivenza tra il destinatario della medesima e il consegnatario dell'atto, proprio perché è basata su un'altrui indicazione e non è il frutto di attività d'indagine del notificante, prevale sulle risultanze, eventualmente discordanti, delle certificazioni anagrafiche, e, in ogni caso, è compatibile anche con la veridicità di esse, in considerazione della non coincidenza concettuale tra "convivenza" e "coartazione" nonché del possibile carattere solo temporaneo della prima". Si è ritenuto inoltre (cfr., nella parte motiva, Sez. 4, Sentenza n. 10449 del 22/12/2009, Fois ed altro, Rv. 246530) che "lo stato di convivenza può presumersi, anche in assenza di un'esplicita attestazione nella relata di notifica, quando questa sia avvenuta nel domicilio eletto dall'imputato e nelle mani di persona a lui legata da uno stretto e qualificato rapporto parentale". Orbene, nel caso di specie, l'imputata afferma che la notifica del decreto di citazione a giudizio sarebbe stata irregolare, in quanto effettuata a mani della sorella, di fatto, non convivente. Peraltro osserva questo Collegio che la notifica è avvenuta presso il domicilio eletto, nella specie, proprio presso l'abitazione dell'imputata, per cui si ritiene che la notificazione del decreto di citazione a giudizio effettuata a mani della sorella dell'imputata, presso il domicilio eletto di quest'ultima, costituisca un elemento sufficiente a dare la certezza legale che l'atto sia entrato nella sfera di conoscenza del destinatario. Di conseguenza, deve essere esclusa la nullità della notificazione del decreto di citazione a giudizio. Infatti, in tema di notificazione della citazione dell'imputato, la nullità assoluta e insanabile prevista dall'art. 179 c.p.p., ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione della citazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell'atto da parte dell'imputato (cfr. Sez. U, n. 119 del 27/10/2004, Palumbo, Rv. 229539). Nel caso di specie, poi, l'avvocato Lauricella, difensore della ricorrente era presente all'udienza di appello, nella quale nulla ebbe ad eccepire, come si evidenzia dal verbale, atto che questa Corte è legittimata ad esaminare, essendo stato eccepito un vizio processuale.
2. Del pari deve essere rigettato il secondo motivo di ricorso. Va premesso che, nel caso in cui le sentenze di primo e secondo grado concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente e forma con essa un unico complessivo corpo argomentativo (cfr. Sez. 4, n. 15227 dell'11/4/2008, Baretti, Rv. 239735); che tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorché i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall'appellante con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (Cfr. la parte motiva della sentenza Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, Lombardozzi, Rv. 221116) e nel caso di cui sì tratta l'integrazione è ben possibile, in quanto la sentenza di appello ha espressamente richiamato la decisione di primo grado in riferimento alla ricostruzione in punto di fatto. Peraltro, nel caso di specie, già il giudice di prime cure aveva correttamente motivato in ordine all'inquadramento normativo della vicenda in esame, ritenendo che l'intervento edilizio effettuato dall'imputata necessitasse del permesso di costruire. Questa Corte (Sez. 3, sentenza n. 859 del 14/10/1999, Di Salvo e altro, Rv. 215597), infatti, ha affermato il principio secondo il quale "la copertura del lastrico solare con un tetto a falde non è autorizzabile, ma richiede il preventivo rilascio di concessione edilizia, in quanto comporta la realizzazione di un aumento di volume quindi, entro questi limiti, di una sopraelevazione". I giudici di merito, con motivazione congrua, hanno correttamente evidenziato come nel caso che ci occupa, poiché si trattava di intervento relativo ad immobile sottoposto a tutela storico - artistica o paesaggistica - ambientale, sarebbe stata necessaria l'autorizzazione della Soprintendenza ai Beni culturali, autorizzazione che, di fatto, è mancata. 3. Parimenti deve essere rigettato il terzo motivo di ricorso: costituisce principio pacifico in giurisprudenza che il giudice possa concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena, subordinandolo alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi per eliminare le conseguenze dannose del reato (cfr. SS.UU. n. 714 del 20/11/1996, Luongo, Rv. 206659 e, di recente, Sez. 3, n. 38071 del 19/9/2007, Terminiello, Rv. 237825) ed il giudice di merito ha espressamente evidenziato tale sua decisione nella parte motiva della sentenza di primo grado, e confermata dai giudici di appello.
Pertanto il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2012.
Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2012