Cass. Sez. III n. 41318 del 23 ottobre 2012 (Cc 19 set. 2012)
Pres. Mannino Est. Amoresano Ric. Arena
Urbanistica. Interventi edilizi e poteri del giudice penale

Il giudice penale, nel valutare la sussistenza o meno della liceità di un intervento edilizio, deve verificarne la conformità a tutti i parametri di legalità fissati dalla legge, dei regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dalla concessione edificatoria. Il giudice, quindi, non deve limitarsi a verificare l'esistenza ontologica del provvedimento amministrativo autorizzatorio, ma deve verificare l’integrazione o meno della fattispecie penale in vista dell’interesse sostanziale che tale fattispecie assume a tutela (nella specie tutela del territorio). E’ la stessa descrizione normativa del reato che impone al giudice un riscontro diretto di tutti gli elementi che concorrono a determinare la condotta criminosa, ivi compreso l'atto amministrativo. Non sarebbe infatti soggetto soltanto alla legge (art. 101 Cost.) un giudice penale che arrestasse il proprio esame all’aspetto esistenziale e formale di un atto sostanzialmente contrastante con i presupposti legali. Il giudice deve quindi accertare la conformità dell'intervento ai parametri di legalità .Il reato di esecuzione di lavori edilizi in assenza di concessione può, quindi, ravvisarsi anche in presenza di una concessione illegittima senza che occorra fare ricorso alla procedura di disapplicazione dell'atto amministrativo, essendo sufficiente la sola valutazione della sussistenza dell'elemento normativo della fattispecie, atteso che la conformità della costruzione e della concessione alla normazione urbanistica è elemento costitutivo o normativo dei reati contemplati dalla normativa urbanistica, stante l'individuazione del parametro di legalità urbanistica e edilizia quale ulteriore interesse protetto dalle disposizioni in questione.

 RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 26.10.2011 il Tribunale di Catania respingeva l'appello, proposto dal difensore di A.S., avverso il provvedimento del GIP del Tribunale di Catania del 28.7.2011 di rigetto della richiesta di revoca del sequestro preventivo del cantiere edile sito in (OMISSIS).

Premetteva il Tribunale che tale cantiere, appartenente alla società SMAC srl, di cui l' A. era legale rappresentante, era stato sottoposto a sequestro preventivo, in via d'urgenza, dal P.M. (con convalida del GIP), in quanto la concessione edificatoria n. 122 del 12.10.2010 doveva ritenersi illegittima perchè rilasciata in violazione dell'art. 47, commi 4 e 5 del Regolamento edilizio del Comune di Gravina. Nel rilascio della concessione non si era tenuto conto che l'area era in parte edificata, per cui occorreva, per armonizzare la nuova costruzione con quella preesistente e con le opere di urbanizzazione primaria, piano particolareggiato o di lottizzazione, come previsto dall'art. 47 R.E..

Con l'istanza di revoca del sequestro era stato dedotto che non sussisteva il fumus del reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) non vertendosi in una astratta ipotesi di lottizzazione, per cui la concessione rilasciata non era illegittima. Secondo l'orientamento della C.E., infatti, il contrasto tra l'art. 18.1 N.T.A (secondo cui nella Zona B è sufficiente il rilascio della concessione) e l'art. 47 R.E. (secondo cui per le nuove costruzioni in zona B è richiesto il piano di lottizzazione o il piano particolareggiato) è da risolvere caso per caso a seconda dello stato di urbanizzazione dell'area; e, nella specie, nella zona interessata dalla nuova costruzione esistevano già tutte le opere di urbanizzazione primaria. In via subordinata, si deduceva l'insussistenza del periculum in mora, avendo il TAR accolto la richiesta di sospensione della esecuzione della concessione edilizia n. 12 del 12.10.2010.

Nel condividere l'assunto del GIP, che aveva rigettato la richiesta di revoca del sequestro, assumeva il Tribunale che la tesi difensiva presupponeva la dimostrazione in fatto dell'esistenza di opere di urbanizzazione al punto da rendere superflua l'approvazione di uno strumento attuativo. Al contrario, nel caso di specie, come emergeva dalla consulenza tecnica disposta dal P.M, vi era una "carenza strutturale dell'urbanizzazione primaria dell'area" (in particolare rete stradale pubblica e rete fognaria pubblica) e le opere di urbanizzazione esistenti non erano adeguate e funzionali neppure per l'edificio già realizzato. Lo stesso consulente di parte aveva riconosciuto l'inadeguatezza degli impianti di fognatura (problema però comune a tutto il territorio di Catania) e che la strada era privata (ma gravata da uso pubblico). Secondo il Tribunale, quindi, pur volendo aderire alla interpretazione restrittiva dell'art. 47 R.E., fatta dalla C.E., era da ritenere, comunque, illegittima la concessione edilizia.

Sotto il profilo soggettivo non poteva certamente invocarsi la buona fede, ingenerata dal rilascio della concessione edilizia e dal parere della C.E.. L' A., infatti, era ben a conoscenza che la legittimità della concessione era posta in discussione a seguito di presentazione di esposti e della pronuncia del TAR. Quanto alla qualificazione giuridica del fatto, pur essendo tale aspetto irrilevante sul piano cautelare, riteneva il Tribunale che fosse configurabile il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), e non lett. c).

Infine il periculum in mora, presupposto dell'applicazione in sede penale del sequestro, non poteva ritenersi certamente escluso dai provvedimenti della Giurisdizione amministrativa.

2. Ricorre per cassazione A.S., a mezzo del difensore, denunciando, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) in relazione all'equiparazione di attività di costruzione in assenza di permesso di costruire a quella con permesso di costruire illegittimo.

L'approdo normativo cui è pervenuta la giurisprudenza a seguito della sentenza delle Sezioni Unite del 1993 (ric. Borgia) non risulta convincente, non potendosi, comunque, prescindere dall'esistenza di un permesso di costruire.

Con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) in relazione all'art. 47 R.E. del Comune di Gravina di Catania ed all'art. 18 NTA del PRG. La tesi del Tribunale, secondo cui la carenza di urbanizzazione dell'area integrerebbe la violazione dell'art. 47 R.B., non può essere condivisa. Dopo aver evidenziato che, comunque non si è in presenza di tale asserita carenza di urbanizzazione, assume che il Tribunale, attraverso un'erronea interpretazione della normativa urbanistica del Comune di Gravina, è incorso in una violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b).

A seguito dell'entrata in vigore della L.R. n. 71 del 1978 (art. 21) il piano di lottizzazione non è più necessario per le aree già dotate di rete idrica, viaria e fognante.

L'area in ordine alla quale è stata rilasciata concessione edilizia alla soc. SMAC srl ricade in zona "B" del PRG e l'art. 18.1 delle NTA stabilisce che le zone "B" siano tutte le aree già dotate di opere di urbanizzazione primaria. Tali zone sono quindi per definizione già urbanizzate e non necessitano conseguentemente di piano di lottizzazione. E' pur vero che la lettera dell'art.47 Reg. Ed.

prevede per gli interventi in zona "B" la preventiva approvazione del piano di attuazione o di lottizzazione; ma esso deve essere coordinato con l'art. 18 NTA del PRG e la contraddizione normativa (pena la paralisi sul piano applicativo), per il principio della gerarchia delle fonti, non può che essere risolta nel senso della non applicabilità dell'art. 47 medesimo. Già questi rilievi escludono ogni profilo di illegittimità della concessione.

In ogni caso la C.E. ha ritenuto che il contrasto tra le norme sopra evidenziato debba ritenersi risolto nel senso che per gli interventi in aree, ricadenti in zona "B", già parzialmente edificate, non sia necessario un piano di lottizzazione, a meno che non venga verificata la carenza o inadeguatezza delle opere di urbanizzazione; e tale verifica non solo non è stata omessa ma è stata positivamente effettuata.

Contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale la soluzione interpretativa adottata dalla C.E. non è restrittiva, ma la sola possibile per superare il contrasto normativo. E tale orientamento della C.E. risulta adottato prima del rilascio della C.E. n. 12/2010 e ad esso ci si è uniformati nel predetto rilascio.

Lo stesso consulente del P.M. non rileva alcun profilo di illegittimità della concessione e si limita ad affermare che le autorità comunali avrebbero dovuto effettuare una più attenta verifica del grado di urbanizzazione dell'area.

Con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 5 c.p. in relazione alla insussistenza del fumus del reato ipotizzato sotto il profilo dell'elemento psicologico. Il Tribunale per ritenere la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato ha fatto riferimento, palesemente, ad elementi successivi al rilascio della concessione edilizia.

A parte il fatto che il Tribunale non ha tenuto conto delle difficoltà interpretative sopra ricordate, della soluzione adottata dalla C.E.; del rilascio della concessione edilizia e che su tali elementi ha fatto ragionevolmente affidamento il ricorrente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.

2. Va, innanzitutto, ricordato che in tema di misure cautelari reali i distinti procedimenti incidentali previsti dall'art. 322, giudizio di riesame, e dall'art. 322 bis c.p.p.) appello, hanno funzioni e limiti diversi. Pertanto, non possono essere dedotti con l'appello, motivi che avrebbero dovuto essere proposti con il riesame e ciò sia che il procedimento del riesame non abbia avuto successo per l'istante sia che non sia stato neppure proposto, in quanto l'esaurirsi di una fase procedimentale determina preclusioni endoprocessuali rigide" (ex multis Cass. pen. Sez. 3 n. 708 del 16.1.2003).

Anche di recente è stato ribadito che nel giudizio di appello proposto contro un sequestro preventivo, possono essere dedotte solo questioni diverse da quelle relative alla legittimità dell'imposizione del vincolo, attinenti alla persistenza delle ragioni che giustificano il mantenimento della misura, mentre il riscontro del "fumus delicti" è riservato alla fase del riesame. Ne consegue l'inammissibilità del gravame che deduca per la prima volta in sede di appello motivi inerenti unicamente alla carenza, nel momento genetico della misura, delle condizioni previste dall'art. 321 cod. proc. pen. (cfr. Cass. pen. sez. 6 n. 5016 del 26.10.2011).

Infatti, una volta esaurita la fase del riesame (ivi compreso l'eventuale ricorso per cassazione avverso l'ordinanza del Tribunale) o anche in pendenza della stessa oppure in caso di mancata proposizione di questo mezzo di gravame, con implicito riconoscimento della legittimità ed adeguatezza della misura cautelare reale disposta e della sua conformità alle risultanze procedimentali o processuali, è possibile richiedere la revoca di detta misura, solo ove sia modificato il quadro processuale per "fatti sopravvenuti" (cfr. Cass. sez. 3, 21.6.1994 n. 1512; conf. Cass. pen. sez. 3 n. 1708 del 13.11.2002) o vengano, comunque, dedotti elementi nuovi, per tali dovendosi intendere sia quelli preesistenti, ma non esaminati, sia quelli sopravvenuti. Il giudicato cautelare copre, infatti, soltanto il dedotto e non anche il deducibile e non riguarda le questioni che, pur dedotte, non siano state decise (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 2 n. 35482 del 12.7.2007; conf. Cass. sez. 4 n. 4273 del 28.11.2008; Cass. pen. sez. 4 n. 32929 del 4.6.2009; Cass. pen. sez. 6 n. 43213 del 27.10.2010; v. anche Cass. sez. un. n. 18339 del 31.3.2004).

2. Il Tribunale non ha affrontato tale problematica, per cui non è dato conoscere se il provvedimento impositivo della misura sia stato o meno oggetto di impugnazione davanti al riesame e se, nell'affermativa, le questioni relative al fumus ed al periculum in mora siano state esaminate.

La Corte, pertanto, deve esaminare l'ordinanza impugnata, che ha, comunque, affrontato siffatti profili, alla luce dei rilievi contenuti nel ricorso.

3. La giurisprudenza consolidata di questa Corte (a partire da Sez. Unite 21.12.1993, ric. Borgia) ritiene che il giudice penale, nel valutare la sussistenza o meno della liceità di un intervento edilizio, deve verificarne la conformità a tutti i parametri di legalità fissati dalla legge, dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dalla concessione edificatoria. Il giudice, quindi, non deve limitarsi a verificare l'esistenza ontologica del provvedimento amministrativo autorizzatorio, ma deve verificare l'integrazione o meno della fattispecie penale "in vista dell'interesse sostanziale che tale fattispecie assume a tutela" (nella specie tutela del territorio). E' la stessa descrizione normativa del reato che impone al giudice un riscontro diretto di tutti gli elementi che concorrono a determinare la condotta criminosa, ivi compreso l'atto amministrativo (cfr. Cass. pen. sez. 3 21.1.1997-Volpe ed altri). Non sarebbe infatti soggetto soltanto alla legge (art. 101 Cost.) un giudice penale che arrestasse il proprio esame all'aspetto esistenziale e formale di un atto sostanzialmente contrastante con i presupposti legali (Cass. pen. sez. 3 2.5.1996 n. 4421 - Oberto ed altri). Il giudice deve quindi accertare la conformità dell'intervento ai parametri di legalità (Cass. sez. 3 n. 11716 del 29.1.2001).

Il reato di esecuzione di lavori edilizi in assenza di concessione può, quindi, ravvisarsi anche in presenza di una concessione illegittima senza che occorra fare ricorso alla procedura di disapplicazione dell'atto amministrativo, essendo sufficiente la sola valutazione della sussistenza dell'elemento normativo della fattispecie, atteso che la conformità della costruzione e della concessione alla normazione urbanistica è elemento costitutivo o normativo dei reati contemplati dalla normativa urbanistica, stante l'individuazione del parametro di legalità urbanistica e edilizia quale ulteriore interesse protetto dalle disposizioni in questione" (cfr. Cass. pen. Sez. 3 n. 4877/2002; Cass. sez. 3 n. 41629/2007, Rv.237995; Cass. sez. 3 n. 25144/2008, Rv. 240728; Cass. sez. 3 n. 21487/2006, Rv. 234469).

Il Collegio ritiene che non vi siano motivi per discostarsi da tale condivisibile orientamento, riaffermato di recente dalla sentenza di questa sezione n. 3872 del 22.10.2010 (dep. il 3.2.2011), che richiama, a sua volta, le ampie argomentazioni svolte in proposito nella sentenza 21.3.2006, ric. Di Mauro.

3.1. Il Tribunale, con valutazione corretta in diritto e con motivazione non certo apodittica o apparente (va ricordato che a norma dell'art. 325 c.p.p. il ricorso per cassazione può essere proposto soltanto per violazione di legge, in questa potendo comprendersi la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali, quali ad esempio l'art. 125 c.p.p., ma non la contraddittorietà della stessa che è prevista come autonomo mezzo di annullamento dall'art. 606 c.p.p., lett. e), nè tanto meno il travisamento del fatto non risultante dal testo del provvedimento.Cfr. Cass. sez. un. n. 2/2004, Terrazzi), ha ritenuto che la concessione edilizia rilasciata alla SMAC srl fosse illegittima.

Ha, infatti, rilevato che, in ogni caso, la tesi difensiva presupponeva la dimostrazione dell'esistenza di opere di urbanizzazione primarie, al punto da rendere non necessario lo strumento attuativo.

La L.R. 7 dicembre 1978, n. 71, art. 21 prevede al comma 4 che "a modifica di quanto prescritto nel punto 2^ della L.R. 26 maggio 1973, n. 21, art. 28, ferme restando le altre disposizioni agevolative contenute nella predetta norma, l'attuazione degli strumenti urbanistici generali, relativamente alle zone territoriali "B" può effettuarsi a mezzo di singole concessioni, quando esistano le opere di urbanizzazione primaria (almeno rete idrica e fognante) e risultino previste dallo strumento urbanistico generale quelle di urbanizzazione secondaria".

Gli interventi in zona "B" mediante concessioni edilizie presuppone, quindi, l'urbanizzazione dell'area.

L'art. 18 NTA del PRG del Comune di Gravina di Catania conferma che lo strumento attuativo per la zona "B" è rappresentato dalla concessione edilizia, purchè si tratti di aree edificate o parzialmente edificate del centro urbano che presentino le caratteristiche di cui all'art. 21 L.R. sopra richiamato (18.1).

Che tali aree debbano essere dotate di opere di urbanizzazione primaria è confermato ulteriormente dal medesimo art. 18.3.

Correttamente, pertanto, il Tribunale ha ritenuto che, anche a voler seguire l'interpretazione della C.E. (per armonizzare l'art. 47 Reg.Ed. con l'art. 18 NTA del PRG), fatta propria dal ricorrente, lo strumento attuativo è richiesto quando sia necessario per le caratteristiche dell'intervento e lo stato di urbanizzazione dell'area. Laddove, invece, l'area sia già urbanizzata l'intervento deve ritenersi consentito attraverso il rilascio di concessione edilizia.

Ma, per le ragioni in precedenza esposte, compete al Giudice verificare se il rilascio della concessione sia avvenuto in presenza delle condizioni che consentivano di prescindere dall'approvazione di un piano particolareggiato o di lottizzazione; vale a dire accertare se l'area era sufficientemente urbanizzata.

Tanto ha fatto il Tribunale, evidenziando che la consulenza tecnica, disposta dal P.M., ha accertato la carenza strutturale dell'urbanizzazione dell'area in relazione alla rete stradale ed a quella fognaria. Le opere esistenti non erano infatti adeguate e funzionali neppure per il solo edificio già esistente. Nè certamente il Tribunale ha recepito acriticamente le conclusioni del consulente del P.M., avendo esaminato anche i rilievi del consulente della difesa, che non aveva potuto smentire l'accertato difetto di collegamento tra l'edificio esistente e gli impianti pubblici presenti nell'area, nè aveva offerto elementi per confutare l'assunto che le opere di urbanizzazione primaria previste a nord non erano complete e funzionanti (pag.6-7 ordinanza Trib.).

E che l'accertamento dell'esistenza di opere di urbanizzazione sia questione di fatto, di competenza del giudice di merito e sottratta al sindacato di legittimità, è stato costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. ex multis Cass. Pen. Sez. 3 n. 23646 del 12.5.2011).

4. In ordine all'elemento psicologico, secondo la giurisprudenza assolutamente prevalente di questa Corte, non menzionando l'art. 321 c.p.p. gli indizi di colpevolezza fra le condizioni di applicabilità del sequestro e non potendosi ritenere applicabile l'art. 273 c.p.p. (dettato per le misure cautelari personali e non richiamato per quelle reali), ai fini dell'adozione del sequestro è sufficiente la presenza del fumus boni iuris e cioè l'ipotizzabilità in astratto del reato (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 1 n. 2396 del 25.3.1997).

Sicchè "il sequestro preventivo è legittimamente disposto in presenza di un reato che risulti sussistere in concreto, e indipendentemente dall'accertamento della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell'agente o della sussistenza dell'elemento psicologico, atteso che la verifica di tali elementi è estranea all'adozione della misura cautelare reale" (cfr. ex multis Cass. pen. Sez. 6 n. 10618 del 23.2.2010; conf. sez. 1 n. 15298 del 4.4.2006).

Anche la parte minoritaria della giurisprudenza che "valorizza" l'elemento psicologico, esclude che esso possa essere preso in considerazione quando ci si trovi in presenza di provvedimenti macroscopicamente illegittimi. Si ritiene, invero, che nella valutazione del fumus commissi delicti possa rilevare l'eventuale difetto dell'elemento soggettivo del reato, sempre che sia di "immediata evidenza" (cfr. Cass. pen. sez. 2 n. 2808 del 2.10.2008).

4.1. In ogni caso, non può invocarsi la buona fede per avere il ricorrente fatto affidamento sulla legittimità della concessione edilizia e sulle difficoltà interpretative della normativa. L'errore di diritto scusabile, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 364 del 24.3.1998, è configuratale solo se incolpevole a cagione della sua inevitabilità. Secondo le sezioni unite di questa Corte "Per il Comune cittadino tale condizione è sussistente, ogni qual volta egli abbia assolto, con il criterio dell'ordinaria diligenza, al cosiddetto dovere di informazione, attraverso l'espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia. Tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell'illecito anche in virtù di una culpa levis nello svolgimento dell'indagine giuridica. Per l'affermazione della scusabilità dell'ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l'agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell'interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto" (cfr. Cass. pen. sez. un. 18.7.1994 n. 8154). Anche la giurisprudenza successiva ha ribadito che "La esclusione della colpevolezza nelle contravvenzioni non può essere determinata dall'errore di diritto dipendente da ignoranza non inevitabile della legge penale, quindi da mero errore di interpretazione che diviene scusabile quando è determinato da un atto della p.a. o da un orientamento giurisprudenziale univoco e costante da cui l'agente tragga la convinzione della correttezza dell'interpretazione normativa e, di conseguenza, della liceità della propria condotta" (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 3 n. 4951 del 17.12.1999; conf. Cass. pen. sez. 3 n. 28397 del 16.4.2004; sez. 3 n. 4991 del 4.11.2009; sez. 6 n. 6991 del 25.1.2011).

Il Tribunale ha, con motivazione non certo apparente ed apodittica, escluso che l'indagato abbia incolpevolmente fatto affidamento sul provvedimento rilasciato dal Comune; ha invero richiamato sia l'oggettiva mancanza delle opere di urbanizzazione primaria, sia l'esposto dei condomini di via (OMISSIS) e la pronuncia di sospensione della concessione edilizia n. 122 del 12.10.2010, adottata dal TAR, Sezione di Catania, il 31.1.2011. Nè il parere della C.E., reso in data 2.12.2010, e quindi successivamente alla data di rilascio della concessione edilizia e di inizio dei lavori, poteva sorreggere il dedotto affidamento incolpevole.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 19 settembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2012