Consiglio di Stato Sez. VI n. 4548 del 5 maggio 2023
Urbanistica.Pertinenze
 
La natura di pertinenza può essere riconosciuta, ai fini edilizi, in presenza di un oggettivo nesso funzionale e strumentale tra la cosa accessoria e quella principale, tale da consentire esclusivamente la destinazione della cosa ad un uso pertinenziale durevole, il quale emerge se l'opera ha una dimensione ridotta e modesta rispetto alla cosa cui inerisce, tale da renderla priva di un autonomo valore di mercato e non comportante un carico urbanistico o una alterazione significativa dell'assetto del territorio; sicché non può ritenersi meramente pertinenziale un abuso che presenta incontestate caratteristiche di rilevante dimensione, di autonomo valore di mercato, di rilevante carico urbanistico, e occupa un'area diversa e ulteriore rispetto a quella già occupata dal preesistente edificio principale. Pertanto, in materia edilizia la natura pertinenziale è riferibile soltanto ad opere di modesta entità ed accessorie rispetto a quella principale, quali i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici e simili ma non anche a opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto a quella considerata principale e non siano coessenziali alla stessa


Pubblicato il 05/05/2023

N. 04548/2023REG.PROV.COLL.

N. 07963/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7963 del 2020, proposto da
Condominio di via Aldo Manuzio 6 in Milano, in persona del Legale rappresentante pro tempore, Giuliano Signorini, Maria Rosa Cattadori e Federico Spasciani Staffini, rappresentati e difesi dagli Avvocati Lorenzo Carmelo Platania e Alberto Allegra, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo Studio Alberto Allegra, in Roma, via Carnaro n. 29;

contro

Comune di Milano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avvocati Paola Cozzi, Giuseppe Lepore, Antonello Mandarano, Anna Maria Pavin e Maria Lodovica Bognetti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo Studio Giuseppe Lepore, in Roma, via Polibio n. 15;

nei confronti

Manuzio 6 S.r.l., in persona del Legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avvocati Paolo Gaballo, Cristiana Giorgiani e Costantino Loiacono, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda) n. 00117/2020, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Milano e della Società Manuzio 6 S.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 aprile 2023 il Cons. Marco Poppi e uditi per le parti gli Avvocati presenti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

L’immobile oggetto del presente giudizio insiste sulla via Aldo Manuzio n. 6/A, in Milano, e consta di un piano fuori terra adibito ad esercizio di attività di somministrazione di alimenti e bevande, di proprietà della Società Manuzio 6 S.r.l. (di seguito Società), ed un piano interrato adibito ad autorimessa.

In data 26 maggio 2017 la Società richiedeva al Comune di Milano il permesso di costruire in sanatoria per regolarizzare una pluralità di interventi eseguiti a più riprese in difformità dai titoli precedentemente conseguiti (S.C.I.A. n. 408800/16 e C.I.L.A: n. 381884/2016) sul lastrico solare del fabbricato per la realizzazione di una superficie attrezzata da adibire a servizio dell’attività di disco bar.

Il Comune, con permesso di costruire n. 53 del 7 febbraio 2018 assentiva, «modifiche interne per nuova configurazione locali tra cui la realizzazione di cucina e deposito relativo impianto montavivande; demolizione e costruzione di nuovi comignoli di esalazioni per canna fumaria, locale smaltimento rifiuti e bagni, trasformazione del lastrico solare, già accessibile, in area terrazzo di somministrazione, con annessa tettoia/pergola aperta su tutti i lati; posa di arredo a verde; rifacimento dell’ingresso con posa di recinzione, porta di accesso, tenda solare fissa e posizionamento montascale a cingoli» qualificandole in termini di intervento di manutenzione straordinaria ex art. 3, comma 1, lett. b) del d.P.R. n. 380/2001.

Il citato titolo veniva impugnato innanzi al Tar Lombardia con ricorso iscritto al n. 1185/2018 R.R. dal Condominio di via Aldo Manuzio n° 6, dal Condominio di via Finocchiaro Aprile n° 9 e dai Signori Federico Spasciani Staffini, Maria Rosa Cattadori, Giuliano Signorini ed Elena Caiazza, lamentando l’omesso accertamento in fase istruttoria, da parte del Comune, del mancato assenso del condomino comproprietario del lastrico solare (da individuarsi nel proprietario del piano interrato) e l’insanabilità della tettoria in quanto nuova costruzione realizzata in violazione delle distanze minime di cui al DM 1444/1968 e dei parametri urbanistici ed edilizi di zona.

Il Tar, superate le questioni pregiudiziali sollevate dalla resistente amministrazione, respingeva il ricorso con sentenza n. 117 del 20 gennaio 2020 sul rilievo:

che non gravasse sull’amministrazione, in sede di rilascio del titolo, «l’obbligo di procedere ad una accurata e approfondita disamina dei rapporti civilistici» salvo esplicite contestazioni in merito alla legittimità dei lavori, nel caso di specie assenti;

che, «assorbite le questioni relative alla qualificazione della tettoia/pergolato come costruzione», i ricorrenti non avessero comprovato la violazione delle distanze e dei parametri volumetrici di zona.

L’esito di primo grado veniva impugnato dal Condominio di via Aldo Manunzio e dai Signori Federico Spasciani Staffini, Maria Rosa Cattadori e Giulinao Signorini con appello depositato il 15 ottobre 2020 deducendo:

«A) Error in iudicando e/o error in procedendo: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 11, 36 e 37 del d.p.r. 6 giugno n°2001 (TU Edilizia) e dell’art. 38 della legge Regione Lombardia 11 marzo 2005, n°12; Eccesso di potere sotto il profilo del difetto di istruttoria e motivazione (primo motivo di ricorso di primo grado)»;

«B) Error in iudicando e/o error in procedendo: violazione e/o falsa applica-zione dell’art. 9 del DM Lavori pubblici n°1444 del 1968; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 86, commi 1 e 3, del regolamento edilizio del comune di Milano; Illegittimità per eccesso di potere sotto il profilo del difetto di istruttoria (secondo motivo di ricorso di primo grado)».

Il Comune di Milano si costituiva formalmente in giudizio l’11 dicembre 2020 confutando le avverse censure con memoria depositata il 14 dicembre successivo con la quale riproponeva l’eccezione di difetto di giurisdizione, già sollevata in primo grado, fondandola sulla circostanza che «la natura di parte comune del terrazzo/lastrico solare» e «le questioni relative all’esistenza di un Condominio» integrerebbero profili «di natura privatistica».

Sempre in via pregiudiziale eccepiva l’inammissibilità del ricorso poiché proposto da più soggetti portatori di interessi diversi tra loro contrastanti.

Nel merito sosteneva, sotto un primo profilo, la correttezza del proprio operato affermando che il rogito di acquisto prodotto dalla Società in sede di richiesta del titolo comprovasse la piena proprietà del lastrico solare rendendo superflui ulteriori accertamenti circa la legittimazione del richiedente la sanatoria; sotto altro profilo, che a seguito della vendita del piano fuori terra sul quale insiste la superficie controversa, il lastrico solare non potrebbe considerarsi come condominiale non essendo mai stato costituito un condominio.

La Società Manuzio 6 si costituiva formalmente in giudizio il 17 dicembre 2020.

Gli appellanti e il Comune depositavano memoria conclusionale, rispettivamente, il 21 e 26 settembre 2022 (quest’ultima sostanzialmente ripetitiva della precedente).

Appellanti e Società Manunzio 6 replicavano alle avverse difese con memorie del 5 ottobre 2022.

In detta sede la Società, che sviluppava le proprie difese nel giudizio per la prima volta, aderiva all’eccezione di giurisdizione sollevata dal Comune; negava la natura condominiale del lastrico solare rivendicandone la proprietà esclusiva; affermava il carattere pertinenziale della struttura ivi edificata, comprovata dalla facile amovibilità della stessa, ed eccepiva l’inammissibilità della documentazione prodotta dagli appellanti per la prima volta in appello.

All’esito della pubblica udienza del 27 ottobre 2022, ritenuta la pregiudizialità, ai fini della presente decisione, degli esiti del pendente giudizio civile, con ordinanza n. 9647/2022, veniva sospeso il giudizio.

Con atto del 16 gennaio 2023, gli appellanti avanzavano istanza di fissazione dell’udienza di discussione allegando che, con sentenza n. 9764 del 12 dicembre 202, il Tribunale di Milano definiva in primo grado, il contenzioso civile pendente in ordine al regime proprietario del lastrico solare.

Con memoria depositata il successivo 22 marzo esponevano che con la citata sentenza il Tribunale civile statuiva che «é pacifico fra le parti e provato in giudizio che la nuova edificazione di proprietà oggi della convenuta, era stata edificata dalla proprietaria dell’immobile al piano interrato, ne consegue che al caso di specie vada applicata la disciplina dettata dal codice civile per il condominio di edifici, configurandosi allo stato l’esistenza di un condominio composto da due soli partecipanti, (Cass. S.U. n. 2046/2006), che sorge ipso iure et facto al momento della vendita del primo appartamento da parte del proprietario originario (spesso il costruttore) all’acquirente, ovvero nel momento in cui in un immobile ci sono più proprietà esclusive di singole persone e in cui un certo numero di cose sono comuni» (p. 4 sent. n° 976/2022)».

Con replica del 6 aprile 2023, il Comune ribadiva le posizioni già espresse allegando che la dichiarazione della Società Manuzio 6 di essere proprietaria del bene, asseritamene confermata dal rogito notarile depositato, avrebbe esentato l’amministrazione dall’eseguire «ricerche approfondite sull’eventuale proprietà condominiale dell’immobile»

In pari data replicava anche la Società appellata sostenendo la legittimità del titolo conseguito e, in ogni caso, l’assenza di limitazioni di sorta alla fruizione del lastrico da parte del condomino appellante (circostanza apparentane smentita dai contenuti del titolo abilitativo che assentiva la creazione di una porta di accesso).

All’esito della pubblica udienza del 27 aprile 2023, la causa veniva decisa.

Preliminarmente deve respingersi l’eccezione di difetto di giurisdizione atteso che oggetto del contendere è la legittimità di un permesso di costruire in sanatoria la cui sindacabilità è pacificamente attratta nella giurisdizione del giudice amministrativo.

La questione relativa al regime proprietario del lastrico solare, inoltre, in ogni caso conoscibile dal giudice amministrativo incidenter tantum, per quanto di interesse ai presenti fini, è definita come anticipato, ancorché in primo grado, innanzi al giudice ordinario nei suesposti sensi.

Priva di pregio è, altresì, la generica eccezione di inammissibilità del ricorso collettivo senza alcuna puntuale ed esaustiva allegazione a sostegno della stessa.

E’ stato chiarito dalla giurisprudenza che «il ricorso collettivo, inteso come ricorso proposto da una pluralità di soggetti nei confronti del medesimo provvedimento amministrativo, è ammissibile solo se sussistano congiuntamente i requisiti dell'identità delle situazioni sostanziali e processuali e sempre che sia assente un conflitto di interessi tra le parti anche solo potenziale (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 20 maggio 2021, n. 3902; VI, 18 marzo 2021, n. 2341; V, 19 gennaio 2021, n. 573; VI, 15 gennaio 2021, n. 478; III, 1 giugno 2020, n. 3449; II, 18 maggio 2020, n. 3155): infatti solo al ricorrere di siffatte condizioni, positive e negative, i ricorrenti possono essere congiuntamente considerati quale unica parte processuale, sebbene soggettivamente complessa (cfr. Cons. Stato, sez. II, 4 maggio 2020, n. 2839), nel rispetto del principio generale per il quale ogni domanda, fondata su un interesse meritevole di tutela, deve essere proposta dal singolo titolare con separata azione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 6 giugno 2017, n. 2700 in cui tale comune affermazione è meglio calibrata e definita, giungendo alla conclusione che, ricorrendo i noti presupposti, l'instaurazione di un ricorso collettivo costituisce lo strumento "ordinario" di instaurazione del rapporto processuale)» (Cons. Stato, Sez. V, 29 marzo 2022, n.2313).

Nel caso di specie, tuttavia, alcuna delle parti resistenti specifica in cosa consisterebbe la pretesa situazione di conflitto di interessi fra gli appellanti.

Al contrario non può che rilevarsi come tutti gli appellanti (Condominio e persone fisiche) siano legittimati all’azione in virtù della qualità di proprietari di unità immobiliari preesistenti alla realizzazione dell’intervento che si assume essere stato realizzato in difetto del consenso del condomino comproprietario, in difetto del pertinente titolo edilizio e in pretesa violazione delle distanze legali.

Con il primo motivo, gli appellanti censurano la sentenza nella parte in cui respingeva il primo motivo con il quale veniva dedotta l’illegittimità della sanatoria poiché accordata in esito a richiesta avanzata dal un solo condomino comproprietario dell’immobile.

Espongono che l’immobile veniva edificato dalla dante causa dell’appellante Spasciani Staffini e che, all’atto della cessione a terzi del piano fuori terra, si sarebbe creato quale effetto automatico, indipendentemente da ulteriori manifestazioni di volontà, un condominio, come tale disciplinato dagli artt. 1117 e ss. del codice civile anche per quanto riguarda la gestione delle parti comuni fra le quali dovrebbe essere ricompreso il lastrico solare.

Errata sarebbe, pertanto, la descrizione dell’immobile interessato ai lavori sanati come «edificio indipendente di un solo piano ad uso commerciale» atteso che «la gran parte dei lavori sanati» venivano realizzati sul lastrico solare di proprietà comune.

Errata sarebbe, altresì, l’affermazione comunale per la quale la piena proprietà del lastrico risulterebbe dagli atti notarili prodotti dalla Società che, invece, sul punto si limitano ad affermare che il bene compravenduto non è parte del limitrofo Condominio di via Manunzio 6: circostanza peraltro mai affermata da alcuno.

L’amministrazione non avrebbe, quindi, accertato in via istruttoria, come ritenuto necessario dalla giurisprudenza, «la sussistenza di tutti i presupposti cui la legge condiziona il suddetto rilascio e, fra essi, anche la circostanza che l'istanza di sanatoria provenga da un soggetto qualificabile come proprietario dell'edificio oggetto degli interventi della cui sanatoria giuridica si tratti e che abbia l'intera proprietà del bene, e non solo una parte o quota di esso» (Cons. Stato, Sez. IV, 7.09.2016, n°3823).

Esponevano ulteriormente gli appellanti che la Società veniva convenuta innanzi Tribunale di Milano per la condanna alla rimozione di tutti i manufatti eretti sul lastrico solare dell’edificio di via Manuzio 6/A, previo accertamento della comproprietà ex art. 1117 c.c. dello stesso e che, nell’ambito di detto giudizio, la Società chiedeva in via riconvenzionale l’accertamento dell’intervenuta usucapione della superficie contraddicendo l’affermata esclusiva proprietà dello stesso.

Avrebbe, quindi, errato il Tar nel ritenere giustificati i mancati approfondimenti istruttori del Comune circa la legittimazione della Società a richiedere la sanatoria poiché mai prima contestata dagli appellanti.

Ciò sul duplice presupposto che la comproprietà del lastrico discenderebbe dalla presunzione di cui all’art. 1117 c.c. e che non potesse essere nota la presentazione dell’istanza di rilascio del permesso in sanatoria da parte della Società.

Il motivo è fondato.

Si premette che ai sensi dell’art. 1117 c.c. «sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell'edificio, anche se aventi diritto a godimento periodico e se non risulta il contrario dal titolo: 1) tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune, come il suolo su cui sorge l'edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari …».

Il successivo art. 1117 bis dispone che «le disposizioni del presente capo si applicano, in quanto compatibili, in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell'articolo».

Come chiarito dalla più recente giurisprudenza «il lastrico solare ed il tetto sono oggetto di proprietà comune, ai sensi dell'art. 1117 c.c., anche dei proprietari di locali terranei, che abbiano accesso direttamente dalla strada, in quanto costituiscono elementi necessari per la configurabilità stessa di un fabbricato diviso in porzioni individuali e svolgono una funzione di riparo e di protezione delle unità sottostanti». A diverse conclusioni può pervenirsi unicamente «se sussista un titolo contrario alla "presunzione" di condominialità, facendo riferimento esclusivo al primo atto di trasferimento di un'unità immobiliare dell'originario proprietario ad altro soggetto» (Cass. Civ., Sez. II, 6 luglio 2022, n.21440).

È stato altresì chiarito che «la situazione di condominio, regolata dagli artt. 1117 c.c. e ss., si attua sin dal momento in cui si opera il frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento della prima unità immobiliare suscettibile di separata utilizzazione dall'originario unico proprietario ad altro soggetto» (Cass. Civ., Sez. VI, 21 settembre 2020, n.19712) e non rileva in senso contrario «la circostanza per cui nel caso di specie il lastrico sia raggiungibile da una sola unità immobiliare o serva all'uso esclusivo di un singolo condomino» (Cass. Civ., Sez. II, 6 settembre 2019, n.22339).

In ogni caso, circa la specifica questione, come anticipato, si pronunziava il Tribunale di Milano stabilendo (in estrema sintesi e per quanto di interesse ai presenti fini):

che «è pacifico fra le parti e provato in giudizio che la nuova edificazione di proprietà oggi della convenuta, era stata edificata dalla proprietaria dell’immobile al piano interrato» con la conseguenza che trova applicazione «la disciplina dettata dal codice civile per il condominio di edifici, configurandosi allo stato l’esistenza di n condominio composto da due soli partecipanti (Cass. S.U. n. 2046/2006) che sorge ispso iure et facto al momento della vendita del primo appartamento da parte del proprietario originario»;

che, sulla base degli atti di provenienza, il bene a suo tempo acquistato dalla odierna appellata è «quello posto al piano terreno, con esclusione della proprietà esclusiva della copertura dello stesso, che in mancanza di una pattuizione circa l’uso esclusivo della stessa resta in comune alle due proprietà in capo alle parti in giudizio».

Ciò premesso deve rilevarsi che, ai sensi dell’art. 11 del d.P.R. n. 380/2001 «il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo».

Ciò comporta che l’amministrazione, in presenza della richiesta di un titolo abilitativo, sia tenuta a verificare la legittimazione del richiedente.

Circa il livello di approfondimento istruttorio richiesto all’amministrazione circa lo specifico profilo, il Collegio riconosce che la giurisprudenza ha avuto modo di precisare come «il rilascio del titolo edilizio abilitativo, facendo salvi i diritti dei terzi, non interferisce, pertanto, nell'assetto dei rapporti fra privati; pur restando fermo il potere (dovere) dell'Amministrazione di verificare la sussistenza di limiti di matrice civilistica per la realizzazione dell'intervento edilizio da assentire (Cons. Stato, Sez. VI, sent. 29 novembre 2017, n. 5585) si tratta di un controllo generale di conformità che non può spingersi sino a penetranti analisi (quali quella, in tesi pretesa dall'appellante, relativa alle forme di utilizzo della cosa comune)» (Consiglio di Stato sez. IV, 14/01/2019, (ud. 20/12/2018, dep. 14/01/2019), n.310).

Tuttavia, nel caso di specie, la oggettiva ed evidente esistenza di una situazione di comproprietà condominiale condivisa fra i due condomini (tipica come visto dei lastrici solari) avrebbe dovuto indurre l’amministrazione ad un approfondimento istruttorio che, nel caso di specie, non avrebbe comportato alcuna «penetrante analisi» potendo la situazione esistente essere agevolmente accertata anche sulla base del solo esame degli atti acquisiti al procedimento (v. rogito notarile che peraltro, l’amministrazione invoca a sostegno della legittimità del proprio operato).

Ulteriore conferma del travisamento in cui l’amministrazione incorreva nell’occasione si rinviene nelle difese della stessa laddove afferma che «non c’erano ragioni per dubitare delle affermazioni della Società Manunzio 6 srl quanto alla proprietà dell’immobile» atteso che gli atti prodotti confermavano «che la società è proprietaria dell’intero immobile sul cui terrazzo/lastrico solare insiste la tettoria» (pagg. 8 e 9 della memoria datata 23 settembre 2022).

In realtà, tale evidenza non emerge dal titolo di proprietà allegato in sede di richiesta dal titolo edilizio in sanatoria.

Circa tale profilo non può non evidenziarsi che l’atto notarile di acquisto da parte della Manuzio 6, contiene una puntuale descrizione dell’immobile che corrisponde alla planimetria catastale allegata al rogito (Allegato A).

Tanto la descrizione quanto la pianta non riportano il lastrico solare.

Con un successivo atto unilaterale di rettifica catastale, il notaio confermava la descrizione dell’immobile nei termini di cui al precedente rogito limitandosi a precisare la reale superfice (in precedenza indicata erroneamente) «fermo ed invariato tutto il resto».

Ciò nonostante nella piantina catastale allegata, in contraddizione con gli stessi contenuti dell’atto di rettifica, è riportato anche il terrazzo.

Nessun dubbio può sorgere sulla circostanza che tale singolare integrazione della pianta catastale non possa contraddire né i contenuti del rogito di acquisto né dell’atto di rettifica.

Deve ulteriormente rilevarsi che è ammesso dalla stessa amministrazione che l’accertamento del titolo proprietario, legittimante la richiesta del titolo edilizio, avveniva sulla base del rogito di acquisto (senza menzione alcuna dell’atto di rettifica) come espressamente affermato («la società Manuzio 6 srl ha prodotto il rogito di acquisto dove è prevista la vendita dell’immobile per intero senza alcuna esclusione o limitazione e dove non si fa cenno alcuno alla presunta e non dimostrata natura condominiale del terrazzo» - pag. 9 della memoria del 23 settembre 2021).

La piena proprietà dell’immobile è, infatti, ricavabile unicamente dalla «Richiesta di permesso di costruire» presentata dalla Società appellata che, al quadro f) conteneva l’erronea dichiarazione (erronea in quanto collidente con i contenuti del rogito) per la quale «l’unità immobiliare interessata dall’intervento fa parte di un fabbricato di proprietà esclusiva, priva di parti comuni». La palese erroneità di quanto dichiarato era agevolmente riscontrabile, come anticipato, esaminando l’atto di acquisto (che peraltro l’amministrazione afferma di aver considerato) dal quale, al contrario, si ricava che il lastrico solare non costituiva oggetto di cessione.

Sul punto non può che evidenziarsi l’irrilevanza della mancata menzione nel rogito dell’esistenza della comproprietà condominiale del lastrico atteso che ciò che ciò che rileva ai presenti fini, e che l’atto pubblico in questione attesti la mancata cessione dell’esclusiva proprietà dello stesso.

Le evidenziate anomalie della condotta comunale comprovano, ancorché sotto il profilo sintomatico, il fondamento del dedotto vizio di istruttoria.

La lacunosità dell’istruttoria compiuta è ulteriormente confermata dal titolo rilasciato laddove si afferma che l’intervento, qualificato erroneamente (come si argomenterà) in termini di manutenzione straordinaria, interessava un «edificio indipendente di un solo piano» senza alcuna considerazione della reale consistenza del fabbricato, realizzato su due livelli, uno interrato e riconducibile a diverso proprietario.

Il fondamento del presente capo di impugnazione determina di per sé, in riforma della sentenza impugnata, l’annullamento del permesso di costruire rilasciato prescindendo dalla questione oggetto del secondo capo di appello con la quale gli appellanti lamentano che il Tar respingeva il secondo motivo del ricorso di primo grado assorbendo la questione relativa alla corretta qualificazione dell’intervento (manutenzione straordinaria o nuova costruzione) sul rilievo che non risultava comprovata la violazione delle distanze.

Può, tuttavia, scrutinarsi la censura ai soli fini di fornire elementi di riflessione in vista dell’eventuale successiva attività dell’amministrazione.

Deducono gli appellanti che la tettoia oggetto del permesso di costruire in sanatoria non avrebbe potuto essere sanata in quanto manufatto rilevante dal punto di vista edilizio e, pertanto, soggetto al rispetto delle norme sulle distanze tra costruzioni ed agli indici urbanistici di zona.

Il manufatto, inoltre, sarebbe stabilmente ancorato al lastrico solare dell’edificio grazie alla presenza di dieci montanti e la circostanza inibirebbe la qualificazione dello stesso come pertinenziale, precario e di facile rimozione.

La mancata corretta qualificazione della tettoia in termini di nuova costruzione, comproverebbe ulteriormente la lacunosità dell’istruttoria svolta dall’amministrazione che nel caso di specie, non avrebbe rilevato che l’opera in questione determina una sopraelevazione del fabbricato.

Evidente sarebbe ulteriormente la stabile destinazione del manufatto all’esercizio dell’attività commerciale di somministrazione di alimenti e bevande come comproverebbero, oltre alla già descritta struttura dello stesso, la realizzazione di sedute in muratura.

La censura è fondata nei seguenti termini.

Il permesso di costruire oggetto di impugnazione in primo grado veniva rilasciato per l’esecuzione di un intervento di manutenzione straordinaria ex art. 3, comma 1, lett. b).

La disposizione citata definisce gli «interventi di manutenzione straordinaria» come «le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino mutamenti urbanisticamente rilevanti delle destinazioni d'uso implicanti incremento del carico urbanistico».

Tale qualificazione non è invocabile nel caso di specie poiché non si è in presenza di un intervento che rinnova o sostituisce parti preesistenti dell’edificio, né l’intervento eseguito è limitato alla realizzatone e/o integrazione di servizi, posto che veniva realizzato un manufatto ex novo, con la conseguenza che non è configurabile un preesistente fabbricato cui riferire la manutenzione assentita.

La disposizione di cui alla successiva lettera e).1 include, invece, fra gli «interventi di nuova costruzione» quelli consistenti nella «costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l'ampliamento di quelli esistenti all'esterno della sagoma esistente, …».

Come emerge dall’esame della documentazione depositata dagli appellanti in primo grado (allegato «012: 11 CORREDO FOTOGRAFICO») il manufatto in questione, occupante la quasi totalità del lastrico solare (sulla restante parte insistono piantumazioni ornamentali e componenti dell’impiantistica a servizio dell’esercizio), si palesa come una struttura di rilevante consistenza, ancorata alla pavimentazione, che determina una evidente sopraelevazione del fabbricato modificandone significativamente la sagoma.

Da escludersi è, inoltre, la allegata (da parte dell’appellata) natura pertinenziale dell’opera.

La giurisprudenza di questo Consiglio ha più volte ribadito (ex plurimis, Cons. St., Sez. II, 24 novembre 2020, n. 7348) che la natura di pertinenza può essere riconosciuta, ai fini edilizi, in presenza di un oggettivo nesso funzionale e strumentale tra la cosa accessoria e quella principale, tale da consentire esclusivamente la destinazione della cosa ad un uso pertinenziale durevole, il quale emerge se l'opera ha una dimensione ridotta e modesta rispetto alla cosa cui inerisce, tale da renderla priva di un autonomo valore di mercato e non comportante un carico urbanistico o una alterazione significativa dell'assetto del territorio; sicché non può ritenersi meramente pertinenziale un abuso che presenta incontestate caratteristiche di rilevante dimensione, di autonomo valore di mercato, di rilevante carico urbanistico, e occupa un'area diversa e ulteriore rispetto a quella già occupata dal preesistente edificio principale.

Pertanto, in materia edilizia la natura pertinenziale è riferibile soltanto ad opere di modesta entità ed accessorie rispetto a quella principale, quali i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici e simili ma non anche a opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto a quella considerata principale e non siano coessenziali alla stessa (Cons. Stato, Sez. VI, 14 marzo 2023, n.2629; Cons. Stato, Sez. II, 11 novembre 2019, n.7689; Cons. Stato, Sez. VI, 07 marzo 2022, n.1605).

Nel caso di specie si tratta di una ampia superficie (superiore a mq. 80) insistente sulla quasi totalità del lastrico solare, destinata all’esercizio di una attività di somministrazione di alimenti e bevande in ampliamento del locale commerciale sottostante che, sulla base delle illustrate coordinate giurisprudenziali, non può ritenersi avere carattere pertinenziale nei termini sopra precisati.

A sostegno della non riconducibilità del manufatto in questione al concetto di nuova costruzione, non possono essere invocate la facile amovibilità della struttura (peraltro, non comprovata né accertata dal Comune) posto che ai sensi del già richiamato art. art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 sono, infatti, ricondotti al novero degli interventi di nuova costruzione anche «l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere …» destinati al soddisfacimento di esigenze non meramente temporanee.

Ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera e. 5) del d.P.R. n. 380 del 2001 è qualificabile come nuova costruzione «l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere … che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee».

Sul punto la giurisprudenza ha già avuto modo di affermare che «in ordine ai requisiti che deve avere un'opera edilizia per essere considerata precaria, possono essere ipotizzati in astratto due criteri discretivi: 1) criterio strutturale, in virtù del quale è precario ciò che non è stabilmente infisso al suolo; 2) il criterio funzionale, in virtù del quale è precario ciò che è destinato a soddisfare un'esigenza temporanea» pervenendo alla conclusione che «per individuare la natura precaria di un'opera si debba seguire non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale, per cui un'opera può anche non essere stabilmente infissa al suolo, ma se essa presenta la caratteristica di essere realizzata per soddisfare esigenze non temporanee, non può beneficiare del regime delle opere precarie» (Cons. Stato, Sez. V, 27 marzo 2013, n. 1776).

Con specifico riferimento a manufatti di consistenza simile a quella del manufatto oggetto del presente giudizio, è stato, altresì, affermato che «non è necessario che l'alterazione dello status quo ante dell'assetto urbano avvenga mediante realizzazione di opere murarie: le opere preordinate a soddisfare esigenze non precarie sotto il profilo funzionale, incidenti sul tessuto urbanistico ed edilizio, a prescindere dal materiale impiegato - sia esso metallo, laminato di plastica, legno o altro materiale - sono subordinate al rilascio del titolo edilizio. L'avvenuta realizzazione senza permesso di costruire della tettoia sorretta da pilastrini in ferro, per caratteristiche funzionali e dimensionali determina una significativa e permanente alterazione dello stato dei luoghi, e comporta l'applicazione delle sanzioni previste dagli artt. 31 e ss. d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380» (Cons. Stato, Sez. II, 25 maggio 2020, n. 3329).

La Sezione, inoltre, pronunciandosi circa la natura delle tettoie, ha già avuto modo di affermare che «la costruzione di tettoie di consistenti dimensioni, comportanti una perdurante alterazione dello stato dei luoghi e incidenti per sagoma, prospetto, volumetria e materiali impiegati in modo stabile e duraturo sull'assetto urbanistico-edilizio del territorio, necessita del preventivo rilascio del permesso di costruire» (Cons. Stato, Sez. VI, 13 aprile 2021, n. 3005).

La qualificazione dell’intervento quale nuova costruzione comporterà la valutazione della conformità di eventuali ulteriori iniziative avendo riguardo anche alla questione delle distanze, la cui violazione e/o conformità (che non potrà che essere valutata con riferimento al posizionamento dei montanti della tettoia che, come anticipato, non occupa l’intera superficie del lastrico solare) non è inequivocabilmente comprovata e/o smentita allo stato delle produzioni delle parti.

Per quanto precede, l’appello deve essere accolto nei suesposti termini.

La specificità delle questioni oggetto del giudizio determina la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e conseguentemente accoglie il ricorso originario nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati:

Sergio De Felice, Presidente

Giordano Lamberti, Consigliere

Stefano Toschei, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere

Marco Poppi, Consigliere, Estensore