Cass. Sez. III n. 3043 del 27 gennaio 2025 (CC 18 dic 2024)
Pres. Ramacci Rel. Aceto Ric. PM in proc. Maiello
Urbanistica.Termine per l'esecuzione dell'ordine giudiziale di demolizione a cura e spese del condannato

In tema di esecuzione dell’ordine di demolizione dell’immobile abusivamente realizzato imposto dal giudice penale con sentenza irrevocabile di condanna, il condannato ha il diritto di procedervi a proprie spese e cura nel termine di novanta giorni dalla data di irrevocabilità della sentenza, termine scaduto il quale il condannato (o l’interessato) non è legittimato a chiedere la sospensione o la revoca dell’ingiunzione, emessa dal pubblico ministero in esecuzione della sentenza, per poter procedere a proprie spese e cura.

RITENUTO IN FATTO

            1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli Nord ricorre per l’annullamento dell’ordinanza del 14 luglio 2024 del medesimo tribunale che, pronunciando in sede esecutiva, ha sospeso l’ordine di demolizione emesso dal Pubblico ministero in attuazione della sentenza del 21 febbraio 2019 del Tribunale di Napoli Nord (irr. l’8 luglio 2019) che, avendo dichiarato Patrizia Maiello penalmente responsabile del reato di cui all’art. 44 d.P.R. n. 380 del 2001, aveva ordinato la demolizione delle opere abusivamente eseguite. 
                1.1. Con il primo motivo deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione degli artt. 31, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001, e 7 legge n. 47 del 1985, lamentando che il giudice dell’esecuzione non può sospendere l’ordine di demolizione, né autorizzare il soggetto interessato alla demolizione dell’immobile a proprie spese, non essendo titolare di tali poteri che, non riguardando la legittimità del titolo, esulano dalle sue attribuzioni.
                1.2. Con il secondo motivo deduce l’abnormità strutturale dell’ordinanza di annullamento dell’ordine di demolizione avendo il giudice dell’esecuzione oltrepassato i limiti delle sue attribuzioni.

    2.  Con memoria trasmessa il 6 dicembre 2024 il difensore di Patrizia Maiello, Avv. Cesare Placanica, ha chiesto che il ricorso del Pubblico ministero venga dichiarato inammissibile o comunque rigettato.


CONSIDERATO IN DIRITTO

            1. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito indicate.

            2. Con sentenza del Tribunale di Napoli Nord del 21 febbraio 2019 (irr. l’8 luglio 2019) Patrizia Maiello era stata condannata alla pena ritenuta di giustizia perché giudicata colpevole del reato, fra gli altri, di cui all’art. 44, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001 per aver proseguito lavori edilizi in assenza di permesso di costruire. Con la medesima sentenza il Tribunale aveva ordinato la demolizione delle opere abusivamente eseguite.
                2.1. Poiché la responsabile dell’abuso non aveva provveduto alla demolizione intimata dal Comune sin dal 2014, il manufatto e l’area di sedime erano stati acquisiti al patrimonio comunale ai sensi dell’art. 31, commi 2 e 3, d.P.R. n. 380 del 2001; l’acquisizione, annota il Giudice dell’esecuzione, era stata trascritta nei registri comunali ai sensi del quarto comma dell’art. 31.
                2.2. Non avendo comunque la condannata provveduto alla demolizione del manufatto, il Pubblico ministero, in esecuzione della sentenza di condanna, aveva disposto la demolizione dell’opera abusiva.
                2.3. Con istanza del 18 dicembre 2023 Patrizia Maiello aveva chiesto al Pubblico ministero di sospendere l’ordine di demolizione onde consentirle di procedere alla demolizione a proprie spese e cure.
                2.4. Con provvedimento del 5 febbraio 2024 il Pubblico ministero aveva rigettato l’istanza perché proveniente da persona non più legittimata in quanto non più proprietaria dell’immobile, ormai acquisito al patrimonio comunale.
                2.5. Con l’ordinanza impugnata il Giudice dell’esecuzione ha accolto la domanda di sospensione e ha autorizzato l’istante a procedere alla autodemolizione osservando che l’acquisizione del bene al patrimonio comunale non priva la persona condannata dell’interesse alla demolizione a proprie spese quando, come nel caso di specie, ne deriva per la stessa un documentato risparmio di spesa.  

                4. Tanto premesso, il provvedimento impugnato non è abnorme, né strutturalmente, né funzionalmente.
                    4.1. La legge stabilisce i casi nei quali i provvedimenti del giudice sono soggetti a impugnazione e determina il mezzo con cui possono essere impugnati. Così recita l’art. 568, comma 1, cod. proc. pen., che fissa il principio della tipicità e tassatività dei provvedimenti impugnabili e dei relativi mezzi di impugnazione, principio secondo il quale: a) non è possibile impugnare un provvedimento se la legge non lo consente espressamente; b) non è possibile impugnare un provvedimento con un mezzo diverso da quello espressamente previsto. E tuttavia, l’art. 111, comma settimo, Cost., consente sempre il ricorso per cassazione contro le sentenze e i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali. L’art. 568, comma 2, cod. proc. pen., codifica tale principio stabilendo, a sua volta, che sono sempre soggetti a ricorso per cassazione, quando non sono altrimenti impugnabili, i provvedimenti con i quali il giudice decide sulla libertà personale e le sentenze, salvo quelle che possono dare luogo a un conflitto di giurisdizione o di competenza a norma dell’art. 28. La giurisprudenza di legittimità ne ha tratto argomento per dar corpo, già in costanza del precedente codice di rito, alla figura dei provvedimenti cd. abnormi, astrattamente non impugnabili in base al principio di tassatività e tipicità dei mezzi di impugnazione e tuttavia ricorribili per cassazione. La figura dell'abnormità dei provvedimenti del giudice – spiega la Suprema Corte (Sez. U, n. 11 del 09/07/1997, Quarantelli, Rv. 208221 - 01) - rappresenta il risultato di una lunga elaborazione giurisprudenziale con cui - a partire dall'entrata in vigore del codice del 1930 - è stata creata, accanto a quella tradizionale della invalidità, la categoria del provvedimento abnorme. L'intento dichiarato di tale operazione di integrazione normativa è stato quello di introdurre un correttivo al principio della tassatività dei mezzi di impugnazione, nel senso che si è inteso apprestare il rimedio del ricorso per cassazione contro quei determinati provvedimenti che, pur non essendo oggettivamente impugnabili, risultino, tuttavia, affetti da anomalie genetiche o funzionali così radicali da non poter essere inquadrati in alcuno schema legale e da giustificarne la qualificazione dell'abnormità. Il ricorso per cassazione costituisce, pertanto, "lo strumento processuale utilizzabile per rimuovere gli effetti di un provvedimento che, per la singolarità e la stranezza del suo contenuto, deve essere considerato avulso dall'intero ordinamento giuridico" (in questo senso, già Sez. U, 9 maggio 1989, Goria). In mancanza di una definizione legislativa, la giurisprudenza della Suprema Corte ha configurato il paradigma del provvedimento abnorme ponendone in risalto i caratteri salienti nel fatto che esso si discosta e diverge non solo dalla previsione di determinate norme ma anche dall'intero sistema organico della legge processuale, tanto da porsi come atto insuscettibile di ogni inquadramento normativo e da risultare imprevisto e imprevedibile rispetto alla tipizzazione degli atti processuali compiuta dal legislatore (Sez. 3, n. 3010 del 9 luglio 1996, P.M. in proc. Cammarata, Rv. 206058 - 01; Sez. 1, n. 2383 del 19 maggio 1993, La Ruffa ed altro, Rv. 195510 - 01; Sez. 6, n. 4121 del 19 novembre 1992, dep. 1993, Bosca, Rv. 192943 - 01; Sez. 5, n. 1338 del 22 giugno 1992, P.M. in proc. Zinno, Rv. 191559 - 01). In altre decisioni è stato precisato che è abnorme non solo il provvedimento che, per la sua singolarità, non sia inquadrabile nell'ambito dell'ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite (Sez. 3, n. 757 del 21 febbraio 1997, Piccoli, Rv. 207297 - 01; Sez. 1, n. 4023 dell’11 giugno 1996, P.M. in proc. Settegrana, Rv. 205358 - 01; Sez. 5, n. 182 del 13 gennaio 1994, P.M. in proc. Marino ed altro, Rv. 197091 - 01). Nella ricerca degli elementi qualificanti la figura del provvedimento abnorme è stato altresì stabilito che l'atto abnorme rappresenta un'evenienza del tutto eccezionale essendo emesso in assoluta carenza di potere, oltre che con radicale divergenza dagli schemi e dai principi ispiratori dell'ordinamento processuale (Sez. 6, n. 2628 del 30 settembre 1993, Russo ed altro, Rv. 196925 - 01), e che l'abnormità inerisce soltanto a quei provvedimenti che si presentano avulsi dagli schemi normativi e non anche a quelli che, pur essendo emessi in violazione di specifiche norme processuali, rientrano tra gli atti tipici dell'ufficio che li adotta (Sez. 2, n. 2035 del 10 aprile 1995, P.M. in proc. Saraceno, Rv. 201657 - 01). 
                    4.2. L'abnormità dell'atto processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, allorché, per la sua singolarità, si pone fuori del sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando, pur non estraneo al sistema normativo, determina la stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo (Sez. 3, n. 2853 del 14 luglio 1995, P.M. in proc. Beggiato ed altri, Rv. 205406 - 01; Sez. 5, n. 1465 dell’11 marzo 1994, P.M. in proc. Luchino ed altro, Rv. 197999 - 01). L'assenza di criteri omogenei e uniformi di identificazione dei caratteri distintivi del provvedimento abnorme ha contribuito ad una progressiva estensione di tale categoria alla quale la giurisprudenza di legittimità ha fatto ricorso per rimuovere situazioni processuali "extra ordinem" - altrimenti non eliminabili - create da provvedimenti del giudice inficiati da anomalie genetiche o funzionali che ne impediscono l'inquadramento nei tipici schemi normativi e li rendono incompatibili con le linee fondanti del sistema processuale. È opportuno, poi, osservare che il legislatore del 1988, pur prendendo atto del diritto vivente e della flessibilità inerente alla nozione di provvedimento abnorme, ha preferito astenersi da qualsiasi diretto intervento normativo, motivando la scelta dell'esclusione di una espressa previsione dell'impugnazione dei provvedimenti abnormi con «la rilevante difficoltà di una possibile tipizzazione e la necessità di lasciare sempre alla giurisprudenza di rilevarne l'esistenza e di fissarne le caratteristiche ai fini della impugnabilità. Se infatti, proprio per il principio di tassatività, dovrebbe essere esclusa ogni impugnazione non prevista, è vero pure che il generale rimedio del ricorso per cassazione consente comunque l'esperimento di un gravame atto a rimuovere un provvedimento non inquadrabile nel sistema processuale o adottato a fini diversi da quelli previsti dall’ordinamento» (Relazione al prog. prel., pag. 126). 
                    4.3. Delineata nei termini sopra indicati la figura del provvedimento abnorme, e rilevato che uno dei suoi tratti essenziali è quello di sottrarsi ad una rigida tipizzazione classificatoria, deve porsi in evidenza che l'abnormità è stata considerata dalla costante giurisprudenza della Corte di cassazione come motivo di deroga al principio di tassatività delle impugnazioni e non anche come ragione che dispensi dall'osservanza delle forme e dei termini ordinari prescritti dalla legge processuale per l'ammissibilità del ricorso per cassazione. L'operatività dei normali termini di decadenza per l'impugnazione dei provvedimenti abnormi è stata affermata sia con riferimento alla disciplina dettata dagli artt. 190 e 199 del codice del 1930 (Sez. 1, n. 12501 del 28 aprile 1987, Galloni, Rv. 177197 - 01; Sez. 5, n. 3360 del 25 novembre 1983, Corleone, Rv. 162011 - 01; Sez. 4, n. 1666 dell’11 novembre 1983, Gasparri, Rv. 161319 - 01; Sez. 5, n. 8489 del 22 giugno 1983, Podini, Rv. 160727 - 01; Sez. 5, n. 2084 del 18 dicembre 1968, Portanova, Rv. 110402 - 01) sia rispetto alla corrispondente normativa posta dagli artt. 569 e 585 del codice vigente (Sez. 5, n. 5291 del 3 dicembre 1996, Pavan, Rv. 207898 - 01; Sez. 4, n. 1812 del 16 maggio 1995, ric. P.M., Rv. 201692 - 01; Sez. 1, n. 992 del 28 febbraio 1992, Macedonio, Rv. 189737 - 01) (così, in motivazione, Sez. U, n. 11 del 09/07/1997, Tarantelli, cit.).
                    4.4. In sintesi: è affetto da abnormità non solo il provvedimento che, per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall'intero ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite. L'abnormità dell'atto processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, allorché l'atto, per la sua singolarità, si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo (Sez. U, n. 17 del 10/12/1997 – dep. 1998 – Di Battista, Rv. 209603 - 01; Sez. U, n. 26 del 24/11/1999 – dep. 2000 – Magnani, Rv. 215094 - 01).
                    4.5. Come ricordato in motivazione da Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Toni, «non si può ricorrere alla categoria dell'abnormità quando l'atto o il provvedimento che si vuole rimuovere rientri nei poteri del Giudice che lo ha adottato, e cioè discende da un potere riconosciuto o attribuito dalla legge, dato che in tal caso nessuna estraneità al sistema può evidenziarsi. Così è nell'ipotesi in cui si faccia valere l'inosservanza di norme che prevedono l'adozione di un determinato atto a date condizioni di fatto, e l'eventuale insussistenza delle stesse ne determina l'illegittimità ma non l'abnormità e, quindi, si tratterà di un provvedimento "contro norma" ma non "extra norma” (…) la configurazione di un atto abnorme non richiede verifica ulteriore rispetto a quella concernente l'assenza di potere del giudice di provvedere, con la conseguenza che il ricorso per cassazione con denuncia di abnormità non può autorizzare la verifica, in sede di legittimità, di un vizio di legge del provvedimento, ex art. 606 comma 1 lett. c) C.P.P., "salvo eludere lo stesso fondamento del concetto di abnormità" e porre nel nulla il principio di tassatività delle impugnazioni» (nello stesso senso, già Sez. U, n. 4 del 31/01/2001, Romano, secondo cui «va peraltro ribadita la rigorosa affermazione giurisprudenziale (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 22.11.2000, P.M. in proc. Boniotti) per la quale il solo fatto che un provvedimento sia inficiato da una qualsivoglia violazione di legge non ne giustifica, di per sé, l'immediata ricorribilità per cassazione in nome della categoria dell'abnormità, la quale non può essere surrettiziamente utilizzata, dilatandone i confini, al fine di aggirare la preclusione correlata alla tipicità dei mezzi d'impugnazione secondo il dettato degli artt. 568 e 586 del codice di rito, insieme con il principio di tassatività delle nullità stabilito dall'art. 177 stesso codice»).
                    4.6. Più recentemente, le Sezioni Unite della Corte di cassazione, in fattispecie di dedotta abnormità dell’ordinanza del giudice che, in caso di nullità dell’atto introduttivo del giudizio, aveva restituito gli atti al pubblico ministero, hanno nuovamente sostenuto che il dato dirimente è costituito dal fatto che quando la nullità rilevata attiene alla notificazione della citazione a giudizio, il provvedimento di restituzione degli atti è adottato in chiaro difetto di potere, per la semplice ragione che l'ordinamento processuale, siccome conferisce al giudice il potere di rinnovazione della notifica, al contempo e per necessità logica non può che privarlo del potere di restituzione degli atti all'organo di accusa. Quando è l'attribuzione a mancare difetta il legittimo esercizio della funzione giurisdizionale, con la conseguenza obbligata dall'abnormità del provvedimento. L'abnormità funzionale sollecita, invece, un’indagine sull'atto che si giustifica solo quando non si sia già in grado di cogliere i caratteri dell'abnormità strutturale per carenza di potere in astratto o anche solo in concreto, quando il potere è esercitato in assenza delle condizioni legislativamente poste. Quando un provvedimento causa la stasi processuale, se non si è in grado di individuare le specifiche ragioni normative di un difetto di potere, occorre interrogarsi se il sistema accordi altri rimedi perché, ammoniscono le Sezioni Unite, non va mai dimenticato il carattere eccezionale dell’istituto dell’abnormità (che, proprio per questo motivo, resta pur sempre “residuale”). Se altri rimedi sono possibili, ciò significa che l'ordinamento, pur non regolando la modalità espressiva del potere il cui esercizio ha dato luogo alla stasi, non la disconosce, tanto da aver in sé gli strumenti per fronteggiarla. Quando, invece, non si rinvengono altre vie per porre rimedio all'esercizio di un potere non regolato, neanche implicitamente, dal sistema, perché se il pubblico ministero desse impulso al processo incorrerebbe in un atto nullo, non può che configurarsi l'abnormità di tipo funzionale che, in fondo, è essa stessa rivelatrice di un difetto di potere in capo al giudice che ha emesso l'atto, perché quell'atto, seppure riconducibile in astratto ad una previsione di legge, nella concretezza della singola vicenda si rivela radicalmente incompatibile con la progressione processuale e quindi con la destinazione funzionale che gli è propria. Non si può negare che, nel caso di restituzione degli atti al pubblico ministero per nullità della notificazione della citazione a giudizio, il regresso è disposto in carenza di potere, perché al giudice spetta il potere di rinnovare la notificazione e gli è tacitamente preclusa la modalità di esercizio della potestà decisoria che alla dichiarazione di nullità fa seguire l'ordine di restituzione degli atti al pubblico ministero e quindi la regressione (Sez. U, n. 42603 del 13/07/2023, El Karti, Rv. 285213 - 02).
                    4.7. In altra fattispecie di dedotta abnormità dell'ordinanza del giudice dell'udienza preliminare che, investito della richiesta di rinvio a giudizio, aveva disposto, ai sensi dell'art. 33-sexies cod. proc. pen., la restituzione degli atti al pubblico ministero sull'erroneo presupposto che debba procedersi con citazione diretta a giudizio, Sez. U, n. 37502 del 28/04/2022, Scarlini, Rv. 283552 - 01, ha richiamato (e ribadito) la copiosa giurisprudenza secondo la quale è abnorme non solo il provvedimento che, per la sua singolarità, non sia inquadrabile nell'ambito dell'ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite. L'abnormità dell'atto processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, allorché, per la sua singolarità, si ponga fuori dal sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e la impossibilità di proseguirlo. Le Sezioni Unite hanno rimarcato la necessità di un inquadramento rigoroso di un istituto che ha caratteri di eccezionalità escludendosi che la nozione possa essere riferita a situazioni di mera illegittimità, considerate altrimenti non inquadrabili e non rimediabili. In tale prospettiva, nel rapporto tra giudice e pubblico ministero, Sez. U, Toni, cit., ha delimitato l'abnormità strutturale in termini di esercizio da parte del giudice di un potere non attribuitogli dall'ordinamento (carenza di potere in astratto) ovvero di deviazione del provvedimento giudiziale rispetto allo scopo di modello legale, nel senso di esercizio di un potere previsto dall'ordinamento, ma in una situazione legale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge, cioè completamente al di fuori dei casi consentiti, perché al di là di oltre ogni ragionevole limite (carenza di potere in concreto). L'abnormità funzionale, ravvisabile nei casi di stasi del procedimento e di impossibilità di proseguirlo, è stata riferita, da Sez. U, Toni, all'ipotesi in cui il provvedimento giudiziario imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo, rilevabile nel corso futuro del procedimento o del processo: solo in tali limiti il pubblico ministero può ricorrere per cassazione lamentando che il conformarsi al provvedimento minerebbe la regolarità del processo; altrimenti è tenuto ad ottemperare, in un sistema che non ammette la possibilità di conflitto in caso di contrasto tra pubblico ministero e giudice, senza che possa dirsi di per sé caratterizzante dell'abnormità l'effetto della regressione del processo ad una fase precedente. Le Sezioni Unite osservano: viene in rilievo un potere in astratto attribuito al giudice ed esercitato nella sede propria e nel tempo previsto, ma in violazione della concreta disciplina sul riparto dei procedimenti e oltre i limiti consentiti, così da determinare un'alterazione nello sviluppo della sequenza procedimentale; ciò non si traduce solo in una violazione dei principi di rilievo costituzionale, ex art. 111, comma 2, Cost., di efficienza e di ragionevole durata, ma anche in una situazione di stasi, derivante non dal mero fatto della regressione in sé, quanto dall'imposizione al pubblico ministero di un adempimento ‘contra legem’ che dà luogo ad un atto affetto da nullità, rilevabile nel corso del giudizio; il decreto di citazione diretta a giudizio che il pubblico ministero sarebbe “costretto” ad emettere è certamente nullo: l'erronea attribuzione di un processo, infatti, determina un vizio assimilabile alla nullità a regime intermedio, suscettibile di essere rilevata entro precise scansioni temporali; poiché l'udienza preliminare rappresenta uno snodo processuale maggiormente garantito, la cui mancanza produce un evidente, specifico “vulnus” alle facoltà difensive, l'atto propulsivo che ne pretermette lo svolgimento determina una nullità certamente rilevabile nello sviluppo del processo; la mancanza dell'udienza preliminare dà luogo anche ad una grave alterazione della corretta sequenza procedimentale, che concerne, fra l'altro, la competenza funzionale in materia di riti alternativi, oltre a determinare la diretta esposizione delle parti ad una fase processuale connotata da pubblicità, prima del momento in cui il vaglio assicurato dal giudizio demandato al giudice dell'udienza preliminare sia stato svolto; tali considerazioni non valgono invece nell'ipotesi inversa, cioè quella dello svolgimento, pur non previsto, dell'udienza preliminare, la quale costituisce una causa di espansione delle facoltà difensive e la cui fissazione non può di per sé dare luogo ad alcuna nullità, salva la deducibilità con le modalità e nei limiti stabiliti, della relativa questione, al fine di salvaguardare l'assetto normativamente previsto; la centralità del ruolo assunto dallo svolgimento dell'udienza preliminare nella disciplina dedicata dal codice di rito ai vari tipi di patologie che possono verificarsi in sede di riparto di attribuzioni si evince dal fatto che, nel caso di svolgimento dell'udienza preliminare, può porsi solo una questione di riparto delle attribuzioni in senso orizzontale (artt. 33-septies, comma 1, cod. proc. pen.; art. 516, comma 1-bis cod. proc. pen.), essendo prevista invece la trasmissione degli atti al pubblico ministero nei casi in cui sia rilevata la mancata celebrazione dell'udienza preliminare (art. 33-septies, comma 2, cod. proc. pen. e art. 516, comma 1-ter cod. proc. pen.); non possono perciò nutrirsi dubbi sul fatto che la questione del mancato svolgimento dell'udienza preliminare, ove tempestivamente dedotta, possa essere riproposta nel corso del giudizio, anche in sede di impugnazione, pur non essendo specificamente menzionata dall'art. 33-octies, cod. proc. pen.; né possono desumersi argomenti di segno contrario dal disposto dell'art. 33-novies, cod. proc. pen., che esclude l'invalidità degli atti e l'inutilizzabilità delle prove per il solo fatto dell'inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale; va invece rilevato come sia stata ribadita l'insussistenza di una nullità nel caso della celebrazione dell'udienza preliminare, seppur non prevista per il reato oggetto del procedimento. In conclusione, in tutti i casi di indebita restituzione degli atti ai sensi dell'art. 33-sexies cod. proc. pen., perché si proceda con citazione diretta a giudizio, ricorre - affermano le Sezioni Unite - almeno un'ipotesi di abnormità funzionale, da cui discende una situazione di stasi, in quanto il provvedimento, di cui non può direttamente ravvisarsi e dichiararsi la nullità, si risolve nell'imposizione di un successivo adempimento, cioè l'atto di impulso consistente nell'emissione del decreto di citazione diretta a giudizio, che è affetto da nullità rilevabile nello sviluppo del processo, nullità che non deve essere inquadrata tra le nullità assolute. Di conseguenza il pubblico ministero, il quale non può opporsi al provvedimento, sollevando conflitto, ha uno specifico interesse alla sua rimozione, non essendo a tal fine sufficiente il meccanismo contemplato dall'art. 550, comma 3, cod. proc. pen., incentrato sulla successiva formulazione dinanzi al giudice del dibattimento di eccezione avente ad oggetto il mancato svolgimento della prevista udienza preliminare. Non si tratta, spiegano le Sezioni Unite, tanto di evitare il relativo, tortuoso meccanismo processuale quanto di prendere atto dell'esigenza di scongiurare l'imposizione di un atto derivante da una patologia processuale e affetto da nullità rilevabile, e del conseguente interesse a ricorrere, correlato all'esigenza di assicurare l'ordinato svolgimento del processo, secondo le cadenze prestabilite, evitando l'adozione di un successivo atto nullo, idoneo ad arrecare pregiudizio alle parti, la cui costituzione nel giudizio dibattimentale si sarebbe potuta prevenire con lo svolgimento dell'udienza preliminare. L'esigenza, annotano le Sezioni Unite, di restringere la nozione di atto abnorme, che fra l'altro può costituire illecito disciplinare del magistrato, non sussiste in questo caso ove si discute di una nozione che assume rilievo tecnico-processuale, mentre la formula usata per definire l'illecito disciplinare fa immediato riferimento ad un'ipotesi di provvedimento emesso in carenza di potere, primariamente produttivo di sviamento della giurisdizione in chiave strutturale, e rinvia più in generale, nella prospettiva deontologica, ad un complessivo giudizio di macroscopicità e di inescusabilità, che, al di fuori di qualsivoglia automatismo, implica la valutazione del caso concreto.
                    4.8. In conclusione, non ogni errore rende di per sé abnorme il provvedimento del giudice.
                    4.9. Si può certamente discutere della correttezza, nel merito, del provvedimento nella specie impugnato, ma se ne deve escludere in radice l’abnormità poiché se è vero che l’organo titolare dell’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali è il pubblico ministero (art. 655 cod. proc. pen.) è altrettanto vero che il giudice dell’esecuzione è il naturale garante della correttezza della procedura esecutiva e nel caso in esame è stato adito dall’interessata solo dopo che il Pubblico ministero aveva respinto la sua richiesta di sospendere l’esecutività dell’ordine di demolizione. Patrizia Maiello, infatti, non si era rivolta direttamente al giudice dell’esecuzione per chiedere di poter procedere alla demolizione a proprie spese dell’immobile ma aveva prima interloquito con il Pubblico ministero e solo successivamente si era rivolta al Giudice dell’esecuzione per contestare la decisione assunta. La risposta del Giudice si colloca nella fisiologica procedura esecutiva attivata dall’interessata ai sensi dell’art. 665 cod. proc. pen.
                    4.10. È stato affermato al riguardo, e va senz’altro ribadito, che compete al pubblico ministero, quale organo promotore dell'esecuzione ex art. 655 cod. proc. pen., determinare le modalità attuative della demolizione e, tuttavia, qualora sorga una controversia concernente non solo il titolo, ma anche le modalità esecutive, va instaurato dallo stesso P.M., dall'interessato o dal difensore procedimento innanzi al giudice dell’esecuzione (Sez. 3, n. 40763 del 23/05/2013, Terracciano, Rv. 257524 - 01; Sez. 3, n. 33942 del 25/06/2002, Antonini, Rv. 222145 - 01; Sez. 3, n. 30389 del 26/06/2001, Berardinetti, Rv. 219942 - 01; Sez. 3, n. 34531 del 26/06/2001, Rossi, Rv. 220011 - 01; Sez. 3, n. 1961 del 12/05/2000, Masiello, Rv. 216991 - 01).

                5. Esclusa la abnormità dell’ordinanza impugnata, quanto al merito della questione, oggetto comune a entrambi i motivi, il Collegio osserva quanto segue.
                    5.1. L’acquisizione gratuita del bene al patrimonio comunale non osta alla possibilità del condannato di procedere alla demolizione dell’immobile a propria cura e spese (Sez. 3, n. 4962 del 28/11/2007, Mancini, Rv. 238803 - 01; Sez. 3, n. 43294 del 29/09/2005, Gambino, Rv. 232646 - 01; Sez. 3, n. 49397 del 16/11/2004, Sposato, Rv. 230652 - 01, secondo cui l’acquisizione dell’immobile al patrimonio comunale non costituisce impedimento tecnico-giuridico alla possibilità di eseguire l'ordine di demolizione, in quanto il trasferimento dell'immobile nella disponibilità dell'ente locale è esclusivamente preordinato ad una sua più agevole demolizione - il cui onere economico va posto in ogni caso a carico dei responsabili dell'abuso edilizio - e non invece ad incrementare il patrimonio dell'ente locale con opere che contrastano con l'assetto urbanistico del territorio).
                    5.2. L’ordine di demolizione contenuto nella sentenza di condanna è diretto principalmente al condannato, come del resto si evince agevolmente dal fatto che il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato all’esecuzione spontanea dell’ordine stesso. Secondo il consolidato insegnamento della Corte di legittimità, il giudice, nella sentenza di condanna, può subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell'opera abusiva, in quanto tale ordine ha la funzione di eliminare le conseguenze pregiudizievoli del reato; né a tale subordinazione è ostativa l'avvenuta acquisizione dell'immobile al patrimonio del Comune, posto che, sino a quando non sia intervenuta una delibera dell'ente locale che dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici al mantenimento delle opere abusive, è sempre possibile per il condannato chiedere al Comune stesso l'autorizzazione a procedere alla demolizione a propria cura e spese (Sez. 3, n. 39471 del 18/07/2017, Pellerito, Rv. 272502 - 01; Sez. 3, n. 32351 del 01/07/2005, Giglia, Rv. 264252 - 01).
                    5.3. Poiché l’ordine del giudice impartito ai sensi dell’art. 31, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001, presuppone la mancata esecuzione della demolizione anche quando precedentemente ingiunta dall’autorità comunale, appare evidente che tale ordine viene quasi sempre impartito quando l’immobile è già stato acquisito al patrimonio comunale ai sensi del terzo comma dell’art. 31, cit. In altre parole, non è estraneo al sistema che l’ordine impartito dal giudice venga emesso quando l’immobile sia già di proprietà comunale: il legislatore ne è sempre stato consapevole. 
                    5.4. La Corte di cassazione ha affermato che, in tal caso, il condannato può chiedere la revoca dell’ordine di demolizione al solo fine di procedere spontaneamente alla demolizione, essendo privo di interesse ad avanzare richieste diverse, in quanto il procedimento amministrativo sanzionatorio ha ormai come unico esito obbligato la demolizione della costruzione a spese del responsabile dell'abuso (oltre le pronunce citate al § 5.1, Sez. 3, n. 7399 del 13/11/2019, dep. 2020, Calise, Rv. 278090 - 01).
                    5.5. È ormai superato (e comunque non coerente con il quadro normativo) l’indirizzo secondo il quale l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, adottato dal giudice penale ai sensi dell'art. 7, ultimo comma, della Legge 28 febbraio 1985, n. 47, conserva efficacia fino a quando la Pubblica Amministrazione rimanga inerte, omettendo sia di ingiungere la demolizione, sia di procedere all'acquisizione di diritto del manufatto al patrimonio del Comune (Sez. 3, n. 22743 del 15/04/2004, Maffongelli, Rv. 228721 - 01, che, in applicazione di tale principio, ha annullato senza rinvio l'ordinanza del giudice dell'esecuzione che aveva respinto l'istanza di annullamento dell'ingiunzione ad eseguire l'ordine di demolizione di opere abusive - già acquisite al patrimonio del Comune a seguito della mancata ottemperanza all'ordine sindacale di demolizione - riconoscendo che il condannato, privato della titolarità e della disponibilità del bene stesso, non era più nella possibilità materiale e giuridica di ottemperare).
                    5.6. Costituisce ormai insegnamento consolidato che l'acquisizione gratuita dell'opera abusiva al patrimonio disponibile del Comune non è incompatibile con l'ordine di demolizione emesso dal giudice con la sentenza di condanna, atteso che l'acquisizione è finalizzata in via principale alla demolizione e il soggetto condannato può richiedere al Comune, divenuto "medio tempore" proprietario, l'autorizzazione a procedere alla demolizione a proprie spese, così come può provvedervi, a spese del condannato, l'autorità giudiziaria (Sez. 3, n. 37120 del 11/05/2005, Morelli, Rv. 232174 - 01).
                    5.7. Fermo restando che il condannato può sempre procedere alla demolizione a propria cura e spese dell’immobile abusivo anche se medio tempore divenuto di proprietà comunale va definitivamente chiarito se tale possibilità possa “paralizzare” in ogni tempo l’ingiunzione a demolire emessa dal pubblico ministero in esecuzione dell’ordine impartito con la sentenza di condanna.
                    5.8. La risposta non può che essere negativa.
                    5.9. Occorre al riguardo tener conto del termine assegnato al condannato dal giudice della cognizione per poter adempiere all’ordine di demolizione.
                    5.10. Secondo l’ormai consolidato insegnamento della Corte di cassazione, nel caso in cui il giudice abbia omesso di fissare il termine per adempiere all'obbligo di demolizione del manufatto abusivo, cui abbia subordinato il beneficio della sospensione condizionale della pena, trova applicazione quello di novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza, stabilito dall'art. 31, comma 3, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Sez. 3, n. 28727 del 26/06/2024, Di Franco, Rv. 286635 - 01; Sez. 3, n. 22258 del 28/04/2016, Leone, Rv. 267358 - 01; Sez. 3, n. 7046 del 04/12/2014, Baccari, Rv. 262419 - 01; Sez. 3, n. 10581 del 06/02/2013, Lombardo, Rv. 254757 - 01; Sez. 3, n. 23840 del 13/05/2009, Neri, Rv. 244078 - 01).
                    5.11. Tale termine (90 giorni dal passaggio in giudicato dalla sentenza), poiché trova una solida base legale,  fissa il limite superato il quale il condannato non può più esercitare il diritto di procedere alla demolizione a proprie cure e spese; certo, nulla gli impedisce di procedervi anche dopo il superamento di detto termine ma quando sia successivamente intervenuto il pubblico ministero, magari proprio a causa dell’inerzia protratta per lungo tempo, il condannato non può più paralizzare l’iniziativa dell’organo dell’esecuzione invocando ora per allora un diritto il cui esercizio è definitivamente precluso dall’iniziativa esecutiva assunta dal pubblico ministero.
                    5.12. Va dunque affermato il principio di diritto secondo il quale, in tema di esecuzione dell’ordine di demolizione dell’immobile abusivamente realizzato imposto dal giudice penale con sentenza irrevocabile di condanna, il condannato ha il diritto di procedervi a proprie spese e cura nel termine di novanta giorni dalla data di irrevocabilità della sentenza, termine scaduto il quale il condannato (o l’interessato) non è legittimato a chiedere la sospensione o la revoca dell’ingiunzione, emessa dal pubblico ministero in esecuzione della sentenza, per poter procedere a proprie spese e cura.
                    5.13. Ne consegue che nel caso di specie, l’ordine di esecuzione del pubblico ministero non poteva essere sospeso a causa di una richiesta di autodemolizione avanzata addirittura quattro anni dopo l’irrevocabilità della sentenza.
                    5.14. L’ordinanza impugnata deve, pertanto, essere annullata senza rinvio con trasmissione degli atti al Pubblico ministero per l’ulteriore corso esecutivo.


P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Pubblico ministero.
Così deciso in Roma, il 18/12/2024.