Cass. Sez. III n. 3752 del 29 gennaio 2025 (CC 18 dic 2024)
Pres. Ramacci Rel. Corbetta Ric. Coppola
Urbanistica.Demolizione immobile abusivo e diritto all'abitazione 

Il giudice, nel dare attuazione all'ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona è tenuto a rispettare il principio di proporzionalità come elaborato dalla giurisprudenza convenzionale nelle sentenze Corte EDU, 21/04/2016, Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria, e Corte EDU, 04/08/2020, Kaminskas c. Lituania, considerando l'esigenza di garantire il rispetto della vita privata e familiare e del domicilio, di cui all'art. 8 della CEDU, e valutando, nel contempo, la eventuale consapevolezza della violazione della legge da parte dell'interessato, per non incoraggiare azioni illegali in contrasto con la protezione dell'ambiente, nonché i tempi a disposizione del medesimo, dopo l'irrevocabilità della sentenza di condanna, per conseguire, se possibile, la sanatoria dell'immobile ovvero per risolvere le proprie esigenze abitative; è precipuo onere del ricorrente allegare, in modo puntuale, i fatti addotti a sostegno del rispetto del principio di proporzione, fatti che non possono dipendere dalla inerzia dell’autore dell’abuso ovvero dalla volontà sua o del destinatario dell'ordine, non potendo il condannato lucrare sul tempo inutilmente trascorso dalla data di irrevocabilità della sentenza, posto che l'ingiunzione a demolire trova causa proprio dalla sua inerzia.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnata ordinanza, il Tribunale di Napoli, quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza avanzata nell’interesse di Rosaria Coppola avente ad oggetto la sospensione della ingiunzione di demolizione disposta con sentenza di condanna, emessa nei confronti di Ambrosino Maria  - madre della ricorrente - , dal Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Pozzuoli, in data 5 febbraio 1991, irrevocabile il 20 maggio 1994.

2. Avverso l’indicata ordinanza, Rosaria Coppola, per il ministero del difensore di fiducia nonché procuratore speciale, ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
2.1. Con un primo motivo, denuncia la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 6, 7 e 8 CEDU, 14 e 32 Cost. Rappresenta il difensore che l’ordine di demolizione dei manufatti sarebbe illegittimo in considerazione del tempo trascorso dalla data di realizzazione dell’abuso a quella dell’ingiunzione a demolire, ricevuto dalla ricorrente, quale erede della madre, dopo oltre trent’anni; del fatto che l’unità da demolire è l’unica dimora della ricorrente, la quale versa in condizioni economiche disagiate, coma ampiamente documentato in atti; dalle condotte successive alla conoscenza dell’ordine, avendo la Coppola – che non era imputata nel procedimento penale in cui è stata irrogato l’ordine di demolizione - immediatamente depositato presso il comune di Procida una richiesta di alloggio abitativo alternativo: elementi non vagliati dal Tribunale e che invece, ove correttamente valutati, sarebbero indicativi del fatto che la sanzione demolitoria, dopo un così lungo periodo, non sarebbe più proporzionata rispetto al fine perseguito, come affermato dalla giurisprudenza della Corte EDU e di legittimità puntualmente indicata nel ricorso.
2.2. Con un secondo motivo, lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione alla l. n. 47 del 1985 e alla l. n. 724 del 1994, nonché agli artt. 6, 7 e 8 CEDU, 14 e 32 Cost. Rappresenta il difensore che l’ordinanza avrebbe erroneamente rigettato la richiesta di revocare o, quantomeno, sospendere l’ingiunzione a demolire per effetto della presentazione di due istanze di condono edilizio ex l. n. 724 del 1994, in quanto il giudice, laddove ha ritenuto non concedibile il condono, si è indebitamente sostituito all’ente comunale, e considerando che le opere erano tutte ultimate al rustico al 31 dicembre 1993, sicché le medesime erano da considerarsi identificabili quanto a sagoma e volumetria, essendo complete nel reticolo di travi e pilastri con relativi solai di interpiano e copertura, ciò che comporterebbe, quantomeno, la sospensione dell’ordine, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità.
2.3. Con un terzo motivo, eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. a), b), c) ed e), cod. proc. pen. per carenza di potere, stante l’incompetenza della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli ad eseguire la sentenza emessa dalla Pretura circondariale di Napoli il 2 maggio 1991 in favore dell’autorità amministrativa, ai sensi della circolare del Ministero della Giustizia n. 62/4/13-2186 del 20 novembre 1997 e  della sentenza delle Sezioni Unite Monterisi n. 15 del 1996, da cui risulta che competente per l’esecuzione delle demolizioni disposte con sentenza passate in giudicato prima del 28 novembre 1997, è l’autorità amministrativa, come peraltro recepito delle direttive di indirizzo del 25 giugno 2013 impartite dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torre Annunziata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Il primo motivo è manifestamente infondato.
2.1. In linea generale, si osserva che, come costantemente predicato da questa Sezione, l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all'art. 8 C.E.D.U., posto che, non essendo desumibile da tale norma la sussistenza di alcun diritto "assoluto" ad occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma in concreto il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato ed a ripristinare l'equilibrio urbanistico-edilizio violato (Sez. 3, n. 24882 del 26/04/2018, Ferrante, Rv. 273368).
In coerenza con le indicate decisioni, questa Sezione ha chiarito che il giudice, nel dare attuazione all'ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona è tenuto a rispettare il principio di proporzionalità come elaborato dalla giurisprudenza convenzionale nelle sentenze Corte EDU, 21/04/2016, Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria, e Corte EDU, 04/08/2020, Kaminskas c. Lituania, considerando l'esigenza di garantire il rispetto della vita privata e familiare e del domicilio, di cui all'art. 8 della CEDU, e valutando, nel contempo, la eventuale consapevolezza della violazione della legge da parte dell'interessato, per non incoraggiare azioni illegali in contrasto con la protezione dell'ambiente, nonché i tempi a disposizione del medesimo, dopo l'irrevocabilità della sentenza di condanna, per conseguire, se possibile, la sanatoria dell'immobile ovvero per risolvere le proprie esigenze abitative (Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020, dep. 2021, Leoni, Rv. 280270); con l’ulteriore precisazione è precipuo onere del ricorrente allegare, in modo puntuale, i fatti addotti a sostegno del rispetto del principio di proporzione (Sez. 3, n. 21198 del 15/02/2023, Esposito, Rv. 284627), fatti che non possono dipendere dalla inerzia dell’autore dell’abuso ovvero dalla volontà sua o del destinatario dell'ordine, non potendo il condannato lucrare sul tempo inutilmente trascorso dalla data di irrevocabilità della sentenza, posto che l'ingiunzione a demolire trova causa proprio dalla sua inerzia.
2.2. Con riguardo, poi, alla posizione di terzi, si è affermato il principio, qui da ribadire, secondo cui il principio di proporzionalità, enunciato dalla giurisprudenza convenzionale, cui deve conformarsi l'esecuzione dell'ordine di demolizione delle opere abusive, postula la valutazione della sola interrelazione esistente tra l'interesse pubblico alla salvaguardia del territorio e la tutela del diritto di proprietà e delle relative forme di godimento dell'autore del reato o del proprietario dell'immobile e del suo stretto nucleo familiare, non potendosi riconoscere rilievo alcuno all'interesse abitativo di terzi estranei, detentori, a qualsiasi altro titolo, del manufatto abusivo altrui, che, eventualmente, potranno ottenere altre forme di soddisfacimento mediante misure di assistenza sociale o la locazione di immobili leciti (Sez. 3, n. 29117 del 17/04/2024, Aurioso, Rv. 286731).
Come emerge dalla motivazione della decisione appena indicata,  una conclusione del genere poggia sul rilievo che il principio di proporzionalità nell'applicazione dell'ordine di demolizione di un immobile illegalmente edificato, adottato da una pubblica autorità al fine di contrastare la realizzazione di opere senza permesso di costruire, opera esclusivamente in relazione all'immobile destinato ad abituale abitazione di una persona, ed implica, principalmente, garanzie di tipo "procedurale" – quali la possibilità di far valere le proprie ragioni davanti ad un tribunale indipendente; la disponibilità di un tempo sufficiente per "legalizzare" la situazione, se giuridicamente possibile, o per trovare un'altra soluzione alle proprie esigenze abitative agendo con diligenza; l'esigenza di evitare l'esecuzione in momenti in cui verrebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola; la consapevolezza della illegalità della costruzione da parte degli interessati al momento dell'edificazione ed alla natura ed al grado della illegalità realizzata - inevitabilmente connesse al procedimento penale da cui è scaturito l'ordine di demolizione che, evidentemente, non ha mai visto come protagonista il ricorrente.
Ne consegue che il rapporto di proporzionalità valorizzato in sede convenzionale riguarda la relazione tra l'interesse pubblico alla tutela del territorio e l'interesse all'utilizzo dell'opera abusiva da parte di chi l'abbia realizzata e che dovrebbe subire in via diretta le conseguenze dell'ordine di demolizione, e non già di un terzo estraneo al procedimento penale.
2.3. Nella vicenda in esame, non solo deve rilevarsi che la Coppola agisce quale erede della madre, la quale era stata condannata con la sentenza che ha impartito l’ingiunzione alla demolizione, ma, in ogni caso, come rilevato dal Tribunale, tale ordine di demolizione è suscettibile di esecuzione sin dal 1994, data di irrevocabilità della sentenza di condanna, e, nonostante ciò, la ricorrente si è attivata per reperire una soluzione abitativa lecita solamente nel 2023.
A tal proposito, non rileva la circostanza – peraltro meramente allegata, ma che non trova riscontro nei dati probatori - che la ricorrente sia venuta a conoscenza dell’ordine di demolizione solo nel 2023, posto che, in ogni caso, in considerazione della funzione ripristinatoria dell’ordine di demolizione, occorre far riferimento al momento in cui la sentenza diviene esecutiva; da tale momento, infatti, il condannato è consapevole del fatto che l’ingiunzione può essere eseguita dall’A.G., sicché è suo dovere attivarsi in vista di una diversa e lecita soluzione abitativa.
Se, infatti, come detto, il condannato non può lucrare sul tempo inutilmente trascorso dalla data di irrevocabilità della sentenza, ciò vale, a fortiori, per l’eventuale avente causa, il quale, al momento dell’acquisto, ha il dovere di informarsi circa la liceità o meno dell’edificazione del bene, con l’evidente conseguenza che egli non può certamente giovarsi dell’eventuale colpevole ignoranza.

3. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
3.1. Per costante e consolidata giurisprudenza di questa Sezione, la revoca o la sospensione dell'ordine di demolizione delle opere abusive, di cui all'art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001, in conseguenza della presentazione di una istanza di condono o sanatoria successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, presuppone l'accertamento da parte del giudice dell'esecuzione della sussistenza di elementi che facciano ritenere plausibilmente prossima la adozione da parte della autorità amministrativa competente del provvedimento di accoglimento  (Sez. 3, n. 9145 del 01/07/2015,  dep. 2016, Manna, Rv. 266763).
In particolare, il giudice dell'esecuzione è tenuto a esaminare i possibili esiti ed i tempi di conclusione del procedimento amministrativo e, in particolare: a) il prevedibile risultato dell'istanza e la sussistenza di eventuali cause ostative al suo accoglimento; b) la durata necessaria per la definizione della procedura, che può determinare la sospensione dell'esecuzione solo nel caso di un suo rapido esaurimento  (Sez. 3, n. 47263 del 25/09/2014, Russo, Rv. 261212).
3.2. Nella vicenda qui al vaglio, il giudice dell’esecuzione ha fatto buon governo dei principi appena richiamati, evidenziando non solo che le istanze di condono, presentate nel 1995, non hanno ancora avuto esito positivo, ma che sussistono ragioni ostative all’accoglimento, in quanto, come emerge dalla nota redatta dal settore tecnico del comune di Monte Procida in data 5 settembre 2022, le opere sono state completate in data successiva al 31 dicembre 1993.

4. Manifestamente infondato è anche il terzo motivo.
Invero, va richiamato il principio, qui da confermare, secondo cui spetta al pubblico ministero la competenza ad eseguire l'ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna per violazione della normativa urbanistica, essendo vincolato nello svolgimento di tale attività solo al rispetto della legge e non all'osservanza di circolari interpretative del dato normativo emesse dalla pubblica amministrazione o di direttive adottate da uffici requirenti diversi da quello di appartenenza per disciplinare le modalità della sua azione (per tutti, Sez. 3, n. 28781 del 16/05/2018, Milone, Rv. 273359), considerando che la circolare, rappresentando un atto interno alla P.A., si risolve in un mero ausilio interpretativo e non esplica alcun effetto vincolante non solo per il giudice penale, ma anche per gli stessi destinatari, e, quindi, non può comunque porsi in contrasto con l'evidenza del dato normativo (Sez. 3, n. 6619 del 07/02/2012, Zampano, Rv. 252541; Sez. 3, n. 19330, 17/05/2011; cfr. anche, in ambito civilistico, Sez. U, n. 23031 del 02/11/2007, Rv. 599750).

5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 18/12/2024.