Cass. Sez. III n. 2384 del 21 gennaio 2025 (CC 10 ott 2024)
Pres. Ramacci Rel. Andronio Ric. Martucci
Urbanistica.Limiti all'attività edilizia libera
La particolare disciplina dell’attività edilizia libera non è applicabile agli interventi che, pur rientrando nelle categorie menzionate da tale disposizione, siano in contrasto con le prescrizioni degli interventi urbanistici. L’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, consente la realizzazione delle opere ivi indicate, in regime di attività edilizia libera, solo «nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio» di cui al d.lgs. n. 42 del 2004. Dunque, il regime dell’attività edilizia libera, ovvero non soggetto ad alcun titolo abilitativo, non è applicabile agli interventi che, pur rientrando nelle tipologie di tale disposizione, siano in contrasto con le previsioni indicate nell’incipit della stessa.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 29 gennaio 2024, il Gip del Tribunale di Brindisi ha rigettato l’istanza di sequestro preventivo, avanzata dal Pubblico Ministero, nei confronti dell’indagato Martucci Michele, per insussistenza del fumus commissi delicti, relativamente ai capi A) e C) dell’originaria incolpazione, nonché delle esigenze cautelari, con riferimento ai reati di cui agli artt. 110 cod. pen., 44, comma 1, lettera c), 29, 31 e 10, comma 1, lettera a), del d.P.R. n. 380 del 2001 (capo A), 110 cod. pen., 181, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 42 del 2004, 44, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001 (capo B), 110 cod. pen., 30, comma 1, e 44, commi 1, lettera c), e 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 (capo C), contestati all’indagato perché, in concorso con altri, in mancanza del permesso a costruire e dell’autorizzazione paesaggistica, ed in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti e comunque della legge regionale della Puglia n. 11 del 1999, eseguiva, in qualità di committente, interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio – mediante la realizzazione di una rete infrastrutturale di adduzione e smaltimento, di impianti elettrico, idrico e fognante, oltre che di 19 strutture prefabbricate adibite a monolocale e di una struttura prefabbricata adibita a reception, dotati, ciascuno, anche di sofisticati servizi igienici stabilmente collegati a due pozzetti a ciascuno dedicati e, insieme con altri pozzetti creati sull’area limitrofa, componenti della predetta rete infrastrutturale di adduzione e smaltimento – in area tipizzata a campeggio, assoggettata a vincoli paesaggistici ed idrogeologici. Nello specifico, il Gip ha ritenuto che le tensostrutture in oggetto fossero soggette al regime di edilizia libera, in forza dell’art. 17 della legge regionale n. 11 del 1999, ed inidonee a configurare il reato di lottizzazione abusiva, giacché realizzate con pilastri, travi e pedane in legno lamellare, infissi in vetro e alluminio e copertura in tendaggio, in assenza di un collegamento permanente al terreno. Quanto, invece, all’insussistenza delle esigenze cautelari, si è ritenuto che l’uso delle opere in oggetto, ancorché realizzate in assenza di autorizzazione paesaggistica e del nulla osta idrogeologico, non avrebbe potuto determinare conseguenze negative sul regolare assetto del territorio, avuto riguardo alla destinazione dell’area su cui le tensostrutture sorgono, ed alla sua vocazione recettiva e turistica, il cui carico urbanistico non avrebbe potuto risultare aggravato dalla presenza di circa 38 turisti in più, quale capienza massima dei 19 alloggi in esame.
Con ordinanza del 1° marzo 2024, il Tribunale del riesame di Brindisi ha parzialmente accolto l’appello cautelare proposto dal Pubblico Ministero ed ha disposto, in relazione ai capi A) e B) della provvisoria incolpazione, il sequestro preventivo delle 19 strutture prefabbricate adibite a monolocale e della costruzione adibita a reception insistenti sull’area di terreno con sovrastante fabbricato, oltre che degli impianti di climatizzazione, idrico, elettrico e fognante, posti a servizio delle predette strutture, a partire dai rispettivi punti di collegamento alle reti pubbliche, rigettando nel resto il ricorso.
2. Avverso l’ordinanza, l’indagato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si denuncia la violazione di legge, sul rilievo che, ai sensi dell’art. 17 della legge regionale sul turismo n. 11 del 1999, gli allestimenti utilizzati per finalità turistiche non necessiterebbero di titoli abilitativi edilizi autonomi e correlati, laddove corrispondenti ai criteri eccezionali prescritti dall’art. 3, comma 1, lettera e.5), del d.P.R. n. 380 del 2001, essendo il “titolo madre” costituito dall’autorizzazione a svolgere attività di campeggio.
Nello specifico, il ricorrente lamenta che il Tribunale del riesame, in violazione di legge e con una scorretta applicazione della disciplina in materia, avrebbe ritenuto che le strutture realizzate non rispettassero le condizioni per rientrare nella cosiddetta edilizia libera prevista dalla legge regionale, disattendendo la portata del dettato normativo di riferimento e, soprattutto, la documentazione tecnica versata in atti, costituita dai pareri redatti dai funzionari del Comune di Carovigno, oltre che da tecnici nominati ausiliari di polizia giudiziaria, in ordine alla liceità delle opere installate. Il giudice cautelare, inoltre, avrebbe erroneamente richiamato la sentenza della Corte di cassazione, Sez. 3, n. 41067 del 15 settembre 2015 – invero riferita alla collocazione di una casa mobile con stabile destinazione abitativa e non di una costruzione avente finalità occasionale-turistica e, dunque, insuscettibile di essere applicata al caso in esame – fondando il proprio convincimento in ordine alla ritenuta inamovibilità dei prefabbricati su mere ipotesi congetturali, prive di spiegazione circa le possibili modalità con cui la platea di legno – sulla quale, secondo la tesi accusatoria, sarebbero fissate le piantane metalliche su cui risulterebbero poggiate le strutture in sequestro – potesse essere considerata un corpo estraneo rispetto alle tende in oggetto e di come la stessa fosse stabilmente collegata al terreno. Il Tribunale del riesame, dunque, non avrebbe fornito alcun addentellato di tipo probatorio in punto di inamovibilità dei prefabbricati, non potendosi ritenere pertinente il generico riferimento al fascicolo fotografico in atti, dal quale, all’opposto, le strutture risulterebbero sollevate da terra e poggiate su un letto di ghiaietto riposto a copertura del terreno, attraverso una serie di elementi metallici che si completano con una piastra di appoggio.
La stessa relazione del geometra Grassi, ausiliario di polizia giudiziaria, sottoscritta anche dall’architetto Sacchi, alla luce della normativa di cui agli artt. 16 e 17 della legge regionale n. 11 del 1999 – che prevede la possibilità che sia l’organizzazione del campeggio a mettere a disposizione strutture di tipo fisso e strutture di tipo mobile nella misura del 25% del carico massimo per quella zona per le prime e nella misura del 40% per le seconde – del resto, avrebbe confermato l’amovibilità dei manufatti, precisando che: per un verso, intendendosi per «allacciamento alle reti» il mero aggancio degli impianti tecnologici delle Lodge Tents alla rete di adduzione e di smaltimento, esso avrebbe dovuto ritenersi agevolmente rimovibile in qualsiasi momento; per altro verso, parimenti rimovibili avrebbero dovuto considerarsi le tensostrutture, giacché realizzate con pilastri, travi e pedane in legno lamellare, infissi in vetro e alluminio e copertura in tendaggio. Per quanto concerne il collegamento al suolo, inoltre, si è rilevato, che tali prefabbricati sarebbero stati poggiati al terreno per mezzo di piedini metallici, poggianti, loro volta, su basole in cemento di modeste dimensioni, atte a stabilizzare i carichi e distribuire le forze sul terreno, anch’essi sforniti, in ogni caso, del carattere della permanenza al terreno. Le stesse conclusioni potrebbero trarsi, infine, dalle ordinanze n. 25 del 10 febbraio 2023 del Comune di Carovigno e n. 51 del 24 aprile dello stesso anno, entrambe facenti riferimento all’assoggettabilità dei manufatti al regime dell’attività di edilizia libera.
Il Tribunale del riesame, con conseguente travisamento della prova, avrebbe dunque fondato il proprio convincimento su un’informazione inesistente – afferente al concetto di infissione stabile della struttura in oggetto nel terreno – omettendo altresì di valutare il copioso materiale probatorio deponente in senso contrario, comprensivo della memoria di parte ricorrente, concernente le pertinenti disposizioni regolamentari dell’Agenzia del Demanio e del Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture in relazione alle occupazioni su suoli demaniali, e riferita, segnatamente, alla circolare ministeriale n. 22 del 25 maggio 2009, che reca la precisa definizione delle opere amovibili o di facile rimozione, inclusiva anche delle opere fabbricate del tipo di quelle in sequestro.
Il ricorrente censura, infine, l’ordinanza impugnata nella parte in cui ricava la prova di un utilizzo continuativo e non temporaneo dei prefabbricati in oggetto e, dunque, della loro presunta inamovibilità, dal loro mancato smontaggio a fine stagione, mancando tuttavia di considerare sia l’art. 8, comma 5, della legge regionale n. 17 del 2005, sia la copiosa giurisprudenza di legittimità ed amministrativa, secondo cui l’obbligo di procedere alla rimozione stagionale delle strutture finalizzate all’attività balneare sussiste solo qualora la loro permanenza durante la stagione invernale possa essere motivatamente ritenuta pregiudizievole per la conservazione e la trasmissione alle future generazioni dei valori ambientali e paesaggistici caratterizzanti l’area interessata.
2.2. Con un secondo motivo di ricorso, si lamenta l’erronea applicazione dell’art. 321, comma 1, cod. proc. pen., relativamente alla sussistenza del presupposto del periculum in mora, per avere il Tribunale del riesame erroneamente omesso di dimostrare in che misura il numero di villeggianti della struttura avrebbe potuto incrementarsi in maniera idonea a creare una potenziale lesione dell’equilibrio urbanistico del luogo, non trovando, tali considerazioni, riscontro in alcun documento amministrativo. Secondo la ricostruzione della difesa, inoltre, in assenza di motivazione sul punto, difetterebbe il requisito della concretezza della presunta alterazione del carico urbanistico, specificamente richiesto, all’opposto, dalla giurisprudenza di legittimità nei casi, come quello di specie, di intervenuta ultimazione dei lavori di costruzione. Nessuna motivazione, infine, vi sarebbe in ordine all’ipotizzato pericolo di rischio idrogeologico.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
È opportuno premettere che, a norma dell'art. 325, comma 1, cod. proc. pen., il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (ex plurimis, Sez. 2, n. 49739 del 10/10/2023, Rv. 285608; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656).
Sempre in premessa, è necessario rammentare che è preclusa alla Corte di cassazione la possibilità, non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (Sez. U., n. 12 del 31/05/2000, Rv. 216260; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Rv. 250362; Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, Rv. 271623). Resta, dunque, esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Rv. 262575; Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Rv. 235716).
Ebbene, le doglianze formulate in questa sede devono essere dichiarate inammissibili, giacché esorbitano dai limiti entro cui è consentito esercitare il sindacato di legittimità ai sensi dell'art. 325, comma 1, cod. proc. pen.
1.1. Il primo motivo di ricorso, formalmente riferito alla violazione degli artt. 17 della legge regionale sul turismo n. 11 del 1999, e 3, comma 1, lettera e.5), del d.P.R. n. 380 del 2001, è inammissibile poiché diretto, nella sostanza, a sollecitare una rivalutazione dei fatti, preclusa al sindacato di legittimità.
La ricostruzione difensiva, dietro l’apparenza di una violazione di legge, prospetta una mera interpretazione di parte, proponendo altresì un’alternativa ricostruzione, che si scontra tuttavia, a livello indiziario, con il rilievo – da parte del Tribunale del riesame – dell’inamovibilità delle strutture in sequestro. Nel caso in esame, il giudice cautelare, sulla base dei dati fattuali a sua disposizione, ha infatti ritenuto che i prefabbricati non potessero rientrare nel novero degli interventi di edilizia libera, valorizzando, a tal fine, il permanente ancoraggio al suolo e lo stabile aggancio ad una rete infrastrutturale con impianti idrico, elettrico e fognante.
Si tratta di una valutazione giuridicamente adeguata, atta a chiarire correttamente le ragioni della ritenuta difformità tra i manufatti in sequestro ed i requisiti richiesti, al fine dell’assoggettamento delle opere ai cosiddetti interventi di edilizia libera, dagli artt. 3, comma 1, lettera e.5) del d.P.R. n. 380 del 2001 e 17 della legge regionale n. 13 del 1999.
1.1.1. Come correttamente rilevato dall’ordinanza impugnata, infatti, integra il reato di costruzione edilizia abusiva di cui all’art. 44, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001, la collocazione su un’area di una casa mobile con stabile destinazione abitativa, in assenza di permesso di costruire, perché quest’ultimo non è necessario – ai sensi dell’art. 3 del citato decreto, come modificato dalla legge n. 98 del 3 agosto 2013 e dalla legge n. 80 del 23 maggio 2014 – per i soli interventi in cui ricorrano contestualmente i requisiti di cui al primo comma, lettera e.5) del predetto art. 3, ovverosia la collocazione all’interno di una struttura ricettiva all’aperto, la conformità alla normativa regionale di settore, la destinazione alla sosta ed al soggiorno, necessariamente occasionali e limitati nel tempo, di turisti, nonché – per la parte che qui interessa – il temporaneo ancoraggio al suolo (ex plurimis, Sez. 3, n. 20844 del 15/05/2024, non massimata; Sez. 3, n. 41067 del 16/09/2015, Rv. 264840).
Peraltro, laddove, come nel caso di specie, le 19 tensostrutture in contestazione ricadano in zona paesaggisticamente vincolata, l’intervento richiede, ex art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004, l’autorizzazione paesaggistica, titolo necessario per lavori di qualsiasi genere che incidano sull’assetto territoriale. Qualora dette strutture mobili, infatti, non siano destinate ad una occupazione transitoria del suolo, ma ad una utilizzazione perdurante nel tempo, come nel caso di specie, l’alterazione del territorio non può considerarsi temporanea, precaria o irrilevante, anche e soprattutto a fini paesaggistici. Ciò che, in altri termini, equivale a dire che il campeggio insistente in zona tutelata, per essere realizzato, deve conseguire l’autorizzazione paesaggistica, in assenza della quale è, in ogni caso, nel suo complesso, totalmente e radicalmente illegittimo ex art. 181 del predetto decreto (Cons. Stato, Sez. 6, n. 4102 del 07/05/2024).
1.1.2. E ciò a prescindere dalla possibilità, o meno, in linea generale, di ricondurre la realizzazione dei prefabbricati in questione nel novero degli interventi di “edilizia libera”.
La giurisprudenza di legittimità, infatti, ormai da tempo afferma che la particolare disciplina dell’attività edilizia libera non è applicabile agli interventi che, pur rientrando nelle categorie menzionate da tale disposizione, siano in contrasto con le prescrizioni degli interventi urbanistici (ex multis, Sez. 3, n. 29963 dell’08/02/2019; Sez. 3, n. 19316 del 27/04/2011, Rv. 250018; ma anche Cons. Stato, Sez. 6, n. 3667 del 27/07/2015). Nello specifico, è stato rilevato, in proposito, che l’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, consente la realizzazione delle opere ivi indicate, in regime di attività edilizia libera, solo – tra l’altro e per quanto qui interessa – «nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio» di cui al d.lgs. n. 42 del 2004 (Sez. 3, n. 539 dell’08/11/2022, non massimata). Dunque, il regime dell’attività edilizia libera, ovvero non soggetto ad alcun titolo abilitativo, non è applicabile agli interventi che, pur rientrando nelle tipologie di tale disposizione, siano in contrasto con le previsioni indicate nell’incipit della stessa, vale a dire, per quanto qui interessa, con la normativa in materia di tutela del paesaggio.
1.2. Anche la seconda censura – con la quale si lamenta la violazione dell’art. 321 cod. proc. pen. relativamente al presupposto del periculum in mora – è inammissibile.
Pur deducendo formalmente una violazione di legge, il ricorrente omette di lamentare, nell’articolazione del motivo di doglianza, una scorretta interpretazione di norme, censurando piuttosto un’erronea valutazione dei presupposti di fatto per l’applicazione del sequestro e limitandosi a proporre un’alternativa ricostruzione del quadro indiziario, esorbitando dunque dai limiti entro cui è consentito esercitare il sindacato di legittimità ai sensi dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen.
L’ordinanza impugnata, d’altra parte, appare logicamente argomentata, allorché (pag. 12) richiama espressamente la complessiva valutazione svolta in ordine al pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato, derivante dall’aggravio del carico urbanistico sull’area in questione, in termini di potenziale nuova richiesta di servizi ed infrastrutture, ben potendosi ipotizzare la concreta sussistenza del predetto periculum anche per reati in relazione ai quali sia cessata la condotta o si siano perfezionati gli elementi costitutivi. Sul punto, può utilmente richiamarsi l’orientamento che, nel riconoscere l’ammissibilità della misura reale applicata alle costruzioni definitivamente completate, sottolinea la distinzione tra l’effetto lesivo del reato sul bene giuridico protetto, che permane nel tempo ma è comune a tutti i reati, anche istantanei, e le conseguenze, necessariamente antigiuridiche ed ipotizzabili anche a consumazione del reato avvenuta, che potrebbero derivare dalla libera disponibilità del bene. Nel far riferimento, tra le varie fattispecie delittuose menzionate a titolo esemplificativo, anche ai reati edilizi, la pronuncia osserva che la lesione concerne in tal caso l’interesse alla vigilanza e controllo del territorio attraverso un adeguato governo pubblico degli usi e delle trasformazioni dello stesso, nonché l’aggravamento del carico urbanistico conseguente all’utilizzazione del manufatto abusivo; carico inteso quale incidenza dell’intervento edilizio, riguardato sotto l’aspetto strutturale e funzionale, e, dunque, comprensivo delle variazioni di volumetria, destinazione o effettiva utilizzazione derivate dalla concreta alterazione della consistenza originaria di un manufatto, sull’assetto urbanistico, così da determinare un mutamento in concreto dell’insieme delle esigenze territoriali valutate in sede di pianificazione (Sez. U., n. 12878 del 29/01/2003, Rv. 223721).
Il sequestro preventivo, dunque, può essere disposto al fine di impedire l’aggravamento o la protrazione delle conseguenze del reato, pur quando, vertendosi in materia di reati concernenti la tutela del territorio, sia cessata la condotta criminosa, dal momento che perdurano comunque gli effetti lesivi dell’equilibrio urbanistico ed ambientale (sull’aggravamento del carico urbanistico quale presupposto del sequestro preventivo di opere abusive interamente realizzate v., ex plurimis, Sez. 3, n. 15637 del 13/03/2024, Rv. 286173 – 02; Sez. 3, n. 8671 del 15/02/2024, Rv. 285963; Sez. 3, n. 52051 del 20/10/2016, Rv. 268812; Sez. 3, n. 6599 del 24/11/2011, dep. 17/02/2012, Rv. 252016).
2. Per questi motivi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10/10/2024.