Cass. Sez. III n. 25766 del 4 luglio 2012 (Ud 14 giu. 2012)
Pres. Squassoni Est. Amoresano Ric. PM in proc. Chiacchiaro
Urbanistica. Sequestro opere ultimate

Il sequestro preventivo di cose pertinenti al reato può essere adottato anche su un'opera ultimata, se la libera disponibilità di essa possa concretamente pregiudicare gli interessi attinenti alla gestione dei territori ed incidere sul carico urbanistico", il pregiudizio del quale va valutato avendo riguardo agli indici di consistenza dell'insediamento edilizio, del numero dei nuclei familiari, della dotazione minima degli spazi pubblici per abitare, nonché della domanda di strutture e di opere collettive

 

RITENUTO IN FATTO

1. Il GIP del Tribunale di Salerno ordinava in data 12.9.2011 il sequestro preventivo di un'area di circa 16.000,00 mq. di proprietà della "Mytos sas" di C.A.R., che l'aveva data in locazione alla "Le Trabe srl", di cui era legale rappresentante il medesimo C.. In tale area, sottoposta a vincolo paesaggistico ed archeologico, erano state realizzate, senza permesso di costruire e senza autorizzazione paesaggistica, varie opere di trasformazione del terreno ed una serie di manufatti.

Il Tribunale di Salerno, con ordinanza del 12.10.2011, in parziale accoglimento della richiesta di riesame, proposta nell'interesse del C., ordinava il dissequestro, con conseguente restituzione all'avente diritto, dell'area di 15.000 mq su cui era stato realizzato un "giardino d'acqua" completo di percorsi in pietra, di una collinetta artificiale e di opere di abbellimento, e del "dehor" con pavimentazione in tufo posato a secco.

Dopo aver richiamato la giurisprudenza di legittimità in tema di poteri del riesame, di valutazione del fumus commissi delicti e del periculum in mora, riteneva il Tribunale che, pur ricorrendo il fumus del reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 e del reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), non sussistesse, in relazione all'area trasformata in giardino d'acqua ed al c.d. dehor, il periculum in mora, in quanto, stante l'ultimazione delle opere, l'uso delle stesse non comportava un reale aggravio del carico urbanistico e doveva ritenersi compatibile con l'esistenza del vincolo paesaggistico ed archeologico.

2. Ricorre per cassazione il P.M. presso il Tribunale di Salerno, denunciando la violazione di legge in relazione agli artt. 125 e 321 c.p.p., D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 bis, art. 734 c.p., D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) e art. 64, 65, 72, 93 e 95.

Il Tribunale, con motivazione apparente, ha ritenuto insussistenti le esigenze cautelari. Ha infatti affermato apoditticamente che l'uso delle opere in contestazione non comportasse aggravio del carico urbanistico e fosse compatibile con gli interessi tutelati dai vincoli ambientali ed archeologici in quanto nella stessa zona vi erano altre attività di ristorazione in prossimità della cinta muraria di (OMISSIS).

Per ritenere la sussistenza dell'aggravio urbanistico non era certo necessaria una consulenza tecnica, essendo evidente che destinare al servizio dell'attività di ristorazione una ulteriore area ricettiva, con evidenti finalità di attrazione degli avventori, determinava un aggravio del carico medesimo. Quanto al danno ambientale, paesaggistico ed archeologico, il Tribunale non ha tenuto conto della natura dei vincoli e del contesto in cui le opere sono state realizzate ed ha, sostanzialmente senza motivazione, ritenuto la compatibilità delle opere con i vincoli medesimi.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso del P.M. è fondato.

2. Il Tribunale, pur affermando la sussistenza del fumus dei reati ipotizzati, ha ritenuto che, in relazione all'area trasformata in giardino d'acqua ed al dehor, non sussistesse il periculum in mora.

Per i Giudici del riesame, infatti, l'uso di tali opere, già ultimate, non determinava l'aggravio del carico urbanistico. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, che lo stesso Tribunale richiama ed afferma di condividere, "l'interesse sostanzialmente tutelato nell'ambito dei reati edilizi è rappresentato dalla vigilanza e controllo del territorio mediante l'adeguato governo pubblico degli usi e delle trasformazioni dello stesso, bene questo esposto a pregiudizio da ogni condotta che produca alterazioni dell'ordinato ed equilibrato assetto e sviluppo territoriale in danno del benessere complessivo della collettività e della sua attività, il cui parametro di legalità è dato dalla disciplina degli strumenti urbanistici e dalla normativa vigente (v. così, in primo luogo, Cass. Sez. U. 12.11.1993 - Borgla; e, poi, tra le altre: Cass. 4.4.1995 - Marano; Cass. 12.5.1995 - Di Pasquale). Al riguardo, le decisioni della Corte, nel giustificare l'adozione della misura coercitiva in questione, hanno fatto talora riferimento all'aggravamento del carico urbanistico sulle infrastrutture preesistenti che potrebbe essere provocato dal libero uso dell'Immobile abusivo. Il concetto di carico urbanistico appare meritevole di attento approfondimento. Questa nozione deriva dall'osservazione che ogni insediamento umano è costituito da un elemento c.d. primario (abitazioni, uffici, opifici, negozi) e da uno secondario di servizio (opere pubbliche in genere, uffici pubblici, parchi, strade, fognature, elettrificazione, servizio idrico, condutture di erogazione del gas) che deve essere proporzionato all'insediamento primario ossia al numero degli abitanti insediati ed alle caratteristiche dell'attività da costoro svolte. Quindi, il carico urbanistico è l'effetto che viene prodotto dall'insediamento primario come domanda di strutture ed opere collettive, in dipendenza del numero delle persone insediate su di un determinato territorio.

Si tratta di un concetto, non definito dalla vigente legislazione, ma che è in concreto preso in considerazione in vari istituti di diritto urbanistico: a) negli standards urbanistici di cui al D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 che richiedono l'inclusione, nella formazione degli strumenti urbanistici, di dotazioni minime di spazi pubblici per abitante a seconda delle varie zone; b) nella sottoposizione a concessione e, quindi, a contributo sia di urbanizzazione che sul costo di produzione, delle superfici utili degli edifici, in quanto comportino la costituzione di nuovi vani capaci di produrre nuovo insediamento; c) nel parallelo esonero da contributo di quelle opere che non comportano nuovo insediamento, come le opere di urbanizzazione o le opere soggette ad autorizzazione; d) nell'esonero da ogni autorizzazione e perciò da ogni contributo per le opere interne (L. n. 47 del 1985, art. 26 e L. n. 493 del 1993, art. 4, comma 7) che non comportano la creazione di nuove superficie utili, ferma restando fa destinazione dell'immobile; e) nell'esonero da sanzioni penali delle opere che non costituiscono nuovo o diverso carico urbanistico (L. n. 47 del 1985, art. 10 e L. n. 493 del 1993, art. 4). - Le conseguenze antigiuridiche, ulteriori rispetto alla consumazione del reato, attengono sostanzialmente al volontario aggravamento o protrarsi della offesa del bene protetto anche dopo la commissione della fattispecie penalmente illecita, ponendosi in stretta connessione con la stessa. D'altro canto, il collegamento di detti effetti pregiudizievoli con il procedimento di repressione del reato comporta necessariamente che l'accertamento irrevocabile di questo sia idoneo ad impedire definitivamente il verificarsi delle conseguenze antigiuridiche. Nella materia di che trattasi, tale risultato viene conseguito con l'emanazione, per le opere abusive, dell'ordine di demolizione ex L. n. 47 del 1985, art. 7 (adottato dal giudice con la sentenza di condanna, salvo che le opere siano state altrimenti demolite). Detto provvedimento è formai mente giurisdizionale ma qualificabile sostanzialmente come sanzione amministrativa; esso, comunque, pur esulando dalla nozione di effetto penale, costituisce atto dovuto per l'Autorità giudiziaria, privo di contenuto discrezionale e consequenziale alla sentenza di condanna (v. così Cass. S.U. 19/6/1996 - Monterisi; Cass. 19.12.1997 - Poli; Cass 6.7.2000 - Callea; Cass. 12.1.2000 - Giusta). Il pericolo, attinente alla libera disponibilità del bene, come già si è detto, deve presentare i caratteri della concretezza e dell'attualità.

In tal senso si sono pronunciate espressamente queste Sezioni Unite (Cass. Sez. U. 14.12.1994 - Adelio), sottolineando che, ancorchè manchi per le misure cautelari reali una previsione esplicita di concretezza come quella codificata per le misure sulla libertà personale all'art. 274 c.p.p., lett. c), è nella fisiologia del sequestro preventivo di cui all'art. 321 c.p.p., quale misura anch'essa limitativa di libertà costituzionalmente garantite, che il pericolo debba essere contrassegnato dalla effettività e dalla concretezza. Pertanto, spetta al giudice di merito con adeguata motivazione compiere una attenta valutazione del pericolo derivante dal libero uso della cosa pertinente all'illecito penale. In particolare, vanno approfonditi la reale compromissione degli interessi attinenti al territorio ed ogni altro dato utile a stabilire in che misura il godimento e la disponibilità attuale della cosa da parte dell'indagato o di terzi possa implicare una effettiva ulteriore lesione del bene giuridico protetto, ovvero se l'attuale disponibilità del manufatto costituisca un elemento neutro sotto il profilo della offensività. In altri termini, il giudice deve determinare, in concreto, il livello di pericolosità che la utilizzazione della cosa appare in grado di raggiungere in ordine all'oggetto della tutela penale, in correlazione al potere processuale di intervenire con la misura preventiva cautelare. Per esempio, nel caso di ipotizzato aggravamento del c.d. carico urbanistico va delibata in fatto tale evenienza sotto il profilo della consistenza reale ed intensità del pregiudizio paventato, tenendo conto della situazione esistente al momento dell'adozione del provvedimento coercitivo" (Cass.Sez.Un.n.12878 del 2003). Anche la giurisprudenza successiva ha costantemente ribadito che il sequestro preventivo di cose pertinenti al reato può essere adottato anche su un'opera ultimata, se la libera disponibilità di essa possa concretamente pregiudicare gli interessi attinenti alla gestione del territori ed incidere sul carico urbanistico", il pregiudizio del quale va valutato avendo riguardo agli indici di consistenza dell'insediamento edilizio, del numero dei nuclei familiari, della dotazione minima degli spazi pubblici per abitare, nonchè della domanda di strutture e di opere collettive (cfr. Cass.pen.sez.3 n.6599 del 24.11.2011 ed in precedenza Cass.sez.3 n.19761 del 25.2.2003; sez.4 n.15821 del 31.1.2007; Sez.3 n.4745 del 12.12.2007; sez.2 n.17170 del 23.4.2010).

3. Il Tribunale, assumendo che non rientrava nei suoi poteri disporre consulenza tecnica, non ha, sostanzialmente, motivato in ordine alla ritenuta insussistenza dell'aggravio del carico urbanistico.

E' indubitabile che la differenza che corre tra giudice cautelare e giudice di merito è che il primo non ha poteri di istruzione e di valutazione probatoria, che sono Incompatibili con la natura cautelare del giudizio, ma tuttavia il giudice cautelare conserva in pieno il potere di valutare in punto di diritto se sulla base delle prospettazioni hic et inde dedotte ricorra il reato contestato e le esigenze cautelari (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 3 n.33873 del 7.4.2006-Moroni).

3.1. Senza svolgere alcuna analisi (sulla base degli atti in suo possesso) in relazione alla consistenza ed alla natura delle opere di trasformazione eseguite, alla finalità e destinazione delle stesse, all'influenza sulla potenzialità ricettiva della struttura, i Giudici del riesame hanno apoditticamente affermato che l'utilizzo dell'area e della tettoia "non comporta un reale aggravio del carico urbanistico".

Trattasi, palesemente, di motivazione apparente riconducibile alla violazione di legge di cui all'art. 125 c.p.p. e quindi deducibile in sede di legittimità a norma dell'art. 325 c.p.p..

Secondo la giurisprudenza ormai pacifica di questa Corte (cfr.Sez.Un. n.2/2004, Terrazzi), infatti, nel concetto di violazione di legge può comprendersi la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali, quali ad esempio l'art. 125 c.p.p., che Impone la motivazione anche per le ordinanze.

Tali principi sono stati ulteriormente ribaditi dalle stesse sezioni unite con la sentenza n. 25932 del 29.5.2008-Ivanov.

3.2. I medesimi rilievi valgono In ordine alla ritenuta compatibilità delle opere dissequestrate con gli interessi tutelati dal vincolo paesaggistico ed archeologico, essendosi il Tribunale limitato, apoditticamente, ad affermare detta compatibilità per il solo fatto che l'attività di ristorazione svolta "è molto diffusa nella zona", senza effettuare alcuna indagine in ordine alla natura dei vincoli, alla situazione preesistente, all'impatto sull'ambiente delle opere di trasformazione eseguite ed alla destinazione dell'area.

4. L'ordinanza impugnata va, pertanto, annulla con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Salerno, che si atterrà ai principi di diritto ed i rilievi sopra evidenziati.


P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Salerno.
Così deciso in Roma, il 14 giugno 2012.