Cass. Sez. III n. 22255 del 27 maggio 2016 (Ud 28 apr 2016)
Pres. Fiale Est. Ramacci Ric. Casu
Urbanistica. Requisiti dei volumi tecnici

Per le loro caratteristiche i volumi tecnici non rientrano nel conteggio dell'indice edificatorio, perché non generano carico urbanistico, hanno quale unico scopo quello di migliorare la funzionalità e la salubrità delle costruzioni e sono privi di una propria autonomia funzionale, anche potenziale.  Conseguentemente, restano esclusi da tale novero quegli interventi che assolvono funzioni complementari all'abitazione (quali quelli di sgombero, le soffitte e gli stenditoi chiusi) e che vanno dunque computati ai fini del calcolo della volumetria complessiva.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Cagliari, con sentenza del 30/5/2011 ha confermato la decisione con la quale, in data 18/3/2010, il Tribunale di Lanusei, a seguito di giudizio abbreviato, aveva affermato la responsabilità penale di C.S. in ordine alla contravvenzione di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) ed al delitto di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1-bis, per la realizzazione, in zona agricola e sottoposta a specifico vincolo paesaggistico, di un intervento di sopraelevazione di preesistente manufatto abusivo in assenza di permesso di costruire e di autorizzazione paesaggistica (fatti accertati in (OMISSIS)).

Con ordinanza in data 4/11/2014 del Tribunale di Lanusei dichiarava, ai sensi dell'art. 670 cod. proc. pen., la non esecutività della sentenza di appello e di quella di primo grado, disponendo la rinnovazione della notifica dell'estratto della sentenza e dell'avviso di deposito, dando conseguentemente atto della mancata decorrenza dei termini per l'impugnazione della pronuncia di secondo grado, avverso la quale il predetto propone ora ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen..

2. Con un primo motivo di ricorso lamenta la violazione di legge, rappresentando che le opere realizzate sarebbero qualificabili quali volumi tecnici e che la loro natura pertinenziale escluderebbe la necessità del permesso di costruire e dell'autorizzazione paesaggistica.

Rileva che la modestissima sopraelevazione del fabbricato sarebbe finalizzata ad una migliore coibentazione dello stesso e che i giudici del merito avrebbero erroneamente valutato le risultanze processuali, peraltro non considerando che gli interventi erano ancora in corso di esecuzione alla data dell'accertamento, cosicchè non poteva escludersi, come invece ha fatto la Corte di appello, che sarebbe poi stato realizzato un sottotetto.

3. Con un secondo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione, affermando che le opere eseguite non sarebbero, per natura e consistenza, idonee ad arrecare pregiudizio all'assetto dei luoghi sottoposti a vincolo paesaggistico e che si inserirebbero comunque in un contesto ambientale già degradato, a causa degli altri interventi edilizi realizzati nel corso del tempo.

4. Con un terzo motivo di ricorso lamenta l'eccessività della pena irrogata e contesta il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

5. Con un quarto motivo di ricorso osserva che, in ogni caso, i reati ascrittigli sarebbero ormai prescritti.

Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi di ricorso sono infondati, ma la sentenza impugnata va comunque annullata senza rinvio per essere i reati estinti per intervenuta prescrizione, come di seguito meglio specificato.

Occorre rilevare, con riferimento al primo motivo di ricorso, come sia del tutto destituito di fondamento l'assunto secondo il quale l'intervento realizzato sia ascrivibile nel novero dei c.d. volumi tecnici.

Va a tale proposito ricordato come la giurisprudenza di questa Corte sia già intervenuta sull'argomento, ricordando (Sez. 3, n. 7217 del 17/11/2010 (dep. 2011), P.M. e p.c. in proc. La Terra, Rv. 249529) che sono volumi tecnici quelli strettamente necessari a contenere ed a consentire la sistemazione di quelle parti degli impianti tecnici, aventi un rapporto di strumentalità necessaria con l'utilizzo della costruzione (serbatoi idrici, extra-corsa degli ascensori, vani di espansione dell'impianto termico, canne fumarie e di ventilazione, vano scala al di sopra della linea di gronda età), che non possono, per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti stessi, trovare allocazione entro il corpo dell'edificio realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche (nello stesso senso, Sez. 3 n. 3590 del 25/11/2008, Silvestro ed altro, non massimata; Sez. 3, n. 37575 del 16/4/2008, Ronconi, non massimata; Sez. 3, n. 20267 del 29/2/2008, Valguarnera, non massimata. Con riferimento ai "vani di sgombero", non annoverabili tra i volumi tecnici, poichè assolvono funzioni complementari all'abitazione, v. Sez. 3, n. 6415 del 12/1/2007, Pacella Coluccia, non massimata).

Si è anche specificato, richiamando quanto affermato dalla giurisprudenza amministrativa, che, per l'identificazione della nozione di "volume tecnico", assumono valore tre ordini di parametri, il primo, positivo, di tipo funzionale, relativo al rapporto di strumentalità necessaria del manufatto con l'utilizzo della costruzione alla quale si connette; il secondo ed il terzo, negativi, ricollegati da un lato all'impossibilità di soluzioni progettuali diverse (nel senso che tali costruzioni non devono potere essere ubicate all'interno della parte abitativa) e dall'altro lato ad un rapporto di necessaria proporzionalità tra tali volumi e le esigenze effettivamente presenti (così Sez. 3, n. 7217 del 17/11/2010 (dep. 2011), P.M. e p.c. in proc. La Terra, Rv. 249529, cit.).

Invero, anche recentemente, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che sono individuabili quali volumi tecnici gli impianti del tutto privi di propria autonomia funzionale, anche potenziale, poichè strumentali di una costruzione principale, per esigenze tecnico-funzionali della stessa, connessi alla condotta idrica, termica, ascensore ecc. e quelli che non possono essere ubicati all'interno di questa, escludendo che possa parlarsi di volumi tecnici al di fuori di tale ambito al fine di negare rilevanza giuridica ai volumi comunque esistenti nella realtà fisica (Consiglio di Stato, sez. 6, n. 507 del 8/2/2016; Sez. 6 n. 406 del 29/1/2015, con richiami ai precedenti. V. anche, ex pl., Consiglio di Stato sez. 6 n. 175 del 21/1/2015; Sez. 6 n. 5932 del 1/12/2014; Sez. 6 n. 5428 del 4/11/2014).

Per tali loro caratteristiche, dunque, i volumi tecnici non rientrano nel conteggio dell'indice edificatorio, perchè non generano carico urbanistico, hanno quale unico scopo quello di migliorare la funzionalità e la salubrità delle costruzioni e sono privi di una propria autonomia funzionale, anche potenziale. Conseguentemente, restano esclusi da tale novero quegli interventi che assolvono funzioni complementari all'abitazione (quali quelli di sgombero, le soffitte e gli stenditoi chiusi) e che vanno dunque computati ai fini del calcolo della volumetria complessiva.

Tali principi sono pienamente condivisi dal Collegio, che intende darvi dunque continuità.

2. Ciò posto, va rilevato come, nel caso in esame, i giudici del merito abbiano accertato in fatto, con argomentazioni prive di cedimenti logici o manifeste contraddizioni e, in quanto tali, non censurabili in questa sede, che gli interventi eseguiti si sono concretizzati nell'incremento dell'altezza dei muri da un minimo di 50 centimetri ad un massimo di 1,20 metri e uniformate nelle quote di 3 metri alla gronda e 3,20 metri al colmo, con conseguente aumento di volumetria.

Viene inoltre specificato, nella sentenza impugnata, che l'intervento non aveva riguardato una parte posta al di sotto del tetto, separata e non utilizzabile nell'ambiente sottostante, come confermato dalla mancata realizzazione di un solaio e che l'incremento volumetrico realizzato aveva comunque modificato la sagoma e l'aspetto esteriore dell'edificio.

A fronte di tali dati fattuali, decisamente significativi, si oppone in ricorso, del tutto apoditticamente, che le opere sarebbero state finalizzate ad una migliore coibentazione dell'edificio.

In ogni caso, va anche rilevato che, indipendentemente dalla qualificazione dell'intervento, lo stesso si caratterizza per essere stato effettuato, come risulta dalla sentenza impugnata e dal ricorso, su un preesistente immobile abusivo.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, infatti, deve, in generale, ritenersi preclusa ogni possibilità di intervento su immobili abusivi non condonati o sanati, perchè essi, anche quando siano riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche, ripetono le caratteristiche di illegittimità dall'opera principale alla quale ineriscono strutturalmente (Sez. 3, n. 51427 del 16/10/2014, Rossignoli e altri, Rv. 261330; Sez. 3, n. 26367 del 25/3/2014, Stewart e altro, Rv.

259665; Sez. 3, n. 1810 del 2/12/2008 (dep. 2009), P.M. in proc. Cardito, Rv. 242269; Sez. 3, n. 33657 del 12/7/2006, Rossi, Rv.

235382; Sez. 3, n. 21490 del 19/4/2006, Pagano, Rv. 234472).

3. L'accertata modifica della sagoma e dell'aspetto esteriore dell'edificio evidenzia, poi, la manifesta infondatezza anche del secondo motivo di ricorso, ove si sostiene la irrilevanza, in termini di offensività, dell'intervento eseguito in zona vincolata.

E' sufficiente ricordare, a tale proposito, come questa Corte abbia più volte ribadito che il reato paesaggistico è un reato formale e di pericolo che si perfeziona, indipendentemente dal danno arrecato al paesaggio, con la semplice esecuzione di interventi non autorizzati idonei ad incidere negativamente sull'originario assetto dei luoghi sottoposti a protezione e come sia di tutta evidenza, attesa la posizione di estremo rigore del legislatore in tema di tutela del paesaggio, che assume rilevo, ai fini della sua configurabilità, ogni intervento astrattamente idoneo ad incidere, modificandolo, sull'originario assetto del territorio sottoposto a vincolo paesaggistico ed eseguito in assenza o in difformità della prescritta autorizzazione (v., da ultimo, Sez. 3, n. 11048 del 18/2/2015, Murgia, Rv. 263289. V. anche Sez. 3, n. 6299 del 15/1/2013, Simeon, Rv. 254493).

Ne consegue che l'intervento realizzato, per caratteristiche e consistenza accertate in fatto nel giudizio di merito, costituisce senz'altro una immutazione penalmente rilevante dell'originario stato dei luoghi.

Risulta peraltro evidente che, ai fini della valutazione circa l'attitudine della condotta contestata a porre in pericolo il bene protetto, non è richiesto al giudice alcun giudizio di comparazione dell'opera rispetto al generale contesto in cui si colloca, poichè la configurabilità del reato non va ritenuta, come si è detto, sulla base di un concreto apprezzamento di un danno ambientale e la sussistenza delle speciali esigenze di tutela dell'area interessata dall'intervento è attestata dalla imposizione del vincolo, che non può certo essere vanificata attraverso soggettivi apprezzamenti fondati, come pretende il ricorrente, su un successivo degrado della zona, peraltro del tutto indimostrato.

4. Anche l'infondatezza del terzo motivo di ricorso risulta di macroscopica evidenza.

La Corte territoriale ha infatti ampiamente giustificato il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non soltanto sulla base di un precedente penale, ma anche in ragione della condotta posta in essere, definita dai giudici del merito "spregiudicata", per il fatto che l'imputato aveva eseguito l'intervento contestatogli su un immobile già da lui abusivamente realizzato, non ottemperando agli ordini di demolizione impartiti dall'autorità comunale e sfruttando la negligenza dell'amministrazione che gli aveva lasciato la disponibilità del manufatto, del quale aveva ormai acquisito la proprietà quale conseguenza dell'inottemperanza alle ingiunzioni alla demolizione.

A fronte di ciò, il ricorrente pone in dubbio la circostanza dell'avvenuta acquisizione dell'immobile al patrimonio comunale, lamentando che di tali evenienze non si rinverrebbe traccia nel capo di accusa.

Si tratta, però, di argomentazioni del tutto prive di fondamento, atteso che l'ingiustificata inottemperanza all'ordine di demolizione dell'opera abusiva ed alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi entro novanta giorni dalla notifica dell'ingiunzione a demolire emessa dall'Autorità amministrativa determina l'automatica acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell'opera e dell'area pertinente, senza che siano necessarie la notifica all'interessato dell'accertamento dell'inottemperanza e la trascrizione, in quanto il primo atto ha solo funzione certificativa dell'avvenuto trasferimento del diritto di proprietà, costituendo titolo per l'immissione in possesso, mentre la trascrizione serve a rendere opponibile il trasferimento ai terzi a norma dell'art. 2644 cod. civ. (così Sez. 3, n. 22237 del 22/4/2010, Gotti, Rv. 247653 ed altre prec. conf.).

L'eventuale inerzia dell'amministrazione competente, evidenziata, peraltro, dai giudici del gravame, non rileva pertanto nel caso concreto, pur essendo ovviamente suscettibile di valutazione in altre sedi per quanto attiene la responsabilità penale e contabile dei soggetti che hanno determinato il verificarsi della situazione indicata.

Neppure vi era alcun obbligo di specificare, nell'imputazione, che i lavori contestati costituivano prosecuzione di un precedente intervento abusivo, avendo gli stessi autonoma rilevanza sotto il profilo penale indipendentemente da tale evenienza, la quale, evidentemente, risultava già dagli atti, dal momento che nella sentenza impugnata viene posta chiaramente in evidenza.

5. Per quanto concerne la prescrizione dedotta con il quarto motivo di ricorso deve osservarsi che, per il calcolo dei termini, va tenuto conto della sospensione intercorsa tra il 31/3/2009 ed il 17/6/2009, per complessivi 78 giorni, per rinvio dell'udienza dovuto all'adesione del difensore all'astensione dalle udienze disposta dall'organismo di categoria.

Va inoltre rilevato, per completezza, che per quanto concerne il contestato delitto paesaggistico, occorre tener conto della sentenza n. 56 del 23 marzo 2016 con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1-bis (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi della L. 6 luglio 2002, n. 137, art. 10), nella parte in cui prevede": a) ricadano su immobili od aree che, per le loro caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori; b) ricadano su immobili od aree tutelati per legge ai sensi dell'art. 142 ed", sicchè il reato originariamente contestato come delitto viene ora a configurarsi quale violazione di natura contravvenzionale.

Date tali premesse, deve dunque rilevarsi che, nelle more del presente giudizio di legittimità, il termine massimo di prescrizione risulta spirato, per tutti i reati oggetto di contestazione, l'11/7/2012 e questa Corte deve pertanto prendere atto della intervenuta estinzione dei reati medesimi.

La sentenza impugnata deve dunque essere annullata senza rinvio ed all'annullamento consegue la revoca dell'ordine di demolizione impartito dal giudice del merito.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere i reati estinti per prescrizione e revoca l'ordine di demolizione.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2015.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2016